Giorgio Amico
15. Quando Bordiga si augurava la vittoria di Hitler e la distruzione dell'Inghilterra
Dunque, come abbiamo visto nel capitolo precedente, verso la fine degli anni Trenta Bordiga assume progressivamente posizioni fortemente ambigue verso il fascismo. Tesi decisamente respinta dagli storici di tendenza bordighista.
“Non corrisponde al vero – scrive Arturo Peregalli - come è stato detto anche da Paolo Spriano, che in questo periodo Bordiga abbia “Abbandonato il campo”, se con questa affermazione si intende che egli si sia allontanato dal comunismo e da una visione rivoluzionaria del processo sociale e politico”. [1]
A sostegno di questa affermazione porta una nota della polizia in cui nel 1939 un informatore comunica che il noto Antonino Natangelo dovendosi recare a Milano era stato incarico da Bordiga di portare agli amici il suo saluto solidale e la raccomandazione di rimanere pronti a ogni eventualità. Affermazione corretta, la nota esiste realmente, ma Peregalli omette di ricordare che la segnalazione reca un significativo appunto a margine in cui gli stessi dirigenti dell'OVRA esprimono riserve “sulla fondatezza del contenuto”. E d'altronde gli amici di Milano, che il Peregalli individua in Bruno Fortichiari, Onorato Damen e Luigi Repossi, non hanno lasciato nei loro scritti alcun riferimento ad un episodio che, se fosse avvenuto realmente, avrebbero sicuramente ricordato. Al contrario, come abbiamo visto, Damen rimprovera a Bordiga l'abbandono di ogni impegno politico e il rifiuto costante di prendere posizione. Ma c'è di più, a chiarire l'inaffidabilità delle affermazioni di Peregalli c'è un'altro documento di polizia con protagonista sempre Natangelo, ma del novembre 1937, citato da Mimmo Franzinelli nel suo studio sull'OVRA. Scrive Franzinelli:
“Un incontro casuale, a Milano, nel novembre 1937, tra due vecchi compagni di militanza politica, uno dei quali (Antonino Natangelo) era da poco stato a colloquio con Bordiga, fruttò un rapporto finito sulla scrivania di Bocchini; in un passaggio della relazione il delatore osservava: «Mi ha affermato che Bordiga è sempre comunista benché antistaliniano e che egli [il Natangelo] condivide pienamente il punto di vista di Bordiga». A fianco di questa frase un'annotazione tracciata a lapis blu evidenzia la valutazione del capo della polizia: «Se è comunista come Bordiga possiamo stare tranquilli».[2]
Un'annotazione rivelatrice dell'idea che di Bordiga hanno dopo sette anni di assidua sorveglianza le più alte cariche della polizia politica. Insomma, alla fine degli anni Trenta Amadeo Bordiga non fa più alcuna paura al regime, al contrario di altri ex esponenti della sinistra comunista come Onorato Damen, più volte arrestato e infine dal 1940 al 1943 inviato al confino. Certo la nota è del 1937 e il fatto segnalato da Peregalli è di due anni posteriore, ma nel lasso di tempo trascorso Bordiga non ha mutato atteggiamento e non ha ripreso interesse alla politica, ma si è ulteriormente avvicinato al regime rispetto alle posizioni già sbilanciate manifestate nel maggio 1936 in occasione della conquista di Addis Abeba. Con una dettagliata relazione nel giugno 1939, quindi immediatamente prima dello scoppio della guerra, la spia Alliotta informa i suoi superiori in merito a una conversazione avuta con Bordiga in cui questi ha manifestato entusiasmo per come la politica di Mussolini possa portare un colpo decisivo alle “plutocrazie anglo-francesi” e dunque all'imperialismo:
“Sono convinto che la guerra non si farà e che Lui avrà causa vinta su tutta la linea, per chè la Sua manovra è abile e sottile, e perché Egli sa dove deve arrivare certamente... mi pare ad un certo punto che, a misura che gli anni passano e che gli avvenimenti si accavallano, vada succedendo questo fatto singolare: mentre le democrazie si allontanano sempre più dalle nostre mete, il Fascismo vi si vada invece approssimando sempre più attraverso vie e metodi diversi – anzi profondamente diversi – da quelli sognati dai nostri... profeti! Certamente se questi qui riuscirà a scardinare le grandi plutocrazie anglo-francesi, avrà fatta, dal nostro punta di vista, opera più profondamente rivoluzionaria della Russia che oggi si dibatte in questo angoscioso dilemma: prostituirsi sino al punto di puntellare le democrazie traballanti”. [3]
Dunque, ancora nel giugno 1939 Bordiga sembra ritenere che la guerra non ci sarà grazie all'abilità diplomatica di Mussolini e che questo rappresenterà un colpo tale all'imperialismo anglo-francese da rappresentare, quasi per un'ironia della storia, la realizzazione degli ideali rivoluzionari comunisti abbandonati e traditi dall'Unione Sovietica di Stalin. Le posizioni che Bordiga assume quando poi la guerra scoppierà per davvero, saranno il logico sviluppo di questi ragionamenti sconcertanti. Bordiga ripone tutte le sue speranze nella vittoria dell'Asse ed in particolare della Germania e questo in base ad un ragionamento che oltre che aberrante è paradossale: da un lato la vittoria delle potenze dell'Asse significa l'annientamento dell'odiata democrazia borghese, dall'altro la Germania vincitrice, in quanto potenza meno forte degli Stati Uniti, lascerà margini di manovra maggiori all'azione rivoluzionaria del proletariato. Egli sembra pensare, riprendendo meccanicamente lo schema del 1917, che, se la guerra è destinata a scatenare la rivoluzione proletaria, questa sarà facilitata dalla vittoria tedesca che causerà una crisi irreversibile degli assetti imperialistici a partire dai suoi punti nevralgici, Francia e Gran Bretagna e l'esplosione motu proprio di un movimento rivoluzionario “batteriologicamente puro”.
Posizioni confermate da Arturo Peregalli e Sandro Saggioro, storici di formazione rigidamente bordighista, secondo cui per Bordiga “sarebbe stata preferibile la disfatta degli imperalismi più forti, di vecchia formazione democratica, perché ciò avrebbe reso più precari gli equilibri della società capitalistica del dopoguerra”. [4] Come poi un materialista come il comunista partenopeo potesse realmente concepire possibile la vittoria dello schieramento economicamente e militarmente più debole, resta un mistero. Correttamente Cortesi parla di una “fantasia astratta”. [5] Ma di una fantasia talmente radicata nel pensiero di Bordiga al punto di giudicare la sconfitta degli Stati fascisti e la vittoria della resistenza come un ulteriore passo indietro del proletariato italiano e internazionale sul cammino della rivoluzione. [6] Talmente radicata che, una volta scoppiata la guerra, in un colloquio sempre con il solito Alliotta Bordiga auspica addirittura un tempestivo intervento in guerra dell'Italia a fianco dei nazisti per accelerare il crollo definitivo dell'Inghilterra:
“Io che sono stato sempre – dichiara all'amico – un eterodosso in eterno conflitto con tutti, ad un certo momento – ancora assai prima che scoppiasse il conflitto armato dello scorso settembre – mi ero venuto a trovare di accordo con l'asse... dico sul serio: non dimostrarti sorpreso! Più esattamente ti dirò ero diventato hitleriano: né più né meno! Figlio caro, le radici della forca che pesa sul mondo si trovano a Londra e sono molto profonde... Bisogna distruggere Londra per scardinare la forca! […] Quindi il periodo della non belligeranza italiana […] fu per me un periodo di grave trepidanza... Il 10 giugno [data dell'ingresso in guerra dell'Italia, nota nostra] fu dunque per me quello che si dice un gran giorno. Ora però che Hitler si è ammosciato incomincio a perdere la fiducia che avevo nell'Asse pwer lo strozzamento e l'abbattimento del così detto colosso inglese, cioè per il maggior esponente del capitalismo […] Ma io spero ancora. Spero ancora che Hitler non rinunzierà alla lotta, ed andrà in fondo sino alle ultime estreme conseguenze”. [7]
Fantasie di una spia che vuole ingraziarsi i suoi capi? Assolutamente no, perché, simpatie hitleriane a parte, Bordiga riprenderà pubblicamente queste tesi in scritti del dopoguerra in cui, tirando un bilancio degli avvenimenti, rimprovererà alla Germania hitleriana di non aver portato a fondo l'attacco decisivo all'imperialismo britannico.
“Gli stati dell' Asse – scrive nel 1947 – e soprattutto la Germania, lanciati sulla via del successo […] non tentarono neppure di sommergere almeno uno dei fortilizi avversari, quello inglese, come avrebbero forse potuto conseguire, se, invece di irradiare puntate centrifughe per tutta l'Europa nell'Africa e poi verso l'oriente russo, lo avessero colpito a fondo Dunkerque nella secolare metropoli con tutte le loro risorse. Il crollo di questa, come sentiva la borghesia ultra-industriale governante il paese di Hitler, avrebbe sommerso il capitalismo mondiale o per lo meno lo avrebbe travolto in una crisi spaventosa, mettendo in moto le forze di tutte le classi e di tutti i popoli straziati dall'imperialismo e dalla guerra, e forse invertendo tremendamente le direttive sociali e politiche del colosso russo ancora inattivo”. [8]
Sono, punto per punto, esattamente le stesse considerazioni fatte ad Alliotta sette anni prima. E non solo a lui, se Giorgio Amendola, giunto a Roma nel luglio del 1943, fu informato dallo zio, intimo amico di Bordiga che in quel periodo risiedeva nella capitale, che «quel “pazzo” di Bordiga era arrivato ad auspicare la vittoria di Hitler contro la Russia» . [9] D'altronde , quando nel 1942, i "bordighisti" milanesi Fortichiari, Repossi e Lanfranchi inviarono un loro compagno, Ugo Arcuno, a Napoli per prendere contatti con Bordiga e farsi esporre il suo punto di vista sulla guerra, questi ne gelò le aspettative, tanto che Fortichiari chiese di iscriversi al PCI e Repossi, meno disposto a compromessi con lo stalinismo, al Partito socialista. Così Arcuno ricostruisce quel colloquio:
“Mi parlò circa un'ora e mezza, ed ebbi la sensazione che fosse come impazzito. Auspicava e credeva nella vittoria dell'asse. Considerava la vittoria del nazismo (che, se ben ricordo, definiva «socialismo autoritario») come una fase necessaria attraverso la quale il capitalismo doveva passare in tutti i paesi superando la fase pseudodemocratica; la vittoria degli Alleati non avrebbe che ritardato questo inevitabile processo”. [10]
Tesi ribadite ancora nel 1952, con il taglio distaccato e pontificale che Bordiga assume nel dopoguerra quando si autoinveste del compito di “restaurare” la teoria marxista, gravemente adulterata non solo dal riformismo socialdemocratico e dallo stalinismo, ma anche da tutte le correnti marxiste rivoluzionarie che a partire dai consiliaristi tedeschi e dai trotskisti si sono via via succedute, con l'unica eccezione, ça va sans dire, della Sinistra comunista italiana. Tendenza Bordiga si intende, ché già la tendenza Damen puzza di revisionismo.
“In linea generale può dirsi che è più sfavorevole al proletariato e alla sua rivoluzione la vittoria militare degli Stati borghesi più antichi, ricchi e stabili socialmente e politicamente. Esiste un diretto legame tra lo sfavorevole decorso della lotta proletaria in 150 anni […] e la costante vittoria della Gran Bretagna nelle guerre contro Napoleone e poi la Germania”. [11]
Un'ossessione quella della “perfida Albione”, la cui vittoria contro il nazismo, avrebbe ritardato per Bordiga di altri decenni la crisi irreversibile del capitalismo e l'avvento messianico della rivoluzione proletaria. Una visione ribadita pochi mesi più tardi sempre su Battaglia comunista, organo del piccolo Partito comunista internazionalista ricostituitosi nel 1943, in cui tirando un bilancio ultrasintetico della seconda guerra mondiale Bordiga scrive:
“Il migliore scioglimento è che vadano all'aria Inghilterra ed America. Purtroppo [sottolineatura nostra] non si è avuto: stravittoria per il capitalismo”. [12]
Che poi il trionfo del “nuovo ordine” hitleriano, fondato sullo sterminio sistematico degli ebrei e di chiunque osasse opporsi, oltre che sull'abbattimento dell'URSS e la riduzione dei popoli slavi a schiavi da sfruttare per lo sviluppo economico del “Reich millenario”, rappresentasse una vittoria potenziale per il proletariato, è davvero difficile da accettare anche in via meramente ipotetica. Se nel 1940 Bordiga poteva avere l'attenuante di non sapere nulla della Shoah, nel 1952 questo non è più possibile, a meno di negarne l'esistenza. Ed è proprio quello che, col pieno consenso di Bordiga, i bordighisti ultraortodossi del Partito comunista internazionale nel 1960 faranno con l'articolo «Auschwitz, ovvero il grande alibi» sulla loro rivista teorica francese Programme communiste. [13]
Note
1. Arturo Peregalli, Gli anni oscuri (1926-1945). in L. Cortesi (a cura di), Amadeo Bordiga nella storia del comunismo, cit., p.263.
2. M. Franzinelli, I tentacoli dell'OVRA, cit., pp. 168-69.
3. ACS-PP-B/1. Appunto anonimo del 15 giugno 1939 ma siglato col numero 591 corrispondente ad Angelo Alliotta. Ripreso in R. Gremmo, cit., p. 118.
4. A. Peregalli- S. Saggioro, Amadeo Bordiga.., cit., p. 229.
5. L. Cortesi, Amadeo Bordiga: per un profilo storico, cit., p. 39.
6. Ivi, p. 37.
7. ACS-PP-B/1. Appunto anonimo ma siglato col numero 591 corrispondente all'Alliotta. Ripreso come i precedenti da R. Gremmo, op. cit., pp. 121-22.
8. Le tesi della sinistra. Il corso storico del movimento di classe del proletariato. Guerre e crisi opportunistiche, Prometeo, serie I, n. 6, marzo aprile 1947. Anonimo ma attribuibile con sicurezza ad Amadeo Bordiga.
9. Lettera di G. Amendola a A. Leonetti del 21 gennaio 1976, in “La svolta del 1930 e il problema dello stalinismo, Belfagor, n.1, gennaio 1977.
10. Lettera di Ugo Arcuno a Togliatti del 16 marzo 1945. Ripresa in A. Peregalli – S. Saggioro, cit., p. 230.
11. Amadeo Bordiga, Le gambe ai cani, Battaglia comunista, n.11, 9 giugno 1952.
12. Amadeo Bordiga, Olimpiadi dell'amnesia, Battaglia comunista, n. 16, 28 settembre 1952.
13. Da notare come l'articolo, apparso comunque anonimo come era prassi del gruppo, sia commissionato, quasi a mettere le mani avanti nei confronti di possibili accuse di antisemitismo, a Martin Axelrad, un ebreo austriaco naturalizzato francese.
15. Continua