Il '68 italiano fu
l'epilogo di un decennio di lotte e dibattiti iniziato con la rivolta
antifascista di Genova del luglio '60. Fu anche l'inizio di un
decennio di aspri scontri sociali e politici che terminerà con la
grande sconfitta operaia di Mirafiori del 1980. Il “lungo
Sessantotto” italiano è il tema di una ricerca (in via di
pubblicazione) di cui presentiamo l'introduzione.
Giorgio
Amico
Il
lungo Sessantotto
Il
Sessantotto, “l'anno degli studenti” come è stato definito,
sconvolge gli assetti di una società tardocapitalista giunta al
culmine di quasi trent'anni di sviluppo ininterrotto della
produzione, di crescita della ricchezza sociale e dei consumi. Sono
gli anni in cui la crisi, che arriverà poi devastante alla metà
degli anni Settanta, conseguenza della fine degli accordi di Bretton
Woods sulla convertibilità del dollaro e dello shock petrolifero,
pare un residuo del passato, sconfitta definitivamente dalla
pianificazione economica, dal keynesismo e dall'affermarsi in tutto
l'Occidente del welfare state.
Eppure
la società del benessere nasconde al suo interno contraddizioni
profonde che esploderanno alla fine degli anni Sessanta coinvolgendo
tutti i paesi sviluppati, Unione Sovietica e paesi dell'Est compresi.
Un fenomeno globale che presenta profonde differenze tra paese e
paese, ma ha come elemento comune il protagonismo dei giovani e la
breve durata. Quasi ovunque già all'inizio del 1969 il movimento è
ormai in pieno riflusso, a causa della repressione violenta
(Cecoslovacchia, Messico) o per un autoesaurimento (Inghilterra,
Francia, Germania, Stati Uniti, Giappone) dovuto all'incapacità di
uscire dall'ambito studentesco e di collegarsi con altre realtà
sociali a partire proprio da quel movimento operaio visto, in forma
spesso idealizzata, come l'interlocutore privilegiato.
Certo,
i fatti del '68 lasciano una traccia profonda nella società e
determinano una radicale e più generale trasformazione del modo di
vivere. Basta pensare alla liberalizzazione dei costumi sessuali in
ambito giovanile e alla nascita di un movimento femminista non più
semplicemente emancipazionista, ma incentrato sulla rivendicazione
della differenza di genere, per rendersi conto della vastità
dell'impatto sociale del movimento del '68. Più contenuto è invece
l'effettivo impatto politico. “Lo Stato borghese sui abbatte e non
si cambia” era stato lo slogan più ripetuto nei cortei, ma
nell'insieme il “sistema” tiene. Anzi, come dimostrano i casi
francese e tedesco, si ricompatta nel segno di una restaurazione
dello status quo non priva tuttavia di concessioni riformistiche
soprattutto sul piano dei diritti di cittadinanza.
La
sinistra radicale ne esce comunque rafforzata. Le preesistenti
organizzazioni rivoluzionarie, veri e propri residui “fossili”
della vecchia Terza Internazionale, si riempiono di studenti
acquistando una visibilità mai avuta prima, mentre dalle ceneri del
movimento studentesco nascono partiti di tipo nuovo, come la Ligue
communiste in Francia o il Socialist Workers Party in Inghilterra,
forti di migliaia di aderenti. Insieme,
vecchie sette e nuovi partitini vanno a comporre la
cosiddetta Nuova Sinistra, fortemente influenzata dalle lotte del
Terzo mondo e dalla Rivoluzione culturale cinese, e dunque
molto radicale negli slogan e nelle forme di azione, ma il cui peso
politico effettivo resta al di fuori dell'ambiente studentesco
pressocché nullo. Solo l'Italia, dove gli studenti riescono a non
farsi rinchiudere nelle università e rompono l'isolamento entrando
in contatto con le avanguardie di classe in via di formazione nelle
fabbriche, fa eccezione.Tanto da far parlare di “lungo
Sessantotto”. Una eccezione le cui cause vanno ricercate nella
particolarità del caso italiano.
Il
fatto è che alla prova della crisi l'Italia si rivela molto più
fragile, socialmente e politicamente, degli altri paesi
dell'Occidente avanzato. Gli equilibri di governo sono da sempre
bloccati dalle logiche della guerra fredda. La formula del
centrosinistra è logora, ma i vincoli internazionali rendono
impraticabile l'apertura al PCI. Il risultato è il lungo declino del
sistema di potere democristiano con il diffondersi di fenomeni
degenerativi come la corruzione e il clientelismo, mentre restano
irrisolte questioni fondamentali per lo sviluppo come quello della
formazione universitaria e della scuola in genere. Il “biennio
rosso 1968-69” è, come si è detto, preceduto da un decennio in
cui si accumulano tensioni e contraddizioni, ma anche speranze
riformiste e sogni rivoluzionari.
Alla
vigilia del '68 l'Italia è per molti versi una polveriera pronta a
esplodere. A partire dalla fine del 1967 il movimento delle
occupazioni sarà la causa scatenante di una più generale rivolta
che investe tutti i settori della società, compresi i più
corporativi e chiusi come la medicina, la magistratura e perfino la
polizia. Le lotte studentesche diventano il detonatore di una
conflittualità generalizzata che investe realtà diversissime -
dagli operai di Mirafiori ai braccianti del Sud, dai senza casa delle
metropoli ai disoccupati, dai carcerati ai soldati di leva - e trova
poi nello slogan di Lotta continua “Prendiamoci la città” la sua
sintesi più efficace.
Sono
tanti i fattori che determinano
la specificità italiana e la lunga durata di un ciclo di lotte
iniziato con la rivolta antifascista di Genova del 1960 e terminato
con la grande sconfitta operaia di Mirafiori del 1980.Pesano in
particolare la complessità della situazione politica, il
ritardo nella costruzione dello Stato sociale, il riformismo mancato
del centrosinistra, il divario fra Nord e Sud, lo squilibrio
crescente tra dinamismo economico e rigidità del sistema
politico-istituzionale. Con gli anni Sessanta inizia un ciclo di
lotte e dibattiti, che trova nel biennio '68-'69 il momento apicale
e di snodo per continuare poi per tutto il decennio successivo
compresi i cosiddetti “anni di piombo” dell'eversione nera e del
terrorismo di sinistra.
Ricostruire
gli avvenimenti di quel biennio e di ciò che seguirà comporta
dunque preliminarmente la necessità di confrontarsi anche con il
decennio che lo precede e lo prepara, a partire dalla considerazione
che più che di una cultura del '68 occorre parlare di una pluralità
di culture frutto della complessità e della molteplicità delle
tendenze in atto.
(Giorgio Amico, Le culture del Sessantotto, 1)
(Giorgio Amico, Le culture del Sessantotto, 1)