lunedì 30 novembre 2020

Per non dimenticare i morti da Covid.


Tempo fa mi è capitato di vedere, purtroppo solo in video, questa performance di Bobo Pernettaz e di un gruppo di artisti valdostani. Bobo recitava, come sa fare lui, uno splendido testo di Barbara Tutino in cui, con commozione – lo dico senza vergogna – mi sono totalmente ritrovato. Ho chiesto a Taz se potevo averlo e lui, generoso solo come un vecchio valdotain DOC sa essere, me lo ha girato. Lo riprendo adesso con un grazie enorme a Taz e a Barbara che non conosco, ma che da quello che scrive, sento vicina come una cara amica. (Per chi non lo conosce, Taz è l'uomo che indica con la mano un mondo che solo gli artisti veri sono capaci di vedere)

G.A. *




* Per leggere meglio il testo, cliccare sulle immagini.

Il "rinnegato" Korsch. Storia di un'eresia comunista



Karl Korsch, filosofo, dirigente rivoluzionario, teorico marxista, rappresenta una delle figure più interessanti del movimento comunista. In Italia, a parte un paio di brevi saggi su aspetti specifici della sua attività, come il rapporto con Bordiga, usciti negli anni '70, non esistono studi complessivi, tranne questo lavoro, pubblicato in poche centinaia di copie agli inizi degli anni 2000 e subito esaurito.

Il libro è ora online e può essere scaricato. Si prega solo, se utilizzato, di citare la fonte.

https://www.academia.edu/35483699/Il_rinnegato_Korsch_Storia_di_uneresia_comunista

domenica 29 novembre 2020

Da Porto Vado a Haifa. L'odissea della Wedgwood.

 


Una notte d'estate del 1946 più di mille fra uomini, donne e bambini si raccolsero sulla spiaggia di Porto Vado. Arrivavano dalla Polonia ed erano sopravvissuti allo sterminio. Partivano per la Palestina dove sognavano di rifarsi una vita. La loro storia è diventata un libro da poco pubblicato in Inghilterra.

Giorgio Amico

Da Porto Vado a Haifa. L'odissea della Wedgwood

Una notte d'estate del 1946 più di mille fra uomini, donne e bambini si raccolsero sulla spiaggia di Porto Vado. Scesero da grossi camion militari che portavano sulle fiancate una strana sigla : due righe azzurre attorno ad una bianca con al centro la stella di Davide e sopra la scritta Jevish Brigade. Poveramente vestiti con abiti recuperati, spesso pezzi di uniformi, attesero pazientemente nell' oscurità una piccola nave che a luci spente stazionava al largo. 

La nave, una vecchia corvetta della marina canadese, acquistata per pochi soldi da una strana società marittima di cui nessuno aveva mai sentito parlare, si avvicinò fino a quasi al litorale. In silenzio quella massa di fantasmi salì a bordo. La rada di Vado era stata scelta proprio per quello: i suoi alti fondali permettevano ad una nave di non grandi dimensioni di accostarsi molto alla spiaggia e in più la zona, a differenza dei grandi porti, non era sorvegliata. 

Quelle persone venivano da molto lontano, da un luogo di cui quasi nessuno allora conosceva l'esistenza, ma che sarebbe presto diventato tristemente famoso, un luogo chiamato Auschwitz, in Polonia. La nave, su cui salivano, si chiamava Wedgwood e la sua missione era di trasportarli in Palestina, la terra dei loro padri, l'antica Sion, ed era stata aquistata dal Mossad LeAliyah Bet, una branca segreta de l'Haganah, l'organizzazione di autodifesa ebraica. 


Una vecchia carretta, la Wedgwood, gravemente danneggiata da un sottomarino tedesco e destinata alla demolizione, comprata poi per poco da una ditta di New York copertura del Mossad. Tutta l'operazione era gestita dai soldati della Brigata ebraica, un'unità nata nel 1944 e incorporata nell'esercito inglese formata di ebrei reclutati in Palestina. Cinquemila uomini mandati a combattere in Italia e che dopo il 25 aprile 1945 erano stati dislocati a Tarvisio vicino al confine con l'Austria. 

Mente del progetto era però un'italiana, Ada Sereni. Una figura leggendaria. Nata a Roma Ada Ascarelli incontra giovanissima Enzo Sereni, insieme si trasferiscono in Palestina dove contribuiscono a fondare il grande kibbutz Ghivat Brenner, ancora oggi uno dei maggiori di Israele. Arruolatosi nella Brigata ebraica, Enzo è paracadutato dietro le linee tedesche in Italia e scompare. Finita la guerra, Ada torna in Italia alla ricerca del marito. Scopre che, fatto prigioniero dai tedeschi, Enzo era stato internato a Dachau e poi fucilato il 18 novembre 1944. Decide allora di restare in Italia e di continuare la battaglia intrapresa da Enzo. Diventa l'animatrice del programma segreto finalizzato al trasporto in Palestina dei sopravvissuti ai campi di sterminio e poi dal 1947 capo della stazione italiana del servizio segreto israeliano.


Il cuore della missione segreta era a Milano, a Palazzo Odescalchi. Da qui Ada programmò e diresse il passaggio attraverso l'Italia e poi l'imbarco di oltre 70 mila sopravvissuti alla Shoah fra cui molti bambini, raccolti e curati in una ex colonia fascista a Selvino in provincia di Bergamo. Un'opera colossale, svolta con il supporto logistico dei soldati della Brigata ebraica, mantenendo un assoluto segreto per eludere i controlli delle autorità militari inglesi che, per ordine di Churchill, cercavano con ogni mezzo di impedire l'arrivo degli ebrei in Palestina allora sotto il loro controllo.


    L'arrivo a Haifa della Wedgwood

Una giornalista inglese Rosie Whitehouse in libro, che già dal titolo si ispira alla spiaggetta di Porto Vado, da poco uscito in Inghilterra e che speriamo sia tradotto presto in italiano,  racconta la storia della Wedgwood. La sua partenza da Vado, la lunga navigazione, l'arrivo infine in Palestina e lo sbarco dei profughi ad Haifa nonostante il tentativo della marina inglese di bloccarne l'ormeggio. Una storia affascinante, degna di un romanzo di spionaggio, ricostruita dall'autrice soprattutto in base alle testimonianze dei pochi sopravvissuti, ora tutti ultraottantenni, fra cui un pescatore di Vado che quella notte vide quella massa di ombre imbarcarsi su una misteriosa nave senza luci.


sabato 28 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 17. Il mistero Bordiga

 


Giorgio Amico

17. Il mistero Bordiga


Gli “anni oscuri”, come sono stati definiti, di Bordiga in realtà poi, come abbiamo visto, tanto oscuri non sono. Anzi, esiste una mole piuttosto consistente di materiali, sparsi in libri, giornali e riviste che, uniti ai documenti di polizia conservati nel fascicolo intestato a Bordiga presso l'archivio Centrale dello Stato a Roma, permettono di ricostruire quasi giorno per giorno cosa egli fece in quegli anni, chi incontrò, che opinioni si andò via via formando del regime fascista e della politica di Mussolini. Opinioni, come si è visto oggettivamente spiazzanti, lontanissime da ciò che si presume possa pensare un comunista irriducibile in una situazione drammatica come quella del fascismo. Basta pensare ai Quaderni, redatti in carcere da un Gramsci abbandonato dal partito e sempre più malato, per capire, oltre che la grandezza morale prima che politica dell'uomo, come anche in situazioni estreme, come quella del carcere, la riflessione e l'impegno politico potessero continuare.

Per Bordiga non fu così. La sua fu oggettivamente una resa. Giustamente Damen scrive di un uomo rimasto schiacciato sotto le macerie del partito che più di ogni altro aveva contribuito a costruire e dell'Internazionale comunista. Ma c'è una causa più profonda che è visibile nelle tre fasi della vita politica di Bordiga, quella iniziale dalla militanza nella sinistra socialista al Congresso di Lione (1912-1926), quella degli anni del silenzio (1927-1944), quella della ripresa dell'attività politica e dell'elaborazione teorica (1944-1970). Causa legata alla particolare e del tutto personale interpretazione che Bordiga elabora del lascito teorico di Marx. È ancora Damen a offrirci un chiave interpretativa da cui partire per cercar di comprendere meglio l'enigma Bordiga. Scrive Damen:

“È mancato a Bordiga una giusta valutazione della dialettica per quel fondo della sua educazione basata prevalentemente sul dato scientifico che lo portava a vedere il mondo e la vita su di un piano di sviluppo razionale quando la realtà della vita sociale e della lotta rivoluzionaria lo ha messo spesso davanti ad un mondo che obbedisce in buona parte a spinte irrazionali. La metodologia basata sul dato matematico proprio della scienza non sempre combacia con la metodologia basata sulla dialettica che è movimento e contraddizione e questo sull'esame della politica rivoluzionaria e delle sue prospettive, non è di poco conto”. [1]

Una mancata comprensione della dialettica che lo porterà sempre più, man mano che aumenta il suo isolamento, a negare ogni influenza del fattore umano nei processi storici, a parlare astrattamente di classi senza comprendere che queste sono composte da uomini e donne in carne e ossa con le loro contraddizioni e che i rapporti di produzione, ce lo insegna Marx, altro non sono che i rapporti concreti e quotidiani che questi uomini e donne intrecciano a partire da un determinato assetto economico, ma anche culturale della società. Per cui le rappresentazioni che le masse si fanno del mondo non sono mere fantasie, ma hanno consistenza reale e vita propria. Tutto questo sfugge a Bordiga, prigioniero di un determinismo astratto fino al punto di vedere nella vittoria della barbarie nazista un “oggettivo” fattore di progresso per la causa proletaria.

Proprio per questa rigidità incline allo schematismo, nessun esponente di primo piano del marxismo fu quanto Bordiga ideologico, a partire dal rifiuto irrazionale e compulsivo della democrazia in tutte le sue forme, compresa quella proletaria, tanto da negarla anche per il partitino che si costruì a sua immagine e somiglianza nel 1952, sostituita da un evanescente “centralismo organico” che nessuno è mai riuscito a capire bene che cosa volesse realmente significare.

Eppure, al di là di queste considerazioni, questo lavoro non vuole essere uno strumento di polemica politica, cosa assolutamente priva di senso nel caso di un personaggio ormai così lontano dalla nostra esperienza, né tanto meno storica nei confronti dei tre o quattro libri già usciti sull'argomento. Scopo di questo lavoro è la narrazione di sedici anni della vita di un uomo, vista nella sua complessità, nelle sue debolezze e nelle sue contraddizioni.

Certo, Bordiga è stato uno dei protagonisti della storia del Novecento. Il suo ruolo egemone nella fondazione nel 1921 del Partito comunista e una parte dei suoi scritti del dopoguerra – a partire dal fondamentale Spazio contro cemento del 1953 – bastano ad assicurargli un posto di primo piano nella storia del movimento operaio e del marxismo.

Ma, nonostante Bordiga si vedesse come uno scienziato freddamente impersonale nel suo lavoro di analista dell'economia e della società, egli resta una figura profondamente umana proprio per le sue debolezze e contraddizioni. Per quanto grande, Bordiga non resse quando la vita lo costrinse a confrontarsi con realtà e forze più grandi di lui che non riuscì a padroneggiare e in parte neppure a comprendere proprio per quella mancanza di dialettica a cui già si è accennato. In questo Bordiga è un personaggio essenzialmente tragico, ben più di Gramsci che anche solo con l'ausilio di carta e penna seppe reggere meglio l'urto di contraddizioni gigantesche. Bordiga no. Posto di fronte allo spettacolo terribile della storia che già a partire dai primi anni venti cambiava direzione di marcia e di un sogno palingenetico di rivoluzione che si trasformava nell'incubo dello stalinismo, il suo disincanto fu devastante, una perdita di cui mai riuscì completamente a elaborare il lutto. Per questo nei suoi scritti, e in particola nei Fili del tempo, troviamo un continuo tornare all'indietro, a ciò che c'era prima della grande catastrofe.

Se a questo aggiungiamo poi anche il dramma di una moglie amatissima ma sempre più devastata da gravi disturbi mentali che insiste in ogni occasione perché egli si sottometta al regime e permetta a lei e ai figli di vivere una vita normale senza l'assillo costante della polizia, l'uomo Bordiga si presenta in tutta la sua fragilità, evidenziando debolezze, egoismi, meschinità e cinismi del tutto tipici dell'italiano che “tiene famiglia”.

Grazie alle testimonianze dei contemporanei e ai materiali di polizia, in particolare quelli raccolti da Roberto Gremmo, preziosi perché presentati pressocchè integralmente senza alcuna autocensura o timore di confermare le calunnie staliniste, il personaggio Bordiga esce così definitivamente dalla oscurità degli anni Trenta e può essere oggetto di una obiettiva valutazione che ormai, considerato il tempo trascorso, non può che essere di natura storica più che politica. Lo stesso non possiamo dire dell'uomo Bordiga, di cui molti comportamenti restano ancora, nonostante i materiali raccolti, di difficile comprensione. Insomma, come nei migliori gialli, il mistero Bordiga resta nonostante tutto irrisolto. Come avrebbe detto Humphrey Bogart, “è la condizione umana, bellezza”. E non ci si può fare proprio niente, se non mantenere un rispettoso silenzio.

Note

1. O. Damen, AmadeoBordiga, cit., pp. 21-22.


FINE



venerdì 27 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 16. La caduta del fascismo e il superimperialismo americano

 


Giorgio Amico

16. La caduta del fascismo e il superimperialismo americano


Ancora a fine aprile 1943, a pochi mesi dalla caduta del Duce e del fascismo, Bordiga espone all'amico Alliotta le sue convinzioni profonde sull'andamento della guerra. È un momento particolare, a causa della guerra le sue attività professionali, fino a quel momento abbastanza fiorenti, sino fortemente ridotte. Egli e la sua famiglia vivono, come la maggior parte degli italiani, in grandi ristrettezze economiche. All'incubo di bombardamenti, si unisce la difficoltà di trovare generi alimentari al di fuori di quel minimo che il tesseramento permette di acquistare:

“Non può permettersi il lusso – riferisce l'Alliotta ai suoi superiori – di rifornirsi alla borsa nera: ma anche quando i mezzi abbastanza modesti, di cui dispone, glielo permettessero, si rifiuterebbe di farlo, non per paura delle sanzioni sancite dalle leggi annonarie, ma perché convinto che, facendolo, ruberebbe il pane alla povera gente, a quella cioè che in questo momento soffre di più, perché della guerra sopporta tutti gli oneri senza ricavarne alcun beneficio”. [1]

Un'immagine umana che ci riconcilia con l'uomo Bordiga che, di fronte alle sofferenze imposte al popolo italiano dalla guerra, pare aver abbandonato quell'atteggiamento di ironico distacco, se non addirittura di disprezzo verso la massa che emerge dalle conversazioni degli anni Trenta. Lo stesso non si può dire delle sue convinzioni politiche, della sua ostinata convinzione che da un punto di vista proletario sia auspicabile la vittoria dell'Asse. Rispetto alle dichiarazioni del 1940 la grande novità è il ruolo che nei suoi ragionamenti ha preso posto l'imperialismo americano, soppiantando quello inglese. Gli Stati Uniti e non più l'Inghilterra sono ora il bastione più saldo del capitalismo e la loro vittoria sulla Germania significherebbe la fine dell'Europa come realtà autonoma e un pesante servaggio per il proletariato:

“Io posso dire – afferma Bordiga – di essere in questo d'accordo col Duce, quando Egli afferma che, se un uomo c'è che ha voluto diabolicamente la guerra, che l'ha prima preparata e poi suscitata, questo è il Presidente americano. Dal mio punto di vista chiarisco però che Roosevelt non è altro se non l'esponente del supercapitalismo che mira alla conquista di un imperialismo totalitario. […] Gli americani, senza spreco di uomini propri, ma con l'impiego dei mezzi colossali di cui dispongono, contano sull'esercito sovietico per vincere la guerra. Se la vinceranno, sarà instaurato sul mondo il più duro e più triste servaggio che abbia sinora registrato la storia”. [2]

Parlando con Alliotta Bordiga si rivela ben informato sulla situazione italiana, sui segnali già avvertibili della crisi che porterà il 25 luglio alla defenestrazione di Mussolini. Ma anziché gioirne, egli rivela un odio feroce verso le opposizioni che si stanno riorganizzando nel Paese “col favore del Vaticano e con quello della massoneria”, non privo, ed è la prima e probabilmente l'unica volta che accade, di accenti apertamente antisemiti. Così parlando dei tentativi di riorganizzazione del Partito socialista, giudicati peraltro ridicoli, egli se la prende col vecchio compagno di confino Romita, con cui pure a Ponza aveva fraternamente condiviso vitto e alloggio, definendolo “il prototipo del piccolo borghese che aspira al dominio politico solo per potersi arricchire con mentalità prettamente ebrea”. [3] Insomma, nonostante la sua affermazione, ripetuta anche in questa occasione, di essere solo “un osservatore e uno studioso”, Bordiga rivela in questo lungo colloquio quanto egli abbia negli anni assorbito la propaganda del regime, tanto da mostrare una fiducia totale nei proclami di Hitler e Mussolini sulle terribili “armi segrete” in loro possesso, destinate a invertire il corso della guerra e a decretare il trionfo dell'Asse:

L'illusione maggiore però è quella di coloro che ritengono che i regimi totalitari siano ormai rassegnati a sparire dalla scena del mondo senza tentare, nel campo delle operazioni belliche, qualcosa di nuovo, di straordinario quale nessuno finora prevede. È un errore madornale quello di pensare che il conflitto si approssimi al suo epilogo. Io penso che Mussolini e Hitler [...]stiano appunto esaminando le misure da prendere in questo senso e sono sicuro che la guerra avrà nuovi imponenti sviluppi, e che l'Asse, ben lungi dal posare le armi, darà ancora molto filo da torcere alle democrazie. Non mi sorprenderei affatto se l'odierna situazione militare dovesse rovesciarsi anche nel Mediterraneo. Mi pare di averne quasi la certezza”. [4]

Non stupisce che nessuno, con l'eccezione di Roberto Gremmo, autore di un libro discutibile per molti aspetti, ma sicuramente coraggioso, abbia fatto cenno a questa conversazione che rivela, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'immagine di un uomo che in odio alla democrazia, espressione del complotto pluto-massonico di dominio del mondo, solidarizza pienamente con il nazifascismo punta di lancia nella “lotta che i popoli poveri hanno impegnato contro il supercapitalismo” [5]. Fino al punto di augurarsi che Mussolini al più presto faccia “piazza pulita di tutti questi dilettanti che giocano alla rivoluzione” a partire da un “movimento secessionista che si sarebbe manifestato, e che si andrebbe sempre più allargando, nel seno dello stesso Partito Fascista, e che farebbe capo a Grandi ed a qualche altro dei suoi maggiori esponenti”. [6] E da concludere il suo ragionamento dichiarando orgogliosamente – beninteso in nome dei principi comunisti e marxisti che pensa di incarnare – che “il giorno in cui saranno sconfitte le democrazie anglo-americane suonerò anch'io la campana a festa”. [7].

Per fortuna del mondo, ma anche del proletariato, le cose andarono in altra maniera e, contrariamente alle sue aspettative, Bordiga assistette al crollo del fascismo e all'arrivo degli Alleati a Napoli dopo l'insurrezione spontanea del proletariato partenopeo che in quattro giornate di scontri feroci quasi a mani nude aveva costretto i tedeschi ad abbandonare la città. Episodio di cui egli , che in quel periodo viveva nella sua villetta di Formia, non ci risulta abbia mai parlato nei suoi scritti. Come si legge in quaderno degli internazionalisti di Battaglia comunista:

Con l'avanzare dei “liberatori” anglo-americani, dopo il loro sbarco in Sicilia e poi nella penisola, e di fronte ad un certo fermento di contestazione delle posizioni e delle parole d'ordine portate avanti da Togliatti e dai suoi accoliti (dopo lo sbarco del Migliore a Salerno), Bordiga persisterà nel suo personale isolamento. A chi, nei primi mesi del 1944, tentava di convincerlo ad assumere la direzione della dissidenza di sinistra, Bordiga rispondeva di pazientare, rimanendo se possibile ancora all'interno del partito di Togliatti.[…] Bordiga si limitava a brevi scambi di idee con qualche vecchio amico e compagno, tenendosi alla larga da ogni contatto - anche se richiesto - coi primi gruppi di operai e intellettuali che si andavano qua e là formando in una confusa opposizione al nuovo PCI e a seguito di qualche locale scissione su posizioni di richiamo a tradizioni anarchiche, social-massimaliste o addirittura e vagamente bordighiane”. [8]

Sarà il caso della Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti italiani, costituitasi agli inizi del 1944 a Napoli e in Campania il cui unico contributo di Bordiga fu una mezza paginetta dell'opuscolo Per la costituzione del vero Partito Comunista, redatto da Matteo Renato Pistone e da Libero Villone. Nonostante ciò resisteva il mito del Bordiga rivoluzionario, capo nel 1921 del Partito comunista. In una corrispondenza telefonica da Napoli del 14 giugno 1944, la Gazette de Lausanne, presentava Bordiga non solo come il più strenuo avversario della svolta di Salerno del PCI, ma anche come direttore del giornale Bandiera Rossa, organo dell'omonimo movimento molto attivo nella Resistenza romana ma con cui Bordiga non aveva mai avuto alcun contatto. Secondo il giornale auspicava l'arrivo in Italia dell'Armata Rossa sovietica e la liquidazione fisica degli ex fascisti. “Quando l'ora suonerà – avrebbe detto Bordiga – noi diremo la nostra a colpi di bombe. Non avremo né paura né pietà”. Una dichiarazione inventata di sana pianta, ripresa anche dalla Radio francese, che preoccupa quello che resta della Frazione bordighista in Francia che nel numero 7 del Bollettino di discussione che fa uscire e a Marsiglia, pubblica, tanto per mettere le mani avanti, una prudente precisazione:

Non riteniamo affatto – si legge nel comunicato – che un compagno della capacità ideologica di Bordiga possa esprimere tali posizioni che, al di là della fraseologia apparentemente radicale, non esprime che la posizione del capitalismo internazionale e del suo alleato: ‘il socialismo in un paese solo', che ha permesso di gettare il proletariato nella guerra imperialista. Le condizioni attuali non ci permettono di verificare con rapidità e precisione la veridicità dei fatti”. [9]

Timori nutriti anche dal PCI e tanto, se lo stesso giorno in cui mise piedi a Napoli, proveniente dall'Unione Sovietica, il 27 marzo 1944, la prima domanda che Togliatti rivolse ai dirigenti locali del partito fu “E Bordiga, che cosa fa Bordiga?”. Tranchant la risposta di Maurizio Valenzi: “Niente”. Al che Togliatti, incredulo, ribattè: “Non è possibile, cercate di capire”. [10] Toccò a Salvatore Cacciapuoti ribadire che, almeno fino ad allora, Bordiga non aveva manifestato in alcun modo il suo pensiero “né con la penna né con la parola”. [11] Nonostante questo, Togliatti, racconta un suo stretto collaboratore di allora, pareva addirittura “ossessionato dalla preoccupazione di Bordiga a Napoli” [12], ma di fronte alla realtà dei fatti dovette presto cambiare idea, tanto da raccontare anni dopo che, nonostante le voci che correvano, “da quella parte, però, non si mosse foglia”. [13]

Anche gli Alleati e in particolare gli Americani cercarono di capirne di più e soprattutto di verificare se in qualche modo il vecchio comunista napoletano poteva essere utilizzato contro il Partito comunista di Togliatti nell'ottica di quella che poi diventerà la guerra fredda. L'office of Strategic Services (OSS), l'antenato dell'attuale CIA, svolse un'indagine riservata su Bordiga i cui risultati furono poi inviati, il 19 ottobre 1944, a Washington:

Amadeo Bordiga, illustre pensatore marxista italiano uscito dalla vita pubblica dal 1926, vive attualmente a Roma. E' tuttora una dinamo umana e un gigante intellettuale. Incontra leaders politici di tutti i partiti in colloqui informali, ma smentisce ogni intenzione immediata di azione politica contro i comunisti con cui ruppe sulla scelta tra rivoluzione mondiale immediata o temporeggiamento.. Dal settembre 1943 ha vissuto in stato di estrema ristrettezza a Formia, a sud di Roma, a poca distanza dal fronte, con sua moglie e sua figlia medico. Intende tornare alla sua professione di ingegnere industriale. Non ha un soldo e rifiuta ogni genere di aiuto. Sua moglie vive nel terrore che anche lui, come Trotsky, possa essere assassinato qualora decida di rispondere agli appelli di migliaia di suoi fanatici seguaci e diventi così il capo di un partito comunista indipendente che può portare alla rovina l'attuale partito comunista ufficiale. Togliatti troverebbe in Bordiga un potente concorrente. […] Secondo Bordiga, Togliatti e il suo partito non sono comunisti. Sono solo uno strumento dello Stato russo. Bordiga disprezza Nenni, ma ha più rispetto per un socialista riformista come Modigliani [...] Il fascismo è la forma politica ed economica più moderna del capitalismo. Dopo la guerra il fascismo si spargerà in molti paesi capitalisti sotto diversi nomi.[...] La democrazia è una bugia, in nessun posto la gente vive democraticamente. Sono tutti guidati da piccoli gruppi. Quel che esiste è una dittatura della borghesia sotto nomi diversi”. [14]

Ma non fu il solo tentativo. Nell'estate del 1944 un altro agente dell'OSS, l'italo-americano Vanni B. Montana [15] cerca di prendere contatto con Bordiga, che allora viveva a Roma a casa di una cognata. L'agente parla di una iniziativa personale, dovuta a semplice curiosità, ma, considerato il ruolo che Montana avrà nelle vicende italiane di quegli anni, ci permettiamo di dubitarne:

Nell'agosto del 1944, trovandomi a Roma con Antonini poco dopo l'ingresso degli americani - la città era al buio, affamata - una curiosità suscitata dai ricordi giovanili mi fece cercare Amadeo Bordiga. Un giovane socialista di gran nome, mi disse: «Vuoi vederlo? Te lo faccio vedere». E così lo incontrai. Era rimasto lo stesso del 1921, però con l'aspetto fisico molto meno teso di allora. Non volle nessun aiuto, neanche un caffè. Si ricordava di me, di un articolo che verso il 1921 avevo scritto sull'occupazione, da me capeggiata, del feudo Zafferana nelle vicinanze di Mazara del Vallo in Sicilia. La moglie, Ortensia, della famiglia di Corso Bovio, era sofferente; me lo disse una sua sorella ed a questa, sperando che raggiungesse Ortensia, diedi un po' di quel che Sheba Strunsky, dell'International Rescue Committee, mi aveva consegnato per aiutare qualche bisognoso”. [16]

In realtà nonostante questi tentativi, Bordiga si manterrà una posizione defilata. Solo dalla metà del 1945 inizierà a collaborare , ma restandone al di fuori, con il Partito Comunista Internazionalista che Onorato Damen e Bruno Maffi hanno fondato a Milano:

Una vita politica più attiva da parte di Bordiga, ma sempre entro i limiti di un parziale impegno e senza alcuna diretta responsabilità, si comincerà a manifestare solo quando il Partito Comunista Internazionalista, presente al Nord d'Italia dove si era formato nel 1943, riuscì ad allacciare con lui i primi contatti [...] Bordiga, dalla seconda metà del 1945 in poi, non va comunque oltre una partecipazione e una collaborazione quasi anonima all'attività del partito, limitandosi cioè a un ruolo di consigliere politico, di collaboratore alla stampa, e a un primo riordino teorico delle fondamentali posizioni marxiste. […] Va ricordato ancora che Bordiga non era neppure iscritto al partito: non partecipò mai direttamente all'organizzazione e alle attività del partito; fu volutamente assente al Convegno di Torino (1945) e al Primo Congresso di Firenze (1948), nonostante le fraterne sollecitazioni e i telegrammi inviatigli dai compagni. In alcune lettere ne criticò anzi sia l'iniziativa che le modalità e i risultati. Quel medesimo atteggiamento di rifiuto e di condanna di ogni attività, allora clandestina, che aveva caratterizzato tutto il periodo del suo ritiro privato, riaffiorerà per buona parte in Bordiga dopo la caduta del fascismo” [17]

Due sono le convinzioni profonde nutrite da Bordiga alla fine della guerra, la prima riguardante l'antifascismo, considerato “il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo”,[18]  la seconda sulla assoluta impossibilità di una autonoma ripresa dell'azione di classe. Come sempre Bordiga ragiona per schemi: non essendo tempo di rivoluzione, non è tempo neppure di mettere in piedi partiti rivoluzionari.  Nel dopoguerra dunque non poteva esserci posto per una forza rivoluzionaria a sinistra del PCI. L'unica cosa possibile era un'attività di studio e di riflessione critica da svolgere secondo linee rigorosamente scientifiche nel più rigoroso anonimato. Da qui l'atteggiamento contraddittorio di partecipazione/non partecipazione tenuto fino al 1952, quando costruirà un suo partitino personale, nei confronti del Partito Comunista Internazionale. Ma questa è un'altra storia che esula completamento dai limiti del presente studio.

Note 

1. ACS-PP-B/1. Appunto anonimo, ma siglato col numero 591 (Angelo Alliotta), del 30 aprile 1943. Ripreso in R. Gremmo, Gli anni amari di Bordiga, cit., p. 127.

2. Ivi, p. 128.

3. Ivi, p. 130.

4. Ivi, p. 131.

5. Ivi, p. 129.

6. Ivi, p. 131.

7. Ivi, p. 132.

8. Il PC Internazionalista e il «bordighismo» del secondo dopoguerra, cit., p. 10.

9. Philippe Bourrinet, Un siècle de Gauche Communiste «Italienne» (1915-2015), cit., pp. 30-31.

10. Maurizio Valenzi, C'è Togliatti, Sellerio, Palermo, 1995, p. 19.

11. Salvatore Cacciapuoti, Storia di un operaio napoletano, Editori Riuniti, Roma, 1972, p.130.

12. Italo De Feo, Tre anni con Togliatti, Mursia, Milano, 1971, p. 111.

13.  Marcella e Maurizio Ferrara, Conversando con Togliatti, Edizioni di cultura sociale, Roma, 1953, p. 321.

14. Bordiga, il nemico del PCI. Ritratto CIA di un comunista contro, L'Espresso, n. 1, 5 gennaio 1995.

15. Giovanni Buscemi “Montana” , miltante siciliano del PSI e poi del PCd'I, arrestato nel 1923 e diventato un confidente dell'OVRA. Alla fine degli anni Venti emigra negli Stati Uniti dove assume il nome di Montana. Diventato un importante dirigente sindacale, per conto dell'OSS è in Italia nel 1944-45. Nel dopoguerra per conto della CIA sarà uno dei principali artefici della scissione del PSI e poi della CGIL e della nascita della UIL.

16. Vanni B. Montana, Ricordo di Amadeo Bordiga, Critica Sociale n. 16-17, 5 settembre 1970. Quanto al “giovane socialista di gran nome” si tratta di Matteo Matteotti.

17. Il P.C. Internazionalista e il bordighismo del secondo dopoguerra, cit., p. 11.

18. Alfa (Amadeo Bordiga), La classe dominante italiana ed il suo Stato nazionale, Prometeo n° 2, agosto 1946.


16. Continua

L'angolo di Bastian Contrario. Marx, Maradona e il Black friday, ovvero come rendersi antipatici in poche righe

 


L'angolo di Bastian Contrario

Marx, Maradona e il Black friday, ovvero come rendersi antipatici in poche righe


Oggi sui telegiornali, Maradona e il Black friday imperversano allegramente. Poche parole, invece sull'appoggio dato al governo dall'opposizione nell'ottica di una lotta finalmente comune alla pandemia che sta devastando l'Italia. Ma davanti a Maradona e alla Festa del consumo, tutto passa in secondo piano.

A Napoli, masse di descamisados, incuranti delle misure antiassembramento, piangono in piazza la morte di un miliardario debosciato e cocainomane, mentre il Manifesto straparla di “difensore dei poveri”, dimenticando allegramente le simpatie per il peronismo di destra, i rapporti a suo tempo ostentati con la camorra e i miliardi di evasione fiscale del “pibe de oro”. Denaro rubato non allo Stato italiano , ma proprio a quelle masse di diseredati che scontano ogni giorno a Napoli la drammatica insufficienza di servizi sociali, scolastici, sanitari.

Maradona, a sentire questi cialtroni televisivi, avrebbe “riscattato”Napoli da una condizione secolare di servaggio. Cialtronate ancor più ignobili in giorni in cui si contano a centinaia i morti per Covid in una città devastata, dove persino le ambulanze sono abusive e gestite dalla camorra.

A Roma invece piazze e vie piene di consumatori compulsivi, in coda davanti ai negozi di telefonia o di abbigliamento per assicurarsi a prezzi scontati l'ultimo modello di cellulare o capi, prodotti in Cina o in Bangladesh, ma firmati dai maestri dell'italian style. Tutti debitamente mascherinati, ma che con lo sguardo ebete del drogato da consumo ostentano con fierezza all'intervistatore i loro acquisti.

Ma come Bruto era un uomo d'onore, Maradona sapeva dar calci a un pallone e dunque non se ne può che parlar bene. Si sa: il genio non sempre coincide con la virtù e l'importante è sapere fare gol, magari con la mano, ma che importa, quello che conta veramente è il risultato. Quanto al Black friday meglio lasciar perdere... ci siamo già anche troppo rivelati per quello che siamo: pseudo intellettuali moralisti, piccolo borghesi elitari sviati da letture maldigerite e da un provincialismo bacchettone.

Quante idee sbagliate ci hai messo in testa, vecchio Marx, quando ci parlavi di proletariato e di comunismo, e di una umanità nuova che marciava inevitabilmente verso un futuro fatto di libertà e eguaglianza.







giovedì 26 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 15. Quando Bordiga si augurava la vittoria di Hitler e la distruzione dell'Inghilterra

 


Giorgio Amico

15. Quando Bordiga si augurava la vittoria di Hitler e la distruzione dell'Inghilterra


Dunque, come abbiamo visto nel capitolo precedente, verso la fine degli anni Trenta Bordiga assume progressivamente posizioni fortemente ambigue verso il fascismo. Tesi decisamente respinta dagli storici di tendenza bordighista.

“Non corrisponde al vero – scrive Arturo Peregalli - come è stato detto anche da Paolo Spriano, che in questo periodo Bordiga abbia “Abbandonato il campo”, se con questa affermazione si intende che egli si sia allontanato dal comunismo e da una visione rivoluzionaria del processo sociale e politico”. [1] 

A sostegno di questa affermazione porta una nota della polizia in cui nel 1939 un informatore comunica che il noto Antonino Natangelo dovendosi recare a Milano era stato incarico da Bordiga di portare agli amici il suo saluto solidale e la raccomandazione di rimanere pronti a ogni eventualità. Affermazione corretta, la nota esiste realmente, ma Peregalli omette di ricordare che la segnalazione reca un significativo appunto a margine in cui gli stessi dirigenti dell'OVRA esprimono riserve “sulla fondatezza del contenuto”. E d'altronde gli amici di Milano, che il Peregalli individua in Bruno Fortichiari, Onorato Damen e Luigi Repossi, non hanno lasciato nei loro scritti alcun riferimento ad un episodio che, se fosse avvenuto realmente, avrebbero sicuramente ricordato. Al contrario, come abbiamo visto, Damen rimprovera a Bordiga l'abbandono di ogni impegno politico e il rifiuto costante di prendere posizione. Ma c'è di più, a chiarire l'inaffidabilità delle affermazioni di Peregalli c'è un'altro documento di polizia con protagonista sempre Natangelo, ma del novembre 1937, citato da Mimmo Franzinelli nel suo studio sull'OVRA. Scrive Franzinelli:

“Un incontro casuale, a Milano, nel novembre 1937, tra due vecchi compagni di militanza politica, uno dei quali (Antonino Natangelo) era da poco stato a colloquio con Bordiga, fruttò un rapporto finito sulla scrivania di Bocchini; in un passaggio della relazione il delatore osservava: «Mi ha affermato che Bordiga è sempre comunista benché antistaliniano e che egli [il Natangelo] condivide pienamente il punto di vista di Bordiga». A fianco di questa frase un'annotazione tracciata a lapis blu evidenzia la valutazione del capo della polizia: «Se è comunista come Bordiga possiamo stare tranquilli».[2]

Un'annotazione rivelatrice dell'idea che di Bordiga hanno dopo sette anni di assidua sorveglianza le più alte cariche della polizia politica. Insomma, alla fine degli anni Trenta Amadeo Bordiga non fa più alcuna paura al regime, al contrario di altri ex esponenti della sinistra comunista come Onorato Damen, più volte arrestato e infine dal 1940 al 1943 inviato al confino. Certo la nota è del 1937 e il fatto segnalato da Peregalli è di due anni posteriore, ma nel lasso di tempo trascorso Bordiga non ha mutato atteggiamento e non ha ripreso interesse alla politica, ma si è ulteriormente avvicinato al regime rispetto alle posizioni già sbilanciate manifestate nel maggio 1936 in occasione della conquista di Addis Abeba. Con una dettagliata relazione nel giugno 1939, quindi immediatamente prima dello scoppio della guerra, la spia Alliotta informa i suoi superiori in merito a una conversazione avuta con Bordiga in cui questi ha manifestato entusiasmo per come la politica di Mussolini possa portare un colpo decisivo alle “plutocrazie anglo-francesi” e dunque all'imperialismo:

“Sono convinto che la guerra non si farà e che Lui avrà causa vinta su tutta la linea, per chè la Sua manovra è abile e sottile, e perché Egli sa dove deve arrivare certamente... mi pare ad un certo punto che, a misura che gli anni passano e che gli avvenimenti si accavallano, vada succedendo questo fatto singolare: mentre le democrazie si allontanano sempre più dalle nostre mete, il Fascismo vi si vada invece approssimando sempre più attraverso vie e metodi diversi – anzi profondamente diversi – da quelli sognati dai nostri... profeti! Certamente se questi qui riuscirà a scardinare le grandi plutocrazie anglo-francesi, avrà fatta, dal nostro punta di vista, opera più profondamente rivoluzionaria della Russia che oggi si dibatte in questo angoscioso dilemma: prostituirsi sino al punto di puntellare le democrazie traballanti”. [3]

Dunque, ancora nel giugno 1939 Bordiga sembra ritenere che la guerra non ci sarà grazie all'abilità diplomatica di Mussolini e che questo rappresenterà un colpo tale all'imperialismo anglo-francese da rappresentare, quasi per un'ironia della storia, la realizzazione degli ideali rivoluzionari comunisti abbandonati e traditi dall'Unione Sovietica di Stalin. Le posizioni che Bordiga assume quando poi la guerra scoppierà per davvero, saranno il logico sviluppo di questi ragionamenti sconcertanti. Bordiga ripone tutte le sue speranze nella vittoria dell'Asse ed in particolare della Germania e questo in base ad un ragionamento che oltre che aberrante è paradossale: da un lato la vittoria delle potenze dell'Asse significa l'annientamento dell'odiata democrazia borghese, dall'altro la Germania vincitrice, in quanto potenza meno forte degli Stati Uniti, lascerà margini di manovra maggiori all'azione rivoluzionaria del proletariato. Egli sembra pensare, riprendendo meccanicamente lo schema del 1917, che, se la guerra è destinata a scatenare la rivoluzione proletaria, questa sarà facilitata dalla vittoria tedesca che causerà una crisi irreversibile degli assetti imperialistici a partire dai suoi punti nevralgici, Francia e Gran Bretagna e l'esplosione motu proprio di un movimento rivoluzionario “batteriologicamente puro”. 

Posizioni confermate da Arturo Peregalli e Sandro Saggioro, storici di formazione rigidamente bordighista, secondo cui per Bordiga “sarebbe stata preferibile la disfatta degli imperalismi più forti, di vecchia formazione democratica, perché ciò avrebbe reso più precari gli equilibri della società capitalistica del dopoguerra”. [4] Come poi un materialista come il comunista partenopeo potesse realmente concepire possibile la vittoria dello schieramento economicamente e militarmente più debole, resta un mistero. Correttamente Cortesi parla di una “fantasia astratta”. [5] Ma di una fantasia talmente radicata nel pensiero di Bordiga al punto di giudicare la sconfitta degli Stati fascisti e la vittoria della resistenza come un ulteriore passo indietro del proletariato italiano e internazionale sul cammino della rivoluzione. [6] Talmente radicata che, una volta scoppiata la guerra, in un colloquio sempre con il solito Alliotta Bordiga auspica addirittura un tempestivo intervento in guerra dell'Italia a fianco dei nazisti per accelerare il crollo definitivo dell'Inghilterra:

“Io che sono stato sempre – dichiara all'amico – un eterodosso in eterno conflitto con tutti, ad un certo momento – ancora assai prima che scoppiasse il conflitto armato dello scorso settembre – mi ero venuto a trovare di accordo con l'asse... dico sul serio: non dimostrarti sorpreso! Più esattamente ti dirò ero diventato hitleriano: né più né meno! Figlio caro, le radici della forca che pesa sul mondo si trovano a Londra e sono molto profonde... Bisogna distruggere Londra per scardinare la forca! […] Quindi il periodo della non belligeranza italiana […] fu per me un periodo di grave trepidanza... Il 10 giugno [data dell'ingresso in guerra dell'Italia, nota nostra] fu dunque per me quello che si dice un gran giorno. Ora però che Hitler si è ammosciato incomincio a perdere la fiducia che avevo nell'Asse pwer lo strozzamento e l'abbattimento del così detto colosso inglese, cioè per il maggior esponente del capitalismo […] Ma io spero ancora. Spero ancora che Hitler non rinunzierà alla lotta, ed andrà in fondo sino alle ultime estreme conseguenze”. [7]

Fantasie di una spia che vuole ingraziarsi i suoi capi? Assolutamente no, perché, simpatie hitleriane a parte, Bordiga riprenderà pubblicamente queste tesi in scritti del dopoguerra in cui, tirando un bilancio degli avvenimenti, rimprovererà alla Germania hitleriana di non aver portato a fondo l'attacco decisivo all'imperialismo britannico.

“Gli stati dell' Asse – scrive nel 1947 – e soprattutto la Germania, lanciati sulla via del successo […] non tentarono neppure di sommergere almeno uno dei fortilizi avversari, quello inglese, come avrebbero forse potuto conseguire, se, invece di irradiare puntate centrifughe per tutta l'Europa nell'Africa e poi verso l'oriente russo, lo avessero colpito a fondo Dunkerque nella secolare metropoli con tutte le loro risorse. Il crollo di questa, come sentiva la borghesia ultra-industriale governante il paese di Hitler, avrebbe sommerso il capitalismo mondiale o per lo meno lo avrebbe travolto in una crisi spaventosa, mettendo in moto le forze di tutte le classi e di tutti i popoli straziati dall'imperialismo e dalla guerra, e forse invertendo tremendamente le direttive sociali e politiche del colosso russo ancora inattivo”. [8]

Sono, punto per punto, esattamente le stesse considerazioni fatte ad Alliotta sette anni prima. E non solo a lui, se Giorgio Amendola, giunto a Roma nel luglio del 1943, fu informato dallo zio, intimo amico di Bordiga che in quel periodo risiedeva nella capitale, che «quel “pazzo” di Bordiga era arrivato ad auspicare la vittoria di Hitler contro la Russia» . [9] D'altronde , quando nel 1942, i "bordighisti" milanesi Fortichiari, Repossi e Lanfranchi inviarono un loro compagno, Ugo Arcuno, a Napoli per prendere contatti con Bordiga e farsi esporre il suo punto di vista sulla guerra, questi ne gelò le aspettative, tanto che Fortichiari chiese di iscriversi al PCI e Repossi, meno disposto a compromessi con lo stalinismo, al Partito socialista. Così Arcuno ricostruisce quel colloquio:

“Mi parlò circa un'ora e mezza, ed ebbi la sensazione che fosse come impazzito. Auspicava e credeva nella vittoria dell'asse. Considerava la vittoria del nazismo (che, se ben ricordo, definiva «socialismo autoritario») come una fase necessaria attraverso la quale il capitalismo doveva passare in tutti i paesi superando la fase pseudodemocratica; la vittoria degli Alleati non avrebbe che ritardato questo inevitabile processo”. [10]

Tesi ribadite ancora nel 1952, con il taglio distaccato e pontificale che Bordiga assume nel dopoguerra quando si autoinveste del compito di “restaurare” la teoria marxista, gravemente adulterata non solo dal riformismo socialdemocratico e dallo stalinismo, ma anche da tutte le correnti marxiste rivoluzionarie che a partire dai consiliaristi tedeschi e dai trotskisti si sono via via succedute, con l'unica eccezione, ça va sans dire, della Sinistra comunista italiana. Tendenza Bordiga si intende, ché già la tendenza Damen puzza di revisionismo.

“In linea generale può dirsi che è più sfavorevole al proletariato e alla sua rivoluzione la vittoria militare degli Stati borghesi più antichi, ricchi e stabili socialmente e politicamente. Esiste un diretto legame tra lo sfavorevole decorso della lotta proletaria in 150 anni […] e la costante vittoria della Gran Bretagna nelle guerre contro Napoleone e poi la Germania”. [11]

Un'ossessione quella della “perfida Albione”, la cui vittoria contro il nazismo, avrebbe ritardato per Bordiga di altri decenni la crisi irreversibile del capitalismo e l'avvento messianico della rivoluzione proletaria. Una visione ribadita pochi mesi più tardi sempre su Battaglia comunista, organo del piccolo Partito comunista internazionalista ricostituitosi nel 1943, in cui tirando un bilancio ultrasintetico della seconda guerra mondiale Bordiga scrive:

“Il migliore scioglimento è che vadano all'aria Inghilterra ed America. Purtroppo [sottolineatura nostra] non si è avuto: stravittoria per il capitalismo”. [12]

Che poi il trionfo del “nuovo ordine” hitleriano, fondato sullo sterminio sistematico degli ebrei e di chiunque osasse opporsi, oltre che sull'abbattimento dell'URSS e la riduzione dei popoli slavi a  schiavi da sfruttare per lo sviluppo economico del “Reich millenario”, rappresentasse una vittoria potenziale per il proletariato, è davvero difficile da accettare anche in via meramente ipotetica. Se nel 1940 Bordiga poteva avere l'attenuante di non sapere nulla della Shoah, nel 1952 questo non è più possibile, a meno di negarne l'esistenza. Ed è proprio quello che, col pieno consenso di Bordiga, i bordighisti ultraortodossi del Partito comunista internazionale nel 1960 faranno con l'articolo «Auschwitz, ovvero il grande alibi» sulla loro rivista teorica francese Programme communiste. [13]

Note

1. Arturo Peregalli, Gli anni oscuri (1926-1945). in L. Cortesi (a cura di), Amadeo Bordiga nella storia del comunismo, cit., p.263.

2. M. Franzinelli, I tentacoli dell'OVRA, cit., pp. 168-69.

3. ACS-PP-B/1. Appunto anonimo del 15 giugno 1939 ma siglato col numero 591 corrispondente ad Angelo Alliotta. Ripreso in R. Gremmo, cit., p. 118.

4. A. Peregalli- S. Saggioro, Amadeo Bordiga.., cit., p. 229.

5. L. Cortesi, Amadeo Bordiga: per un profilo storico, cit., p. 39.

6. Ivi, p. 37.

7. ACS-PP-B/1. Appunto anonimo ma siglato col numero 591 corrispondente all'Alliotta. Ripreso come i precedenti da R. Gremmo, op. cit., pp. 121-22.

8. Le tesi della sinistra. Il corso storico del movimento di classe del proletariato. Guerre e crisi opportunistiche, Prometeo, serie I, n. 6, marzo aprile 1947. Anonimo ma attribuibile con sicurezza ad Amadeo Bordiga.

9. Lettera di G. Amendola a A. Leonetti del 21 gennaio 1976, in “La svolta del 1930 e il problema dello stalinismo, Belfagor, n.1, gennaio 1977.

10. Lettera di Ugo Arcuno a Togliatti del 16 marzo 1945. Ripresa in A. Peregalli – S. Saggioro, cit., p. 230.

11. Amadeo Bordiga, Le gambe ai cani, Battaglia comunista, n.11, 9 giugno 1952.

12. Amadeo Bordiga, Olimpiadi dell'amnesia, Battaglia comunista, n. 16, 28 settembre 1952.

13. Da notare come l'articolo, apparso comunque anonimo come era prassi del gruppo, sia commissionato, quasi a mettere le mani avanti nei confronti di possibili accuse di antisemitismo, a Martin Axelrad, un ebreo austriaco naturalizzato francese.

15. Continua

mercoledì 25 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 14. Bordiga, Mussolini, il fascismo e la guerra di Etiopia

 


Giorgio Amico

14. Bordiga, Mussolini, il fascismo e la guerra di Etiopia


Nonostante nel 1934 venisse sospesa la vigilanza attiva, fino alla caduta del regime nel luglio 1943 Amadeo Bordiga fu strettamente controllato da confidenti che si erano accativati oltre che la sua anche la fiducia della moglie: oltre all'avvocato Cassinelli, Virgilio Troiani, Angelo Alliotta, Ugo Girone, Luigi Villani e il misterioso fiduciario n. «145» di cui ancora resta ignota l'identità. [1] Con essi Bordiga ebbe frequenti scambi di idee in occasione dei quali espose senza reticenza il suo pensiero sui principali avvenimenti di politica internazionale e sul regime. Quelle conversazioni divennero immediatamente rapporti di polizia da cui oggi si può con un buon grado di attendibilità ricostruire quale fossero le opinioni di Bordiga negli anni, soprattutto dopo la vittoriosa guerra di Etiopia e la proclamazione dell'impero, in cui il regime ebbe effettivamente un larghissimo consenso popolare. In diverse occasioni Bordiga fa affermazioni molto forti, vere e proprie dichiarazioni di ammirazione per il regime e in particolare per l'azione soprattutto a livello internazionale di Mussolini.

Certo, esiste anche la possibilità, avanzata da qualcuno, che Bordiga, sospettando di parlare con possibile spie, si fosse fatto beffe dei suoi interlocutori calcando volutamente i toni e manifestando un consenso che in realtà non provava. Anche se questa ipotesi fosse vera, ma non esistono elementi per crederlo, si tratterebbe comunque non di una beffa, ma di una opportunistica captatio benevolentiae, finalizzata ad ottenere benefici molto concreti dal regime quali la sospensione della vigilanza, la totale libertà di muoversi nel paese e di svolgere la sua attività professionale, l'acquisizione di incarichi di lavoro, l'appoggio in una serie di cause legali che lo vedevano contrapposto ad una delle sorelle della moglie. Richieste tutte andate in porto e a cui fa riferimento il vasto carteggio con i massimi vertici della polizia citato nella ricerca di Eros Frascangeli.

Un comportamento furbesco al limite del ricattatorio che emerge con grande evidenza nel caso delle lettere “segrete” di Mussolini. Dal 1912 al 1914 Bordiga era stato uno dei più fedeli seguaci del Mussolini rivoluzionario, ferocemente antiriformista e antimassone. Una fascinazione che aveva retto al tempo, tanto che ancora negli anni Sessanta, quando egli cura una compilazione di testi, tutti rigorosamente pubblicati anonimi in quanto “tesi di partito”, come primo volume della storia della sinistra comunista italiana, inserisce anche uno scritto del Mussolini capo della estrema sinistra del Partito socialista. Causando non pochi equivoci, tanto che uno studioso illustre, assolutamente lontano dall'immaginare chi fosse l'autore dello scritto, ne aveva attribuito la paternità proprio a Bordiga che imperturbabile commentò che, se Mussolini allora era su una corretta linea rivoluzionaria, non si capiva il motivo per cui i suoi testi non dovevano essere ripresi. Ragionamento che avrebbe anche potuto avere un senso, ma solo se quei testi fossero stati firmati e quindi il lettore fosse stato messo in condizione di conoscerne l'autore. Quell'intensa collaborazione aveva prodotto un sostanzioso carteggio fra i due, dato che Bordiga viveva a Napoli e Mussolini a Milano dove era la redazione centrale dell'Avanti!. Nell'autunno del 1934 in una conversazione con un amico Bordiga tranquillamente dichiara di possedere documenti compromettenti per il Duce, ma che non intende farne uso.

“I comunisti francesi – afferma – tre anni fa mi hanno fatto chiedere, offrendomi centinaia di migliaia di franchi, una famosa lettera di Benito Mussolini scrittami nell'agosto 1914. Ma io questa lettera, e vorrei che il Duce lo sapesse, l'ho stracciata da tempo. Posseggo solo due lettere del Duce: una attacca Labriola e l'altra è insignificante”. [2]

In realtà la lettera non era stata distrutta, tanto che due anni più tardi Bordiga la faceva leggere all'avvocato Cassinelli pregandolo di mantenere la cosa assolutamente riservata. La lettera era effettivamente esplosiva, in essa il futuro Duce del fascismo attaccava duramente e con un linguaggio scurrile la politica antitedesca dello Stato francese al cui soldo presto si sarebbe messo pubblicando, proprio con fondi francesi Il Popolo d'italia e lanciando la violenta campagna interventista che lo avrebbe posto immediatamente fuori dal partito socialista. L'affare è oggettivamente spinoso, ma il rapporto di polizia, inviato da Virginio Troiani tramite cui Cassinelli manteneva i rapporti con l'OVRA, è ricco di dettagli rassicuranti:

“L'Ing. Bordiga afferma di essere onesto e di essersi sempre opposto a recare imbarazzo al Duce, come avrebbero voluto non pochi ex socialisti. Come ha distrutto la corrispondenza del Duce, riguardante l'eccitamento del popolo napoletano di togliere i binari della ferrovia e sabotare l'invio delle truppe in Africa (Libia), così l'Ing. Bordiga distruggerà qualunque altro documento in suo possesso, perché ora non si tratta solo delle fortune del Duce, ma si tratta dell'avvenire e delle fortune dell'Italia e degli Italiani!”. [3]

Un Bordiga, patriottico, preoccupato delle “fortune dell'Italia”, che usa spregiudicatamente le carte in suo possesso come una sorta di assicurazione sulla vita. Una immagine che confligge troppo col mito del rivoluzionario inflessibile e dalla “onestà morale ineccepibile”, tanto che, tranne Roberto Gremmo, nessuno di coloro che ha avuto accesso alle carte di polizia depositate presso l'Archivio Centrale dello Stato ha fatto il minimo accenno a questi due rapporti.

Ma allora, cosa pensa davvero Bordiga di Mussolini e del fascismo? Coerente con la sua visione schematica per cui fascismo e democrazia si equivalgono e fermamente convinto che, proprio perché può più facilmente fare breccia nel proletariato allontanandolo così dalla sua missione rivoluzionaria, l'antifascismo sia il peggior prodotto del fascismo, Bordiga si dichiara ferocemente avverso non solo alla politica del Partito comunista staliniano, ma anche alla Concentrazione antifascista che nel frattempo si è formata nell'emigrazione raccogliendo repubblicani, socialisti, dirigenti della vecchia CGL e massoni. Lo fa in un colloquio con il solito Alliotta che immediatamente ne gira il contenuto alla polizia:

“Cosa dovrei dirti poi – dice Bordiga all'amico – dell'ultima incarnazione dei variopinti fuorusciti, cioè della famosa... concentrazione? Professionismo politico, null'altro che professionismo. Superare il Fascismo per ritornare indietro, cioè alla politica... bloccarda, sotto le ali protettrici della massoneria? Ah no!| Io sono e rimarrò pregiudizialmente e decisamente antiparlamentarista: in questo senso sono assai più vicino a questi qui (il Bordiga accenna al Partito Fascista) e resto assai lontano da tutti i concentrazionisti, qualunque sia la loro provenienza. Ma poi, parliamoci chiaro, caro..., dunque la lotta è contro il sistema, o contro il partito, o contro la fazione? La concentrazione proclama la rinunzia a tutte le pregiudiziali, per combattere la crociata contro l'uomo e contro la sua fazione. Tutto questo per me è osceno. La Monarchia democratica o la repubblica... con Modigliani sono per me la stessa cosa – ed anzi peggio – che il Fascismo con Mussolini... Io non voglio per essi rischiare di tornare al confino, per questi signori e per questi principi. Dopo tutto perché? Per il ritorno... alla libertà? Ma cosa è questa libertà?”. [4]

Meglio il fascismo e Mussolini che la democrazia borghese, meglio la dittatura che il parlamentarismo, dichiarazioni che paiono incredibili, ma che sono puntualmente confermate da una lunga conversazione a proposito della guerra di Etiopia ripresa pressocché integralmente dal primo biografo di Bordiga, Franco Livorsi.

Il 26 maggio 1936 in casa del cognato di Bordiga a Roma, l'ex dirigente comunista si lasciò andare a una lunghissima tirata sulla situazione internazionale, sul fascismo, su Mussolini e la guerra d'Etiopia. Al colloquio erano presenti ben due informatori dell'OVRA che inviarono una lunghissima e dettagliata relazione al capo della polizia politica Di Stefano che la girò immediatamente a Mussolini. Pochi giorni prima, il 5 maggio 1936, il Duce aveva annunciato la conquista di Addis Abeba con un discorso che aveva suscitato un enorme entusiasmo nel paese. Vediamone qualche passo utile a comprendere il commento che ne farà Bordiga:

“Camicie nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Italiani e amici dell'Italia al di là dei monti e al di là dei mari! Ascoltate! Il maresciallo Badoglio mi telegrafa: " Oggi 5 maggio alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba ". Durante i trenta secoli della sua storia, l'Italia ha vissuto molte ore memorabili, ma questa di oggi è certamente una delle più solenni. Annuncio al popolo italiano e al mondo che la guerra è finita. Annuncio al popolo italiano e al mondo che la pace è ristabilita. Non e senza emozione e senza fierezza che, dopo sette mesi di aspre ostilità, pronuncio questa grande parola. Ma è strettamente necessario che io aggiunga che si tratta della nostra pace, della pace romana, che si esprime in questa semplice, irrevocabile, definitiva proposizione: l'Etiopia è italiana! […] Nell'adunata del 2 ottobre, io promisi solennemente che avrei fatto tutto il possibile onde evitare che un conflitto africano si dilatasse in una guerra europea. Ho mantenuto tale impegno, e più che mai sono convinto che turbare la pace dell'Europa significa far crollare l'Europa. [...] Questa d'oggi e una incancellabile data per la rivoluzione delle camicie nere, e il popolo italiano, che ha resistito, che non ha piegato dinanzi all'assedio ed alla ostilità societaria, merita, quale protagonista, di vivere questa grande giornata. Camicie nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Una tappa del nostro cammino è raggiunta. Continuiamo a marciare nella pace, per i compiti che ci aspettano domani e che fronteggeremo con il nostro coraggio, con la nostra fede, con la nostra volontà. Viva l'Italia!” [5]

È probabilmente il momento del massimo consenso popolare al regime, inevitabile che nell'incontro conviviale in casa del cognato di Bordiga, il discorso del Duce sia l'argomento principe della conversazione. E proprio dalle parole di Mussolini, a stare al dettagliatissimo resoconto degli informatori, Bordiga inizia il suo lungo ragionamento:

“Questa volta – dice Bordiga – l'aggettivo storico non esprime un luogo comune. Gli avvenimenti che si sono susseguiti sono stati veramente tali. Scommetto che se mi fossi trovato a Roma non mi sarei limitato ad ascoltarli per radio (come ho dovuto fare stando a Napoli); ma avrei voluto vederli […] Il primo discorso, cioè quello del 5 è veramente bello: deciso, preciso, ha il tono inesorabile del fatto compiuto: oggi 5 maggio dell'anno ecc. la guerra è finita ecc. ecc. Non vi sono fronzoli, non vi sono lenocinii. È l'uomo, è colui che con la sua volontà ha piegato Ginevra e tutte le coalizioni che parla alle folle di tutto il mondo. Questo è bello... ma non solo in senso estetico. Il secondo , cioè quello della notte del 7 mi è piaciuto meno. Il preannuncio che tra pochi minuti saranno annunciate le decisioni approvate dal Gran consiglio mi ha ricordato il vecchio gesto dell'oratore del comizio, che mettendo la mano in tasca per cavarne il documento preveniva solennemente la folla dell'importanza di ciò che avrebbe esso contenuto.Evidentemente questo discorso ricorda le vecchie cianfrusaglie costituzionali, le svariate deliberazioni dei consessi... Il carattere dell'Uomo si deve sentire a disagio; la sua parola non è più quella. È forse una sottigliezza sfuggita ai più ma che io credo di avere raccolta...

Vi è certamente fuori d'Italia una corrente d'idee che avanza a favore non dirò del fascismo; ma di Mussolini. Se io in questo momento mi decidessi a scrivere tutto ciò che penso (e se lo penso è perché lo constato), e come me dovrebbero constatarlo tutti coloro che non sono ciechi, sono sicuro che si direbbe che la mia non è soltanto la famosa crisi di coscienza; ma che mi sono venduto... Mussolini ha fatto cadere nella polvere tutti i vecchi idoli: imperialismo, socialismo, comunismo... Russia, massoneria, democrazia, pacifismo, sicurezza collettiva, disarmo, coalizioni, fronti unici... che cosa rimane di tutto questo? Non si vedono che delle larve che si dibattono in cerca di un soffio che dia ad esse la illusione della vita. Mussolini è un trionfatore: le folle adorano i trionfatori. Ecco la realtà che non si può confessare...[...]

Del resto hai visto con quale programma i socialisti francesi andranno al potere? È un programma perfettamente fascista... con questo di diverso che il fascismo qualche cosa di buono lo ha realizzato effettivamente. Anche coloro che affermano che tutto quel che esso ha fatto discende direttamente dal riformismo turatiano, debbono riconoscere che Mussolini lo ha perlomeno realizzato, mentre i compagni di destra non ne avrebbero mai avuto il coraggio. […]

A Napoli i recenti arresti e le ultime assegnazioni al confino hanno avuto una certa risonanza. Ho sentito fare dei nomi me me ne sono curato poco; non so neanche di che cosa si tratti. Del resto il mio pensiero in proposito è preciso e reciso: queste coteries è bene che si sciolgano definitivamente perché non hanno più ragione di esistere: esse (a meno che diventino manovrate e cioè militarizzate...) non possono che raccogliere o degli idioti o della gente prezzolata che ne trae i mezzi della vita. Il clima non è più adatto allo sviluppo. Sono organismi inutili e parassitari. Lo sconvolgimento che la guerra produsse nell'economia e nel regime politico di tutti i paesi ha creato dovunque la necessità di governi dittatoriali che si debbono reggere con la forza delle baionette. Contro le baionette non vi è nulla da fare, se ad esse non si possono opporre altre baionette... E di questo non è proprio qui il caso di parlare. Allora bisogna appartarsi ed attendere... attendere non per questa generazione, ma per quelle future. Le situazioni cambieranno. Io conservo intatta la mia mentalità: gli uomini non contano, non rappresentano nulla, non possono influire in nulla; sono i fatti che determinano le nuove situazioni. E quando le situazioni sono mature allora vengono fuori gli uomini”. [6]

Affermazioni gravi che gettano un'ombra non solo sul comunista, ma anche sull'uomo, e per questo di fatto ignorate da ricercatori di formazione bordighista, come Basile e Leni che in uno studio che si vuole scientifico di quasi ottocento pagine, dedicano all'episodio una ventina di righe e solo per dire che Bordiga “non condivise mai l'operato degli stalinisti in clandestinità. [7] In realtà, come abbiamo visto, Bordiga non era nuovo ad affermazioni di questo tipo. La sua convinzione della totale inutilità dell'azione antifascista in Italia era stata ribadita in ogni occasione. Così come le tesi su Mussolini realizzatore del programma riformista di Turati e della assoluta irrilevanza del fattore umano furono più volte ribadite in articoli e scritti del dopoguerra. Sulla base di queste ragioni si può senza timore di smentita affermare che, pur trattandosi di dichiarazioni riportate da una spia, queste nella sostanza riflettano il pensiero autentico di Bordiga. E se è così, questo vale per l'intero discorso, compresa l'iniziale insistita ammirazione per Mussolini trionfatore sull'imperialismo democratico e massonico. D'altronde l'odio profondo di Bordiga per la democrazia, espressione del grande capitale e della massoneria, rivela l'imprinting lasciato su di lui dal suo vecchio maestro Mussolini capofila nel 1912-1914 della lotta senza quartiere alla Massoneria e al “bloccardismo” democratico e riformista del PSI. Ma ancora più sconcertante è il tono compiaciuto con cui Bordiga, chiudendo il colloquio, irride al fallimento delle attività clandestine dei comunisti:

“Come vedi, se queste quattro chiacchiere che abbiamo scambiato qui, senza alcuna pretesa, dovessi renderle pubbliche, correrei il rischio di essere lapidato...proprio dai compagni. […]. Io me me sto a casa... e detesto la folla. Mi sono ritirato troppo presto dalla scena ma è tanto bello farla da spettatore e ridere, ridere soprattutto delle costole che si fracassano coloro che si cimentarono con te sulla stessa pista”. [8]

Un preannuncio di quelle che sarà pochi anni dopo l'atteggiamento verso la guerra, in cui Bordiga si augurerà la vittoria della Germania, una “sorta di fantasia astratta”, come la definisce Luigi Cortesi, ma che sarà ripresa nel dopoguerra dai bordighisti ortodossi portando all'estremo “la priorità della lotta contro la democrazia reale fino alla polemica negazionista, o comunque qualitativamente riduzionista, in materia di genocidio nazista, considerato come una menzogna dell'ordine sociale borghese”. [9] Ma di questo tratteremo nel prossimo articolo.

Note

1. Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell'OVRA, cit., p. 168.

2. ACS-PP-B/1. Appunto del 23 settembre 1934 siglato col n. 40 corrispondente a Virginio Troiani.

3. ACS-PP-B/1. Appunto del 23 aprile 1936 sempre proveniente da Virginio Troiani.

4. ACS-PP-B/1. Appunto del 15 novembre 1935, siglato col n. 591 corrispondente ad Angelo Alliotta.

5. Benito Mussolini, L'Etiopia è italiana. Ora in Eduardo e Duilio Susmel ( a cura di), Opera omnia di Benito Mussolini, Vol. XXVII, La Fenice, Firenze, 1959, pp. 265-66.

6. Franco Livorsi, Amadeo Bordiga, cit., pp. 359-66,

7. C. Basile- A. Leni, Amadeo Bordiga politico, cit., p. 611.

8. F. Livorsi, cit., p. 369.

9. Luigi Cortesi, Amadeo Bordiga: per un profilo storico. In L. Cortesi (a cura di) Amadeo Bordiga nella storia del comunismo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1999, p. 37. Sulle posizioni negazioniste dei bordighisti cfr. Auschwitz, ovvero il grande alibi, Programme Communiste, n. 11 avril-juin 1960.


14. Continua

martedì 24 novembre 2020

Novità in libreria. In fuga dagli zar. Russi nelle Riviere tra '800 e '900

 


Novità in libreria

Roberto Speciale, In fuga dagli Zar. Russi nelle Riviere tra ‘800 e ‘900

Qualche tempo fa su Vento largo era apparso un post che ricostruiva sinteticamente la vita dei rivoluzionari russi nella Riviera ligure di primo Novecento e a cui rimandiamo per una prima informazione. (Rivoluzionari russi nella Riviera del primo Novecento (1905-1914), 1 luglio 2020)

Scopriamo oggi che da poco è disponibile un libro che tratta di questo argomento e che sicuramente ci sarebbe stato di grande aiuto nella stesura del post. Come leggiamo nella presentazione dell'editore De Ferrari di Genova, si tratta di una ricerca ricca e dettagliata, una storia intensa, fatta di incontri e scoperte del nostro Paese e delle Riviere liguri, da parte di un gran numero di russi, tra Ottocento e Novecento.

Chi erano? Viaggiatori, ma anche rifugiati politici, esiliati dal regime zarista e poi anche dalla rivoluzione, artisti, intellettuali, aristocratici e tanti, tanti ammalati di tubercolosi, che venivano da noi a cercare bellezza, clima mite e cure sperando in una possibile guarigione. Nomi famosi, ma anche avventurieri, attivisti politici che rimarranno in Italia o ritorneranno in patria alla caduta dello zar. Piccole e grandi storie che l’autore scopre esaminando rapporti di polizia, elenchi di alberghi, cronache dell’epoca, libri e articoli dimenticati.

Per l'autore, Roberto Speciale , una lunghissima carriera politica a sinistra e poi fondatore e presidente  della Fondazione Casa America, “una storia importante e affascinante che deve essere raccontata, una grande storia che va ricomposta”, ma soprattutto, aggiungiamo noi, non dimenticata

Per il lettore meno interessato agli aspetti politici, anche la rivisitazione di una Liguria ormai quasi scomparsa sotto la colata di cemento degli ultimi settant'anni, fatta di palme e di giardini lussureggianti dai colori sgargianti. La Liguria dipinta da Claude Monet.

G.A.

lunedì 23 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944). 13. Amadeo Bordiga. Vita privata di un comunista eretico

 


Giorgio Amico

13. Amadeo Bordiga. Vita privata di un comunista eretico


Dunque a partire dal 1930 Bordiga si ritira a vita privata e non si occupa più di politica, perlomeno a livello di impegno attivo. Anche negli anni del dopoguerra, quando prima collaborerà con il Partito comunista internazionalista di Damen e poi nel 1952, con Perrone e Maffi, costruirà un suo partitino, il Partito comunista internazionale, egli farà il massimo sforzo per mantenere l'anonimato e restare nell'ombra, tanto che al momento della sua morte, nel 1970, su «L'Ingegnere Libero Professionista», «organo ufficiale del Sindacato Nazionale Ingegneri Liberi Professionisti Italiani», sindacato di categoria, fondato nel 1950 grazie soprattutto all'impegno di Bordiga, apparve un necrologio che mostra come anche i suoi più stretti colleghi ne ignorassero del tutto l'impegno di teorico marxista. Per loro Bordiga si era definitivamente ritirato dalla politica nel 1930, anche se ogni tanto amava rievocare in maniera scherzosa, come si fa con i ricordi di gioventù, quel suo antico passato:

“Ritiratosi dalla politica si dedicò con fortuna alla libera professione con tutte le forze del suo ingegno e della sua tenacia. […] Spesso ci riferiva lepidi episodi dei suoi trascorsi politici con sorridente bonomia, e ci parlava sovente dei suoi vecchi compagni di partito. Anche di quelli che poi divennero suoi nemici e che lo espulsero dal partito stesso”. [1]

Il che ricorda molto da vicino la storia di Robert Barcia, importante industriale farmaceutico parigino, morto nel 2009, che i suoi colleghi della Confindustria francese conoscevano come un uomo di grande simpatia e dalle spiccate simpatie golliste, fin quando in seguito ad un inchiesta giornalistica dei primi anni 2000 si scoperse che, con il nome di battaglia di “Hardy”, egli era in realtà il fondatore e capo incontrastato di Lutte ouvrière, la principale organizzazione trotskista.

Il necrologio fa giustizia anche del mito, creatosi dopo la sua morte soprattutto in base ad alcune dichiarazioni della seconda moglie, Antonietta De Meo sorella di Ortensia e sposata nel 1965 a dieci anni della scomparsa di questa [2], di un Bordiga “vivente ai limiti della povertà”[3], quasi ridotto alla fame a causa della persecuzione del regime. In realtà, come risulta da numerose testimonianze negli anni Trenta, nonostante la radiazione dall'albo, egli riuscì comunque a esercitare la sua professione con un discreto successo e ad assicurare alla sua famiglia una vita sufficientemente agiata da permettere ai due figli Oreste e Alma di frequentare l'università e di laurearsi rispettivamente in Lettere e Medicina. Obiettivo irraggiungibile all'epoca, ma ancora almeno fino alla metà degli anni sessanta e alla prosperità causata dal boom economico, per la quasi totalità delle famiglie operaie e della piccola borghesia. Un compagno di studi del figlio, diventato poi nel dopoguerra giornalista, allora frequentatore assiduo della casa di Bordiga ci offre un quadro tutto sommato rassicurante della vita quotidiana dell'ex dirigente comunista, che smentisce i toni drammatici usati da una certa storiografia di tendenza bordighiana che tende invece a mettere in risalto “le ristrettezze economiche, il controllo costante della polizia, le calunnie degli ex compagni, la difficoltà nel trovare commesse lavorative” [4]:

“ Tornato da Ponza, [...] si era reinserito nella sua professione di ingegnere edile, che aveva esercitato in passato saltuariamente ma con straordinaria bravura. Dirigeva in quei giorni i lavori di costruzione, o di ripristino, di un grosso fabbricato, mi pare una banca o qualcosa di simile, ed era, immagino, sottoposto alla stretta vigilanza dell'OVRA, ma con una apparente discrezione, perché chi frequentava la sua casa come il ristrettissimo gruppo dei compagni di università del figlio Oreste, non avvertiva il minimo segno di disagio. Era un Bordiga domestico, esteriormente tranquillo, che continuava a dedicare alle questioni politiche molte ore di lettura e di studio, ma che alternava queste occupazioni vocazionali, e quelle professionali, con momenti di svago di una semplicità e di un candore estremo. […] Seguiva occasionalmente gli studi di Oreste, che intendeva specializzarsi in glottologia […]. Del periodo trascorso a Ponza in confino, e che Oreste rammentava confusamente per la quotidiana familiarità con altri confinati illustri (Nenni fra gli altri) Bordiga non parlava mai, anche perché noi ragazzi che frequentavamo la casa, per l'età e l'obiettiva disinformazione, non sapevamo molto né del secondo congresso tenuto dal partito comunista a Roma nel 1922, né del terzo congresso clandestino del '26 a Lione, che segnò di fatto l'allontanamento definitivo di Bordiga dalle posizioni di comando”. [5]

Il quadro, tutto sommato, di una tranquilla normalità borghese, confermato da Ermanno Rea nel suo bellissimo romanzo/documento Mistero napoletano:

“Naturalmente poi c'erano le donne, e non soltanto Noa-Noa, ma Lidia Sepe, Silvia Rega e tante altre che erano dentro o accanto alla compagnia del «Teatro Sperimentale » dell'università di Napoli, accanto a lui oppure dentro di lui, amicizie o amori poco importa. E c'era Alma Bordiga, che studiava medicina a sua volta e che di tanto in tanto invitava Renzo, ma in qualche caso anche Galdo [6], a mangiare a casa sua, accanto al suo genitore monumento. Allora né Renzo né Galdo sapevano con precisione chi fosse Amadeo Bordiga, sicché una sera in cui il padre di Alma raccontò, con l'aria più naturale del mondo, di aver avuto una volta, un bel po' d'anni prima, un'aspra discussione con Lenin su una certa questione, i due giovani si guardarono sbalorditi negli occhi. Sbalorditi, ma incapaci di chiedere maggiori lumi (dell'amicizia con Alma, Renzo sarà chiamato poi, dopo la liberazione di Napoli, a rendere duramente conto al partito...)”. [7]

Richiamo forse dovute alle posizioni politiche manifestate pubblicamente da Alma. Bordiga non si era in nessun modo opposto alla partecipazione dei figli alle attività delle organizzazioni giovanili del regime e non solo per compiacere la moglie sempre più afflitta dai suoi disturbi nervosi, ma soprattutto per la sua scelta di “adattarsi” a convivere con il fascismo. È lui stesso a dichiararlo ad un amico, Angelo Alliotta, vecchio militante socialista diventato poi facoltoso direttore della Banca Salernitana, di cui si fida ciecamente.

“Di tutto ciò non mi importa proprio nulla. Tu sai come la penso in proposito...Ti dissi che bisogna che noi ci abituiamo a considerare la iscrizione dei nostri figli alle organizzazioni Fasciste come un atto necessario, ma di ordinaria amministrazione... Che forse quando ci nasce un bambino non ci affrettiamo ad iscriverlo sui registri dello Stato civile? Mutatis mutandis la cosa è la stessa. Ma oggi sono anche più convinto di allora che così va fatto, io ho rotti tutti i miei rapporti con chicchessia; tu sei se non il solo, uno dei pochissimi antichi compagni con i quali mantengo ancora delle relazioni. Non vi è più nulla di comune fra me e gli antichi professionisti della politica”. [8]

Peccato che invece, come l'avvocato Cassinelli, l'Alliotta si fosse messo al servizio del regime come informatore per l'OVRA con il compito prioritario di trasmettere alla polizia politica le confidenze di Bordiga.

Dunque, coerentemente con l'impostazione del padre per il quale fascismo e antifascismo sostanzialmente si equivalgono, Alma non trova in famiglia alcuna barriera alla propaganda del regime. Donna di spiccata intelligenza, non stupisce quindi trovarla addirittura vincitrice dei littoriali femminili anche se con una tesi elogiativa delle leggi razziali, e autrice di saggi in cui si esalta la politica di “epurazione biologica” del regime hitleriano. « La politica razziale – scrive - dei due paesi parte dalla stessa esigenza di epurazione biologica e spirituale, e la frequenza ed intensità degli scambi culturali ribadisce la vitalità dell’Asse anche in questo campo».[9]

Alma sarà anche causa involontaria nel 1935 di una campagna di calunnie degli stalinisti, iniziata con la pubblicazione a Parigi dell'articolo «I bordighiani sono caduti nella vergogna et nel crimine. A. Bordiga tra i militi e i preti» di cui riprendiamo le parti più significative:

“Il «Popolo di Roma» del 2 agosto 1935, sotto il titolo: «Nozze al campo», pubblicava la seguente notizia: «Al campo della 180ª Legione delle Camicie Nere si è svolta, semplice e, ad un tempo solenne, la cerimonia delle nozze del capo manipolo avv. Alessandro Caroglio di Varese, con la signorina Emma De Meo, insegnante nelle nostre scuole e capo centuria dell'Opera Balilla. La manifestazione resterà indimenticabile per quanti vi hanno assistito. Alle ore 8, tutto era predisposto per la messa al campo. […] Testimoni per la sposa, il cognato ing. Amedeo Bordiga ed il pro, dott. Giuseppe Cusumano» […] Ci pare che ogni operaio ed ogni antifascista non possa far altro che sputare sulla faccia di questo rinnegato ing. Amadeo Bordiga, che un giorno pretese, nientemeno, di insegnare ai comunisti come si lotta per la liberazione del proletariato”. [10]

In una successiva pubblicazione, addirittura del dopoguerra, l'episodio veniva ripreso, retrodatandolo al 1932 e non parlando più di una cognata ma addirittura della figlia Alma. Bordiga se ne risentì moltissimo, tanto da lamentarsene con il giornalista de l'Unità Massimo Caprara, incontrato nel 1962 a Napoli ai margini di una riunione del Consiglio comunale a cui partecipava come consulente in merito alla discussione del nuovo piano regolatore della città. Scrive Caprara:

“Mi diede un appuntamento per l'indomani. Vi andai con qualche emozione, poiché era pur sempre un incontro che Roma non avrebbe approvato. Lo incontrai da Caflisch a Piazza Dante. Portò una borsa di pelle dalla quale trasse con cautela una foto non sgualcita, conservata con cura, che io avevo già visto circolare fra i militanti più fidati. La riguardai: una coppia di freschi sposi  (lei in abito bianco di tulle e lui in marsina) passa, nella foto, sotto una guardia d'onore formata dai pugnali sguainati dei Moschettieri del Duce in divisa nera con borchie dorate e teschi sulle mostrine. Negli anni '30 era un onore riservato solo ai fedelissimi del fascismo. «Questa è mia figlia. Non si è mai sposata», commentò Bordiga. «E' uno sporco fotomontaggio con il quale il partito ha cercato di denigrarmi presso i miei compagni. Togliatti ne sa qualcosa». [11] 

In realtà Bordiga ricordava male, intanto la figlia non solo si era sposata nel 1946, ma era addirittura diventata madre di quattro figli, ma soprattutto il fatto, per quanto deformato a fini propagandistici, era vero e si era svolto esattamente come l'Unità ne aveva parlato nel 1935. In realtà in una conversazione con la spia Alliotta Bordiga stesso aveva ammesso la veridicità dell'accaduto, pur minimizzandone la portata:

“A Parigi stamparono che ero ufficialmente – ufficialmente perché, poi, nel caso mio? - alla celebrazione delle nozze di un ufficiale della Milizia, mescolandomi con i fascisti presenti, toccando il bicchiere con essi, ecc. ecc. […] senza tener conto che io ero intervenuto alla cerimonia per il semplice fatto che la sposa era la più giovane delle sorelle di mia moglie, che io ho cresciuta come figlia”. [12]

Ancora una volta l'ingenuità di Bordiga ci colpisce. Possibile che egli non si rendesse conto di non essere un cittadino qualunque, ma il fondatore e di fatto fino al 1923 il primo segretario del Partito comunista e che dunque la sua partecipazione, addirittura nel ruolo di testimone della sposa, ad una cerimonia della Milizia assumeva un significato implicito di riconoscimento della legittimità del regime, o se si vuole, ma la cosa non cambia, di adattamento allo stato di cose esistente, su cui il fascismo avrebbe battuto la grancassa per ricavarne il massimo effetto propagandistico? Un comportamento davvero sconcertante al pari delle dichiarazioni sulla politica del regime fatte ad amici ritenuti fidati, ma in realtà informatori dell'OVRA. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Note

1. Amadeo Bordiga, L'Ingegnere libero professionista, n. 8, agosto 1970.

2. Bruno Miserendino, Chiedo più rispetto per Amadeo, L'Unità, 24 luglio 1990.

3. Philippe Bourrinet, Un siècle de Gauche communiste «italienne» (1915-2015), Éditions moto proprio, Paris, 2016, p. 28.

4. C. Basile- A. Leni, Amadeo Bordiga politico, cit., pp. 608-609.

5. Guido Botta, Com'era Bordiga visto nell'intimità domestica, Paese Sera, 25 febbraio 1981.

6. Renzo Lapiccirella, nel dopoguerra esponente del PCI napoletano e Galdo Galderisi, fucilato dai tedeschi in Albania dove dopo l'8 settembre, ufficiale dell'esercito, si era unito alla resistenza comunista, sono tra i personaggi del romanzo di Rea.

7. Ermanno Rea, Mistero napoletano, Einaudi, Torino, 1995, pp. 113-14.

8. Conversazione con l'Ing. Amadeo Bordiga, ACS-PP-B/1, ripreso da R. Gremmo, Gli anni amari di Bordiga, cit., p.117.

9. Alma Bordiga, “Politica razziale”, IX maggio, 23, 15 ottobre 1941. Citato in: Paolo Varvaro, L’ideologia della razza nel fascismo, in Giancarlo Lacerenza e Rossana Spadaccini ( a cura di), Atti delle Giornate di Studio per i settant'anni delle leggi razziali in Italia, Università degli studi di Napoli “L'Orientale”, Centro di studi ebraici, Napoli 2009, pag. 91.

10. I bordighiani sono caduti nella vergogna et nel crimine. A. Bordiga tra i militi e i preti, L’Unità n° 12, 1935, p. 11.

11. Massimo Caprara, I migliori di Bordiga, Il Giornale nuovo, 23 febbraio 1988.

12. Conversazione con l'Ing. Amadeo Bordiga, 19 giugno 1938, ACS-PP-B/1. Ripreso da R. Gremmo, cit., p. 74.


13. Continua