Nel novembre 1929, scontata la sua condanna, Bordiga venne liberato dal confino. Tornato a Napoli, riprese la sua professione di ingegnere non senza creare sconcerto in chi, compagni e avversari, pensava che il fondatore del Partito comunista avrebbe continuato la sua battaglia politica.
Giorgio Amico
8. L'ingegner Bordiga. Fine del confino e ritorno alla professione
Il 21 novembre 1929 terminato il periodo di confino di Bordiga tornò a casa e riprese non senza qualche difficoltà la sua professione di ingegnere edile. “Cominciò – si legge in una sua recente biografia – un nuovo e cupo capitolo della sua esistenza”. [1] Una ricostruzione drammatica, volutamente enfatizzata; in realtà come vedremo, confrontata a quella di Gramsci o anche solo della generalità dei quadri e dei dirigenti del Pcd'I, costretti a lunghi periodi di detenzione o periodicamente rinviati al confino, la condizione di Bordiga negli anni del regime non risultò poi essere davvero così cupa. Tanto che nel 1976, nella sua biografia del comunista napoletano primo studio organico dopo decenni di silenzio o di calunnie, Franco Livorsi, che pure in più occasioni lascia trasparire la sua simpatia per il personaggio, deve riconoscere che:
“Politicamente fu sempre sorvegliato, anche dopo essere stato rilasciato nel '29 dal confino di Ponza, ma nella sostanza fu lasciato tranquillo dal regime fascista”. [2]
I motivi di questa “tolleranza” sono molteplici e complessi e non escludono neppure una possibile benevolenza di Mussolini verso un “compagno” a lui molto vicino nel periodo della sua militanza rivoluzionaria nell'estrema sinistra del PSI. Di certo, una volta liberato Bordiga si comportò esattamente nel modo che il padre si era impegnato a garantire nella sua supplica al Duce, abbandonando completamente ogni forma anche minima di impegno politico e dedicandosi interamente alla famiglia e alla professione. Insomma se il regime lo lasciò tranquillo, egli fece altrettanto con il regime. Non si può inoltre escludere, anzi è da considerarsi probabile, una volontà precisa da parte delle autorità preposte alla sicurezza del regime di compromettere l'antico avversario, facendolo in qualche modo apparire come un rivoluzionario pentito o almeno in via di ravvedimento. Interessante la ricostruzione offerta da Spriano che riprende una nota del febbraio 1929 del capo della polizia a Mussolini:
«L'ispiratore - seppure molto indiretto - del movimento di sinistra resta sempre l'ing. Amadeo Bordiga, che ebbe in passato largo seguito tra le masse e che ancora oggi, per l'innegabile ingegno, gode molte simpatie. Il Bordiga, com'è noto, è da tempo confinato a Ponza. In previsione dei possibili e prevedibili sviluppi che la frazione sinistra del PCI potrà avere e delle ripercussioni politiche consequenziali non sembrerebbe inutile cercare di svalutare sin d'ora e di gettare un'ombra di sospetto sull'uomo più interessante e più pericoloso - Bordiga - commutando il confino in ammonizione e facendo prudentemente circolare, e negli ambienti di sinistra e in quelli centristi del PCI, la voce di un compromesso che sarebbe avvenuto tra Bordiga e il fascismo». [3]
Le conclusioni di Spriano sono prudenti: “Non sappiamo – scrive - se il consiglio sarà accolto. Bordiga verrà posto in libertà, come altri confinati, alla fine del 1929 ma le dicerie sul suo conto - probabilmente sparse ad arte - non mancheranno. .” [4]
In realtà i fatti sembrano dimostrare che il consiglio del capo della polizia fu accolto. In effetti le dicerie corsero, anzi presero presto l'aspetto di qualcosa di più corposo. Il giornale La Stampa di Torino, diretto da Curzio Malaparte, pubblicò una serie di articoli sulla condizione degli oppositori al confino. Gli articoli, chiaramente ispirati dal regime, volevano al tempo stesso presentare il confino come una “villeggiatura”, immagine che ebbe successo tanto da durare fino ai giorni nostri, e contemporaneamente discreditare gli oppositori rappresentandoli come personaggi contraddittori e ridicoli. L'inchiesta fu affidata a Mino Maccari, allora fascistissimo, che in particolare trattò della figura di Bordiga abbondando in particolari coloriti, e probabilmente falsi, come l'immagine della "strombettante automobile":
“Uno che si era decisamente affermato come professionista durante la sua permanenza all'isola era il noto comunista Bordiga, di professione ingegnere, che ha ormai lasciato da qualche tempo Ponza, essendo terminato il suo periodo di confino. Difficilmente, nelle ore di libertà, Bordiga era reperibile: oppure lo vedevi passare indaffarato, con borsa e cartella sotto il braccio, seguito da aiutanti armati di paline, di canne e di altri strumenti. Talvolta lo sorprendevi a bordo di una strombettante automobile. Bordiga era diventato l'ingegnere alla moda, l'ingegnere principe di Ponza, ereditando quella che era l'ambita prerogativa di un suo collega, in ingegneria e in sovversivismo e in confino, il torinese Rom.[ita], ex deputato massimalista. Ora che ha lasciato il confino come farà Bordiga a curare la numerosa clientela che si è creata nell'isola? Perché non fa domanda per ottenere il permesso di frequentare Ponza come libero professionista?”. [5]
La notizia per quanto ingigantita ad arte non era inventata, ma aveva un fondamento reale nell'ultimo periodo del confino a Ponza, quando Bordiga assieme ad altri due ingegneri confinati, il socialista Giuseppe Romita e il repubblicano Giobbe Giopp, intraprese con un certo successo l'attività professionale, dopo aver chiesto la debita autorizzazione alle autorità che l'accordarono con “insolita celerità” [6] e senza frapporre il minimo ostacolo. Sarà lo stesso Bordiga molti anni dopo a parlarne, senza manifestare il minimo imbarazzo, in una intervista al giornalista Giuseppe Fiori:
“Ripresi a fare l'ingegnere. I ponzesi erano piuttosto causidici, litigavano per questioni di confine dei terreni, e se una famiglia si affidava per la perizia a Peppino Romita, altro ingegnere confinato, la controparte veniva da me. Facevo anche progetti di case. Ma un giorno ci chiamano in Comune: "I vostri progetti non potranno più essere approvati". E perchè mai? Il confinato ha l'obbligo di lavorare. Deve mettersi forse in un mestiere che non sa? Inoltrammo ricorso al ministero dell'Interno. La risposta: picche”. [7]
In realtà la situazione si rivelò meno difficile del previsto e l'autorizzazione ai tre a svolgere la professione fu quasi immediatamente rinnovata. È probabile, soprattutto alla luce delle rivelazioni di Spriano, che ci sia stato nell'occasione un intervento diretto della polizia politica sulle autorità di Ponza. Come era ovvio, la cosa fu sfruttata dalla direzione del Partito comunista che qualificò questa attività professionale di Bordiga come un “meritato trattamento di favore che il governo fascista” riservava ad un oppositore pentito. [8] Ma il problema era reale; l'attività professionale di Bordiga creò sconcerto non solo fra gli “ortodossi”, ma anche fra i confinati che simpatizzavano con le posizioni della Sinistra. Il veder Bordiga, una volta liberato, tornare, anche se debitamente scortato da due poliziotti, negli anni successivi sull'isola a continuare i lavori edilizi intrapresi, non li lasciò indifferenti. Abbiamo in proposito due eloquenti testimonianze risalenti entrambe al 1932. Drammatica la prima, di Antonio Scappin, operaio comunista veneziano fino ad allora fedele seguace di Bordiga:
“Era venuto a Ponza per certi lavori. Io mi incontrai con lui, di nascosto dalla polizia (…). Quasi quasi venimmo alle mani. Sapendo che io ero stato uno dei suoi amici più fedeli egli mi accolse bene. Ma io scattai subito: «Tu, – gli gridai» - capo della sinistra del partito comunista, inviti i compagni a non combattere contro il fascismo! Tu li inviti a restare alla finestra! Quando sei stato espulso dal partito io ti ho difeso; tu sei stato il massimo esponente del partito, sai quanto ti ho sempre rispettato! E ora tu non solo vieni qui in quest'isola di prigionieri del fascismo a fare i tuoi affari privati, ma tu consigli ai comunisti di non combattere contro il fascismo». [9]
Meno emotiva, ma altrettanto dura, la testimonianza di Giorgio Amendola, che parla addirittura di aver provato “vergogna” nell'incontrare a Ponza, dove scontava una condanna a cinque anni di confino, Bordiga che tra l'altro era un vecchio amico di famiglia:
“Ricordo la mia vergogna quando, incontrando Bordiga che camminava tra due agenti vicino al porto di Ponza, mi accorsi che stava per abbracciarmi, perché mi conosceva da ragazzo. Io cercai invano di sottrarmi a quell'abbraccio. Non volevo fare uno scandalo, dare un pretesto alla polizia fascista, ma quell'abbraccio, di fronte allo sguardo inorridito dei compagni, mi turbò profondamente. Gli risposi dandogli del Lei, chiesi notizie di mio zio, e interruppi bruscamente il colloquio. Corsi a riferire subito ai compagni che non ero stato io a ricercare quell'incontro, ma che lo avevo subito. E in questo episodio non c'era soltanto il mio zelo di militante comunista, neofita, che voleva dimostrare la sua disciplina. C'era anche il fatto che io personalmente ero schifato dalla visione di un Bordiga che veniva a fare i suoi affari economici, a costruire villette nell'isola di Ponza, mentre c'era quel po' po' di dramma in Italia e in Europa”. [10]
Reazioni di militanti di un partito ormai stalinista nei confronti di un dissidente? Certo, ma nel comportamento di Bordiga all'indomani della sua liberazione dal confino nel novembre 1929 ci sono comunque non poche ombre, come inizieremo a vedere già nel prossimo articolo.
Note
1. Corrado Basile-Alessandro Leni, Amadeo Bordiga politico, Edizioni Colibrì, Milano, 2014, p. 594.
2. Franco Livorsi, Amadeo Bordiga, Editori Riuniti, Roma, 1976, p.353.
3. Paolo Spriano, Storia del partito comunista italiano, cit., pp. 182-83.
4. Ivi, p. 183.
5. Mino Maccari, Che cosa dicono i confinati, La Stampa, 9 settembre 1930.
6. A. Peregalli- S. Saggioro, Amadeo Bordiga, cit., p. 183.
7. Giuseppe Fiori, Il vecchio Bordiga oggi, La Stampa, 16 maggio 1970.
8. A. Peregalli- S. Saggioro, cit., p. 184.
9. Testimonianza di Antonio Scappin in: Renzo Rava (a cura di), I compagni. Storia del Partito comunista nelle storie dei suoi militanti, Editori Riuniti, Roma, 1971, p.184.
10. Giorgio Amendola, Intervista sull'antifascismo, Laterza, Bari, 1976, p. 119.
8. Continua