Undicesimo capitolo
del nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia
comunista". All'inizio degli anni Trenta la repubblica di Weimar
crolla. Hitler conquista il potere. Inizia un'epoca tragica per la
Germania e il mondo. Anche la vita di Korsch ne è sconvolta.
Giorgio Amico
Di fronte al
fascismo (1931-1933)
Sempre più distaccato
dalla vita politica attiva, dal 1930 al 1933 Korsch si dedica ad
un’intensa attività di ricerca, allacciando nuovi rapporti anche
con realtà non marxiste. I suoi nuovi interessi lo portano a
viaggiare molto in Francia, Belgio, Olanda e Spagna dove stabilisce
stretti contatti con la Federazione Anarchica Iberica (FAI) e con i
sindacalisti libertari della CNT. 1
Comunista senza partito,
continua intanto a tenere conferenze e seminari, anche se
l’inasprirsi della guerra civile strisciante fra nazionalsocialisti
e organizzazioni operaie rende sempre più pericoloso l’agire
pubblicamente per chi non possa appoggiarsi su di un’organizzazione
in grado di garantire l’autodifesa. Spirito inquieto, curioso di
ogni novità intellettuale, egli approfitta del ridursi degli impegni
pratici per dedicarsi a nuovi campi di studio: la statistica, la
matematica, la sociologia. Così come segue con interesse le teorie
del «circolo viennese» e di Wittgenstein. 2
Come abbiamo visto nel
capitolo precedente, per Korsch la teoria marxista è l’espressione
del movimento rivoluzionario realmente esistente. In un periodo
controrivoluzionario questa teoria non può che svilupparsi che come
pura scienza separata dal suo contenuto reale e di conseguenza
trasformarsi in ideologia. È appunto ciò che è accaduto in
Germania e che ha dato origine in parallelo al «revisionismo»
bernsteiano e all’«ortodossia» kautskiana. Agli inizi degli anni
Trenta egli non crede più che la teoria possa essere restaurata
nella sua integrità rivoluzionaria mediante una semplice operazione
filologica.
Il ritorno a Marx può
solo consistere nel recupero del legame spezzato fra teoria e prassi.
Ma questo non può avvenire in astratto, né per opera della semplice
volontà politica. Proprio in ciò consisteva l’illusione generosa,
ma sterile di Lenin. Il ristabilimento reale di questo legame
necessita dell’esistenza pratica di un movimento rivoluzionario del
proletariato. Solo così il marxismo può depurarsi degli elementi
ideologici borghesi che ha in qualche modo assimilato. Ora,
nell’Europa degli anni Trenta l’unico movimento che risponda a
queste caratteristiche è il movimento anarchico spagnolo e così,
pur restando marxista, Korsch si volge verso la Spagna. 3
A fianco della Spagna
Nel giugno del 1931 egli
si reca a Madrid, per presenziare al congresso della CNT. Korsch
viaggia in compagnia dell’anarcosindacalista berlinese Augustin
Souchy che rappresenta il suo contatto con l’ambiente libertario.
Souchy, che durante la guerra civile dirigerà l'ufficio propaganda
estera della CNT/FAI, lo mette in comunicazione con i principali
esponenti dell’anarchismo iberico. Korsch rimanr profondamente
colpito da questi contatti, ma ciò che lo impressiona di più è la
spontanea carica rivoluzionaria manifestata dai proletari spagnoli.
Da questo momento dedicherà grande attenzione a seguire l’evolvere
della situazione spagnola e del movimento anarchico.
“Chiunque si
intrattenesse in queste settimane – annota in un articolo su La
rivoluzione spagnola– con gli operai rivoluzionari e non osservasse
tanto i programmi teorici quanto la loro attività pratica e gli
atteggiamenti effettivi verso la nuova situazione creatasi con la
rivoluzione di aprile, ha ricevuto senza dubbio una impressione
profonda”. 4
Ciò che maggiormente lo
colpisce in “questa grande massa operaia con alle spalle più di
sessant’anni di azione diretta” è la quasi fanatica fedeltà
agli ideali rivoluzionari, l’indipendenza, la capacità di
sopportare anche i più duri sacrifici in nome della causa della
libertà. Di contro, egli sottolinea poi come non esista in Spagna un
Partito comunista, né vi siano segni che se ne possa formare uno in
un prossimo futuro:
“Ci sono tre sette
comuniste, più in ostilità tra loro e verso le autentiche
organizzazioni rivoluzionarie di massa del proletariato spagnolo che
verso i nemici di classe. Una setta segue le direttive di Stalin, la
seconda quelle dei seguaci di Trotsky, mentre solo la terza, il
gruppo dei comunisti federalisti di Catalogna, sotto la guida di
Maurin, può essere considerata un prodotto in certa misura atoctono
del movimento spagnolo. Nessuno di questi tre gruppi ha una qualche
influenza pratica all’interno del movimento operaio spagnolo”. 5
Le uniche organizzazioni
operaie a base di massa sono quelle della CNT, egemonizzate dagli
anarchici, in cui il proletariato si riconosce e in cui si sta
alacremente organizzando. Korsch coglie con estrema lucidità le
contraddizioni della situazione spagnola: la debolezza strutturale
della Repubblica, l’incertezza politica di una borghesia priva di
una vera rappresentanza politica, la questione nazionale irrisolta in
Catalogna e nel Paese basco, le trame reazionarie della Chiesa
cattolica e dei monarchici. Una situazione rivoluzionaria che vede
fronteggiarsi lo schieramento rivoluzionario e quello della reazione
sullo sfondo della realtà esplosiva delle campagne che può fungere
da detonatore:
“L’unica forma in cui
ci si può attendere lo scatenamento di queste nuove forze sociali
nell’attuale situazione rivoluzionaria, e con buone probabilità
visti i recenti terremoti rivoluzionari in Andalusia, è il confronto
sulla questione agraria che si impone con storica necessità.
Occorrerebbe una relazione a parte per dare un quadro solo
approssimativo della situazione miserrima e oppressa dei braccianti
spagnoli, dei piccoli proprietari cosiddetti «indipendenti» simili
di fatto nella loro miseria senza speranza ai lavoratori senza
proprietà, dell’immensa distanza e contrasto tra i giganteschi
latifondi dei grandi proprietari terrieri e l’esistenza da schiavi
dei braceros segnata da costanti periodi di lunga
disoccupazione, le loro disperate rivolte sempre ogni volta
divampanti e ogni volta soffocate nel sangue, tutto lo spreco e il
blocco di sviluppo delle forze produttive che ne consegue”. 6
Korsch si sente a suo
agio fra i proletari spagnoli che veramente null’altro hanno da
perdere se non le loro catene. In Spagna gli pare di verificare
quella saldatura fra teoria rivoluzionaria e pratica dell’azione di
massa che in Germania era mancata e che per un breve periodo aveva
illuminato le città e le campagne russe. Poco importa che il
movimento sia egemonizzato dagli anarchici, ciò che conta che il
processo rivoluzionario avviato vada avanti e investa direttamente lo
Stato. Superata per sempre l’ubriacatura “leninista”, Korsch
non crede più in obiettivi di partito separati da quelli del
movimento reale. Egli pensa che sia finalmente giunto il momento di
andare oltre le barriere che storicamente dividono il campo
proletario tra marxisti e anarchici in nome di quello che resta
l’obiettivo finale vero della lotta del proletariato: la
realizzazione di una società senza classi. Per le sue potenzialità
libertarie la rivoluzione spagnola può concretamente andare oltre i
limiti storicamente evidenziate dalle due grandi insorgenze
proletarie della Comune di Parigi del 1871 e della rivoluzione
d’Ottobre del 1917. La rivoluzione, sconfitta in Germania e in
Russia, può ripartire dalla Spagna. 7
“È tempo di rendersi
conto molto chiaramente dei due elementi fondamentali della vera
teoria rivoluzionaria proletaria che rischiano d’essere accantonati
a causa del loro temporaneo adattamento a certe esigenze pratiche di
fasi di lotta, come quella della rivolta della Comune di Parigi del
1871 e della rivoluzione russa d’Ottobre del 1917. L’obiettivo
finale vero e proprio della lotta di classe proletaria non è uno
Stato sia pure «democratico», «comunale» oppure «basato sui
consigli», bensì la società comunista senza classi e senza Stato,
il cui elemento costitutivo non è più un qualche potere politico,
bensì quella «associazione in cui il libero sviluppo di ogni
individuo è il presupposto per lo sviluppo libero di tutti»
(Manifesto comunista)”. 8
La critica del
fascismo
Tornato in Germania,
Korsch si trova a doversi confrontare con la minaccia crescente
rappresentata dalle milizie naziste. Anche all’Università per i
professori “rossi” la situazione diventa sempre più
insostenibile: quotidianamente gli studenti nazionalsocialisti e
monarchici esigono a gran voce l’espulsione dei “traditori” e
dei “bolscevichi”. L’attività accademica di Korsch è nel
mirino della destra estrema, sempre più spesso le sue lezioni
vengono interrotte e gli studenti che vi partecipano minacciati.
Questo clima così teso non distoglie Korsch dal suo lavoro di
ricerca. Come già nelle trincee di Francia o nell’abortito
tentativo insurrezionale del 1923, anche in questi frangenti così
tragici egli si dimostra un uomo coraggioso. Continua così a portare
avanti le attività del suo «Circolo di studio critico del marxismo»
che per il periodo a cavallo fra il 1932 e il 1933 si incentrano
sulla ricerca di ciò che è vivo e ciò che è morto nel
marxismo. Nel 1932, un anno prima dell’avvento al potere di
Hitler, redige una serie di Tesi per la critica del concetto
fascista di Stato per controbattere le posizioni di chi vede nel
fascismo un ritorno al passato. Lo Stato fascista, scrive nella prima
tesi, “è uno Stato moderno.Il fascismo non significa ritorno a
strutture preborghesi”. 9
Per comprendere a fondo
il senso di questa affermazione che oggi a molti può apparire
scontata, occorre tener presente che per tutti gli anni Venti Karl
Kautsky aveva recisamente negato la possibilità che in Germania un
movimento fascista potesse andare al potere come era accaduto nel
1922 con Mussolini in Italia. Per Kautsky la democrazia aveva messo
troppo salde radici sul suolo tedesco ed il capitalismo era troppo
sviluppato perché si potesse assistere ad una ripetizione degli
avvenimenti italiani.
“Oggi i fascisti –
scrive questi nel 1927 – sono diventati i carnefici pagati della
libertà popolare. Sono certamente pericolosi, ma per fortuna solo in
determinate condizioni che non possono essere evocate dai signori
capitalisti secondo il loro volere. Per esercitare un effetto
politico, i fascisti devono raggiungere un numero consistente (in
Italia su 39 milioni di abitanti circa mezzo milione). In Germania
dovrebbero essere forti di un milione, per raggiungere questo
rapporto. In un paese industriale non è possibile mettere insieme un
numero così grosso di giovani vagabondi quali arnesi capitalistici.
In Italia le condizioni erano particolarmente favorevoli”. 10
Incapace di cogliere la
realta dei conflitti di classe della sua epoca, Kautsky legge il
fenomeno fascista alla luce esclusiva dell’arretratezza economica.
Come commenta Salvadori egli
“vedeva nel fascismo
solo la guerra civile, il disordine introdotto nella fase della presa
del potere; non coglieva la dinamica organica della dittatura
controrivoluzionaria e del legame fra reazione politica e
riorganizzazione complessiva del grande capitale. Vedeva insomma la
schiuma politica e piccolo-borghese, il terrorismo, vedeva nel
fascismo solo la longa manus della lotta antiproletaria,
non un nuovo regime in grado di diventare stabile e introdurre il suo
ordine”. 11
Contro questa pericolosa
illusione Korsch evidenzia nella seconda tesi come il fascista sia in
piena rottura con gli ideali politici della “prima borghesia”.
Lungi dall’essere espressione di forze sociali arretrate, che pure
utilizza per i suoi fini, il fascismo rappresenta una concezione
moderna di Stato che per usare le parole di Engels si può definire
lo “Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale”. 12
“Il concetto fascista
di Stato – chiarisce Korsch – si basa sulla negazione dell’idea
di Stato della prima borghesia. Significa disincanto di fronte agli
ideali politici del liberalismo e del socialismo di tutte le
versioni. Si appropria della critica della restaurazione, del
marxismo e del sindacalismo (Proudhon-Sorel) alle istituzioni e agli
ideali politici della prima epoca borghese”. 13
Un “disincanto”,
descritto con grande forza evocativa da Tarmo Kunnas nel suo bel
libro sul fascismo, 14 che Korsch coglie con grandissima lucidità e
pone coerentemente alla base dell’ideologia fascista stessa.
Un’ideologia capace di fondere al suo interno elementi contrastanti
e di usarli come materiali per la creazione di un nuovo mito dello
Stato. È quello che afferma Korsch nella terza tesi:
“A questo [la negazione
della vecchia idea di Stato] non contraddice anzi risponde la
consapevole creazione di un nuovo mito dello Stato. Il fascismo
collega nel senso di Pareto una prassi statale diretta, sobria,
disillusa, funzionale allo scopo (esercitata tramite élite) con
una mitologia statale assolutamente irrazionale (rappresentata dal
popolo, dalla razza e dalla massa)”. 15
In quest’opera di
rifondazione dello Stato, espressione della “monopolizzazione del
potere statale da parte della grande borghesia capitalistica”, il
fascismo entra in diretta concorrenza con le vecchie forze
rappresentative della borghesia, come la Chiesa. Korsch riprende per
chiarire il concetto un passo di Marx in cui si ricorda come “se il
monopolio produce la concorrenza, la concorrenza produce il
monopolio”. 16 Il fascismo rappresenta, dunque, sotto questo
aspetto una forma di totalitarismo imperfetto, un processo che si
sviluppa dialetticamente a partire dalle sue contraddizioni,
piuttosto che il mostruoso Behemot delineato da Franz Neumann
che egli criticherà vivacemente nel suo scritto su Struttura e
pratica del totalitarismo del 1942. 17 Incapace di liberare
nuove forze produttive, qui sta per Korsch la differenza principale
fra fascismo e bolscevismo, il fascismo rappresenta la forma più
avanzata di “Stato classista”:
“1. La ristrutturazione
fascista non significa rivoluzione economica, rottura radicale dei
vecchi rapporti di produzione e liberazione di nuove forze
produttive. Questa è la differenza principale fra fascismo e
bolscevismo – a parte le differenze di possibilità materiali e
ordine di grandezza.
2. Lo Stato fascista
significa la coesione del potere economico e politico della borghesia
contro il proletariato, quindi non il superamento dello Stato
classista, ma la costituzione dello Stato classista nella forma dello
Stato classista”. 18
Questa nuova forma di
Stato, ferocemente antiproletario, richiede ai proletari di
individuare forme nuove di azione:
“La nuova forma del
collegamento del potere di classe economico e politico della
borghesia nello «Stato totale» fascista esige nuove forme del
collegamento dell’azione economica e politica del proletariato”.
19
Per altre vie,
analizzando la “modernità” fascista, Korsch perviene ancora una
volta alla conclusione che la crisi del marxismo significa sul piano
pratico incapacità dei marxisti di dare espressione teorica adeguata
ai bisogni della lotta di classe proletaria. Di fronte al fascismo la
classe operaia è muta. Korsch è categorico nel denunciare in un
altro scritto dello stesso periodo che
“Nessuna delle correnti
marxiste odierne appare come espressione teorica adeguata ai bisogni
pratici della lotta di classe proletaria –rivoluzionaria nei suoi
mezzi e fini – bisogni persistenti nonostante le pesanti temporanee
sconfitte”. 20
Nella sua introduzione
alla raccolta degli scritti politici korschiani, Gian Enrico Rusconi
minimizza la portata della reazione di Korsch di fronte all’avvento
al potere del nazismo. Ancora una volta emerge una visione riduttiva
e svalutante del suo concreto operare:
“La visione politica di
Korsch agli inizi degli anni Trenta è talmente priva di prospettive
realistiche che l’avvento di Hitler al potere e il rapido
consolidarsi della dittatura nazista non sembrano rappresentare per
lui quel trauma che fu per molti marxisti tedeschi. È come se tutto
fosse già scontato – compresa la persecuzione cui ora è
sottoposto”. 21
Ci piacerebbe sapere dove
risiedano per Rusconi le “prospettive realistiche” a cui pensa,
se nel trionfalismo degli stalinisti che vedono nell’andata al
potere dei nazisti l’anticamera della vittoria definitiva del
proletariato, o nelle illusioni democratiche di Kautsky e della
socialdemocrazia, oppure nel sogno di Trotsky di una nuova
Internazionale, o, per concludere, nel silenzio ormai totale di
Bordiga. Comunque sia, almeno per quanto riguarda Korsch le cose
stanno in altro modo. Riprendiamo ancora una volta la testimonianza
di Hedda che ricostruisce con vivezza l’atteggiamento di Karl in
quei mesi:
“Ricordo l’ultima
conferenza che diede, nella serata del 28 febbraio 1933. Alla fine ci
trovavamo tutti in un caffè quando giunse la notizia che
il Reichstag stava bruciando. Parecchi dei partecipanti non
rientrarono a casa quella notte. Altri rincasarono e vennero
arrestati. La legge sull’affidabilità politica degli impiegati
statali fu approvata in aprile, e fu così che io e Korsch venimmo
privati dei nostri stipendi. Io fui licenziata il primo maggio, e il
nostro conto in banca venne messo sotto sequestro. Ci ritrovammo
quindi senza un soldo, e io mi trasferii in Svezia per lavorare.
All’inizio lui rimase a Berlino, senza dormire in casa e cercando
di organizzare delle attività anti-hitleriane clandestine. Molta
gente pensava ancora che la cosa non potesse durare, e nell’estate
lui e un mio ex-allievo organzzarono una riunione piuttosto numerosa
in una foresta fuori Berlino, alla quale presero parte rappresentanti
di gruppi molto diversi, compresi i cristiani, i sindacati, i
comunisti, i socialdemocratici e altri raggruppamenti sparsi come
la Gesellschaft für aesthetische Kultur. 22 Tennero
una grande conferenza, una delle più numerose mai organizzate senza
essere scoperte sotto il regime di Hitler. Cercarono di elaborare
delle modalità per lottare dall’interno della Germania, ma la
maggior parte di loro fu ben presto catturata e imprigionata o
uccisa. Korsch non venne preso e rimase in Germania fino al tardo
autunno del 1933, quando diventò impossibile dormire persino sotto
il riparo dei quartieri operai. A quel punto lui era diventato un
peso per i suoi amici. Brecht lo aveva invitato in Danimarca, così
egli vi si recò e soggiornò presso di lui”. 23
1 Federación Anarquista
Iberica (Federazione Anarchica Iberica). Fondata nel 1927, durante la
dittatura di Primo de Rivera, la FAI continua l’opera della vecchia
Federazione bakuninista nata a Barcellona nel giugno 1870.
Confederación Nacional del Trabajo (Confederazione Nazionale del
Lavoro). Fondata nel 1910, rappresenta fino all’avvento del
franchismo la maggior organizzazione sindacale spagnola. Per una
sintetica storia dell’anarchismo spagnolo cfr. G.
WOODCOCK, L’anarchia, Feltrinelli, Milano 1966. Per
quanto riguarda la CNT cfr. l’edizione italiana in 4 volumi di J.
PEIRATS, La C.N.T. nella rivoluzione spagnola, Edizioni
Antistato, Milano 1977.
2 Costituitosi nel 1929
intorno al matematico Hans Hahn, al sociologo Otto Neurath e al
filosofo Rudolf Carnap il circolo di Vienna sviluppa un particolare
interesse per le scienze formali (la logica e la matematica) con
particolare riguardo all’analisi del linguaggio scientifico.
Risente fortemente dell’influenza del giovane Wittgenstein. Per una
prima conoscenza della materia possono risultare ancora di grande
utilità i vecchi “classici” testi E. GARIN, Filosofia e
scienze nel Novecento, Laterza, Bari 1978 e E. PACI, La
filosofia contemporanea, Garzanti, Milano 1974.
3 Cfr.
A.R. GILES-PETERS, Karl Korsch: a marxist friend of anarchism,
Red and Black, 5, April 1973. Ora scaricabile dal sito
4 K. KORSCH, La
rivoluzione spagnola, in Scritti politici, 2, cit., p. 273.
5 Ivi, pp. 270-271.
6 Ivi, p. 279.
7 Una visione per molti
aspetti simile della rivoluzione spagnola si può trovare in D.
RENZI, Rivoluzione e socialismo: lezioni dalla Spagna ’36,
in Dialoghi sul socialismo, I, Prospettiva Edizioni, Roma 1998.
Il testo è la trascrizione della conferenza conclusiva dello Stage
estivo del 1996 dell’organizzazione Socialismo Rivoluzionario.
8 K. KORSCH, La
Comune rivoluzionaria (II), in Scritti politici, 2, cit., p.
265.
9 K. KORSCH, Tesi
per la critica del concetto fascista di Stato, in Scritti
politici, 2, cit., p. 307.
10 Citato in M.L.
SALVADORI, Kautsky e la rivoluzione socialista
1880/1938, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 317-318.
11 Ivi, p. 318.
12 F.
ENGELS, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla
scienza, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 110. Vale la pena di citare
per esteso questo passo, fondamentale per la comprensione della
natura dello Stato moderno democratico e totalitario (nella versione
sia fascista che staliniana). Scrive Engels: “Tutte le funzioni
sociali del capitalista sono oggi compiute da impiegati salariati. Il
capitalista non ha più nessuna attività sociale che non sia
l’intascar rendite, il tagliar cedole e il giocare in borsa, dove i
vari capitalisti si spogliano a vicenda dei loro capitali. Se il modo
di produzione capitalistico ha cominciato col soppiantare gli operai,
oggi esso soppianta i capitalisti e li relega, precisamente come gli
operai, tra la popolazione superflua, anche se in un primo tempo non
li relega tra l’esercito industriale di riserva. Ma né la
trasformazione in società per azioni e trust, né la
trasformazione in proprietà statale, sopprime il carattere di
capitale delle forze produttive. Nelle società per azioni e nel
trust questo carattere è evidente.E a sua volta lo Stato moderno non
è altro che l’organizzazione che la società borghese si dà per
mantenere le condizioni esterne generali del modo di produzione
capitalistico di fronte agli attacchi sia degli operai che dei
singoli capitalisti. Lo Stato moderno, qualunque ne sia la
forma, è una macchina essenzialmente capitalistica, uno Stato dei
capitalisti, il capitalista collettivo ideale. Quanto più
si appropria le forze produttive, tanto più diventa un capitalista
collettivo, tanto maggiore è il numero dei cittadini che esso
sfrutta. Gli operai rimangono dei salariati, dei proletari. Il
rapporto capitalistico non viene soppresso, viene invece spinto al
suo apice.La proprietà statale delle forze produttive non è la
soluzione del conflitto, ma racchiude in sé il mezzo formale, la
chiave della soluzione”(Le sottolineature sono nostre).
13 K. KORSCH, Tesi
per la critica…, cit., p. 307.
14 T. KUNNAS, La
tentazione fascista, Akropolis, Napoli 1981.
15 K. KORSCH, Tesi
per la critica…, cit., pp. 307-308.
16 Ivi,
p. 308.
17
Cfr. F. NEUMANN, Behemot. Struttura e pratica del
nazionalsocialismo, Feltrinelli, Milano 1977. La critica di Korsch è
contenuta in Scritti politici, 2, cit., pp. 349-358. Per una
impostazione marxista della questione cfr. D. GUÉRIN, Fascismo
e gran capitale, Schwarz, Milano 1956 e N. POULANTZAS, Fascismo
e dittatura, Jaca Book, Milano 1971. Per una interpretazione
storica cfr. H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, Edizioni
di Comunità, Milano 1996. Per un riesame recente dell’intera
questione cfr. E. TRAVERSO, La violenza nazista, il Mulino,
Bologna 2002. Siamo comunque convinti che fondamentale per
comprendere dall’interno le origini del fascismo resti lo studio di
W. REICH, Psicologia di massa del fascismo, Mondadori, Milano
1974.
18 K.
KORSCH, Tesi per la critica…, cit., pp. 308-309.
19 Ivi, p. 309.
20 K.
KORSCH, Crisi del marxismo, cit., p. 138.
21
G.E. RUSCONI, Autonomia operaia…, cit., p. XXIV.
22 Associazione per la
Cultura estetica; in tedesco nel testo.
23 H. KORSCH, cit., p.
14.