TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 21 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 11. I rapporti con la polizia politica. Un gioco pericoloso

 


Dal 1930 sino alla caduta del regime Bordiga fu attentamente controllato dalla polizia. Un rapporto controverso, non privo di ambiguità.

Giorgio Amico

11. I rapporti con la polizia politica. Un gioco pericoloso

Cerchiamo di ricapitolare: nel 1930 Bordiga è libero è ha ripreso la sua attività di ingegnere. Ha ostinatamente rifiutato ogni contatto con il Partito, ma anche con i compagni che ancora fanno riferimento a lui. Sia il PCI che la Frazione lo vorrebbero all'estero, ma Bordiga rifiuta e questo gli costa l'espulsione dal partito. La cosa sembra non toccarlo, anzi in un colloquio con il Questore di Napoli, egli si dichiara soddisfatto della misura disciplinare presa contro di lui perché ha reso evidente alle autorità che egli a nessun titolo può essere chiamato a rispondere delle iniziative dei suoi ex compagni. Sicuramente la sua situazione personale non è facile, lo stato di salute della moglie Ortensia si è aggravato, inoltre egli è stato radiato dall'albo degli ingegneri e quindi, può lavorare, ma non firmare i progetti. Nonostante la sua ostentata inattività politica egli è sottoposto a un costante controllo di polizia. Due agenti monitorano in permanenza ogni suo spostamento e ogni sua attivita, i suoi contatti sono controllati, i suoi amici spiati. Una situazione non certo rosea, ma neppure così catastrofica come è stata presentata in alcune ricerche soprattutto da storici vicini alla sinistra comunista. Intanto Bordiga è libero e, a parte i controlli, lasciato sostanzialmente indisturbato. A differenza della quasi generalità dei suoi ex compagni di confino non verrà più arrestato, né fermato. Certo, fu spesso convocato dagli organi polizia e interrogato. Sempre egli si dichiarò ormai estraneo a ogni attività politica, pur ribadendo di rimanere fermo sulle sue convinzioni comuniste, affermazioni che restavano però in quelle condizioni a livello puramente platonico. Una volta deciso di restare in Italia, Bordiga scelse, a differenza di altri compagni, come, Damen e Fortichiari verso i quali non a caso la pressione poliziesca fu ben più dura con arresti, fermi e periodi di carcerazione e di confino, di tenere una linea morbida verso il regime, senza cedimenti o abiure formali come la moglie gli richiedeva, ma aperta al colloquio. Un tentativo di accomodamento, probabilmente con la convinzione di essere lui a condurre il gioco, mantenendo volutamente un filo di ambiguità. Egli pertanto non si limitò a rispondere alle convocazioni periodiche delle autorità durate fino al 1934, ma fu lui stesso per tutti gli anni Trenta a sollecitare il contatto con lettere e memoriali.

Rivelatrice di come Bordiga affrontasse questi colloqui, con risposte aperte a diverse interpretazioni, è la dettagliatissima relazione che l'Alto Commissario per la Città e la Provincia di Napoli invia a Roma il 10 ottobre 1930 dopo un incontro con Bordiga convocato per chiarire la sua posizione politica e lo stato dei suoi rapporti con il partito. Bordiga inizia il colloquio ricostruendo per sommi capi la sua militanza politica negli anni precedenti la guerra mondiale, sottolineando con particolare enfasi la sua appartenenza nel partito socialista al “gruppo di Mussolini” con il quale aveva condiviso la lotta contro la Massoneria. Due affermazioni che di certo non potevano spiacere al funzionario che lo interrogava, sia perché alludevano ad una antica intimità con il Duce, sia perché non contrastavano l'accanimento con cui il regime, dopo aver posto fuori legge nel 1925 la Massoneria con una legge che precedeva di due anni lo scioglimento dei partiti, contrastava la sua riorganizzazione comminando anni di carcere e di confino ai pochi ostinati massoni che ancora cercavano di continuare i loro lavori rituali. Passato poi a narrare della sua attività e delle sue funzioni nel Partito comunista, Bordiga ci tiene a puntualizzare che per il periodo 1923-1926, e dunque dopo la marcia su Roma e la nascita del regime fascista, la sua attività era stata “prevalentemente di carattere teorico e di polemica interna”. Il che era in larga parte parte vero, ma rivolto ad un altissimo funzionario della polizia politica questa affermazione suonava anche come un tentativo di dividere le sue responsabilità da quelle del gruppo dirigente comunista per quanto riguardava l'organizzazione di un apparato clandestino e la continuazione dell'attività di propaganda contro il regime. Bordiga quindi si dilunga sulle polemiche interne all'Internazionale comunista, sui contrasti fra Trotsky e Stalin, accenna al “confusionismo” esistente nei ranghi della Opposizione di Sinistra. Certo, egli parla per accenni e in termini necessariamente generici, ma è del tutto ovvio che quelle affermazioni fatte con la massima tranquillità, potevano fornire alla polizia politica, che non difettava di abili analisti, indicazioni per orientarsi meglio nel variegato mondo della sinistra, per comprenderne meglio le dinamiche, ma soprattutto per verificare l'attendibilità delle informazioni che la rete delle spie infiltrate nel milieu degli emigrati politici all'estero forniva a getto continuo.

Davvero colpisce l'ingenuità dimostrata da un militante dell'esperienza e della preparazione di Bordiga, che non era certo uno sprovveduto qualsiasi, nell'infrangere la regola aurea dei rivoluzionari di tutti i tempi: parlare il meno possibile, non mettere la polizia in condizione di ricavare da affermazioni, magari ritenute prive di importanza, utili indicazioni per ricostruire il clima psicologico del campo avversario e i possibili punti di debolezza. Bordiga invece parla molto, anzi decisamente troppo e con scarsissima prudenza. Soprattutto si dilunga sulla sua attuale situazione, nel tentativo manifesto di convincere il funzionario della sua assoluta buona fede e di rassicurarlo sul fatto che egli, per propria decisione personale, non rappresenta più una minaccia per il regime. Non dimentichiamo che Bordiga sta parlando con la massima autorità di polizia a Napoli incaricata della repressione sul territorio dell'attività antifascista e non può dunque ignorare che tutto quello che sta dicendo diventerà subito dopo un rapporto per la Direzione generale della polizia politica. È del tutto evidente che egli sta parlando a nuora perché suocera intenda e che in realtà le sue rassicurazioni sono dirette non tanto e non solo al funzionario che lo sta interrogando, ma ai vertici nazionali della polizia politica se non addirittura allo stesso Mussolini. E sono affermazioni pesanti che riportiamo per esteso:

“Dopo il confino Bordiga è in Italia e la situazione italiana gli fa conchiudere che ogni azione politica è impossibile. Egli non desidera, come non ha mai desiderato di andare al confino o in carcere, pur essendosi adattato a starvi quando è capitato. Quindi mentre all'estero si discute su BORDIGA, egli non prende a tale tramestio alcuna parte. Bordiga ha delle opinioni a cui è coerente anche nella condotta personale: La demagogia e la reclame personale non lo interessano. Se le sue idee erano giuste o meno è una quistione indipendente dal suo contegno, coraggio o eroismo e chi si interessa potrebbe sostenere o combattere quelle tesi in sé stesse senza occuparsi di lui: ma purtroppo tutto si fa col metodo «parlamentare» ossia personale. BORDIGA come determinista crede che la storia si fa lo stesso senza di lui, non crede alle missioni di capi, ecc. ecc. Come materialista crede agli urti e agli interessi delle classi non alla fecondità del martirio o del sacrificio. Non trova quindi utile procurarsi un danno grave personale e familiare, senza alcun risultato, oltre la «bella figura» da mettere in valore in tempo buono. Egli si astiene ora da ogni attività. Gli apprezzamenti su tale suo contegno gli premono poco. Se si sapesse che egli pensa in tal modo non se ne dorrebbe certo, qualcuno ci potrebbe riflettere con risultati istruttivi. A meno che la coerenza non sia, come appunto anche per i comunisti di oggi, solo genere di uso esterno. Bordiga non ha difficoltà a pensare – per quanto non faccia dipendere l'avvenire dalle intenzioni – che per tutto il resto della sua vita possa anche non esercitare nessuna funzione in campo politico”. [1]

Il colloquio riportato conferma quanto scritto da uno studioso attento come Eros Frascangeli che in un breve saggio sul rivoluzionario napoletano così commenta:

“ Sebbene siano infondate le voci – fatte circolare dagli ambienti staliniani e dalle stesse autorità di PS – di una attività delatoria di Bordiga a favore del regime fascista, egli non esitò a intrattenere relazioni con i vertici del ministero dell'Interno, sia indirizzando varie istanze – finalizzate alla cura dei propri interessi – al dicastero retto da Mussolini, sia allacciando rapporti diretti con il capo della polizia Arturo Bocchini (e, poi, con i suoi successori) al fine di spostare a proprio vantaggio una faida familiare contro la cognata Linda De Meo (moglie dell'ex deputato socialista Corso Bovio)”. [2]

Ancora più dettagliato quanto Frascangeli, che ha sottoposto a un vaglio accuratissimo le carte relative a Bordiga depositate presso l'archivio Centrale dello Stato a Roma, aggiunge in nota:

“Cfr. ad esempio la lettera di Bordiga ad Arturo Bocchini del 23 settembre 1936 e il memoriale di Bordiga a Bocchini del 7 giugno 1937 in ACS, MI, DGRS, DAGR, CPC, b. 1722, fasc. 40980 «De Meo Italo Renato», nonché altri documenti autografi (lettere e memoriali) inviati ai vari capi della Polizia (Arturo Bocchini, Carmine Senise, Remo Chierici) o funzionari di PS ivi DGPS, Divisione polizia politica, fascicoli personali, serie B, b, i, f. 11556 «Bordiga Amedeo» e ACS, MI, DGPS, DAGR, CPC, b 747, fasc 811 «Bordiga Amedeo Adriano». Sebbene abbiano visionato il fascicolo personale del CPC di Bordiga, né Livorsi né Peregalli hanno fatto cenno dei rapporti tra il leader della sinistra comunista e la direzione generale di PS”. [3]

In realtà Peregalli qualcosa ammette, anche se poi evita con cura ogni commento ed anzi usa il fatto riportato come prova del controllo “assillante” a cui Bordiga sarebbe stato sottoposto. Convocato dalla Questura nel 1932 e interrogato in merito alle tensioni generatisi nei luoghi di confino, Bordiga avrebbe potuto benissimo limitarsi a rispondere che la sua esperienza in materia era terminata con la liberazione nel novembre di tre anni prima e che quindi su cosa stesse in quel momento accadendo nelle isole non era in grado di riferire nulla di preciso. Ed invece, secondo la sua tattica abituale, egli si diffonde largamente in spiegazioni, ricorda le sue esperienze passate ad Ustica, tenta da una parte di proteggere i confinati da eventuali iniziative giudiziarie, ma dall'altro entra nel merito dell'azione del Partito comunista e nei contrasti fra stalinisti e oppositori di sinistra con affermazioni incaute che aumentano, invece che smorzare, l'interesse della polizia nei suoi confronti. Tanto che il funzionario preposto al colloquio scrive ai suoi superiori di confidare in future dichiarazioni di sicuro interesse per il ministero.

“Egli è più che mai convinto – si legge nella relazione redatta dal funzionario – e insiste nell'affermare che in tutta la suddetta attività dei comunisti confinati sente il trucco e la montatura, anche ammettendo che qualche velleità vi sia, dovuta alla personale iniziativa di qualcuno, infatuato dall'azione clandestina ma incoraggiato e spinto da qualche agente provocatore. E il Bordiga, del quale ho motivo di non mettere in dubbio la sincerità, si dichiara sicuro che, continuandosi nelle indagini, si avrà la prova della macchinazione. Egli aggiunge infine che un po' di scalpore sul fatto e più ancora l'arresto ed eventualmente il rinvio a giudizio dei confinati farebbe soltanto il gioco del PCI nell'attuale momento. […] ho avuto coll'occasione tutto l'agio di discutere col Bordiga sulle polemiche dell'opposizione comunista. […] Bordiga è furibondo per le mille inesattezze ed errori, tanto degli staliniani che di tutti gli oppositori e non è da escludere che più in là avrò da lui dichiarazioni e confutazioni che potranno interessare il ministero”. [4]

“Ho avuto coll'occasione tutto l'agio di discutere col Bordiga sulle polemiche dell'opposizione comunista”, scrive nel suo rapporto il funzionario. Un dato a cui, Saggioro e Peregalli non attribuiscono alcuna importanza e che invece è significativo dell'ambiguità profonda e della pericolosità del gioco che Bordiga sta conducendo con le autorità. Mai, in nessuna occasione e per nessun motivo, si deve mettere a conoscenza la polizia delle discussioni e dei contrasti interni al campo rivoluzionario. È un dato elementare che fa parte dell'ABC di ogni rivoluzionario. Ma Bordiga non ne tiene conto e, pensando di giocare come il gatto col topo, entra nel merito dei presunti errori non solo degli stalinisti, ma anche dei suoi compagni dell'Opposizione di sinistra. Un comportamento inspiegabile in un comunista rivoluzionario, quale Bordiga orgogliosamente si considera. Concepibile solo come un tentativo furbesco di trovare un modus vivendi con il regime che gli permettesse una vita il più possibile normale. Non a caso, dopo i colloqui a cui abbiamo fatto riferimento, Bordiga, probabilmente convinto di aver offerto sufficienti prove della sua sincerità, avanzò formale istanza direttamente al Ministro degli Interni affinché gli fosse tolta la scorta dei due agenti che lo seguivano ovunque, anche durante i suoi viaggi di lavoro. Richiesta prontamente accolta, tanto che dal 14 giugno del 1934 egli poté muoversi in assoluta libertà. Dati importanti, di cui tuttavia i suoi biografi non hanno quasi parlato, forse per il timore che ciò potesse in qualche modo avallare le calunnie degli stalinisti. Ma ancora più sconcertante è il silenzio sulle affermazioni sulla politica del regime e poi sulla guerra che Bordiga si spinse a fare in colloqui privati con amici e parenti fra i quali non mancavano le spie. Ma di questo si parlerà più avanti.

Note

1. ACS-CPC (busta 135). Alto Commissariato per la Città e la Provincia di Napoli “BORDIGA Amadeo Adriano di Oreste - Comunista”, 10 ottobre 1930. Ripreso in R. Gremmo, Gli anni amari di Bordiga, cit, pp. 70-71.

2. Eros Frascangeli, Meandri dell'estrema: l'ingegner Bordiga, in Mario Isnenghi (a cura di), gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, volume IV.  Il Ventennio fascista, tomo 1 Dall’impresa di Fiume alla Seconda guerra mondiale (1919-1940), Torino, Utet, 2008, pp. 221.

3. Ivi, p. 223n.

4. ACS, Min. Interno, Dir. Fen. PS, A.g.e.r, KI, 1932, b. 32. Ripresa in A. Peregalli – S. Saggioro, cit., p. 199.

11. Continua