venerdì 28 agosto 2020

lunedì 24 agosto 2020

Quando tutte le donne del mondo




Quando tutte le donne del mondo

Prenderanno il via il 4 settembre a Orani gli appuntamenti del "QuFestival. Quando tutte le donne del mondo. Critica. Poesia. Scienza. Multicultura", con un significativo programma curato dalla direttrice artistica Bastiana Madau, promosso dall'Impresa sociale Nuovi Scenari, sostenuto dalla Fondazione Sardegna e dal Comune di Orani, in collaborazione con il Museo Nivola e le associazioni oranesi Pro Loco e Scuola di Musica "Costantino Nivola".

Venerdì 4 settembre, "Vegetaliana. Incontro tra piante locali e piante ospiti"5: la chef Pina Siotto conversa con l'antropologa del cibo Alessandra Guigoni (Università di Cagliari), con performance di cucina vegana e accompagnamenti alla chitarra del musicista Andrea Niffoi.

Sabato 5 settembre, "Migrante per sempre": la scrittrice Chiara Ingrao conversa con la giornalista Manuela Arca, con letture e musiche a cura di Maria Giovanna Ganga e Battista Giordano.

Venerdì 18 settembre, "Mosul e altre poesie": la poetessa e musicista Donatella Cheri incontra la critica Alessandra Pigliaru, con letture a cura di Valentina Loche, accompagnata al flauto dalla Maestra Cheri.

Sabato 19 settembre, "Biblioteche perdute": arriva da Berlino la scrittrice palestinese Adania Shibli, che dialogherà con l'arabista Monica Ruocco (Università L'Orientale di Napoli), che è anche la traduttrice dell'edizione italiana dei libri dell'importante autrice (Pallidi segni di quiete e Sensi), con letture e musiche a cura di Maria Giovanna Ganga e Mauro Usai.

Domenica 20 settembre, "La scrittura immaginifica di Savina": la scrittrice e poetessa Savina Dolores Massa conversa con la critica Annamaria Capraro, letture e musiche a cura dell'autrice/attrice.

Gli appuntamenti avranno come teatro Su Postu (Piazzetta Mazzini), luogo su cui si affaccia la casa del pittore Mario Delitala e da cui si di dipana il progetto urbanistico voluto da Costantino Nivola "Orani Pergola Village". Eccetto il terzo incontro, Cheri-Pigliaru, che si svolgerà nel Parco del Museo Nivola,
Gli spazi sono predisposti secondo la normativa antiCovid. In caso di maltempo si userà l'ExMà.


sabato 22 agosto 2020

Per capirne di più: Bernie Sanders e i Democratic Socialists of America




Negli Stati Uniti ci si sta avvicinando alle elezioni presidenziali. Nei mesi scorsi si è parlato molto di Bernie Sanders. Cerchiamo di capirne di più.

Giorgio Amico

Per capirne di più: Bernie Sanders e i Democratic Socialists of America

Dalla stampa italiana Bernie Sanders viene presentato come un “socialista”, espressione molto generica che non coglie la complessità e la ricchezza ideale del movimento che lo sostiene. Cerchiamo di capirne di più. Bernie Sanders non è un esponente democratico di tendenze socialiste, ma il rappresentante della più consistente organizzazione della sinistra americana i Democratic Socialists of America (d'ora in avanti DSA). Cerchiamo di capire allora chi sono e cosa rappresentano i DSA.
I DSA nascono nel 1982. In quel momento contano 5000 membri, diventati oggi oltre 60.000 con circa 200 “chapters” (simili alle nostre federazioni provinciali), sparse su tutto il territorio americano.
I DSA sono il frutto di scissioni e fusioni di preesistenti gruppi della sinistra, sia riformista che rivoluzionaria. Le loro origini risalgono al Socialist Party of America (SPA), un partito fondato nel 1901 e dalla storia travagliata, peraltro come tutte le organizzazioni politiche operaie americane, stalinisti (PCUSA) e trotskisti (Socialist Workers Party) compresi. Molto indebolito, negli anni Cinquanta il SPA svolta a destra, soprattutto dopo la rivoluzione ungherese del 1956, fiancheggiando la politica americana sia contro Cuba che nel Vietnam.
All'inizio degli anni Sessanta, con l'esplodere del movimento dei diritti civili e poi del movimento studentesco nel partito si forma una corrente di sinistra, composta da giovani radicali e capeggiata da Michael Harrington che nel 1962 è tra i fondatori degli Students for a Democratic Society (SDS), il nucleo centrale del movimento studentesco a partire dalla storica occupazione dell'università californiana di Berkeley e poi del movimento contro la guerra nel Vietnam.
Alla fine degli anni '60, con il riflusso del movimento, Harrington iniziò a teorizzare la necessità di una svolta tattica che portasse a fiancheggiare elettoralmente il partito Democratico. Fino ad allora dalla sua fondazione il partito Socialista aveva presentato propri candidati ad ogni elezione presidenziale, ovviamente con risultati, almeno a partire dagli anni '40, minimi.
Per Harrington era possibile, grazie alle grandi lotte degli anni '60, spingere il Partito Democratico a sinistra, sia sul terreno della lotta per i diritti civili (neri, ispanici, donne, lesbiche e gay) sia per un maggiore impegno verso il movimento sindacale e i lavoratori. È la cosiddetta “strategia del riallineamento” che doveva progressivamente spostare il Partito Democratico a sinistra sino a trasformarlo in un partito socialdemocratico.



Negli anni '70 il SPA si spaccò in due, dando vita da un lato ai Social Democrats (SDUSA), radicati nelle burocrazie sindacali e orientati a destra e allo Democratic Socialist Organisation Committee (DSOC) fortemente orientato a sinistra e composto da molti ex militanti della vecchia sinistra rivoluzionaria. Nel 1982 il DSOC si fuse con un'altra organizzazione proveniente dalla Nuova Sinistra, il New American Movement (per molti aspetti simile alla nostra vecchia Democrazia Proletaria) per formare appunto i Democratic Socialists of America, l'organizzazione che oggi sostiene Bernie Sanders.
Sanders stesso viene dalla Nuova Sinistra degli anni '60 e '70. Attivo da studente nel movimento per i diritti civili e poi dagli anni '90 membro indipendente (quindi formalmente non appartenente al Partito Democratico) del Parlamento.
I DSA sono una organizzazione federale, divisa in “chapters” (federazioni) e “branches” (sezioni). Una "national convention” ogni due anni decide la linea dell'organizzazione ed elegge un Comitato Politico Nazionale, attualmente di 16 membri, che si riunisce quattro volte all'anno. La direzione delle attività è delegata a un “Steering Commitee” (Comitato Direttivo) di 5 persone. I DSA hanno una organizzazione giovanile, la Young Democratic Socialists of America, e una rivista quadrimestrale intitolata Democratic Left (Sinistra Democratica).
Tre sono gli obiettivi centrali stabiliti all'ultima Convenzione Nazionale: istituzione di un sistema sanitario pubblico del tipo di quelli europei (negli USA la sanità è quasi interamente privata e ha costi proibitivi per chi non sia coperto da polizze assicurative), una politica ecologica che contrasti radicalmente i cambiamenti climatici dovuti all'inquinamento atmosferico, il rafforzamento del movimento sindacale da anni in fortissima crisi.



Politicamente i DSA sono una organizzazione composita che va da una destra socialdemocratica a una sinistra rivoluzionaria inclusa una componente anarchica. Ogni componente è organizzata in “caucuses”, termine intraducibile che potremmo rendere con “collettivo tematico o ideologico”. Esistono anche “caucuses” di genere o relativi alle varie minoranze etniche.
Nella loro stragrande maggioranza i DSA non hanno illusioni sul Partito Democratico in quanto espressione di una componente della borghesia capitalistica e dell'imperialismo americano. Il dibatitto verte sulla possibilità se questo partito possa o meno essere trasformato in un partito autenticamente popolare schierato con i lavoratori e con la battaglia delle donne e delle minoranze etniche e sessuali. Il maggior contrasto con i gruppi ancora esistenti della sinistra rivoluzionaria, è proprio su questo tema. I DSA credono che si possa lavorare sulla base elettorale del PD per trasformarlo dall'interno, i gruppi rivoluzionari no.
Abbiamo parlato di “base elettorale” perché il Partito Democratico, diversamente dalla nostra idea di partito, non ha iscritti permanenti. Si diventa democratici semplicemente registrandosi come tali nelle liste per le elezioni primarie per nominare i candidati. Dunque per interagire sul PD occorre partecipare alle primarie. Da qui l'enfasi posta sul momento elettorale e su candidature alternative come quella di Sanders.




venerdì 21 agosto 2020

Quando un albisolese scoprì il Texas. Vita e avventure di Giovanni Battista Schiappapietra.




Giorgio Amico

Quando un albisolese scoprì il Texas. Vita e avventure di Giovanni Battista Schiappapietra.

Nel 1627, esattamente il giorno del signore 15 novembre, in quella che è oggi conosciuta come Albisola Superiore, ma che i documenti del tempo indicano semplicemente come Arbizola, nasce Giovanni Battista Schiappapietra, da Bartolomeo e Battistina Badi, piccoli proprietari terrieri. Il bimbo viene battezzato presso la parrocchia di San Nicolò. Giovanni Battista perde presto i genitori, la madre muore, già vedova il 24 marzo del 1638 e il ragazzo, allora dodicenne parte per la Spagna alla ricerca del fratello maggiore che là viveva dopo aver preso gli ordini. Un altro fratello era già morto.

Perché raccontiamo questa storia che può sembrare una storia come tante del tutto priva di interesse? Semplicemente perché, cosa poco conosciuta agli stessi albisolesi, quel ragazzino che a dodici anni parte per la Spagna, si trasferirà poi in Messico e sarà il primo a descrivere nei dettagli quel territorio allora misterioso e sconosciuto che oggi chiamiamo Texas.

Riprendiamo il racconto. Arrivato in Spagna e ricongiuntosi con il fratello Nicola, Giovanni Battista decide a sua volta di seguire la carriera ecclesiastica e inizia a studiare per diventare sacerdote. Ma non è quella la sua vera strada e il giovane se ne accorge presto. Dopo alcuni anni di studi intensi in cui acquisisce una profonda cultura classica, il giovane viene preso dallo spirito di avventura. Non sappiamo perchè, forse storie d'amore, forse i racconti che sente da chi era stato nel Nuovo Mondo e lo descriveva come un luogo straordinario pieno di meraviglie. Comunque sia andata, Giovanni Battista, ventenne, parte per il Messico, come soldato di ventura al soldo del re di Spagna. Il suo bagaglio è minimo, lo ricorderà egli stesso nelle sue memorie: uno stocco, una spada, una pistola, una cotta di maglia. Insomma, tutto quello che serve a un soldato.

Ma il suo destino non è quello, non sarà né prete né soldato. Arrivato nel Nuovo Mondo, dove spagnolizza il suo nome in Juan Bautista Chapa, (Schiappapietra in dialetto si dice Sciappapria, dunque il passaggio da Sciappa a Chapa è breve)  egli si fa notare non per le sue doti militari, ma per la sua profonda cultura, tanto che il Governatore Zavala, profondamente impressionato da quel giovane tanto dotato, lo prende al suo servizio come suo segretario. Da lì inizia la fortuna di Chapa. Per quarant'anni egli serve come segretario e storico ufficiale del governo spagnolo. In questa veste accompagna diverse spedizioni a Nord, oltre il Rio Bravo, nei territori che oggi sono conosciuti come Texas. Sono spedizioni di guerra contro gli indiani che spesso scendono a sud ad attaccare I villaggi spagnoli, ma sono anche missioni esplorative perché al re di Spagna interessa scoprire se quei territori offrono opportunità si sfruttamento economico a partire dalle miniere d'oro e d'argento di cui gli spagnoli sono da sempre alla ricerca.

Chapa tiene I diari di quelle spedizioni, racconta minuziosamente quello che vede, descrive i luoghi, gli abitanti, gli animali. Resta in particolare colpito dai costumi sessuali, molto liberi per uno spagnolo, delle donne indiane e da uno strano animale,  un grande bovino peloso che in Europa non si conosce, il bisonte.

Quei diari di viaggio, assieme ad altri materiali diventano un libro importante la Historia del Nuevo Reino de León de 1650 a 1690 pubblicato anonimo. E' il primo studio sistematico di quei territori, ricchissimo di notizie e di informazioni.Solo nel secolo scorso studiosi americani ne attribuiranno con certezza la paternità a Chapa.

La sua sarà una vita lunga e ricca di soddisfazioni. Egli sposerà Beatriz Olivares de Treviño, figlia di uno dei più importanti aristocratici di Monterrey da cui avrà sei figli, quattro maschi e due femmine . Morirà nel Nuevo León nel 1695 a 68 anni, ricco e stimato.


mercoledì 19 agosto 2020

Sergio Dalmasso, Rodolfo Morandi: nuovo socialismo, politica unitaria, frontismo, consigli di gestione.




Che l'attuale non sia il migliore dei mondi possibili non necessita di dimostrazione e il Covid 19 ne ha, semmai ce ne fosse stato bisogno, offerto un'ulteriore dimostrazione. Ovunque, e non solo Italia, una insoddisfazione profonda non riesce a prendere forma politica costruttiva e si esaurisce spesso a destra, in una rabbia populista e xenofoba priva di sbocchi. In questo la sinistra non è esente da colpe. Noi pensiamo che la storia non si ripeta mai nelle stesse forme e che dunque le esperienze politiche del passato siano oggi improponibili, ma pensiamo anche che senza la consapevolezza della propria storia e delle proprie radici non ci sia futuro possibile. In questa mancanza di identità e di radici, in questo strappo con la storia del movimento operaio e socialista crediamo consista una delle debolezze più profonde dell'attuale sinistra. Un strappo talmente evidente che anche un politico navigato come Fausto Bertinotti, che di tutto si può accusare meno che di essere un rivoluzionario, si è sentito in dovere di ricordare che la battaglia ambientale non può di certo sostituire la lotta di classe. Ma la lotta di classe, fatto fisiologico generato spontaneamente e incessantemente dalle contraddizioni del presente, in sé può, come appunto accade oggi, significare molto poco, perché per diventare lotta organizzata e cosciente per un domani diverso ha bisogno della mediazione della cultura e della memoria storica. Insomma, per poter immaginare il futuro occorre riflettere sul passato. Piaccia o no, è così che funziona. Per questo consideriamo preziosi gli interventi, come quello di grandissimo spessore storico e politico che proponiamo oggi, che offrono una rilettura critica della storia del movimento operaio come primo passo per la ricostruzione di una sinistra politica, sociale e culturale.

G.A.

Sergio Dalmasso, militante della sinistra dagli anni del Movimento studentesco, si dedica da sempre a un'opera accurata di ricostruzione della storia del movimento operaio italiano negli anni della Repubblica con particolare riguardo a figure e movimenti che potremmo definire ereticali. Tra i suoi ultimi lavori ci piace in particolare ricordare “Lelio Basso. Vita e opere di un socialista eretico” e il recentissimo e davvero utilissimo (ci sia premesso l'apprezzamento) “Lucio Libertini. Lungo viaggio nella sinistra italiana”.

Sergio Dalmasso

Rodolfo Morandi: nuovo socialismo, politica unitaria, frontismo, consigli di gestione.

Morandi stalinista?

Il 12 gennaio 1949, “La squilla”, foglio socialista di Bologna ospita un duro scritto in cui Rodolfo Morandi replica ad un articolo di Riccardo Lombardi pubblicato sull'”Avanti” del 31 dicembre 1948.
Il PSI è uscito sconfitto dalle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Non solamente il Fronte popolare ha raccolto solamente il 31% dei voti, ma, all'interno di questo, i candidati socialisti sono stati superati da quelli comunisti. Al successivo congresso nazionale, ha prevalso la corrente centrista (autonomista), non appiattita sul PCI e parzialmente critica verso l'URSS. L'ex azionista Lombardi è direttore dell'”Avanti”, per le difficili condizioni economiche, ridotto a foglio di poche pagine.
Lombardi esprime preoccupazione per la degenerazione che lo stato di guerra latente produce nella lotta politica, cristallizzandola e rilancia una proposta di pace, di dialogo fra i blocchi, rivendicando la fedeltà al socialismo internazionale e alla prospettiva europeista (richiamo a Eugenio Colorni?).
I ceti diseredati...tale sfiducia traducono nell'affidare la realizzazione delle loro istanze, meno allo sforzo autonomo e rivoluzionario delle masse, alla iniziativa popolare, alla diuturna conquista e alle faticose realizzazioni che non alla pressione politica e militare dell'Unione sovietica. Non è chi non veda la pericolosa deformazione, per non dire la degenerazione che lo stato di guerra latente impone alla lotta politica, configurando la lotta di classe, anziché in termini di autoliberazione per opera dei lavoratori stessi, come mera preparazione o assecondamento di un'azione politica o militare estranea o superiore, incontrollabile anche se benefica.1
La replica di Morandi è durissima, nei contenuti e nel tono. Lo scritto di Lombardi è di gravità eccezionale, frutto di snobismo intellettualistico che mai aveva prodotto tali enormità.
Compagno Lombardi, la tradizione di combattimento del nostro partito, la fiducia profonda nell'Unione Sovietica che ha sempre alimentato le masse dei nostri militanti, esigono il tuo rispetto. E ti diciamo: non sarai tu a svellere il socialismo italiano dalla realtà estraniandolo dalla lotta nella quale si decidono i destini della classe operaia e di tutti i lavoratori liberi!2
Le posizioni di Lombardi derivano dalla formazione azionista, dal rifiuto del marxismo, dall'incomprensione nel ruolo dell'URSS quando sostiene che le masse sono ridotte ad:
“affidare la realizzazione delle loro istanze meno alla forza autonoma e rivoluzionaria delle masse... non alla pressione politica e militare dell'Unione sovietica...” Ti facciamo solo notare che il partito non ha mai inteso sostituire al suo marxismo il bagaglio ideologico di G. L.3
La debole maggioranza autonomista nel partito ha vita breve. Nel maggio 1949, la sinistra interna riconquista, con forte accentuazione “frontista”, il controllo del partito. Nell'aprile 1950, il convegno nazionale giovanile (Modena) segna la fine della larga autonomia della Federazione giovanile. Nel suo intervento, Morandi proclama nettamente l'assunzione del leninismo come interpretazione e sviluppo del marxismo, attacca frontalmente il socialismo spurio che si prosterna davanti al nemico di classe. I pochi mesi di gestione centrista hanno significato infiacchimento e decadimento progressivo del partito che deve liberarsi dalle remore che lo hanno frenato: l'umanitarismo ideologico,legato alla concezione illuministica e la localizzaione nell'ambito nazionale della lotta di classe:
Ideologicamente, senza riserva alcuna, noi assumiamo il leninismo come interpretazione e sviluppo del marxismo. Storicamente, noi ribadiamo il superamento della socialdemocrazia nella sua duplice espressione di riformismo e massimalismo. Possiamo dire dunque di avere attinto idealmente la identità.4
La mediazione tipica della socialdemocrazia svanisce e si trasforma in posizione conservatrice, di tutela delle residue rendite imperialiste dello stato borghese. La riprova è nel titoismo, identità sostanziale con l'imperialismo della socialdemocrazia.
In questo quadro, il PSI propugna l'unità d'azione con i comunisti come via all'unificazione della classe e nella politica unitaria trova le condizioni del proprio sviluppo. La disciplina interna, la militanza, l'organizzazione sono fondamentali e devono superare un partito correntizio, incapace di sintesi. La struttura organizzativa, mutuata da quella del PCI, è forgiata in questi anni per superare l'inferiorità rispetto al maggior partito della sinistra, ma anche per tentare di costruire un politica unitaria, ma non subordinata rispetto a questo:
Solo un partito che abbia eliminato il seme della divisione nel suo interno, un partito capace di stroncare qualsiasi tentativo di riprodurre nel suo seno situazioni degenerative, un partito che abbia sbaragliato i personalismi, le clientele e le cricche...un partito che non si consumi in se stesso, ma sia in grado di protendersi verso l'esterno, un partito che si accresca di forze...che elevi incessantemente il grado della sua combattività, può a un tale obiettivo dirigersi!5
E' l'azione di massa a rendere vitale il partito. Tutta l'organizzazione deve essere proiettata sull'iniziativa di massa e richiede, quindi, chiarezza di linea politica e disciplina. I successi possono nascere solamente dall'unità.6
Il ventinovesimo congresso nazionale (Bologna, gennaio 1951) per la prima volta, nel dopoguerra, non vede correnti contrapposte. La mozione organizzativa, dopo aver affermato la necessità di una efficace organizzazione che possa corrispondere alle esigenze e alle finalità dell'azione di massa, auspica la costituzione di un largo gruppo di quadri stabili per realizzare il contatto tra le organizzazioni di partito e la base e tra il partito e le varie organizzazioni di massa.
Inizia la formazione del “quadro morandiano” che guiderà il PSI per tutto il decennio e caratterizzerà anche il PSIUP, dal 1964. Vengono progressivamente sostituiti quadri di altra formazione e non organici al disegno e alla formazione maggioritaria.7
Il PSI, almeno sino al 1953, è totalmente allineato sulle posizioni sovietiche. Non vi è una nota critica sui processi staliniani che in tutti i paesi dell'est Europa colpiscono dirigenti di partito accusati di “deviazionismo” e “titoismo”.8 La stampa socialista accetta in toto le accuse di tradimento, di connivenza con il nemico, per Tito di nazionalismo che confina con il sostegno all'imperialismo.
Le tensioni dello scontro politico, a livello nazionale e internazionale, fanno sì che il tono usato verso ogni posizione critica sia sempre quello impiegato nel corso della guerra. E' noto lo scritto di Pietro Secchia9, che Claudio Pavone definirà infelice articolo, in cui le formazioni che criticano l'unità del movimento resistenziale sono strumenti al servizio dei nazisti, sciocchi servitorelli di Hitler, mentre le loro pubblicazioni sono luridi fogli...di una vigliaccheria inqualificabile.
Nei mesi immediatamente successivi alla liberazione, il tono non cambia, anche davanti alla non attuazione di tante delle istanze resistenziali e agli scacchi subiti nella collaborazione governativa, in cui tornano a prevalere le forze moderate. Ne sono testimonianza due scritti, su “Rinascita”, di Felice Platone. Il trotskismo è agenzia criminale e senza scrupoli dei più feroci nemici della rivoluzione. Attorno a Bordiga si è formata una accolta di avventurieri che esprime ogni sorta di sabotatori del movimento proletario, provocatori e agenti stipendiati dall'OVRA.
Non mancano note quasi grottesche:
Gli aggruppamenti equivoci, più apparentati con la malavita che con la politica e nei quali si fondono vecchi e nuovi trotskisti, tenitori di tabarins e di bische clandestine, speculatori di mercato nero ed eroi del brigantaggio notturno, rappresentano forse ancora un pericolo per il movimento operaio, democratico, di liberazione nazionale...?10
Il PCI, anche se non si è ancora liberato da ogni traccia di settarismo, ha vinto la battaglia contro l'azione sabotatrice di questi gruppi, rafforzando la propria unità.
Nel luglio 1952, Pietro Nenni riceve il premio Stalin per la pace che ritira personalmente a Mosca, avendo anche un incontro di carattere privato con il dirigente sovietico.
Nel marzo 1953, la Camera dei deputati commemora la morte di Stalin. Dopo il lungo intervento di Togliatti e prima di quello di Taviani, ministro degli esteri, Nenni rievoca la figura del leader sovietico, con toni commossi e con un bilancio stoico senza ombre.
Si trovò di fronte al compito tremendo di unificare il corso della rivoluzione sovietica per sottrarla al destino che era toccato alla rivoluzione francese...Si può dire che la storia ha deciso prima ancora che Stalin affrontasse il giudizio della posterità...Gli eventi...permisero ad ogni uomo di buonafede di correggere l'errore di credere che Stalin fosse un dittatore sostenuto da un sistema di forza, là dove la sua vera forza è stata...il consenso di milioni e milioni di uomini...L'estate scorsa ebbi occasione di incontrare Stalin, egli mi disse parole che mi sembrano oggi poter racchiudere la lezione della sua vita: non ammettere mai che non ci sia più niente da fare, non rompere mai il contatto con l'avversario...In questo senso noi socialisti italiani ravvisiamo in lui una garanzia di pace.11



Il socialismo integrale

Le posizioni di Morandi nella drammatica stagione della guerra fredda sono in continuità o in contrasto con la sua formazione, il suo impegno negli anni '30, quello nella resistenza, la sua esperienza governativa sino al 1947 ed ancora con l'ultima breve fase della sua vita politica, interrotta dalla morte prematura nel 1955?
Nella sua formazione vi sono nodi e passaggi importanti.
Nato a Milano nel 1902, all'università di Pavia (giurisprudenza) aderisce al Partito repubblicano. E' in contatto con gli studenti socialisti (Basso, Faravelli). Sono forti, in lui, i riferimenti a Mazzini e ad Hegel, l'impegno dopo il delitto Matteotti. Fonda con Basso i Gruppi goliardici per la libertà ed è tra i fondatori della rivista “Pietre”, collabora a “Quarto stato”. E' critico verso la scelta dell'Aventino che ritiene passiva e inadeguata. In un soggiorno di studio in Germani entra maggiormente in contatto con il pensiero socialista. Nel 1931 pubblica la Storia della grande industria in Italia che studia l'industrializzazione del paese tra '800 e '900 e mette in luce le arretratezze del paese (si pensi alla questione meridionale), dovute alle carenze del ruolo dirigente della borghesia, priva di una cultura civile.
Nello stesso anno lascia Giustizia e libertà, mettendo in discussione le posizioni liberal- socialiste di Carlo Rosselli e proponendo una lettura marxista e classista della realtà. La lotta antifascista si deve legare alla lotta di classe. I due elementi, democratico e sociale non vanno mai disgiunti.
E' il tema centrale del suo scritto (1931) La rivoluzione italiana dovrà essere una rivoluzione socialista. E' il proletariato il soggetto storico del cambiamento che non può limitarsi in un semplice ritorno alla democrazia borghese. L'identità socialista è difesa contro l'ipotesi comunista (nonostante un intenso rapporto con Giorgio Amendola), ritenuta statalista e burocratica, tale da non favorire l'autonomia delle organizzazioni di classe e contro la socialdemocrazia che è stata incapace di combattere l'ascesa fascista e non legge le trasformazioni della realtà europea.
La vittoria di Hitler in Germania modifica ulteriormente lo scenario e spinge a maggiori forme di unità. Se il PCd'I ipotizza, dalla crisi del 1929, una situazione rivoluzionaria a breve termine, una crisi irreversibile del regime fascista e tenta di ricostruire le proprie strutture nel paese (per Amendola è un errore provvidenziale), il PSI, alla struttura costituita dai fuorusciti, somma la nascita del Centro socialista interno (CSI), principali dirigenti, oltre a Morandi, Lucio Luzzatto e Bruno Maffi, che produce una rottura, analitica e organizzativa, con la tradizione socialista e antifascista.
Già in una lettera (11 giugno 1928) ad Alberto Tarchiani, Morandi analizza in termini realistici la situazione italiana: il fascismo ha conquistato le coscienze egli istituti dello Stato, i partiti tradizionali sono ormai ferri inutili, privi di legami con la popolazione. La fine della democrazia liberale e il classismo sono declinati nella realtà italiana. La critica a G.L. (interessanti le repliche di Rosselli) mette in discussione il giacobinismo, ma soprattutto la sopravvalutazione del ruolo della piccola borghesia:
Si tratta di definire i termini nuovi di un'azione socialista, la quale oggi non può essere non può che dichiararsi rivoluzionaria...restano delle masse che oggi chiedono di essere orientate, resta una quantità di elementi giovani, ancor in cerca di un definitivo indirizzo12
Se questa ipotesi innovativa per i comunisti pecca di centrismo e per i G.L. di filocomunismo, essa rientra nel tentativo di rimescolare le carte, di superare i limiti dei partiti pre-fascisti13, di cercare nuovi paradigmi. Ne sono esempio due riviste che escono fra il 1931 e il 1932.
“Pensiero antifascista” pubblica nove numeri, dal 1 dicembre 1931 al 12 maggio 1932, “Unità rivoluzionaria” esce dal 1 febbraio al 15 marzo 193214. Le riviste segnano la volontà di costruire una politica unitaria di classe, per la costruzione dello Stato operaio, contro la socialdemocrazia e le varianti storiche dello Stato liberale. Lo sbocco rivoluzionario della lotta contro il fascismo produce la fine della divisione politica e ideale tra comunisti e socialisti rivoluzionari. La politica unitaria non è alleanza fra partiti, ma prassi nuova, basata sui contenuti. Essa deve dimostrare la possibilità di una opzione classista diversa da quella comunista e:
...passa sulle ceneri del meccanismo delle vie democratiche e costituzionali; sulle ceneri cioè di una metodologia di azione che giunga a rompere il rapporto dialettico tra lotta per la democrazia e lotta per il socialismo in una successione temporale in cui le scelte democratiche finiscono per vanificare la prospettiva socialista a una funzione puramente nominalistica.15
Sono significativi, come documenti della polemica verso G.L. e della maturazione classista, alcuni articoli di Morandi. Nel febbraio 1932, scrive:
Il tentativo di suscitare un'opposizione attiva al fascismo, che stesse sotto l'ispirazione democratica, si può oggi considerare per intero fallito. Fallito materialmente e idealmente...La portata rivoluzionaria di una lotta recata veramente a fondo contro il fascismo oggi sempre più appare chiara. E perché nella situazione presente sempre più limpidamente vengono a spiccare i tratti che definiscono il fascismo come un fenomeno di reazione di classe.16
E' assurda la posizione di G.L. che tenta di fondere liberalismo e socialismo17,
Gli intellettuali e la piccola borghesia devono decidersi: vogliono combattere con gli operai o contro gli operai?...Il fascismo è la dittatura della piccola borghesia italiana nel periodo del capitale finanziario e della rivoluzione proletaria. La rivoluzione antifascista sarà quindi una rivoluzione sociale o non sarà. Il proletariato è l'unica classe che possa assolverne i compiti.18
Il passaggio su posizioni classiste, la progressiva differenziazione da Rosselli, la non identificazione nelle posizioni comuniste, la ricerca di nuove vie, linguaggi, metodologie... è comune ad una generazione di giovani socialisti e sarà costante nei decenni successivi. Scrive, nel 1934, Lelio Basso, in una polemica contro il socialismo nostalgico, legato alla politica prefascista, a parole d'ordine che portano il peso della sconfitta:
In Italia, dodici anni di fascismo che son passati e gli altri che si preparano, son venuti formando e finiranno col plasmare una generazione per la quale le espressioni “democrazia”, “liberalismo”, “socialismo”, saran vuote di senso...Parlare oggi agli italiani di “difesa delle libertà democratiche” è parlare un linguaggio che non intendono più. Bisogna convincersi che il fascismo è una realtà di fatto della quale si deve tener conto e che non i problemi di venti anni fa, ma quelli che il fascismo lascia oggi possono essere la matrice da cui scaturiscono le soluzioni di domani. Diversamente si è dei sopravvissuti. Le sconfitte della socialdemocrazia su quasi tutti i fronti d'Europa, l'involuzione del comunismo, ci permettono finalmente di liberarci dai pesi morti, dalle formule, dai luoghi comuni per iniziare veramente un lavoro nuovo con animo realistico e spregiudicato, totalmente sgombro da nostalgie e da soluzioni già pronte.19
E' diversa, ma con alcune connessioni, la riflessione dell'austromarxismo. Il suo principale esponente, Otto Bauer (1881-1938), nello stesso 1934, in Democrazia e socialismo analizza le diverse forme dello stato proletario: la democrazia proletaria, la dittatura di una democrazia di lavoratori e la dittatura totalitaria di un partito proletario. La prima forma cozza contro la necessità di espropriare gli espropriatori, di socializzare i mezzi di produzione. La seconda richiama Marx ed Engels che hanno individuato questa forma di potere nella Convenzione francese del 1792-1793 e nella Comune di Parigi (1871):
La dittatura del proletariato significava per Marx ed Engels non la soppressione della democrazia, bensì una democrazia in una situazione rivoluzionaria, una democrazia sotto la pressione di masse proletarie armate, una democrazia che non è più, come quella borghese, uno strumento del dominio di classe della borghesia e nemmeno mantiene, come la democrazia proletaria, il dominio del proletariato sotto la tutela dei diritti di libertà di tutti i cittadini, bensì una democrazia che spezza con mezzi terroristici la resistenza della borghesia contro la volontà delle masse lavoratrici che hanno trasformato la democrazia nello strumento della loro volontà.20
L'analisi della terza forma, la dittatura totalitaria, è l'occasione, per Bauer, di tornare sulle critiche al bolscevismo, con toni che lo avvicinano alle posizioni di Martov e di Rosa Luxemburg. Questo ha trasformato una dittatura di una democrazia di lavoratori in una dittatura di partito che limita o sopprime la libertà del proletariato. La meta è la democrazia socialista; la dittatura del proletariato ha carattere transitorio, deve estinguersi perché forma dello stato di classe e deve produrre una società senza classi.
E' di due anni successiva la sua opera principale, Tra due guerre mondiali? La crisi dell'economia mondiale, della democrazia e del socialismo che, a causa della sua morte precoce, diviene una sorta di testamento spirituale, lasciato alle giovani generazioni di socialisti, da un militante e dirigente formatosi negli anni che hanno preceduto la guerra. Pur essendo aperti al nuovo, gli anziani debbono trasmettere la propria esperienza che deriva da una stagione di realizzazioni e vittorie, mentre i giovani conoscono solamente le drammatiche sconfitte del dopoguerra. Tutto il testo è percorso dalla forte rivendicazione del ruolo del socialismo austriaco che ha dato:
la grande realizzazione della Vienna rossa e l'impresa eroica dell'insurrezione di febbraio21...La voce austriaca non può mancare neppure oggi nel grande concerto del socialismo internazionale. L'apporto che possiamo dare scaturisce da tutta la storia del socialismo in Austria. Intendo parlare della concezione del “socialismo integrale” che si eleva al di sopra dei contrasti che hanno lacerato il proletariato mondiale per superarli.22
Il termine è stato coniato dal socialista francese Benoit Malon nel 1891 e si riferisce ad un socialismo attinente a tutte le manifestazioni dello spirito (economia, politica, etica...) e ad un processo rivoluzionario che non si limiti alla trasformazione economica, ma implichi una trasformazione sociale, morale, politica e un movimento dell'intera società.
In Bauer socialismo integrale è inteso come superamento della concezione riformista e di quella bolscevica in una sintesi superiore capace di unire l'ethos del socialismo democratico e il pathos di quello rivoluzionario.23
La ricostruzione storica, soprattutto economica degli anni fra le due guerre mondiali, con la conseguente vittoria del fascismo e la sua ombra che si estende sull'Europa intera, mostra gli errori dei socialdemocratici e dei comunisti. E' compito storico possibile e necessario il riconoscimento e il superamento di questi errori. La giusta dittatura del proletariato, che realizza la democrazia sociale, è diversa da quella burocratica di partito, affermatasi in Russia:
Il trionfo supremo di una classe si ha quando le sue idee sono dominanti nel tempo e essa non ha più bisogno di privilegi politici, non ha più bisogno di privare le altre classi dei diritti, né di esercitare su di esse la violenza, ma con la forza delle sue idee può dominare su tutte le classi del popolo24.
L'esperienza sovietica ha inizialmente analogie con quella comunarda: Il soviet:
non doveva significare la soppressione della democrazia, ma, al contrario, una forma più elevata e più completa di democrazia25
ma poi piega su posizione autoritarie, mentre la socialdemocrazia occidentale ha compiuto errori speculari:
Nei primi anni del dopoguerra, i socialdemocratici e i comunisti, pur percorrendo strade affatto diverse, hanno compiuto i medesimi errori; sotto la spinta del violento sconvolgimento sociale provocato dalla guerra, gli uni e gli altri hanno sottovalutato la capacità di resistenza del capitalismo. I socialdemocratici hanno creduto di poter costruire un ordine sociale socialista con i mezzi pacifici della democrazia...i comunisti hanno creduto di poter sfruttare dovunque lo sconvolgimento della società capitalistica provocato dalla guerra ai fini della rivoluzione proletaria.26
Il socialismo integrale è quindi lo strumento per mezzo del quale il movimento operaio deve ritrovare l'unità, modificando la rigida contrapposizione tra socialismo riformista e rivoluzionario, trasmettendo al socialismo rivoluzionario i valori della lotta per la democrazia, bene universale e a quello riformista l'eredità delle rivoluzioni proletarie.
E' gravissima la assenza di una Internazionale, anche a causa del fallimento del tentativo di mediazione da parte della Internazionale due e mezzo. Bauer prevede una nuova guerra mondiale e ad essa affida la prospettiva di riunificazione del movimento operaio in una sintesi più avanzata.
La posizione di Bauer ha un forte influsso sui giovani del Centro socialista interno ed in particolare su Morandi. E' chiara l'assonanza nelle sua relazioni alla Direzione socialista:
Non è questo il momento di attenuare le nostre posizioni classiste e internazionaliste, ma anzi di riconfermarle e rinvigorirle...Non smorziamo la nostra sensibilità rivoluzionaria, se non vogliamo perdere il possibile contatto psicologico con l'ambiente italiano.(novembre 1936).
Le nostre differenze coi comunisti non debbono essere artificiosamente forzate come neanche non debbono venire celate per timidezza. In un punto esse si concretano ed appaiono degne di essere con forza affermate: in una concezione più chiara, più ferma della libertà. Come autonomia della vita politica civile, proprio là dove più confusa e oscillante appare la posizione dei comunisti. Tutta la recente evoluzione dei partiti e della vita europea accentra decisamente questo motivo nella concezione rivoluzionaria. Non temiamo di dire che ad un concezione “libertaria” (non nel volgare senso d'anarchismo, ma come antistatalismo, antiburocratismo) deve aprirsi oggi senza mezzi termini il socialismo se vuole salvarsi dalle “Scilla” e Cariddi della “democrazia” e dell'”autoritarismo” e sfruttare in pieno i vantaggi di una posizione antitetica in assoluto col fascismo. (11 dicembre 1936)
Queste valutazioni tornano nel saggio che specificamente Morandi dedica a Bauer, interpretando il pensiero della nuova generazione che ipotizza l'unità come revisione radicale delle vecchie posizioni:
Disincagliandosi dalle secche in cui l'una e l'altra Internazionale hanno dato, superando i punti morti di democrazia e autoritarismo,il nuovo socialismo deve dichiararsi schiettamente libertario (senza punto impaurirsi della baldanza anarchica di questa qualifica!). E' l'eredità gravosa del lungo periodo di lotta legale, lo statalismo, che ha spezzato le reni così alla Seconda come alla Terza Internazionale che è da scrollarsi di dosso. E' tutta la critica marxista dello Stato e della burocrazia che è da riprendere e da portare a nuovi sviluppi27
Valicare l'abissale rottura operatasi nel dopoguerra tra socialdemocrazia e comunismo, levarsi da una antitesi morta, per affermarsi su una posizione nuova genuinamente marxista e classista, schiettamente rivoluzionaria: questo il problema postosi da gran tempo al socialismo italiano come ragione stessa del suo esistere, l'assillo costante delle sue forze rimaste a rappresentarlo nel paese28.
L'attenzione dei giovani per Bauer e il socialismo austriaco deriva dal tentativo di costituire un ponte fra due generazioni, di intrecciare l'insegnamento del vecchio movimento con il rinnovamento di riferimenti e metodi di lavoro dei giovani. Morandi rifiuta, però, l'attendismo di Bauer che sembra delegare una trasformazione alle conseguenze indotte dalla guerra, piega anche maggiormente verso il rinnovamento nella dialettica continuità/discontinuità. Il tentativo di Bauer non coglie il fatto che i due corpi che tenta di accordare sono logorati da sconfitte perché guasto è il sangue nell'uno e nell'altro, mentre occorre sangue nuovo.
Lelio Basso, in una riflessione a posteriori, sottolinea come la sua generazione, avendo accettato il mito dell'unità formale, si sia trovata, nel dopoguerra, sopraffatta dal vecchio opportunismo che ha ripreso il sopravvento29 e riprenderà questo tema durante il periodo resistenziale:
Fra le formule e le strategie superate consideravamo anche quelle di cui erano state espressione l'Internazionale socialista e l'Internazionale comunista, ormai sciolte entrambe e la cui risurrezione ci appariva suscettibile di cristallizzare il movimento operaio su posizioni e lacerazioni che nella nostra coscienza erano superate.30
Il lavoro unitario procede nonostante la forte polemica per la proposta del PCd'I che rivolge un appello ai “fratelli in camicia nera”.31 La replica socialista è netta, ma le contingenze internazionali (vittoria del Fronte popolare in Francia e Spagna, guerra civile spagnola, espandersi di regimi autoritari in tutta l'Europa dell'est) spingono all'unità e all'accantonamento dei contrasti.
Nel 1937, Morandi è arrestato e condannato a dieci anni di carcere. Ne sconta sei a Castelfranco Veneto e Saluzzo (Cuneo). E' in libertà condizionale, per motivi di salute, dal febbraio 1943. E' nella direzione del ricostituito partito socialista, redattore all'”Avanti!” di Milano, quindi a Lugano, in Svizzera, segretario del Comitato di liberazione. Rientra in Italia nel giugno 1944, su invito di Sandro Pertini, in quella fase segretario del partito. E' tra i fondatori, con Basso e Guido Mazzali, della rivista “Politica di classe”.
La sua fermezza ideologica rimase indiscussa. Polemizzò con democratici come Altiero Spinelli sul Manifesto di Ventotene (contestando il capitolo che equiparava il collettivismo allo statalismo e alla burocratizzazione) e con i comunisti sul problema della classe (sostenendo che i socialisti, diversamente dal PCI, riconoscevano un'autonomia alla partecipazione del proletariato). Per Morandi il programma del partito, all'indomani della definitiva sconfitta dell'Asse, doveva incentrarsi sulle nazionalizzazioni dei grandi monopoli e delle banche, sulla riforma fiscale ed agraria, vale a dire su una serie di tappe preparatorie della transizione allo stato socialista. Con analoga intransigenza, affrontò il dibattito aperto dal Partito d'Azione sulla funzione dei Comitati di liberazione nazionale (CNL) e sul rapporto con il governo di Roma, schierandosi a favore del potenziamento del ruolo politico dei Comitati rispetto all' esecutivo formato nell'Italia liberata.32
Nell'aprile 1945, partecipa all'insurrezione di Torino e viene nominato presidente del CLNAI. Somma l'attività di partito, convinto soprattutto della necessità di formazione dei quadri e della lotta contro la deriva socialdemocratica, all'ipotesi governativa, con la Commissione economica del CNLAI, nel tentativo, fallito, di trasformare i Comitati in strutture di governo.



Il dopoguerra, i Consigli di gestione, il partito.

Dal dicembre 1945 all'aprile 1946 (congresso di Firenze), Morandi è segretario nazionale del partito, in una fase di difficile equilibrio fra correnti molto differenziate (nel gennaio 1947 vi sarà la scissione di palazzo Barberini).
Convinto del ruolo dello Stato, sostiene la necessità di controllo pubblico di alcuni settori strategici (l'energia elettrica), di programmazione degli investimenti, di risorse per il Mezzogiorno. Ipotizza la programmazione economica, collabora, da posizioni diverse, con Pasquale Saraceno, contribuendo alla creazione dell'Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno (SVIMEZ). E' ministro dell'Industria e del commercio nel secondo governo De Gasperi, dal 14 luglio 1946 al 1 luglio 1947 (quando termina la collaborazione governativa tra DC e sinistra).
L'impegno maggiore è quello per la realizzazione dei Consigli di gestione nei luoghi di lavoro. Serve a sottolineare l'importanza della partecipazione operaia e prende atto di una realtà di fatto: gli operai avevano occupato le fabbriche e spesso le avevano salvate. Se, per Basso, i Consigli debbono essere scuole di autogoverno per preparare i quadri alla futura socializzazione, Morandi insiste sulla loro natura di organi di unità nazionale, non di classe. Afferma nel settembre 1945:
Essi non sconvolgono i rapporti di proprietà esistenti. Non sono stati ideati per sovietizzare alla chetichella, come qualcuno insinua, le imprese, bensì per dare loro una spina dorsale più robusta, per rafforzarle, s'intende non a prò di interessi particolaristici e speculativi, ma in ordine all'interesse della nazione che deve moderare, in questa calamità, la voracità dei singoli33
L'esperienza dei consigli conosce varie tappe. Dalla liberazione all'estate del 1946, il movimento si estende e si radica, nonostante la resistenza delle forze padronali, la presenza degli Alleati, dei freni posti da democristiani e liberali. Dopo l'estate 1946, le prospettive di riconoscimento giuridico si chiudono e diventano nulle dopo l'estromissione di comunisti e socialisti dal governo (1947) e dopo la sconfitta delle sinistre alle elezioni politiche dell'aprile 1948.
Morandi, prima e durante l'incarico governativo, insiste sulla funzione e sulla necessità di arrivare ad un a legge sul tema. Dice al primo convegno nazionale dei Consigli di gestione (novembre 1946):
Noi abbiamo bisogno, in un modo o nell'altro, e non conta tanto la formula che la legge potrà trovare, di proteggere lo sforzo ricostruttivo su qualche cosa di più solido che non sia la pavida, incerta volontà di troppe parti di quella categoria o classe che ha in mano le forze produttive...34
E ribadisce, ancora ministro, a Milano, nel marzo 1947:
Il piano come noi lo vediamo...non può essere un documento in base a semplici criteri tecnici...esso richiede revisione e continuo aggiornamento e richiede in forme efficaci la partecipazione attiva e diretta della classe lavoratrice.35
La programmazione economica deve accompagnarsi ad un controllo pubblico sui finanziamenti statali alle industrie. In questa concezione, i Consigli sono la longa manus dello Stato all'interno delle aziende. Questo ruolo supera qualunque chiusura aziendalistica.
Rodolfo Morandi intervenne nel dibattito pubblico prima ancora della presentazione del suo disegno di legge con un'intervista al “Corriere della sera” nella quale presentò i principi ispiratori del progetto: consentire la partecipazione del lavoro alla vita dell'impresa, contribuire al miglioramento tecnico della produzione e delle condizioni dei dipendenti, assicurare il coordinamento fra l'attività dell'impresa e la formazione e l'attuazione del piano industriale, in funzione del generale interesse della nazione. Il disegno di legge...definiva i Consigli di gestione quali organismi finalizzati a a) far partecipare i lavoratori all'indirizzo generale dell'impresa b) contribuire al miglioramento tecnico ed organizzativo dell'impresa... c) creare nelle imprese strumenti idonei per permettere ad esse di partecipare alla ricostruzione industriale e alla predisposizione della programmazione e dei piani di industria...Nella relazione di accompagnamento del disegno di legge, si precisava che il Consiglio era da intendersi come uno strumento di elevazione del lavoratore, non più semplice mezzo di produzione, ma responsabile collaboratore dell'impresa36.
I governi non tengono fede agli impegni e la proposta di legge viene affossata. De Gasperi dichiara la neutralità del governo nella vertenza tra le parti sociali.
E' certo che questo governo ha assunto una tale posizione negativa che ci induce a considerare che, chiusasi la fase legale di preparazione della legge, quella fase in cui i governi precedenti si consideravano impegnati a votare la legge e avevano quindi già dato moralmente il loro riconoscimento, chiusa questa fase se ne apre una nuova: una fase di lotta per conquistare quelle posizioni che ci vengono contese per avere il riconoscimento dei consigli di gestione37.
Non mancano le note autocritiche. Dopo la sconfitta del Fronte popolare, la riflessione morandiana coinvolge anche gli errori di partito e sindacato:
Per troppo tempo nei Consigli di gestione abbiamo semplicemente incorporato una generica rivendicazione di diritto; per troppo tempo abbiamo così duellato, come i cavalieri antichi, per conquistare a essi un puro titolo giuridico...di un tale aspetto della questione ci pare dovrebbe oggi occuparsi la confederazione del lavoro piuttosto che di quello, superatissimo, del riconoscimento giuridico.38
L'appoggio su cui possono contare i Consigli di gestione è incerto. I sindacalisti puri, alla cui testa è Giuseppe Di Vittorio, li vedono come pericolosi organi di mediazione che tendono a distorcere la normale dialettica aziendale e, al limite, ne temono la concorrenza. Togliatti e il gruppo egemonico comunista li guardano con freddezza in parte per scarsa comprensione del loro significato, in parte per timore di essere condotti, per questa via, a quello scontro con gli industriali e con la DC che, in quei mesi, vogliono assolutamente evitare.39
All'opposizione dei governi centristi e atlantisti, in polemica frontale con la socialdemocrazia di Saragat che ha abbandonato qualunque ipotesi di reale autonomia socialista e di equidistanza fra i due blocchi, Morandi è, per anni vice-segretario del partito. Scrive Aldo Agosti:
Ecco il tentativo:costruire un partito in funzione dell'azione di massa, un partito diverso da quello socialista tradizionale; un partito che ricostruiva se stesso nella società civile, tra gli operai, i braccianti, i giovani...un partito in rapporto di collaborazione ma anche di concorrenza con il PCI.40



L'apertura ai cattolici

La morte di Stalin e in Italia la crisi della formula centrista spingono il PSI a modificare parzialmente e gradualmente le posizioni, lasciando alle spalle gli anni del più rigido stalinismo.
Dal 31 marzo al 3 aprile 1955, il 31° congresso nazionale segna una svolta e la prima apertura al mondo cattolico. Lo precede di poco la storica sconfitta della CGIL alle elezioni per la commissione interna alla FIAT, causata dalla politica di intimidazione padronale, ma anche dalle difficoltà del sindacato di leggere le trasformazioni strutturali nella prima industria italiana divenuta competitiva sul mercato internazionale.
Il tema centrale del congresso è il rapporto con il mondo cattolico e con la DC che ne è espressione. La questione non è nuova, perché Nenni la ha già proposta più volte, dando al PSI il ruolo di saldare la frattura provocata dalle scelte democristiane nel 1947. Nuova è, però, la situazione in cui si colloca. L'attenuarsi della tensione internazionale favorisce il dialogo tra forze popolari di differente tradizione. E' Nenni in particolare a farsi alfiere di questa ipotesi. Già al congresso del 1953 aveva parlato della politica delle cose41: attuazione della Costituzione, riforma fondiaria, potenziamento dell'IRI, difesa dell'ENI, scelte per il sud. La DC è il partito guida della borghesia italiana, ma la sua base popolare esprime esigenze e spinte contrastanti. La fine della fase degasperiana, lo scontro fra il nuovo quadro politico e il vecchio gruppo dirigente fanno sperare che la DC rinunci alla polemica antisocialista e anticomunista e imbocchi una politica di riforme e di rinnovamento. Il PSI può incidere sulle scelte. L'alternativa del paese è drammatica: o si attua una apertura a sinistra oppure la crisi politica esce dal quadro istituzionale, provocando una pericolosa involuzione reazionaria (in Nenni è sempre presente il rischio del diciannovismo).
Per la prima volta, Nenni rinuncia alla netta opposizione al Patto atlantico, ritenendo sia già in atto un processo di superamento dei blocchi.
L'intervento di Morandi (in quello che sarà per lui l'ultimo congresso nazionale) è centrato sull'impostazione da dare all'unità d'azione con il PCI, sulle crescenti contraddizioni del centrismo, sull'apertura al dialogo con le masse cattoliche.
Davanti ai rigurgiti di fascismo, causati dalla impetuosa pressione che la destra economica esercita sulla vita pubblica e lo Stato, sempre più numerosi sono infatti coloro che vanno prendendo consapevolezza che l'unità dei lavoratori e delle masse popolari costituisce il solo dato consistente della lotta democratica, il solo termine fermo della politica italiana. Ho parlato delle masse e dei lavoratori cattolici come del grande protagonista della storia e della civiltà nazionale, al quale vorremmo maggiormente avvicinarci, con il desiderio di meglio conoscerci reciprocamente. Ma è chiaro che il nostro interlocutore sulla scena politica non può essere il mondo cattolico e che una risposta non da esso ci può venire, Bensì solo dalla Democrazia Cristiana che è, essa, il protagonista riconosciuto della lotta politica. Orbene, con la Democrazia Cristiana il discorso volge necessariamente in altro tono e su materia ben più determinata. Molti volti diversi e disparati linguaggi parla oggi la Democrazia Cristiana. Presenta un volto a piazza del Gesù, un volto al Viminale e tanti altri ancora nelle varie province d'Italia.42
E' quindi necessario che scelga, che superi le ambiguità, che affronti i nodi drammatici del paese, che rifiuti le sirene che la spingono ad alleanze con monarchici e missini:
E' venuto il momento che la Democrazia cristiana si pronunzi. Infatti non si fugano questi nembi addensatisi all'orizzonte della vita nazionale e nemmeno si placa la propria coscienza, limitandosi a delineare il quadro di un disastro che incombe e che urge di essere allontanato con opera tenace prestata fino ad oggi...Ecco qual è il preciso quesito che dobbiamo porre ai dirigenti della Democrazia cristiana: pensate forse che un partito il quale deve rispondere dei propri atti alle sue masse operaie e contadine, a tre milioni e mezzo di elettori che sicuramente si sono pronunciati per una democrazia rinnovata e rinvigorita, per la distensione e per la pace, che questo partito possa...lasciarsi invischiare in una artificiosa polemica attorno all'”apertura a sinistra”?...
Dobbiamo dunque lavorare senza sosta contro tali resistenze, inerzie, ottusità e incomprensioni, perché i problemi del lavoro si risolvono sulla base di garanzie certe di libertà...Dobbiamo, con lena instancabile, lavorare per la pace , facendo leva sul sentimento e la aspirazione radicata delle stesse masse democristiane.43
L'ultimo intervento pubblico è al congresso dei giovani, a Perugia, il 2 luglio, quasi un passaggio di testimone alle giovani generazioni. Ruolo dei giovani, richiamo all'antifascismo nel decennale della liberazione, solidarietà verso il mondo socialista, apertura del dialogo con le masse cattoliche.
E' la consapevolezza della pericolosità estrema di questo momento che ci induce a moltiplicare gli sforzi per sottrarre la lotta politica al clima arroventato della guerra ideologica e delle scomuniche. Diciamo che è necessario entrare in un clima nuovo, il quale consenta di esperire tutti i tentativi per arrivare a comprendersi... Tali e non altre sono le ragioni e le finalità del dialogo che vogliamo aprire, indirizzandoci alle masse cattoliche e democristiane.44
Il 26 luglio, per complicazioni seguite ad un intervento chirurgico, apparentemente semplice, Morandi scompare, lasciando una eredità controversa.

Morandi e il “morandismo”. Quale interpretazione?

E' chiaro che la figura e la personalità di Morandi siano complesse e che le valutazioni sulla sua opera siano molteplici e differenziate.
La discussione più ovvia riguarda la continuità o discontinuità nel suo pensiero. La biografia più completa e interessante, quella di Aldo Agosti ha il merito di valorizzare gli anni del CSI, l'originalità delle tematiche sollevate, di utilizzare compiutamente il materiale analizzato dal lavoro pionieristico e coraggioso svolto dalla “Rivista storica del socialismo”. L'analisi della tematica degli anni '30 mostra contraddizioni con il Morandi della guerra fredda, del legame con l'URSS. Secondo Stefano Merli, l'interpretazione di Agosti risente del periodo (1971) in cui la biografia è stata pubblicata, del lavoro di fabbrica del PSIUP torinese (molto specifico e “fabbrichista”):
I risultati politici e storiografici del volume di Agosti erano particolarmente importanti perché se da un lato riconfermavano la freschezza e la sostanziale validità metodologica delle posizioni del CSI e in generale della politica unitaria, dall'altro davano anche un contributo a individuarne i limiti, a spiegarne le contraddizioni e i compromessi cui la sua tematica dovette soggiacere in modo particolare nel lavoro politico successivo di Morandi. 45
Le accuse a Morandi uomo della guerra fredda, legato a doppio filo al PCI, incapace di una qualunque autonomia nei suoi confronti, manovratore dell'apparato... sono costanti, soprattutto sino a tutti gli anni '50, quando si afferma un giudizio più complessivo e meno legato a contingenti polemiche politiche. E' indicativo di questa lettura unilaterale e polemica il giudizio, subito dopo la sua morte, di “Risorgimento socialista”, il settimanale dell'USI, la formazione eretica di Magnani e Cucchi:
Egli era chiuso, freddo e talvolta scostante nei contatti personali, oratore monotono e incolore; sembrava maturare i suoi propositi nell'ombra e li esplicava con lenta ostinazione. Fin dal 1945, Morandi è posto alla testa di coloro che lottavano per la distruzione del Partito socialista e per il suo assorbimento da parte del Partito comunista, non facendo mistero del suo convincimento che l'esistenza del partito socialista fosse solamente “il prodotto dell'immaturità delle condizioni storiche”.
E' interessante la lettura/interpretazione del morandismo in Raniero Panzieri, per anni suo “discepolo”. Nella sua critica, dopo il 1956 e nella stagione dei “Quaderni rossi”, della tradizione gramsciana e poi togliattiana46 sul “ruolo nazionale della classe operaia”, vi è la ricerca di una linea classista, di un movimento di classe che percorre la storia italiana, anche all'interno delle strutture maggioritarie, che media le suggestioni storiche (il Gramsci dei consigli, Rosa Luxemburg, il Lenin dei soviet) allo sviluppo concreto di movimenti di massa. La rottura di Panzieri con il partito, con il funzionariato, la sua non adesione al PSIUP nel 1964 mostrano una variante del pensiero morandiano lontana da quella della maggioranza del quadro da lui formato che costruisce e regge appunto questo partito, dopo l'adesione socialista ai governi di centro-sinistra.
Il dibattito storiografico si intreccia con quello politico nella fervida stagione dei primi anni '60. Il lavoro della “Rivista storica del socialismo” che ha riportato alla luce il CSI (interessante il dibattito sulla figura di Curiel, il suo rapporto con CSI e PCd'I e la sua lettura della politica unitaria, come della “svolta” togliattiana) assume valenza politica nello scontro interno che porta alla nascita del centro-sinistra. Arfè rivendica la scelta “autonomista” e originale del Centro interno e invita a:
Spiegare come per una logica superiore ad ogni buona volontà, Morandi sia approdato dalle sue posizioni antiburocratiche e finanche libertarie degli anni del fascismo ad un frontismo cupo, incapace nonché di modificare, neanche di esprimere riserve nei confronti della perdurante degenerazione staliniana47
Nel congresso socialista (novembre 1963) che precede l'ingresso al governo e la scissione del PSIUP, Pieraccini, del CSI, coglie l'autonomia rispetto al comunismo e la volontà di costruire unità nella libertà. Al contrario, Vecchietti vede nella collaborazione governativa la fine di una specificià del socialismo italiano che ha sempre negato al sistema capitalistico il sostegno organico della classe lavoratrice:
Sa come (il CSI) si sia opposto anche apertamente alle concezioni diplomatiche del fronte antifascista, per il suo minimalismo impostogli dalla convergenza di partiti che nulla rinunciavano della sostanza della loro politica prefascista, dei loro stessi errori...48
E' indubbio che tra i limiti nei quali i svolge, in tutto il suo percorso, la parabola del PSIUP (1964-1972) vi sia la formazione di un quadro cresciuto negli anni '50, in posizione di subalternità in cui opera, dopo le scissioni sindacale e socialdemocratica e nella fase più acuta della guerra fredda.
Se interpretazioni di parte “operaista” addebitano al CSI- e indirettamente a Morandi- la scarsa attenzione per la tematica consiliare, è significativo che la biografia di Agosti non produca dibattito alla sua uscita, ma che le questioni storiografico- teoriche acquistino una valenza politica legata alla crisi del PSIUP, il partito che più si ritiene erede di Morandi, nelle scelte complessive e nella formazione dei dirigenti.
La discussione sul testo sembra coincidere con gli ultimi mesi del partito, ormai avviato verso lo scioglimento. Apre il dibattito Franco Livorsi49. Replica Lucio Libertini, le cui formazione e storia sono molto atipiche, ma sempre segnate dal rifiuto dello stalinismo, che sottolinea l'opzione unitaria, ma non subalterna, di Morandi, ma, a differenza di Agosti coglie continuità fra gli anni '30 e gli anni '50. Il progetto unitario non ha significato confluenza, ma ricerca dei problemi irrisolti in campo socialista e comunista, per una strategia adeguata ai nuovi livelli del capitalismo e dell'imperialismo:
Nella storia del movimento operaio di questo secolo vi è un indirizzo di pensiero e di azione politica che...si ripropone continuamente come una riflessione e una prospettiva nelle quali si condensano nel modo più acuto le questioni fondamentali che travagliano la sinistra. E' questo un indirizzo di socialisti che hanno rotto nel modo più drastico con la socialdemocrazia e con tutto quanto di socialdemocratico- di destra e di sinistra- vi sia nella tradizione socialista; che marxisti fanno propria l'esperienza ideologica e politica leninista, ma muovono criticamente dalle gravi questioni che il leninismo pose e non risolse: e tuttavia rimangono problematicamente socialisti perché elementi troppo importanti li separano dalla esperienza comunista...e pongono l'esigenza essenziale di una ristrutturazione della sinistra che avanzi nel vivo della politica unitaria di massa.50
Se il disegno morandiano non ha avuto successo nel PSI, esso è ancora ben vivo. Il PSIUP non deve limitarsi a rilanciare la prospettiva unitaria, ma deve affrontare le nuove contraddizioni che emergono dalle trasformazioni impetuose della società.
Interviene direttamente la direzione del settimanale. Non vi è contraddizioni fra le posizioni che Agosti differenzia e contrappone. La spinta unitaria è ridotta alla confluenza nel partito maggiore.51
Egualmente proiettata su una dimensione politica è la valutazione di Tullio Vecchietti.
Nella sua analisi non vi è contraddizioni tra le posizioni espresse nel CSI e quelle della “politica unitaria”. Nel primo caso, la proposta è l'unità di classe su contenuti nuovi, per un internazionalismo che rifiuta lo stato-guida.
Al burocratismo socialdemocratico da un lato e allo stalinismo dall'altro egli opponeva la visione del partito della classe e non per la classe...52
Secondo Vecchietti, il Morandi degli anni '50, vicesegretario e organizzatore del PSI, prosegue il disegno incompiuto di venti anni prima, ipotizzando una rifondazione ideologica e organizzativa di tutta la sinistra, insistendo sulle inadeguatezze di ambedue i partiti, soprattutto davanti alle istanze dei nuovi movimenti di lotta. L'attualità è data dall'adesione al socialismo storico, nel tentativo di cambiarlo dall'interno.
Essere socialisti significa, ancora oggi come ai tempi di Morandi, lottare per dare alla classe quel partito nuovo che dovrà nascere dalla convergenza della componente socialista con quella comunista in un solo partito. Anzi potrà nascere se ciascuna componente del movimento operaio saprà rinnovarsi per proprio conto prefigurando in sé lo sbocco della unificazione.53
E' chiaro come il dibattito storico venga piegato, a fini interni, in un partito in cui la maggioranza guarda alla confluenza nel PCI.
E' ancora più netto l'uso “strumentale” del dirigente socialista in un articolo successivo. La polemica contro la sinistra interna, contraria alla confluenza e tesa a cercare un nuovo spazio politico, esterno ai partiti maggiori, si accompagna alla riproposizione della polemica contro la socialdemocrazia.54
Anche Dario Valori, segretario del partito nella sua ultimissima fase, cerca nella storia scelte di confluenza, richiamandosi a Serrati e ai “terzini”, confluenza
la quale, non a caso, è stata piuttosto l'organizzazione della ritirata che non l'avvio di una politica nuova, quale, a mio avviso, sarà in seguito la politica unitaria. Una interpretazione, quindi, che uscì dal dibattito che precedette e accompagnò la liquidazione del partito, che oscillava fra elementi contraddittori. La stessa sinistra non fu in grado e non a caso, di recuperare la tradizione del partito e nello stesso tempo di superarla, inserendola nella realtà sociale e politica nuova che il '68 aveva aperto. Si lasciò pertanto interpretare da Libertini, il quale rifletteva le posizioni della generazione del '56 e non di quella del '68 ed esprimeva una esigenza garantista intesa a preservare uno spazio e un bagaglio di sinistra socialista e non certo la lotta per superare questo limite.55
Sempre Merli, nel suo studio sul socialismo italiano, ben diverso dalle sue scelte successive, appiattite sul craxismo, legge nel recupero della parte migliore della tradizione del movimento di classe uno strumento per una autentica rifondazione di paradigmi e della prassi politica. Con un entusiasmo, simile a quello di Panzieri, alla nascita dei “Quaderni rossi” (E' una fase storica inedita ed entusiasmante, per la prima volta la classe operaia può liberare se stessa), lo storico piacentino coglie nella situazione del post '68 una novità epocale cui può contribuire l'indagine storica sulle radici del movimento di classe, lontane dalle interpretazioni maggioritarie:
Per la prima volta, all'interno del movimento operaio, è chiamata in causa la linea nazional-popolare come facciata dello stalinismo; per la prima volta, la linea gramsciana,56 nel suo apporto originario e negli sviluppi che ha avuto in Togliatti viene contestata come linea di rinnovamento dopo Stalin, come soluzione del problema rivoluzionario in una situazione di capitalismo avanzato, scoprendone- pur nella ricchezza e originalità del pensiero- una matrice comune con un indirizzo strategico e tattico che si caratterizzò e si esaurì nella lotta antifascista e nella ricostruzione dello Stato democratico. Parallelamente si osserva un fenomeno altrettanto significativo. All'interno del movimento operaio si fa avanti una linea di interpretazione alternativa a quella egemonica degli ultimi decenni.57
Ovviamente, il quadro attuale è del tutto diverso. La soppressione di riferimenti teorici e organizzativi, la cancellazione del passato, l'inesistenza di partiti e sindacati che siano “scuola” e trasmettano valori, creando legame tra il passato e il presente, è fatto ormai consolidato. Il nome di Morandi, come quello della quasi totalità dei dirigenti socialisti, è sconosciuto, annullato nella scomparsa del PSI ad inizio anni '90. I nodi sollevati, il rapporto autonomia/unità, la centralità della classe (declinata nella situazione strutturale dell'oggi), la lettura- certo contraddittoria e, nel tempo, non univoca- dell'internazionalismo restano, però, temi non secondari.
Come altre figure (Basso, Foa, Lombardi, Colorni...) andrebbe oggi conosciuto, discusso, non santificato e ridotto ad icona da utilizzarsi nelle polemiche partitiche, ma valorizzato nel difficile tentativo (forse definitivamente sconfitto) di ricostruire una sinistra sociale, politica e culturale.

Genova, agosto 2020.

1Riccardo LOMBARDI, Prospettiva 1949, in “L'Avanti!”, 31 dicembre 1948. Si noti l'assonanza di queste posizioni con quelle espresse da Valdo Magnani nel gennaio 1951, all'origine della sua rottura con il PCI.
2Rodolfo MORANDI, Insensibilità di classe, in “La Squilla”, 12 gennaio 1960. Cfr. anche Riccardo LOMBARDI, False gravidanze, in “L'Avanti”, 18 gennaio 1948, e la replica di Rodolfo MORANDI, La pietra di paragone, in “La Squilla”, 26 gennaio 1949.
3Ivi.
4Rodolfo MORANDI, Discorso ai giovani al IV convegno nazionale giovanile,Modena 13- 16 aprile 1950, a cura di “Gioventù socialista”, senza data.
5Ivi.
6Cfr. Rodolfo MORANDI, L'organizzazione di partito in funzione dell'azione di massa, introduzione all'opuscolo contenente gli atti della Conferenza nazionale di organizzazione, Roma 9-10 novembre 1950, Roma, ed. PSI, senza data.
7Roberto COLOZZA in Lelio Basso. Una biografia politica (1948-1958), Roma, Ediesse, 2010, documenta l'emarginazione di tanti funzionari legati a Basso, destituiti e sostituiti da quadri “morandiani”. I casi più emblematici riguardano Laura Conti, estromessa dall'apparato milanese e Luigi Ladaga, sostituito da Dario Valori come responsabile dei giovani.
8Il più celebre è il processo a Rudolf Slanskij, dirigente del Partito comunista cecoslovacco, caduto in disgrazia nel 1951 e “giustiziato” nel 1952, ma tutti i paesi “socialisti” vivono casi simili. Nella stessa Jugoslavia, si hanno processi e incarcerazioni di dirigenti “stalinisti”.
9Pietro SECCHIA, Sinistrismo maschera della Gestapo, in “Nostra lotta”, 6 dicembre 1943.
10Felice PLATONE, Vecchie e nuove vie della provocazione trotskista, in “Rinascita”, aprile 1945. Cfr. anche: Il trotskismo contro la democrazia, in “Rinascita”, settembre 1945.
11Pietro NENNI, Intervento nella seduta del 6 marzo 1953, in Atti parlamentari, Camera dei deputati.
12Rodolfo MORANDI, Lettera ad Alberto Tarchiani, 11 giugno 1928, in “Rivista storia del socialismo”, maggio-agosto 1963.
13Il problema di non ricadere nei limiti del socialismo tradizionale (riformismo/massimalismo) è alla base, nel corso della guerra, della fondazione del Movimento di Unità proletaria (MUP), ad opera di Lelio Basso e Lucio Luzzatto.
14Le riviste sono analizzate dalla “Rivista storica del socialismo”, fondata nel 1958 da luigi Cortesi e Stefano Merli e riprodotte in Stefano MERLI, Fronte antifascista e politica di classe, Bari, De Donato 1975.
15Stefano MERLI, cit., p. 187.
16ARCO (Rodolfo MORANDI), Motivi di un'impostazione rivoluzionaria della lotta contro il fascismo, in “Pensiero antifascista”, n. 5, febbraio 1932.
17Cfr. ARCO, Le cause determinanti del nuovo programma di G.L., in “Unità rivoluzionaria”, n.4, 15 marzo 1932.
18Presentazione, in “Pensiero antifascista”, n.1, dicembre 1931.
19Lelio BASSO, Lettera, 1934, pubblicata dal figlio Piero nel 2001. Cfr. anche Al di là del caso Caldara, in “Politica socialista”, 1 dicembre 1934, che contiene critiche al fuoruscitismo.
20Otto BAUER, Democrazia e socialismo, in “Der Kampf”, 1934, in Emilio AGAZZI (a cura di), Materiali sull'austromarxismo, vol. 2, Testi, Milano, Unicopli, 1981, pp. 205-231.
21Il 12 febbraio 1934 si ha una rivolta spontanea, sconfitta, degli operai austriaci contro il tentativo reazionario di Dolfuss. Questa difende eroicamente le conquiste sociali e i quartieri operi della “Vienne rossa”, dove si concentra la gran parte della presenza socialista.
22Otto BAUER, Tra due guerre mondiali? La crisi dell'economia mondiale, della democrazia e del socialismo,Torino, Einaudi, 1979, p. 324.
23Ivi, p. 301.
24Ivi, p. 104.
25Ivi, p. 144.
26Ivi, p. 299
27A. FONTANA (Rodolfo MORANDI), Ricostruzione socialista. Il socialismo integrale di O: Bauer in Rodolfo MORANDI, La democrazia del socialismo, Torino, Einaudi, 1975, p. 185.
28Ivi, p. 177.
29Lelio BASSO, Otto Bauer, in “Quarto Stato”, 15 febbraio 1949.
30Lelio BASSO, La ricostituzione del PSI, in AA. VV., Fascismo e antifascismo, vol. II, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 468.
31Cfr. gli scritti di Ruggero GRIECO, Lucio LUZZATTO, Eugenio COLORNI, in Stefano MERLI, Fronte antifascista e politica di classe: Socialisti e comunisti in Italia, 1923-1939, Bari, De Donato, 1975, testo fondamentale che riprende il lavoro della “Rivista storica del socialismo”.
32Rodolfo Morandi, in Dizionario biografico, www. Treccani.it.
33In Matteo GADDI, Introduzione a Il dibattito sul controllo operaio, Milano, Punto rosso, 2019, p. 9.
34Relazione di Gianni ALASIA, in Morandi, Basso, Panzieri, Lombardi..., convegno della rivista “Rifondazione” e della Associazione Riccardo Lombardi, Roma, 19 novembre 1996, ed. PRC, Roma, 1997, p. 37.
35Ivi, p. 38
36Matteo GADDI, Introduzione a Il dibattito sul controllo operaio, Milano, Punto rosso, 2019, p. 15. Il testo riporta il progetto di legge Morandi- D'Aragona e propone un legame fra le posizioni morandiane dell'immediato dopoguerra e le Sette tesi sul controllo operaio di Panzieri e Libertini, pubblicate da “Mondo operaio” nel febbraio 1958.
37Rodolfo MORANDI, in Matteo GADDI, cit., p. 19.
38Rodolfo MORANDI, in Gianni ALASIA, cit., p 39.
39Antonio GAMBINO, in Matteo GADDI, cit., p. 23.
40Aldo AGOSTI, Rodolfo Morandi, il pensiero e l'azione politica, Bari, Laterza, 1971.
41Cfr. Pietro NENNI, La politica delle cose, in “L'Avanti!”, 8 maggio 1955.
42Rodolfo MORANDI, Intervento, in 31° congresso nazionale del PSI, Milano, ed. Avanti!, 1955.
43Ivi.
44Nella ricca Rodolfo MORANDI, Discorso al 6* convegno nazionale della gioventù socialista, Perugia, 2 luglio 1955, in Rodolfo MORANDI, La politica unitaria, Torino, Einaudi, 1975.
45Stefano MERLI, Fronte antifascista e politica di classe, cit., p. XXXV
46Non è questo il luogo per riproporre il nodo continuità/discontinuità fra Togliatti e Gramsci e per confrontare l'interpretazione togliattiana con altre.
47Gaetano ARFE', Il Partito socialista in esilio e il Centro Socialista Interno, in “Critica sociale”, 20 novembre 1963.
48Tullio VECCHIETTI, Relazione, in PSI, 35° congresso nazionale, Roma, 25-29 ottobre 1963, Roma, ed. Avanti! 1964, p. 131.
49Franco LIVORSI, Morandi oggi, in “Mondo nuovo”, 14 novembre 1971.
50Lucio LIBERTINI, Morandi, un problema attuale, in “Mondo nuovo”, 21 novembre 1971.
51Cfr. Morandi: teoria e lotta politica, in “Mondo nuovo”, 28 novembre 1971.
52Tullio VECCHIETTI, Una viva presenza nel dibattito e nella lotta, in “Mondo nuovo”, 25 luglio 1971.
53Ivi.
54Cfr. Tullio VECCHIETTI, Morandi, la lezione della storia, in “Mondo nuovo”, 5 dicembre 1971.
55Stefano MERLI, Fronte antifascista e politica di classe, cit., p. XL.
56Merli contesta fortemente la linea gramsciana. Cfr. il discutibile saggio: I nostri conti con la teoria della rivoluzione senza rivoluzione di Gramsci, in “Giovane critica”, n. 17, autunno 1967.
57Stefano MERLI, Fronte antifascista e politica di classe, cit., p. 180.