Roberto Calasso ha saputo regalarci con i suoi libri e con quelli pubblicati per Adelphi emozioni straordinarie che ci hanno fatto spesso intuire l'esistenza di un mondo “altro” dietro lo specchio. Di questo gli saremo sempre grati, sperando che la sua opera non venga vanificata e che l'Adelphi non venga risucchiata nel buco nero nella editoria italiana contemporanea. Lo ricordiamo con questo bello scritto di Giuliano Galletta.
Giuliano Galletta
A proposito de “La folie Baudelaire” di Roberto Calasso
“M. BAUDELAIRE ha trovato modo di costruirsi all’estremità di una lingua di terra reputata inabitabile e aldilà dei confini del romanticismo conosciuto un chiosco bizzarro, assai ornato, assai tormentato, ma civettuolo e misterioso, dove si leggono i libri di Edgar Allan Poe, dove si recitano sonetti squisiti,dove ci si inebria con hashish per ragionarci poi sopra, dove si prendono oppio e mille droghe abominevoli in tazze di porcellana finissima. Questo singolare chiosco, lavorato a tarsie, di una originalità concertata e composita che da qualche tempo attira gli sguardi verso la punta estrema della Kamcatka romantica, io la chiamo la folie Baudelaire.
L’autore è contento di aver fatto qualcosa di impossibile, là dove si credeva che nessuno potesse andare». Così il 20 gennaio del 1862 il grande critico letterario, “padrone” delle Lettere francesi dell’epoca, Charles Augustin de Sainte-Beuve, nella sua rubrica settimanale sul Constitutionnel parla, per la prima e ultima volta, di Charles Baudelaire. La citazione è uno dei punti focali dello straordinario libro di Roberto Calasso intitolato, per l’appunto, “La Folie Baudelaire” (Adelphi, pagine 423, 36 euro) costruito intorno alla Galassia Baudelaire nella Parigi, capitale del XIX secolo, dove nasceva la Modernità. Non per Saint-Beuve che disegna questo perfetto ritratto del poeta ma solo per condannarne l’inconcepibile aspirazione a entrare nell’Académie Francaise.
Per delimitarne lo spazio vitale Saint-Beuve chiama in causa una terra lontana, la penisola russa della Kamcatka, estrema penisola orientale della Russia (che negli anni Trenta del Novecento Stalin avrebbe tentato di vendere a un miliardario americano) e di cui Saint-Beuve, probabilmente, conosceva a malapena il nome. E’ solo, nella landa più lontana dalla civiltà che Baudelaire può costruire il «chiosco bizzarro» della sua letteratura, la sua Folie. Parola che non definisce soltanto, come scrive Calasso, “ciò che per sempre si sottrae alla vivibilità psichica e al ragionevole controllo” ma anche «certe incantevoli maisons de plaisance, padiglioni destinati all’ozio e al piacere». Ma quel luogo della mente (e del corpo) non resterà per troppo tempo isolato - come era negli auspici di Saint-Beuve - anzi presto diventerà il centro del mondo, attirando nella sua orbita ciò che di meglio possiamo rubricare sotto la voce Letteratura.
E’ quella che Calasso chiama “l’onda Baudelaire” che ha origine prima di lui e si propaga dopo: da Chateaubriand a Nietzsche, da Stendhal a Flaubert, da Rimbaud a Proust. Il chiosco baudleriano-kamciako sarà protagonista dell’incontro che Roberto Calasso (oltreché scrittore grande editore e presidente dell’Adelphi) terrà domani (ore 21,15, piazza Castello) al Festivaletteratura di Mantova, «Quando scrisse quelle parole Saint-Beuve aveva due obiettivi» spiega Calasso «uno era definire questo strano fenomeno che si stava manifestando con Baudelaire, l’altro, un po’ comico, di tenerlo il più alla larga possibile, relegandolo nella penisola siberiana, perché a Saint-Beuve quella letteratura faceva paura. Così invece di dire che Baudelaire rappresentava tutto quello che lui stesso poteva vedere uscendo di casa a Parigi - che era la verità - si inventa la Kamcatka per tenerlo il più lontano possibile.
E’ una storia straziante e molto romanzesca quella del rapporto tra Saint-Beuve e Baudelaire, perché il primo ha sempre evitato di scrivere del poeta e l’unica volta che lo ha fatto è stato in occasione di un fallimento di Baudelaire, la candidatura, umiliata, all’Académie». Il critico francese più autorevole dei suoi tempi, probabilmente, vedeva nell’opera di Baudelaire un rischio per “l’ordine letterario costituito e forse per l’ordine tout court. Sullo sfondo un’idea di letteratura da tenere sotto controllo che emerge da una lettera segreta, scoperta soltanto di recente nei pubblici archivi, inviata il 31 marzo 1856 da Saint-Beuve al gabinetto di Napoleone III, in cui si chiede al governo di promuovere una “direzione morale per le opere dell’ingegno, indicando quali temi trattare e facendo passare tutto questo come forma di aiuti agli autori bisognosi”.«Questa lettera dai toni zdanoviani è un brutto episodio che non fa certamente onore a Saint-Beuve, ma non credo esprima i suoi veri sentimenti» spiega ancora Calasso «era un uomo complicato ma di immensa intelligenza e grande scrittore egli stesso ma indubbiamente ogni volta che ha visto qualcosa che andava molto in là nella direzione della Modernità - non soltanto Baudelaire ma in fondo anche Balzac, Stendhal o Flaubert - non lo ha capito. D’altra parte laddove Saint-Beuve è stato scrittore in senso pieno in “Port Royal” non è stato capito, quasi in una sorta di nemesi» .
Rischiando un parallelo con l’attualità sembra comunque difficile oggi tentare di relegare la letteratura in una remota penisola lontana. essa è dappertutto, forse troppo, anche se non può contare su interpreti così assoluti. «La letteratura può stare dappertutto ma è giusto che preservi un margine di estraneità dal corpo sociale» aggiunge Calasso «è arduo dare un giudizio generale sulla situazione contemporanea che è assai variegata e mostra molti talenti in divenire, anche se sinceramente non vedo autori, ad esempio, del peso di un Borges». Ma proprio il “rancoroso” Saint-Beuve potrebbe essere assunto ad emblema di ogni società letteraria, il milieu che produce le polemiche sui premi letterari e promuove l’impromuovibile. «Di quella» conclude Calasso «non vale neppure la pena di parlare».
Il Secolo XIX - 10 settembre 2009