La sesta edizione di la
Storia in Piazza propone un lungo viaggio nella storia del
capitalismo, dalla sua preistoria per ripercorrere i luoghi dei suoi
primi trionfi, la rivoluzione industriale e poi seguirne i percorsi,
le crisi e i mutamenti fino al presente.
Non sarà un festival
dedicato alla storia economica, ma una rassegna che considera il
capitalismo nel suo complesso: i suoi sostenitori, i suoi nemici, il
suo rapporto con le religioni, le idee ad esso connesse, le ansie
alle quali ha dato luogo, il suo rapporto con il concetto di
“modernità”, le cause e gli effetti delle “grandi crisi”.
A cura di Donald
Sassoon con Luca Borzani, Alessandro
Cavalli e Antonio Gibelli
La globalizzazione, la
progressiva crescita dell’integrazione economica, sociale e
culturale tra le diverse aree del mondo, è sostenuta da un’ideologia
altrettanto globale: il capitalismo di mercato. Nelle società tardo
capitalistiche, che costituiscono il cuore del sistema, nessuna forza
si oppone alla sua universale accettazione. Nelle economie emergenti
di Cina, Brasile e India il dibattito si incentra su quale tipo di
capitalismo debba prevalere. Ma qual è il livello di coesione nelle
società tardo capitalistiche?
In Occidente non siamo mai stati così ricchi, eppure le disuguaglianze sono aumentate. Il vecchio sogno dell’égalité è stato di fatto abbandonato. Tutti sembriamo accettare l'attuale ordine economico come l'unico possibile Negli ultimi decenni del XIX secolo, tale trionfo non era affatto prevedibile. L’avanzata del capitalismo industriale era invece la causa di un diffuso sentimento di preoccupazione e la sua diffusione determinava uno sconvolgimento senza precedenti a partire dall’urbanizzazione tumultuosa e al mutato rapporto tra città e campagna.
Entro il 1880, almeno in
Europa, il dibattito all’interno delle élite politiche si snodava
tra l’assunto dell’inevitabilità dell’industrializzazione e il
timore (per i socialisti, la speranza) che tale processo avrebbe
destabilizzato il sistema politico stesso. L’élite liberal aveva
abbracciato con entusiasmo il capitalismo in quanto portatore di
progresso e crescita economica. I socialisti, pur accettando
l’inevitabilità del capitalismo ed apprezzandone l’attitudine a
fare terra bruciata delle tradizioni, avevano come meta una società
senza classi e privilegi. Infine c’erano i “reazionari”,
nostalgici di un passato idealizzato che, pur non avendo alcuna
chance di vittoria, raccoglievano consensi tra coloro che si
sentivano minacciati dalla modernità.
D’altronde se il mutamento può essere considerato un elemento costante della storia, un certo scetticismo verso il nuovo non è un atteggiamento necessariamente sbagliato dato che ogni cambiamento, anche graduale, va raramente a effettivo vantaggio di tutti. Così, alla fine del XIX secolo, si diffuse il desiderio comune di migliorare il destino di coloro che, pur avendo accettato l’inesorabilità del capitalismo, soffrivano per le modalità di produzione e di distribuzione della ricchezza. Questo è il motivo per cui, fino a non molto tempo fa, in Europa, davvero pochi partiti politici di massa erano sostenitori disinibiti del mercato. Addirittura, nel periodo tra le due guerre, crebbe la riluttanza ad abbracciare l’ideologia filo-capitalista.
A rendere il capitalismo
sempre meno popolare contribuirono la diffusa e massiccia inflazione
nell’Europa centrale all’inizio degli anni Venti, il crollo del
’29 e la conseguente Grande Depressione e un ritorno al
protezionismo. Dopo il 1945 la maggior parte delle economie
capitaliste si orientarono verso ciò che fu chiamato il Welfare
State “keynesiano”. La crescita dei salari fornì al capitalismo
una legittimazione formidabile.
È stata la cosiddetta “età dell’oro del capitalismo” (1945-75). La democratizzazione dei consumi e le libertà politiche hanno sancito la vittoria del capitalismo di mercato. Alcune delle economie comuniste riuscirono a porre le fondamenta di una società industriale, ma non riuscirono a sviluppare né una società dei consumi né la libertà politica.
Oggi l’ideologia dominante è il neoliberismo che deve affrontare un problema fondamentale, quello dei limiti ecologici della crescita. Infatti, oggi, i principali ostacoli alla continua espansione e alla stabilità del capitalismo non sono la lotta di classe o le aspirazioni rivoluzionarie dei “dannati della terra” o i fondamentalisti islamici, ma l’ecologia del pianeta. La crescita capitalistica potrebbe essa stessa destabilizzare il capitalismo.
Donald Sassoon