Il 1348 è l'anno
della peste nera, la grande epidemia che fa milioni di morti in tutta
Europa. In un anno sparisce un terzo della popolazione del
continente. A dicembre 1347 la pestilenza colpisce Nizza, a febbraio
devasta Savona. Francesco Petrarca è in Italia, in missione
diplomatica per conto della corte pontificia di Avignone. A Parma
attende il nipote, Franceschino degli Albizzi che, partito dalla
Provenza, deve riunirsi a lui. Ma improvvisa gli giunge la notizia
che, colpito dal morbo, il giovane a lui così caro è morto a
Savona. Distrutto dal dolore scrive di getto all'amico Fra Giovanni
dell'Incisa una lettera in cui esprime tutta la sua sofferenza. E'
l'11 aprile 1348.
Francesco Petrarca
Maledetta tu sia Savona, città bellissima
O malvagia ed iniqua
Savona cagione a me di tanto affanno. Che di male imprecarti io
potrei a quel che ti meriti ? Tu mi rapisti la metà dell' anima mia,
troncasti inesorabile sul più bel flore la vita a giovane egregio,
che di crescente virtù la irradiava, ed or su quel corpo che il mio
Francesco abitava, la terra tua spietatamente si aggrava. Che quegli
a tuo dispetto è fuggito, né su lui puoi tu nulla, ma solo il corpo
suo e la mia speranza tieni sepolta. Ed io che ti dovrò augurare per
questo?
Apransi e si distèndano
a lungo quei colli che ora in giro ti cingono, sicché fatta
spiaggia scoperta, indifesa, s' abbiano in te le navi stanza
pericolosa e malsicura. Si sfracellino le muraglie e gli artefatti
ripari da te opposti alla furia dei venti e dell'onde: e la violenza
delle Sirtì, il furor dell' Euripo , la rabbia di Scilla, l'impeto
di Cariddi, e tutti quanti sono nell'ampio mare i pericoli sul lido
tuo si rovescino.
Scateni Eolo gli inquieti
fratelli, e l'Austro, e gli altri soliti ad infestar le tue rive,
lasciata in pace ogn' altra parte del mondo, tengano sollevata sopra
te sola una perpetua procella.
Quanto di malanni e di
morti per ogni terra ed ogni mare quest'anno pestifero ebbe diffuso,
tutto si raccolga in te sola, e se altrove un anno, in te duri eterna
la peste.
Dall'isola di Sardegna, e
da ogni parte più impura del cielo, dai putridi stagni, dai laghi
solfurei, dalle limacciose paludi sgombri e si parta l'aere più
crasso ed infetto, e il gelo dell'artico polo, l'ardore dell'Etiopia,
i serpenti dell'Africa, le tigri dell'Ircania, quanto in fine di
letale, di mostruoso, di ferino per lo mondo intero si spande tutto
da ogni angolo della terra si riunisca in te sola.
Su te le triste nebbie,
le velenose sorgenti , i maligni influssi , e ghiaccio e fuoco
incrudeliscano. Salvo infine e felice tutto il resto dell' universo,
possa tu sola perire da cima a fondo, e divenire terra di morte, paese di paura
e di terrore, dimora del lutto e della miseria: da te il peregrino,
da te il mercadante, fuggan da ultimo gli stessi tuoi cittadini da
te; e pauroso dalle vette de' monti abbattuta ti contempli il
viandante, e trepido dall' alto mare ti riguardi il nocchiero,
facendo forza di remi e di vele per evitare gl'infami tuoi scogli...
La più antica rappresentazione di Savona
Ma dove il dolor mi
trasporta? Ove sono, e che è questo ch'io dico? Mortale io stesso,
faccio dei mortali destini tanto lamento, e maledico la terra
innocente, che secondo suo diritto tutti riceve, mentre di me non so
dove avverrà ch'io mi muoia , ed ove sarà che alla terra ritornino
le ceneri mie? Sia dunque tregua ai gemiti e al pianto, e come meglio
ad uom si conviene, preghiamo finché la vita ci duri pel caro
fratello che si parti prima di noi.
E a te , città
bellissima che nel tuo seno depositato quel mio tesoro custodisci ,
fatto senno alla fine io rendo grazie , perchè forse in barbara
terra ei giacerebbe, se accolto in te tu non l'avessi. Che breve
avesse ei la vita era volere dei fati; ma fu tuo dono che il dolce
amico mio, comechè giovane, d'affanni stanco e di cure, sortisse in
Italia la pace del sepolcro , conforto, per lieve che sia, da molti
grandi personaggi desiderato.
Già di vederti io mi fui
lieto e ti ammirai per l'amenità del tuo cielo, e della tua postura:
or fatta custode di ceneri a me dilette, con una soavità mista di
amarezza ti rivedrò più volentieri.
(Francesco Petrarca,
Lettere, II, p. 220-221, Firenze 1864)