venerdì 13 ottobre 2017

12. Karl Korsch di fronte al fascismo (1931-1933)

    
Undicesimo capitolo del nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista". All'inizio degli anni Trenta la repubblica di Weimar crolla. Hitler conquista il potere. Inizia un'epoca tragica per la Germania e il mondo. Anche la vita di Korsch ne è sconvolta.

Giorgio Amico

Di fronte al fascismo (1931-1933)


Sempre più distaccato dalla vita politica attiva, dal 1930 al 1933 Korsch si dedica ad un’intensa attività di ricerca, allacciando nuovi rapporti anche con realtà non marxiste. I suoi nuovi interessi lo portano a viaggiare molto in Francia, Belgio, Olanda e Spagna dove stabilisce stretti contatti con la Federazione Anarchica Iberica (FAI) e con i sindacalisti libertari della CNT. 1

Comunista senza partito, continua intanto a tenere conferenze e seminari, anche se l’inasprirsi della guerra civile strisciante fra nazionalsocialisti e organizzazioni operaie rende sempre più pericoloso l’agire pubblicamente per chi non possa appoggiarsi su di un’organizzazione in grado di garantire l’autodifesa. Spirito inquieto, curioso di ogni novità intellettuale, egli approfitta del ridursi degli impegni pratici per dedicarsi a nuovi campi di studio: la statistica, la matematica, la sociologia. Così come segue con interesse le teorie del «circolo viennese» e di Wittgenstein. 2

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, per Korsch la teoria marxista è l’espressione del movimento rivoluzionario realmente esistente. In un periodo controrivoluzionario questa teoria non può che svilupparsi che come pura scienza separata dal suo contenuto reale e di conseguenza trasformarsi in ideologia. È appunto ciò che è accaduto in Germania e che ha dato origine in parallelo al «revisionismo» bernsteiano e all’«ortodossia» kautskiana. Agli inizi degli anni Trenta egli non crede più che la teoria possa essere restaurata nella sua integrità rivoluzionaria mediante una semplice operazione filologica.

Il ritorno a Marx può solo consistere nel recupero del legame spezzato fra teoria e prassi. Ma questo non può avvenire in astratto, né per opera della semplice volontà politica. Proprio in ciò consisteva l’illusione generosa, ma sterile di Lenin. Il ristabilimento reale di questo legame necessita dell’esistenza pratica di un movimento rivoluzionario del proletariato. Solo così il marxismo può depurarsi degli elementi ideologici borghesi che ha in qualche modo assimilato. Ora, nell’Europa degli anni Trenta l’unico movimento che risponda a queste caratteristiche è il movimento anarchico spagnolo e così, pur restando marxista, Korsch si volge verso la Spagna. 3



A fianco della Spagna

Nel giugno del 1931 egli si reca a Madrid, per presenziare al congresso della CNT. Korsch viaggia in compagnia dell’anarcosindacalista berlinese Augustin Souchy che rappresenta il suo contatto con l’ambiente libertario. Souchy, che durante la guerra civile dirigerà l'ufficio propaganda estera della CNT/FAI, lo mette in comunicazione con i principali esponenti dell’anarchismo iberico. Korsch rimanr profondamente colpito da questi contatti, ma ciò che lo impressiona di più è la spontanea carica rivoluzionaria manifestata dai proletari spagnoli. Da questo momento dedicherà grande attenzione a seguire l’evolvere della situazione spagnola e del movimento anarchico.

“Chiunque si intrattenesse in queste settimane – annota in un articolo su La rivoluzione spagnola– con gli operai rivoluzionari e non osservasse tanto i programmi teorici quanto la loro attività pratica e gli atteggiamenti effettivi verso la nuova situazione creatasi con la rivoluzione di aprile, ha ricevuto senza dubbio una impressione profonda”. 4

Ciò che maggiormente lo colpisce in “questa grande massa operaia con alle spalle più di sessant’anni di azione diretta” è la quasi fanatica fedeltà agli ideali rivoluzionari, l’indipendenza, la capacità di sopportare anche i più duri sacrifici in nome della causa della libertà. Di contro, egli sottolinea poi come non esista in Spagna un Partito comunista, né vi siano segni che se ne possa formare uno in un prossimo futuro:

“Ci sono tre sette comuniste, più in ostilità tra loro e verso le autentiche organizzazioni rivoluzionarie di massa del proletariato spagnolo che verso i nemici di classe. Una setta segue le direttive di Stalin, la seconda quelle dei seguaci di Trotsky, mentre solo la terza, il gruppo dei comunisti federalisti di Catalogna, sotto la guida di Maurin, può essere considerata un prodotto in certa misura atoctono del movimento spagnolo. Nessuno di questi tre gruppi ha una qualche influenza pratica all’interno del movimento operaio spagnolo”. 5

Le uniche organizzazioni operaie a base di massa sono quelle della CNT, egemonizzate dagli anarchici, in cui il proletariato si riconosce e in cui si sta alacremente organizzando. Korsch coglie con estrema lucidità le contraddizioni della situazione spagnola: la debolezza strutturale della Repubblica, l’incertezza politica di una borghesia priva di una vera rappresentanza politica, la questione nazionale irrisolta in Catalogna e nel Paese basco, le trame reazionarie della Chiesa cattolica e dei monarchici. Una situazione rivoluzionaria che vede fronteggiarsi lo schieramento rivoluzionario e quello della reazione sullo sfondo della realtà esplosiva delle campagne che può fungere da detonatore:

“L’unica forma in cui ci si può attendere lo scatenamento di queste nuove forze sociali nell’attuale situazione rivoluzionaria, e con buone probabilità visti i recenti terremoti rivoluzionari in Andalusia, è il confronto sulla questione agraria che si impone con storica necessità. Occorrerebbe una relazione a parte per dare un quadro solo approssimativo della situazione miserrima e oppressa dei braccianti spagnoli, dei piccoli proprietari cosiddetti «indipendenti» simili di fatto nella loro miseria senza speranza ai lavoratori senza proprietà, dell’immensa distanza e contrasto tra i giganteschi latifondi dei grandi proprietari terrieri e l’esistenza da schiavi dei braceros segnata da costanti periodi di lunga disoccupazione, le loro disperate rivolte sempre ogni volta divampanti e ogni volta soffocate nel sangue, tutto lo spreco e il blocco di sviluppo delle forze produttive che ne consegue”. 6

Korsch si sente a suo agio fra i proletari spagnoli che veramente null’altro hanno da perdere se non le loro catene. In Spagna gli pare di verificare quella saldatura fra teoria rivoluzionaria e pratica dell’azione di massa che in Germania era mancata e che per un breve periodo aveva illuminato le città e le campagne russe. Poco importa che il movimento sia egemonizzato dagli anarchici, ciò che conta che il processo rivoluzionario avviato vada avanti e investa direttamente lo Stato. Superata per sempre l’ubriacatura “leninista”, Korsch non crede più in obiettivi di partito separati da quelli del movimento reale. Egli pensa che sia finalmente giunto il momento di andare oltre le barriere che storicamente dividono il campo proletario tra marxisti e anarchici in nome di quello che resta l’obiettivo finale vero della lotta del proletariato: la realizzazione di una società senza classi. Per le sue potenzialità libertarie la rivoluzione spagnola può concretamente andare oltre i limiti storicamente evidenziate dalle due grandi insorgenze proletarie della Comune di Parigi del 1871 e della rivoluzione d’Ottobre del 1917. La rivoluzione, sconfitta in Germania e in Russia, può ripartire dalla Spagna. 7

“È tempo di rendersi conto molto chiaramente dei due elementi fondamentali della vera teoria rivoluzionaria proletaria che rischiano d’essere accantonati a causa del loro temporaneo adattamento a certe esigenze pratiche di fasi di lotta, come quella della rivolta della Comune di Parigi del 1871 e della rivoluzione russa d’Ottobre del 1917. L’obiettivo finale vero e proprio della lotta di classe proletaria non è uno Stato sia pure «democratico», «comunale» oppure «basato sui consigli», bensì la società comunista senza classi e senza Stato, il cui elemento costitutivo non è più un qualche potere politico, bensì quella «associazione in cui il libero sviluppo di ogni individuo è il presupposto per lo sviluppo libero di tutti» (Manifesto comunista)”. 8


La critica del fascismo

Tornato in Germania, Korsch si trova a doversi confrontare con la minaccia crescente rappresentata dalle milizie naziste. Anche all’Università per i professori “rossi” la situazione diventa sempre più insostenibile: quotidianamente gli studenti nazionalsocialisti e monarchici esigono a gran voce l’espulsione dei “traditori” e dei “bolscevichi”. L’attività accademica di Korsch è nel mirino della destra estrema, sempre più spesso le sue lezioni vengono interrotte e gli studenti che vi partecipano minacciati. Questo clima così teso non distoglie Korsch dal suo lavoro di ricerca. Come già nelle trincee di Francia o nell’abortito tentativo insurrezionale del 1923, anche in questi frangenti così tragici egli si dimostra un uomo coraggioso. Continua così a portare avanti le attività del suo «Circolo di studio critico del marxismo» che per il periodo a cavallo fra il 1932 e il 1933 si incentrano sulla ricerca di ciò che è vivo e ciò che è morto nel marxismo. Nel 1932, un anno prima dell’avvento al potere di Hitler, redige una serie di Tesi per la critica del concetto fascista di Stato per controbattere le posizioni di chi vede nel fascismo un ritorno al passato. Lo Stato fascista, scrive nella prima tesi, “è uno Stato moderno.Il fascismo non significa ritorno a strutture preborghesi”. 9

Per comprendere a fondo il senso di questa affermazione che oggi a molti può apparire scontata, occorre tener presente che per tutti gli anni Venti Karl Kautsky aveva recisamente negato la possibilità che in Germania un movimento fascista potesse andare al potere come era accaduto nel 1922 con Mussolini in Italia. Per Kautsky la democrazia aveva messo troppo salde radici sul suolo tedesco ed il capitalismo era troppo sviluppato perché si potesse assistere ad una ripetizione degli avvenimenti italiani.

“Oggi i fascisti – scrive questi nel 1927 – sono diventati i carnefici pagati della libertà popolare. Sono certamente pericolosi, ma per fortuna solo in determinate condizioni che non possono essere evocate dai signori capitalisti secondo il loro volere. Per esercitare un effetto politico, i fascisti devono raggiungere un numero consistente (in Italia su 39 milioni di abitanti circa mezzo milione). In Germania dovrebbero essere forti di un milione, per raggiungere questo rapporto. In un paese industriale non è possibile mettere insieme un numero così grosso di giovani vagabondi quali arnesi capitalistici. In Italia le condizioni erano particolarmente favorevoli”. 10

Incapace di cogliere la realta dei conflitti di classe della sua epoca, Kautsky legge il fenomeno fascista alla luce esclusiva dell’arretratezza economica. Come commenta Salvadori egli

“vedeva nel fascismo solo la guerra civile, il disordine introdotto nella fase della presa del potere; non coglieva la dinamica organica della dittatura controrivoluzionaria e del legame fra reazione politica e riorganizzazione complessiva del grande capitale. Vedeva insomma la schiuma politica e piccolo-borghese, il terrorismo, vedeva nel fascismo solo la longa manus della lotta antiproletaria, non un nuovo regime in grado di diventare stabile e introdurre il suo ordine”. 11

Contro questa pericolosa illusione Korsch evidenzia nella seconda tesi come il fascista sia in piena rottura con gli ideali politici della “prima borghesia”. Lungi dall’essere espressione di forze sociali arretrate, che pure utilizza per i suoi fini, il fascismo rappresenta una concezione moderna di Stato che per usare le parole di Engels si può definire lo “Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale”. 12

“Il concetto fascista di Stato – chiarisce Korsch – si basa sulla negazione dell’idea di Stato della prima borghesia. Significa disincanto di fronte agli ideali politici del liberalismo e del socialismo di tutte le versioni. Si appropria della critica della restaurazione, del marxismo e del sindacalismo (Proudhon-Sorel) alle istituzioni e agli ideali politici della prima epoca borghese”. 13

Un “disincanto”, descritto con grande forza evocativa da Tarmo Kunnas nel suo bel libro sul fascismo, 14 che Korsch coglie con grandissima lucidità e pone coerentemente alla base dell’ideologia fascista stessa. Un’ideologia capace di fondere al suo interno elementi contrastanti e di usarli come materiali per la creazione di un nuovo mito dello Stato. È quello che afferma Korsch nella terza tesi:

“A questo [la negazione della vecchia idea di Stato] non contraddice anzi risponde la consapevole creazione di un nuovo mito dello Stato. Il fascismo collega nel senso di Pareto una prassi statale diretta, sobria, disillusa, funzionale allo scopo (esercitata tramite élite) con una mitologia statale assolutamente irrazionale (rappresentata dal popolo, dalla razza e dalla massa)”. 15

In quest’opera di rifondazione dello Stato, espressione della “monopolizzazione del potere statale da parte della grande borghesia capitalistica”, il fascismo entra in diretta concorrenza con le vecchie forze rappresentative della borghesia, come la Chiesa. Korsch riprende per chiarire il concetto un passo di Marx in cui si ricorda come “se il monopolio produce la concorrenza, la concorrenza produce il monopolio”. 16 Il fascismo rappresenta, dunque, sotto questo aspetto una forma di totalitarismo imperfetto, un processo che si sviluppa dialetticamente a partire dalle sue contraddizioni, piuttosto che il mostruoso Behemot delineato da Franz Neumann che egli criticherà vivacemente nel suo scritto su Struttura e pratica del totalitarismo del 1942. 17 Incapace di liberare nuove forze produttive, qui sta per Korsch la differenza principale fra fascismo e bolscevismo, il fascismo rappresenta la forma più avanzata di “Stato classista”:

“1. La ristrutturazione fascista non significa rivoluzione economica, rottura radicale dei vecchi rapporti di produzione e liberazione di nuove forze produttive. Questa è la differenza principale fra fascismo e bolscevismo – a parte le differenze di possibilità materiali e ordine di grandezza.
2. Lo Stato fascista significa la coesione del potere economico e politico della borghesia contro il proletariato, quindi non il superamento dello Stato classista, ma la costituzione dello Stato classista nella forma dello Stato classista”. 18

Questa nuova forma di Stato, ferocemente antiproletario, richiede ai proletari di individuare forme nuove di azione:

“La nuova forma del collegamento del potere di classe economico e politico della borghesia nello «Stato totale» fascista esige nuove forme del collegamento dell’azione economica e politica del proletariato”. 19

Per altre vie, analizzando la “modernità” fascista, Korsch perviene ancora una volta alla conclusione che la crisi del marxismo significa sul piano pratico incapacità dei marxisti di dare espressione teorica adeguata ai bisogni della lotta di classe proletaria. Di fronte al fascismo la classe operaia è muta. Korsch è categorico nel denunciare in un altro scritto dello stesso periodo che

“Nessuna delle correnti marxiste odierne appare come espressione teorica adeguata ai bisogni pratici della lotta di classe proletaria –rivoluzionaria nei suoi mezzi e fini – bisogni persistenti nonostante le pesanti temporanee sconfitte”. 20

Nella sua introduzione alla raccolta degli scritti politici korschiani, Gian Enrico Rusconi minimizza la portata della reazione di Korsch di fronte all’avvento al potere del nazismo. Ancora una volta emerge una visione riduttiva e svalutante del suo concreto operare:

“La visione politica di Korsch agli inizi degli anni Trenta è talmente priva di prospettive realistiche che l’avvento di Hitler al potere e il rapido consolidarsi della dittatura nazista non sembrano rappresentare per lui quel trauma che fu per molti marxisti tedeschi. È come se tutto fosse già scontato – compresa la persecuzione cui ora è sottoposto”. 21

Ci piacerebbe sapere dove risiedano per Rusconi le “prospettive realistiche” a cui pensa, se nel trionfalismo degli stalinisti che vedono nell’andata al potere dei nazisti l’anticamera della vittoria definitiva del proletariato, o nelle illusioni democratiche di Kautsky e della socialdemocrazia, oppure nel sogno di Trotsky di una nuova Internazionale, o, per concludere, nel silenzio ormai totale di Bordiga. Comunque sia, almeno per quanto riguarda Korsch le cose stanno in altro modo. Riprendiamo ancora una volta la testimonianza di Hedda che ricostruisce con vivezza l’atteggiamento di Karl in quei mesi:

“Ricordo l’ultima conferenza che diede, nella serata del 28 febbraio 1933. Alla fine ci trovavamo tutti in un caffè quando giunse la notizia che il Reichstag stava bruciando. Parecchi dei partecipanti non rientrarono a casa quella notte. Altri rincasarono e vennero arrestati. La legge sull’affidabilità politica degli impiegati statali fu approvata in aprile, e fu così che io e Korsch venimmo privati dei nostri stipendi. Io fui licenziata il primo maggio, e il nostro conto in banca venne messo sotto sequestro. Ci ritrovammo quindi senza un soldo, e io mi trasferii in Svezia per lavorare. All’inizio lui rimase a Berlino, senza dormire in casa e cercando di organizzare delle attività anti-hitleriane clandestine. Molta gente pensava ancora che la cosa non potesse durare, e nell’estate lui e un mio ex-allievo organzzarono una riunione piuttosto numerosa in una foresta fuori Berlino, alla quale presero parte rappresentanti di gruppi molto diversi, compresi i cristiani, i sindacati, i comunisti, i socialdemocratici e altri raggruppamenti sparsi come la Gesellschaft für aesthetische Kultur. 22 Tennero una grande conferenza, una delle più numerose mai organizzate senza essere scoperte sotto il regime di Hitler. Cercarono di elaborare delle modalità per lottare dall’interno della Germania, ma la maggior parte di loro fu ben presto catturata e imprigionata o uccisa. Korsch non venne preso e rimase in Germania fino al tardo autunno del 1933, quando diventò impossibile dormire persino sotto il riparo dei quartieri operai. A quel punto lui era diventato un peso per i suoi amici. Brecht lo aveva invitato in Danimarca, così egli vi si recò e soggiornò presso di lui”. 23



1 Federación Anarquista Iberica (Federazione Anarchica Iberica). Fondata nel 1927, durante la dittatura di Primo de Rivera, la FAI continua l’opera della vecchia Federazione bakuninista nata a Barcellona nel giugno 1870. Confederación Nacional del Trabajo (Confederazione Nazionale del Lavoro). Fondata nel 1910, rappresenta fino all’avvento del franchismo la maggior organizzazione sindacale spagnola. Per una sintetica storia dell’anarchismo spagnolo cfr. G. WOODCOCK, L’anarchia, Feltrinelli, Milano 1966. Per quanto riguarda la CNT cfr. l’edizione italiana in 4 volumi di J. PEIRATS, La C.N.T. nella rivoluzione spagnola, Edizioni Antistato, Milano 1977.
2 Costituitosi nel 1929 intorno al matematico Hans Hahn, al sociologo Otto Neurath e al filosofo Rudolf Carnap il circolo di Vienna sviluppa un particolare interesse per le scienze formali (la logica e la matematica) con particolare riguardo all’analisi del linguaggio scientifico. Risente fortemente dell’influenza del giovane Wittgenstein. Per una prima conoscenza della materia possono risultare ancora di grande utilità i vecchi “classici” testi E. GARIN, Filosofia e scienze nel Novecento, Laterza, Bari 1978 e E. PACI, La filosofia contemporanea, Garzanti, Milano 1974.
Cfr. A.R. GILES-PETERS, Karl Korsch: a marxist friend of anarchism, Red and Black, 5, April 1973. Ora scaricabile dal sito
4 K. KORSCH, La rivoluzione spagnola, in Scritti politici, 2, cit., p. 273.
5 Ivi, pp. 270-271.
6 Ivi, p. 279.
7 Una visione per molti aspetti simile della rivoluzione spagnola si può trovare in D. RENZI, Rivoluzione e socialismo: lezioni dalla Spagna ’36, in Dialoghi sul socialismo, I, Prospettiva Edizioni, Roma 1998. Il testo è la trascrizione della conferenza conclusiva dello Stage estivo del 1996 dell’organizzazione Socialismo Rivoluzionario.
8 K. KORSCH, La Comune rivoluzionaria (II), in Scritti politici, 2, cit., p. 265.
9 K. KORSCH, Tesi per la critica del concetto fascista di Stato, in Scritti politici, 2, cit., p. 307.
10 Citato in M.L. SALVADORI, Kautsky e la rivoluzione socialista 1880/1938, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 317-318.
11 Ivi, p. 318.
12 F. ENGELS, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 110. Vale la pena di citare per esteso questo passo, fondamentale per la comprensione della natura dello Stato moderno democratico e totalitario (nella versione sia fascista che staliniana). Scrive Engels: “Tutte le funzioni sociali del capitalista sono oggi compiute da impiegati salariati. Il capitalista non ha più nessuna attività sociale che non sia l’intascar rendite, il tagliar cedole e il giocare in borsa, dove i vari capitalisti si spogliano a vicenda dei loro capitali. Se il modo di produzione capitalistico ha cominciato col soppiantare gli operai, oggi esso soppianta i capitalisti e li relega, precisamente come gli operai, tra la popolazione superflua, anche se in un primo tempo non li relega tra l’esercito industriale di riserva. Ma né la trasformazione in società per azioni e trust, né la trasformazione in proprietà statale, sopprime il carattere di capitale delle forze produttive. Nelle società per azioni e nel trust questo carattere è evidente.E a sua volta lo Stato moderno non è altro che l’organizzazione che la società borghese si dà per mantenere le condizioni esterne generali del modo di produzione capitalistico di fronte agli attacchi sia degli operai che dei singoli capitalisti. Lo Stato moderno, qualunque ne sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale. Quanto più si appropria le forze produttive, tanto più diventa un capitalista collettivo, tanto maggiore è il numero dei cittadini che esso sfrutta. Gli operai rimangono dei salariati, dei proletari. Il rapporto capitalistico non viene soppresso, viene invece spinto al suo apice.La proprietà statale delle forze produttive non è la soluzione del conflitto, ma racchiude in sé il mezzo formale, la chiave della soluzione”(Le sottolineature sono nostre).
13 K. KORSCH, Tesi per la critica…, cit., p. 307.
14 T. KUNNAS, La tentazione fascista, Akropolis, Napoli 1981.
15 K. KORSCH, Tesi per la critica…, cit., pp. 307-308.
16 Ivi, p. 308.
17 Cfr. F. NEUMANN, Behemot. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, Feltrinelli, Milano 1977. La critica di Korsch è contenuta in Scritti politici, 2, cit., pp. 349-358. Per una impostazione marxista della questione cfr. D. GUÉRIN, Fascismo e gran capitale, Schwarz, Milano 1956 e N. POULANTZAS, Fascismo e dittatura, Jaca Book, Milano 1971. Per una interpretazione storica cfr. H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano 1996. Per un riesame recente dell’intera questione cfr. E. TRAVERSO, La violenza nazista, il Mulino, Bologna 2002. Siamo comunque convinti che fondamentale per comprendere dall’interno le origini del fascismo resti lo studio di W. REICH, Psicologia di massa del fascismo, Mondadori, Milano 1974.
18 K. KORSCH, Tesi per la critica…, cit., pp. 308-309.
19 Ivi, p. 309.
20 K. KORSCH, Crisi del marxismo, cit., p. 138.
21 G.E. RUSCONI, Autonomia operaia…, cit., p. XXIV.
22 Associazione per la Cultura estetica; in tedesco nel testo.
23 H. KORSCH, cit., p. 14.