Karl Marx |
Riprendiamo la riflessione sull'utopia, ossia sulla possibilità di pensare una realtà sociale radicalmente altra da quella presente. Dopo Robert Owen, oggi parliamo di Karl Marx e Friedrich Engels.
Giorgio Amico
Marx, Babeuf, Owen e il sogno dell'eguaglianza
1. Engels e l'evoluzione
del socialismo dall'utopia alla scienza
Nel 1880 Engels su
sollecitazione di Paul Lafargue prepara un breve estratto
dell'Antidühring che con il titolo di "Socialismo utopico e
socialismo scientifico" viene pubblicato dapprima in Francia e
poi via via nei principali paesi europei fra cui l'Italia, dove
appare nel 1883. Il testo, considerato "il prodotto più audace
della fucina di Marx e di Engels"(1), traccia a grandi linee il
passaggio del pensiero socialista dal terreno dell'utopia a quello
ben più solido della scienza. Il primo dei tre capitoli in cui
l'opuscolo si suddivide tratta diffusamente del pensiero dei maggiori
esponenti del socialismo utopico: "Saint-Simon, nel quale le
tendenze borghesi conservano ancora una certa validità accanto alla
tendenza proletaria, Fourier e Owen, il quale, nel paese in cui la
produzione capitalistica era più sviluppata e sotto l'impressione
degli antagonismi che ne risultavano, ricollegandosi direttamente al
materialismo francese, sviluppò sistematicamente i suoi progetti per
l'eliminazione delle differenze di classe". (2)
Engels non entra
nel merito dei sistemi elaborati dai tre, nè tantomeno gli preme
aprire una discussione sulle tesi da esse avanzate. Gli è chiaro,
sulla base dell'esperienza concreta di quasi un secolo di lotte di
classe, che per la loro astrattezza "questi nuovi sistemi
sociali erano, sin dal principio, condannati ad essere utopie: quanto
più erano elaborati nei loro particolari, tanto più dovevano andare
a finire nella pura fantasia". (3) Egli dunque lascia
risolutamente ai "rigattieri della letteratura", sempre
alla ricerca, ieri come oggi, di scampoli del passato da riciclare
come novità del presente, il poco gradevole compito di riesumare
teorie ormai defunte per dedicarsi invece a porre in risalto "i
germi ideali di idee e i pensieri" che queste hanno comunque
trasmesso al socialismo scientifico che "come ogni nuova teoria,
ha dovuto anzitutto ricollegarsi al materiale ideologico
preesistente". (4)
Egli riconosce apertamente il debito che il
marxismo ha nei confronti dei pensatori socialisti di inizio
Ottocento di cui ha saputo potentemente sviluppare le intuizioni. Il
comunismo scientifico dunque nasce da una critica serrata a un
socialismo che, pur mostrandosi incapace di abbandonare
definitivamente il terreno dell'utopia, affonda tuttavia le sue
radici tanto nel materialismo settecentesco quanto nelle aspirazioni
del proletariato. E' proprio questa critica che, partendo dai
Manoscritti economico-filosofici del 1844, culmina nel Manifesto del
partito comunista del 1848, che ci interessa oggi riprendere nelle
sue linee portanti. In particolare la critica dell'egualitarismo
rozzo e del determinismo.
Friedrich Engels |
2. Marx, Babeuf e il
sogno dell'eguaglianza
Se fin dai primi loro
scritti Marx e Engels si confrontano con le teorie socialiste del
loro tempo, è soltanto nel Manifesto del partito comunista ed in
particolare nel terzo capitolo che tale confronto assume i contorni
di una definitiva resa dei conti teorico-politica. Dopo aver trattato
del socialismo "reazionario" e di quello "conservatore
o borghese", nella parte conclusiva del capitolo viene
affrontata l'analisi del "socialismo e comunismo
critico-utopistici", cioè di quelle teorie da cui i due giovani
rivoluzionari tedeschi avevano fino ad allora tratto ispirazione e
spunti di analisi. In apertura Marx opera una distinzione netta fra
"la letteratura che ha espresso le rivendicazioni del
proletariato in tutte le grandi rivoluzioni moderne" e "i
sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi di
Saint-Simon, di Fourier, di Owen". Da un lato, dunque, si
collocano i fermenti egualitaristici che a partire dalla Riforma,
passando per la guerra dei contadini del 1525 e la rivoluzione
inglese, culminano nella Congiura degli Eguali di Gracco Babeuf,
mentre dall'altro stanno veri e propri sistemi che intendono in base
ad una riflessione complessiva sulla società e sulla storia offrire
una soluzione alle contraddizioni del presente. Il primo filone
rappresenta un comunismo ancora bambino, espressione di una realtà
che non ha maturato le condizioni materiali minime per
l'emancipazione sociale degli oppressi e che non può che generare
una letteratura che "è per forza reazionaria, quanto al
contenuto; insegna un ascetismo generale e un rozzo egualitarismo".
(5) Ciononostante per Marx e Engels anche questo filone non va
sottovalutato.
"La Rivoluzione francese - scrivono - ha
suscitato idee che portano oltre le idee di tutta la vecchia
situazione del mondo. Il movimento rivoluzionario, che è cominciato
nel 1789, nel Cercle social, che ha avuto nel mezzo del suo cammino,
come rappresentanti principali Leclerc e Roux, e che infine è
stato momentaneamente sconfitto con la cospirazione di Babeuf, aveva
suscitato l'idea comunista, che l'amico di Babeuf, Buonarroti, dopo
la rivoluzione del 1830, ha introdotto nuovamente in Francia. Questa
idea, conseguentemente elaborata, è l'idea della nuova situazione
del mondo". (6) Marx dunque considera Babeuf portatore di
un'idea (in altra occasione parlerà di "sogno di una cosa")
che rende possibile una nuova visione del mondo, ma che purtuttavia
necessita di ben altra elaborazione. Il suo pensiero non può essere
altro che una prima, rudimentale approssimazione. Chi non comprende
questo limite oggettivo, chi, come Max Stirner, raffigura il
francese come un teorico compiuto del comunismo, si rivela
prigioniero di una visione delle cose superficiale e schematica, da
"maestro di scuola".
L'egualitarismo di Babeuf, pure
tanto ardente da condurlo alla ghigliottina, incarna le aspirazioni
libertarie della società del suo tempo, ma non è ancora lo
strumento teorico con cui il proletariato può pensare in termini
positivi la propria liberazione. Visto come rivolta contro
un'ingiustizia di cui non riesce purtuttavia ad afferrare le cause
profonde, il pensiero comunista settecentesco non può che apparire
rozzo e perfino reazionario. Gracco Babeuf offre un contenuto
rivoluzionario al comunismo agrario di matrice illuminista senza
comprendere che il comunismo non è l'applicazione concreta di un
astratto principio di eguaglianza, ma il prodotto del processo
storico. "Periscano, se necessario, tutte le arti, purchè ci
resti l'uguaglianza reale!" proclamava fieramente il Manifesto
degli Eguali. Marx non può che respingere una concezione tanto
astratta, per lui il comunismo non rappresenta la fine dello sviluppo
storico, ma con il passaggio dal regno della necessità a quello
della libertà l'inizio della storia vera. La visione dello sviluppo
delle forze produttive come condizione sine qua non di questo
passaggio sostanzia il pensiero marxiano e lo differenzia
radicalmente da ogni forma di utopismo. Di contro a un Fourier che
concepisce il lavoro solo in termini di piacere, Marx non parla di
abolizione del lavoro, ma di riduzione di questo al minimo
storicamente possibile. La necessità non sparisce per incanto, ma
dialetticamente pone le condizioni del suo superamento.
"Come il
selvaggio deve lottare con la natura - annota nel Capitale - per
soddisfare i suoi bisogni, per conservare e per riprodurre la sua
vita, così deve fare anche l'uomo civile, e lo deve fare in tutte le
forme della società e sotto i tutti i possibili modi di produzione.
A mano a mano che egli si sviluppa il regno delle necessità naturali
si espande, perchè si espandono i suoi bisogni, ma al tempo stesso
si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni. La
libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò , che
l'uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano
razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano
sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati
come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il
minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate
alla loro natura natura umana e più degne di esso. Ma questo rimane
sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo
sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero
regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi
di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò
la riduzione della giornata lavorativa". (7) La teoria
rivoluzionaria, ci dice Marx, non può che affondare le sue radici in
una concezione della storia di tipo nuovo, in un materialismo
profondamente trasformato dalla dialettica.
Gracco Babeuf |
3. Materialismo
deterministico e filosofia della prassi
Per Marx le teorie
comuniste moderne affondano le loro radici nelle dottrine
materialistiche settecentesche. Sempre nella Sacra famiglia questa
filiazione filosofica, senza la quale anche i sistemi "propriamente"
comunisti dei grandi utopisti perdono senso e spessore
intellettuale, viene esplicitamente affermata: " Fourier muove
immediatamente dalla dottrina dei materialisti francesi. I babuvisti
erano materialisti rozzi, incivili, ma anche il comunismo sviluppato
muove direttamente dal materialismo francese. Questo infatti ritorna,
nella forma che gli ha dato Helvétius, nella sua patria, in
Inghilterra. Bentham fonda sulla morale di Helvétius il suo sistema
dell'interesse bene inteso; e Owen, partendo dal sistema di Bentham,
fonda il comunismo inglese...". (8) Lo sviluppo di una
concezione materialistica del reale è dunque premessa per la nascita
di una compiuta teoria comunista, a condizione però che questa
sappia andare oltre i limiti metafisici del pensiero illuminista.
E'
in Francia che, preparato dal sensismo dei filosofi inglesi del 1600
e sorretto dallo sviluppo delle scienze della natura, il materialismo
appare nella sua forma classica all'inizio del Settecento. In guerra
aperta con la religione i materialisti del XVIII secolo rifiutano
ogni forma di innatismo morale, ricadendo però ben presto in una
nuova forma di metafisica. Se il mondo reale è contradditorio
proprio perchè frutto di una storia trionfo dell'irrazionale e
della superstizione, la soluzione non può che porsi sul piano
astorico di una razionalità insita nella natura. La ragione si
sostituisce alla storia, la natura idealizzata alla vecchia
concezione di Dio. Il cambiamento, ritenuto necessario e fortemente
voluto, non può che giungere dal di fuori dei concreti nessi sociali
del tempo. Rivoluzionari intellettuali, coerenti e determinati nella
denuncia dei guasti della religione e dell'assolutismo, gli
illuministi non sanno leggere il concreto quotidiano mutamento
rivoluzionario dei rapporti sociali che sta avvenendo sotto i loro
occhi. L'esempio di Helvétius è illuminante. Per Helvétius i mali
del mondo si riducono a vizi di legislazione. Se l'uomo è il
prodotto dell'ambiente e questo il frutto delle leggi e delle
consuetudini, occorre operare perchè queste cambino e sappiano
conciliare l'interesse individuale dei singoli con l'interesse
generale della collettività. Solo così, sconfitto l'egoismo,
possono darsi le condizioni di una vera moralità. Occorre, dunque,
radunare un consesso di magistrati illuminati capaci di creare una
legislazione in grado di stimolare la cooperazione degli uomini
nell'ottica del bene comune e porre così le premesse per la concreta
realizzazione della società ideale.
Un secolo più tardi nelle sue
Tesi su Feuerbach Marx chiarirà che proprio nella storia, intesa
come "prassi rivoluzionaria", sta la soluzione dell'enigma,
tanto ansiosamente ricercata. "La dottrina materialistica che
gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che
pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una
mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che
modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato.
Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due
parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in
Robert Owen). La coincidenza del variare dell'ambiente e
dell'attività umana può solo essere concepita e compresa
razionalmente come pratica rivoluzionaria". (9) In queste frasi
del giovane Marx, scritte in polemica con Owen e gli altri
discendenti teorici di Helvétius, si compendia un'altra fondamentale
acquisizione: la storia è il prodotto dell'attività dell'uomo che
si relaziona con gli altri uomini per rispondere alle esigenze
materiali del suo tempo. Il determinismo è insufficiente a spiegare
la realtà, il pensiero critico non può che fondarsi sulla
dialettica e svelarsi al mondo come prassi rivoluzionaria. "I
filosofi - proclama Marx abbandonando definitivamente il terreno
della filosofia per quello dell'azione - hanno solo interpretato il
mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo". (10)
Robert Owen |
4. Critica della
religione e critica del capitale
In una lunga nota dei
Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx inizia a porre le basi
di una concezione scientifica del comunismo che superi un
materialismo incapace di andare oltre la critica della religione. "Si
vede facilmente - scrive - la necessità che l'intero movimento
rivoluzionario trovi la propria base tanto empirica che teoretica nel
movimento della proprietà privata, per l'appunto dell'economia.
Questa proprietà privata materiale, immediatamente sensibile, è
l'espressione materiale e sensibile della vita umana estraniata. Il
suo movimento - la produzione e il consumo - è la rivelazione
sensibile del movimento di tutta la produzione fino ad oggi, cioè la
realizzazione o realtà dell'uomo. La religione, la famiglia, lo
stato, il diritto, la morale, la scienza, l'arte, ecc. non sono che
modi particolari della produzione e cadono sotto la sua legge
universale. La soppressione positiva della proprietà privata, in
quanto appropriazione della vita umana, è dunque la soppressione
positiva di ogni estraniazione, e quindi il ritorno dell'uomo dalla
religione, dalla famiglia, dallo stato, ecc. alla sua esistenza
umana, cioè sociale". (11) Marx non si limita qui a criticare
la mancanza negli utopisti di una critica della proprietà, ma va
oltre, delineando i primi tratti di una visione materialistica della
storia.
E' nell'economia, cioè nel modo storicamente determinato in
cui gli uomini entrano fra loro in rapporti finalizzati alla
riproduzione allargata della specie, che si colloca il punto su cui
far leva per una comprensione generale della società in tutte le sue
articolazioni. Le forme culturali che via via questi rapporti hanno
concretamente assunto, lungi dal rappresentare l'essenza stessa della
società, non sono che manifestazioni particolari dei rapporti di
produzione stessi. Religione, famiglia, stato, diritto, morale,
scienza, arte - per restare all'elencazione marxiana - tendono ad
autonomizzarsi dall'uomo al punto di schiacciarlo. Forme immaginarie
della società, esse vivono ormai di vita propria e risultano
inafferrabili come il Proteo dell'antica leggenda ad una critica che
non persegua l'abolizione positiva, cioè integrale, di ogni
alienazione. La critica della religione, della famiglia, dello stato,
del diritto e della morale deve dunque trasformarsi nella critica
radicale dell'economia e cioè dei rapporti reali che legano fra di
loro gli uomini in un tempo e in una spazio non astratti bensì
storicamente determinati. Senza questo sostrato materiale su cui
poggiarsi la critica, anche la più radicale, è inevitabilmente
condannata al fallimento e a generare, in luogo di una reale
emancipazione, nuovi fantasmi. Da qui la critica demolitrice che Marx
fa della "filantropia dell'ateismo" di Owen. "La
alienazione religiosa come tale avviene soltanto nel regno della
coscienza dell'intimo dell'uomo, ma l'alienazione economica è quella
della vita reale, - quindi la sua abolizione comprende entrambi i
lati. S'intende che il movimento prende il suo primo inizio presso i
vari popoli a seconda che la vera vita riconosciuta dei popoli stessi
si svolga più nella coscienza o più nel mondo esterno, sia più la
vita ideale o più la vita reale. Il comunismo comincia subito
(Owen) con l'ateismo, ma l'ateismo è in un primo momento ancora
molto lontano dall'essere comunismo, come quell'ateismo è ancora più
che altro una astrazione... La filantropia dell'ateismo è quindi in
primo luogo soltanto una filantropia filosofica, astratta, la
filantropia del comunismo è subito reale e immediatamente tesa
all'azione". (12)
Attraverso la critica di Owen Marx pone le
basi di una visione scientifica del comunismo inteso come prassi
rivoluzionaria. "Il comunismo per noi non è uno stato di cose
che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà
conformarsi - Marx dirà in un'altra occasione - Chiamiamo comunismo
il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le
condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora
esistente". (13) Da questo punto di vista nulla separa
l'elaborazione giovanile di un Marx che sta faticosamente cercando
una sua strada tra le fascinazioni dello hegelismo, dell'economia
classica e del socialismo utopistico, dalle opere della maturità.
Il
Capitale, lungi dal rappresentare una riflessione fredda che
sacrifica l'uomo reale ai meccanismi astratti dell'economia, conclude
con estrema coerenza un cammino di ricerca interamente giocato sul
terreno di un umanesimo integrale, critico e dialettico, saldamente
poggiato sulla concezione materialistica della storia.
Note:
1)G. Mayer, Friedrich
Engels, Torino 1969, p.239
2)F. Engels,
L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, Roma
1971, p.70
3)Ibidem, p.74
4)Ibidem, p.67
5)K. Marx-F. Engels,
Manifesto del partito comunista, Milano 1998, p
231
6)K. Marx-F. Engels, La
sacra famiglia, Roma 1967, pp. 155-56
7)K. Marx, Il Capitale,
Torino 1975, vol. III, p.1102
8)K. Marx-F. Engels, La
sacra famiglia, cit. p. 173
9)K. Marx, Tesi su
Feuerbach, in: F. Engels, Ludovico Feuerbach e il
punto di approdo
della filosofia classica tedesca, Savona 1969, p.64
10)Ibidem, p. 66
11)K. Marx, Manoscritti
economico-filosofici del 1844, Torino 1968,
pp.112
12)Ibidem
13)K. Marx-F. Engels,
L'ideologia tedesca, Roma 1969, p. 25