Anni
Sessanta: cresce l'insoddisfazione e la rabbia dei giovani verso una
società patriarcale soffocante. Non c'è ancora una causa per cui lottare, ma la rivolta contro i padri cova. E' il senso de I pugni in tasca, film d'esordio di Marco Bellocchio.
Giorgio
Amico
Della
miseria in ambiente giovanile
E
di certo gli anni Sessanta non sono anni facili per i giovani. La
riforma della scuola dell'obbligo con l'istituzione nel 1962 della
nuova scuola media e la soppressione delle scuole di avviamento
professionale non risolve il problema della selezione che colpisce
quasi esclusivamente gli strati popolari. Ancora nel 1966 un alunno
su quattro delle elementari non riesce ad ottenere la licenza nei
cinque anni previsti. Peggiore, se possibile, la situazione della
scuola media, dove il ritardo scolastico riguarda il 35% degli
allievi.
E non è solo questione di bocciature. Diffusissimo,
soprattutto al Sud e nelle campagne del Nord, resta il fenomeno
dell'abbandono e dell'evasione dell'obbligo scolastico. In una scuola
che è diventata di massa, e che per questo è duramente contestata
dalla destra, gli esclusi si contano a centinaia di migliaia. Sono i
nuovi marginali, destinati a diventare gli strati più bassi del
proletariato e ad alimentare il fenomeno del lavoro nero (spesso
minorile) nell'artigianato e nel commercio e del caporalato
nell'agricoltura.
Sempre
nel 1966 su un totale di otto milioni e mezzo di giovani (cioè di
cittadini compresi fra i 14 e i 24 anni) oltre un milione e mezzo
lavora dal compimento dei quindici anni, mentre altri trecentomila
sono già emigrati all'estero in Svizzera, Belgio, Germania, in cerca
di lavoro. Anche la minoranza “privilegiata”, i “Pierini” del
libro di Don Milani, che ha completato il ciclo di studi inferiore ed
ora frequenta l'università non ha particolari motivi per essere
soddisfatta.
Al
pari del resto dell'apparato pubblico le istituzioni universitarie
non reggono il ritmo del cambiamento in atto nella società. Mancano
aule, laboratori, biblioteche. Il corpo accademico, selezionato con
criteri familisti e di contiguità col potere, si contraddistingue
per una grettezza culturale e una chiusura corporativa che non ha
eguali in Occidente. Sono i “baroni” che hanno tiranneggiato
generazioni di studenti, ma che all'improvviso non spaventano più.
Di fronte alle prime forme di contestazione aperta il re si rivelerà
nudo.
La
stagnazione economica che ha seguito il boom, la mancata
modernizzazione del paese, le riforme annunciate e non fatte
determinano uno stato di incertezza sul futuro che diventa presto
riflessione critica sul ruolo sociale che i futuri laureati andranno
a svolgere nell'industria, nelle professioni, nella scuola. Si
sviluppa il dibattito sul ruolo dei tecnici, sulla proletarizzazione
delle professioni intellettuali. Gli studenti iniziano a non pensarsi
più tanto diversi dai giovani operai.
Una
generale rimessa in discussione che investe presto anche il
quotidiano e la sfera più intima dell'esistenza: la famiglia, il
rapporto con i genitori, la scoperta del corpo e della sessualità.
Il bigottismo soffocante degli anni Cinquanta mostra le prime crepe.
L'autorità dei padri inizia a essere messa in discussione.
L'obbedienza – siamo ancora a Don Milani – non è più una virtù.
Nel 1965 I pugni in tasca, film di esordio di un giovanissimo
Marco Bellocchio, diventa il manifesto cinematografico della rabbia
sorda di una generazione intera. Come proclameranno gli studenti
situazionisti di Strasburgo nel loro manifesto scandalo del 1966, la
miseria dei giovani non è solo economica, ma esistenziale e prima di
tutto sessuale. Il cambiamento sognato prende già dagli inizi le
caratteristiche libertarie della rivoluzione sessuale teorizzata
negli anni Venti da Wilhelm Reich.
(Giorgio
Amico, Le culture del Sessantotto, 5)