Nata a Londra nel 1717
la Massoneria moderna si diffuse presto anche in Italia portata da
viaggiatori e commercianti inglesi. Venezia fu, con Firenze e
Livorno, una delle prime città in cui la nuova società si diffuse
negli ambienti intellettuali che guardavano alla rivoluzione dei
lumi. Come ogni parto, anche la nascita della Massoneria non fu
indolore: ben presto fioccarono le accuse di empietà. sovversione, segretezza.
Qualcuno, come Giacomo Casanova, finì in carcere, altri, come Carlo
Goldoni, ne presero le difese. Nonostante il mito del “segreto”
(che dura ancora) la Libera Muratoria divenne argomento di articoli,
opere teatrali, dipinti e persino giardini.
Giorgio Amico
Di giardini, commedie
e processi. La Libera Muratoria a Venezia nell'epoca dei lumi
Nella seconda metà del
Settecento, soprattutto tra il 1770 e il 1780, cominciò a
diffondersi nel Veneto il gusto per il giardino all’inglese o
pittoresco. "Non più teatro di feste e di spettacoli con gran
concorso di pubblico, come in epoca barocca, il giardino divenne
luogo preposto alla meditazione dotta, meta di passeggiate solitarie
o in compagnia di piccoli e selezionati gruppi di amici. Con l’abile
manipolazione dell’elemento naturale, degli alberi che venivano
appositamente selezionati, dei corsi d’acqua, delle rocce, e con la
creazione di false rovine, di labirinti, di padiglioni architettonici
riproducenti diversi stili del passato, dal gotico al cinese, dal
rustico al moresco, di sculture e iscrizioni, il visitatore veniva
guidato in una passeggiata didattica e si immergeva in una
rappresentazione che poteva essere storica, letteraria, filosofica o,
con appositi filtri atti a conservare il segreto, di ambito
massonico". (B. Mazza Boccazzi, Simbologia massonica nel
giardino veneto tra Settecento e Ottocento, Studi Veneziani, 2002)
Ma i giardini non sono
l'unico indizio della presenza della istituzione massonica nella
Serenissima Repubblica di San Marco. Tracce evidenti di simbologia
massonica si riscontrano anche negli affreschi di Giambattista Tiepolo che adornano le sale del Palazzo Marchesini-Valle a Vicenza. Affreschi realizzati su committenza del massone
Giorgio Marchesini tra il 1750 e il 1760.
Le prime notizie
sull'esistenza di logge sul territorio della Repubblica di San Marco
risalgono intorno al 1730. Per quanto riguarda Venezia il Francovich
fa coincidere il sorgere di una prima loggia con la permanenza nella
città lagunare di Thomas Howard, duca di Norfolk, Gran Maestro della
Gran Loggia di Londra. Una loggia raggruppante soprattutto residenti
inglesi. Sempre il Francovich ipotizza che nel 1738, in concomitanza
con la bolla "In Eminenti" di Clemente XII, le logge
veneziane venissero chiuse d'autorità per riformarsi segretamente
immediatamente dopo. E' solo nel 1746 che si inizia ad avere notizie
certe sulla presenza in città di una loggia sempre inglese.
Parte importante in questa storia ebbe il veneziano Giacomo Casanova. Ricordato come seduttore e giocatore, casanova fu un autorevole esponente della massoneria europea di cui fu uno dei principali agenti. Racconta Francovich come "il suo costante viaggiare dalla Spagna alla
Russia, dall'Inghilterra all'Olanda e alla Germania fosse
giustificato anche dalla funzione di agente segreto della
confraternita. Egli stesso allude più volte a questo suo segreto". (C. Francovich, Storia
della Massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese,
La Nuova Italia, 1975)
Nelle sue Memorie il
Casanova racconta di essere stato iniziato alla Libera Muratoria a
Lione nel 1751. "Due mesi dopo ricevetti a Parigi il secondo
grado e, alcuni mesi dopo ancora il terzo, quello di maestro, che è
il massimo. Tutti gli alti titoli che mi fecero prendere in seguito,
sono garbate invenzioni, di valore simbolico, che nulla aggiungono
alla dignità di maestro".
Rientrato a Venezia nel
maggio del 1753, egli entra in stretto contatto con il console
inglese John Murray e con Joseph Smith, animatori della loggia
massonica operante nella città lagunare, composta in prevalenza da
inglesi, ma anche da patrizi e borghesi veneziani. Cosa ben nota in
città, tanto da destare curiosità e interesse nei salotti e fra i
cittadini. Lo testimonia il fatto che in pochi mesi fra il 1753 e il
1754 ben due commedie trattarono l'argomento, prendendo le difese
della società attaccata pesantemente dalla Chiesa e dall'Inquisizione come eretica e sovversiva.
"Le donne curiose" di Carlo Goldoni
A Venezia, il 12 febbraio
1753, a conclusione del carnevale, debutta al Teatro di Sant'Angelo
Le donne curiose di Carlo Goldoni. La commedia riportò un buon
successo, addirittura superiore, secondo lo stesso autore, alla
contemporanea Locandiera, opera di ben altro spessore e complessità.
Si, perchè Le donne curiose resta un'opera minore nella produzione
del Goldoni, ricordata più per la natura dell'argomento trattato che
per le qualità artistiche del testo.
L'azione si svolge a
Bologna dove un gruppo di benestanti borghesi sono membri di una
“amichevole società”, presieduta dal mercante veneziano
Pantalone de' Bisognosi, nella quale trascorrono le serate
piacevolmente banchettando e discutendo. Da questa società sono
escluse le donne, perchè la loro presenza, secondo Pantalone,
potrebbe minacciare con gelosie e discordie la compattezza del gruppo
di amici.
Questo divieto suscita la
curiosità e il sospetto di mogli e fidanzate. C'è chi sospetta che
il marito si giochi i beni di famiglia alle carte, un'altra pensa che
il fidanzato incontri altre donne (“Dicono che no ne vogliono, ma
noi non vi vediamo”), a un'altra è stato riferito che i loro
uomini si dedicano a studi alchimistici alla ricerca della pietra
filosofale.
Dopo essersi impossessate
con l'inganno delle chiavi della casa dove gli uomini si riuniscono,
le donne cercano di introdurvisi per scoprire cosa accada durante
quegli incontri, ma senza riuscirvi. Disperate si rivolgono a
Brighella, servo di Pantalone, che le fa entrare di nascosto affinchè
possano vedere cosa realmente accade in quel luogo. Mogli e fidanzate
possono assistere non viste alle cerimonie di quella “amichevole
società” e rassicurarsi: in quegli incontri non avviene nulla di
male. Quando alla fine vengono scoperte, ogni sospetto è ormai
fugato e la concordia ristabilita.
Nelle sue Memorie Goldoni
spiega il senso dell'opera: "Era questa Le donne curiose,
commedia che, sotto un titolo ben nascosto, ben dissimulato, non
altro rappresentava se non una loggia di franchi muratori (...) La
commedia fu accolta con grandi applausi. I forestieri ne riconobbero
senza indugio il senso nascosto, e i veneziani decisero che se
Goldoni aveva veramente indovinato il segreto dei franchi muratori, i
convegni della setta non si sarebbero più dovuti proibire in
Italia”.
L'intento di Goldoni è
chiaro: mostrare come il segreto massonico non celasse progetti di
sovvertimento sociale o di corruzione dei costumi, come denunciava la
Chiesa, ma soltanto i lavori di una pacifica e illuminata società,
formata da uomini di buoni costumi e dedita al perfezionamento dei
singoli e alla pratica del mutuo soccorso al di là di ogni barriera
di ordine sociale. Va inoltre considerato
come proprio nel 1751 il nuovo papa, Benedetto XIV, avesse confermato
la scomunica dei massoni pronunciata da Clemente XII nel 1738. La
polemica con la Chiesa è trasparente.
La storia è ambientata a
Bologna, città natale del papa e importante sede pontificia. Nella
scena nona del primo atto, Rosaura (una delle curiose) affronta il
fidanzato Florindo e cerca con moine e pressioni di farsi rivelare i
segreti della compagnia. Pur sinceramente innamorato, questi rifiuta
di violare il segreto scatenando ulteriori sospetti nell'amata. La
battuta che questa pronuncia (“se non vogliono che si veda, vi sarà
qualche cosa di brutto”) riprende quasi alla lettera la bolla di
scomunica dei massoni promulgata da Clemente XII nel 1738 (“ nisi
enim male agerent, tanto nequaquam odio lucem haberent”) con la
quale si deplorava che nelle logge venissero accolte persone di
religioni e idee diverse e che agli affiliati venisse imposto
l'obbligo della segretezza.
"Ma quale mistero!" fa
dire Goldoni ai suoi personaggi. “Oibò, freddure. Chiaccole della
zente, alzadure d'ingegno de quelli che no volemo in te la nostra
conversazione, i quali mettendone in vista per qual cossa de grando,
i ne vorave precipitar” dice Pantalone nella scena quarta del terzo
atto. E continua esponendo i principi della Società:
"Coss'è sto arcano? Qua no se fa scondagne, no se dise mal de
nissun, né se offende nissun. Ecco qua i capitoli della nostra
conversazion. Sentì se i pol esser più onesti, sentì se ghe xe
bisogno de segretezza.
«Che non si riceva in compagnia persona che non sia onesta, civile e
di buoni costumi».
«Che ciascheduno possa divertirsi a suo piacere in cose lecite e
oneste, virtuose e di buon esempio».
«Che si facciano pranzi e cene in compagnia, però con sobrietà e
moderatezza; e quello che eccedesse nel bevere, e si ubbriacasse, per
la prima volta sia condannato a pagar il pranzo o la cena che si sarà
fatta, e la seconda volta sia scacciato dalla compagnia».
«Che ognuno debba pagare uno scudo per il mantenimento delle cose
necessarie, cioè mobili, lumi, servitù, libri e carta ecc.».
«Che sia proibita per sempre la introduzion delle donne, acciò non
nascano scandali, dissensioni, gelosie e cose simili».
«Che l'avanzo del denaro che non si spendesse, vada in una cassa in
deposito, per soccorrere qualche povero vergognoso».
«Che se qualcheduno della compagnia caderà in qualche disgrazia,
senza intacco della sua riputazione, sia assistito dagli altri, e
difeso con amore fraterno».
«Chi commetterà qualche delitto o qualche azione indegna, sarà
scacciato dalla compagnia».
(E questo el xe el più
grazioso, el più comodo de tutti). «Che sieno bandite le cerimonie,
i complimenti, le affettazioni: chi vuol andar, vada, chi vuol
restar, resti, e non vi sia altro saluto, altro complimento che
questo: amicizia, amicizia». Cossa ghe par? Èla una compagnia
adorabile?"
Carlo Goldoni e la Massoneria
E' possibile che Goldoni
fosse entrato in contatto con ambienti massonici durante il suo
soggiorno in Toscana del 1744-48 e che quindi fosse stato spettatore
diretto delle polemiche ivi sorte proprio in merito ai fini "occulti"
dell'associazione. Infatti, proprio in quegli anni, un ex benedettino
ed ex massone senese, Giovanni Gualberto Bottarelli aveva pubblicato anonimamente due libelli che avevano
suscitato grande scalpore in tutta Europa: L'Ordre des Francs-Maçons
trahi, et le secret des mopses revelé (1745) e Les francs-Maçons
écrasés (1746) in cui si rivelavano i rituali della Massoneria e si
sosteneva che essa fosse stata fondata dal rivoluzionario inglese Oliver Cromwell con
l'intento di sovvertire l'ordine politico esistente, abbattere le
monarchie e instaurare il comunismo.
Nel 1746 poi era apparso
Relazione della Compagnia de' Liberi Muratori di Valerio Angiolieri
Alticozzi, gentiluomo di Cortona, in cui l'autore conferma
l'esattezza delle notizie sui rituali pubblicate dal Bottarelli, ma
nega che la Massoneria abbia fini eversivi. Quando questo libro uscì
Goldoni viveva a Firenze e deve averne avuto conoscenza diretta.
Prova ne sia che l'Alticozzi racconta la storia di una giovane
ginevrina, mademoiselle Chantillon, che gelosa del suo innamorato
massone, vestita da uomo tenta di penetrare nella sua loggia e di
farsi addirittura iniziare. La coincidenza dei particolari con quanto
rappresentato ne Le donne curiose è tale da escludere
ragionevolmente che si tratti di semplice casualità.
Gli indizi di stretti
rapporti fra il commediografo veneziano e la Massoneria sono numerosi
e paiono confermare l'appartenenza di Goldoni all'istituzione
liberomuratoria. Dato non sorretto da prove documentali e di
conseguenza rifiutato da una parte degli studiosi, ma, come si
diceva, suggerito da numerosissimi indizi. Oltre quanto scritto nelle
Memorie, molti suoi amici e conoscenti erano massoni, fra i quali
proprio i gentiluomini inglesi amici di Casanova. Scrive a questo
proposito Francovich: "Non sappiamo se lo stesso Goldoni
facesse parte della loggia veneziana; documenti in merito non
esistono. Ma la lunga amicizia con Parmenione Trissino, venerabile
della loggia di Vicenza, e con molti altri patrizi veneziani, che
figureranno nell'elenco dei massoni del 1785, farebbero propendere
per il si. (...) Nella sospettosa Repubblica di San Marco prendere
apertamente le difese di una società segreta. Doveva richiedere un
certo coraggio, che a nostro avviso, si giustifica meglio come
autodifesa". E ancora: "Le prudenti ma chiare affermazioni
di democrazia che si possono leggere ne Le donne curiose, sono
perfettamente in chiave con i principi della libera muratoria
inglese".
"I Liberi Muratori" di Francesco Griselini
L'anno successivo (1754)
uscì a Venezia I Liberi Muratori, un'altra commedia il cui carattere muratorio è
esplicito già nel titolo. L'opera, che stranamente
non fu mai rappresentata in teatro, ebbe però un certo successo
nelle librerie tanto da essere dopo pochi mesi ristampata e poi
ancora ripubblicata nel 1785.
L'autore era Francesco
Griselini, figura di modeste origini ma di non secondaria importanza
nell'ambito dell'illuminismo italiano, intellettuale multiforme
(pittore, commediografo, studioso di filosofia e di scienze naturali
d economiche, giornalista), sicuramente massone. Il Griselini usa per
firmare l'opera l'anagramma Ferling Isaac Crens "fratello
operaio della loggia di Danzica" e pone come località di stampa
la città di Libertapoli. In apertura pone una dedica a Aldinoro
Clog, anagramma questa volta di Carlo Goldoni.
Anche questa commedia, di
scarsissimo per non dire inesistente valore artistico, tratta di
donne curiose che tentano di penetrare in una loggia per scoprirne i
segreti. Ma Griselini non si limita come il più illustre collega a
mettere in ridicolo le dicerie anti massoniche, ma descrive con
dovizia di particolari gli arredi e gli oggetti della loggia,
l'insediamento del nuovo Maestro Venerabile. La precisione con cui
egli descrive le varie fasi del cerimoniale mostrano chiaramente la
volontà di far conoscere ai profani cosa sia veramente la Massoneria
in modo da rendere evidente l'infondatezza delle accuse di segretezza
e di comunismo.
Illuminante è il
discorso del Segretario nella quarta scena del quinto e ultimo atto
in cui questi dichiara:
“Vi sono poi certi
maligni che ci giudicano come persone che nodriscono delle massime
opposte alla pubblica quiete, contrarie agli interessi de' principi
(...) rivolte a studiare il modo di (...) rivolgere il sistema delle
presenti dominazioni, riduceno il mondo a un'universale repubblica,
ove tutti servano e comandino, che il tutto sia di tutti (...)
[Costoro] non s'avvedono che, se la nostra società covasse un
pensamento così contrario alle mire politiche del principato (...)
non verressimo tolerati in qualche città dove le nostre loggie si
possono mostrare a dito? Con queste prevenzioni in vienna ed in
Napoli non che a Berna furono sorprese delle loggie con i franchi
muratori radunati. Furono carcerati; ma, conosciuta la loro innocenza
e ch'essi non nutrano cattive intenzioni, furono riposti incontinente
il libertà".
Ma chi sono allora i
massoni per Griselini? La risposta va ben oltre a quanto affermato
dal Goldoni che aveva in qualche modo ristretto il fine della
Massoneria al semplice perfezionamento morale individuale da
raggiungersi attraverso l'amicizia e le buone opere, per assumere
valenza sociale e dunque, nonostante le stesse affermazioni
dell'autore, politica.
I Liberi Muratori sono
"un ceto di persone illustri, che altro non annidano nella loro
mente che idee magnanime e sublimi. Aspirano a far rinascere nel
mondo l'età felice dell'oro, ed a sbandire la miseria e la povertà
dal consorzio umano"
Dunque in pochi mesi ben
due opere teatrali trattano della Massoneria e questo non passò di
certo inosservato agli ambienti conservatori e filo papali,
rinfocolando sospetti e paure. Come non passò sotto silenzio che
nella polemica allora in corso fra Carlo Goldoni e l'ex gesuita
Pietro Chiari sugli ambiti e gli scopi della "Commedia" e
in cui il primo sostiene contro la stanza riproposizione della
vecchia commedia dell'arte fatta di personaggi stereotipati una nuova
commedia capace di rappresentare la società borghese in formazione,
il massone dichiarato Giacomo Casanova si schieri apertamente a
fianco dell'amico usando toni irridenti nei confronti del teatro
dell'abate Chiari considerato semplice riproposizione di temi e
situazioni ormai da tempo superate, sterile "copiar carte".
L'arresto di Giacomo Casanova
Paure e sospetti, aizzati
dalla corte papale e dalle stesse gerarchie ecclesiastiche venete,
che finirono infine per scaricarsi sull'anello più debole e al tempo
stesso più noto della catena massonica, quel Giacomo Casanova,
libertino e presunto baro, accusato di spingere i giovani all'ateismo
con le parole e l'esempio della sua vita dissoluta.
"... essendomi
portato questa mattina alla di lui casa... mi fece vedere una pelle
bianca, che aveva in detto baule, in forma di una piccola traversa da
potersi cingere alla vita, le ho domandato in che se ne servisse, mi
rispose che quella si usa quando si va in un certo luogo, ove si
adoperano anche dei ferri, et un abito nero, le ricercai dove fossero
i ferri e l'abito, mi disse che si tengono nella loggia, perchè di
troppo pericolo sarebbe tenerli in casa".
Sulla base di rapporti
come questo di spie e informatori, Giacomo Casanova fu arrestato e
interrogato; davanti ai giudici si comportò con coraggio: ammise la
sua appartenenza alla Massoneria, ma rifiutò di rivelare agli inquisitori notizie sui riti e i
partecipanti. Fu così condannato a cinque anni di carcere da scontare ai Piombi, dai quali riuscì a fuggire forse con l'aiuto dei "fratelli"
quindici mesi dopo il suo arresto.
Al di là degli aspetti
più legati alla discussa e contraddittoria figura dell'avventuriero
veneziano, questo processo riveste grande importanza per gli storici
delle origini della Libera Muratoria in Italia confermando la
presenza di una loggia a Venezia in quegli anni e come ciò venisse vissuto come una possibile minaccia per l'ordine
costituito.Situazione destinata a durare con alti e bassi fino
all'arrivo alla fine del secolo delle truppe francesi e al formarsi
di quelle logge napoleoniche destinante a diventare poi all'inizio
del XIX secolo il primo Grande Oriente d'Italia.