È in via di editing il volume "Azione comunista da Seniga a
Cervetto (1954-1966)" che ricostruisce la storia del Movimento
della Sinistra Comunista dai suoi esordi nel 1954 alla crisi definitiva del
1965 conseguente alla rottura fra la componente leninista di Cervetto
e Parodi (da cui prenderà poi vita l'attuale Lotta comunista) e la
frazione maoista di Raimondi e Bazzanella (che diventerà poi
l'effimera Federazione marxista-leninista d'Italia). Del libro, la
cui uscita è prevista a breve, proponiamo l'incipit.
Giorgio Amico
Il 1953, un anno di
svolta
Come
si scriveva una volta nei romanzi d'appendice, la storia che andiamo
a raccontare ha inizio nel 1953, vero anno di svolta, in cui lo
scontro in corso in URSS sul dopo Stalin si trasferisce nel PCI fra
gli “operaisti” che vedono ancora nella fabbrica il centro delle
contraddizioni su cui fare leva per il cambiamento radicale della
società italiana e i “rinnovatori”, ormai votati ad una tattica
incentrata sul Parlamento, incamminati non senza tentennamenti sul
lungo e accidentato percorso destinato a inserirli a pieno titolo
nelle istituzioni democratiche repubblicane. È,
per metterla sul personale,
lo scontro fra Secchia e Togliatti che prende la forma, sul modello
di ciò che sta accadendo in URSS, di una battaglia senza esclusione
di colpi per una autentica direzione collegiale del partito che di
fatto liquidi l'egemonia fin qui incontrastata del “Migliore”.
Nella particolarità italiana, sono i “duri” del
partito, gli uomini dell'apparato parallelo, a chiedere un deciso
cambiamento democratico nei metodi di direzione politica al vertice
del partito. Una situazione che un osservatore attento come Danilo
Montaldi definirà paradossale.
Pensando di interpretare
il nuovo clima che si respira a Mosca, dove si parla di “direzione
collegiale” come risposta ai problemi del post stalinismo, Secchia
coglie l'occasione per uscire allo scoperto e chiedere un profondo
rinnovamento della vita interna del partito.
Aspettative
condivise dal suo principale collaboratore, Giulio Seniga,
ex-partigiano e responsabile del settore più delicato dell'apparato
parallelo del PCI, quello incaricato di gestire “case sicure” in
cui occultare fondi e documenti che devono restare segreti.Durissima
la risposta di Togliatti, delegata al fido D'Onofrio, che non lascia
spazio a mediazioni, svolta in un linguaggio cifrato comprensibile
solo dagli iniziati. Una polemica
indiretta,
cifrata, ed è difficile dire quanto sia compresa non solo dalla
base, ma dagli stessi quadri intermedi del partito; sta di fatto che
il conflitto fra Togliatti e Secchia, per quanto sotterraneo, si
inasprisce e si avvia a un punto di non ritorno.
Una
polemica fra ostinati sognatori della lotta armata, tanto per citare
il (brutto) libro di Miriam Mafai e ormai convinti democratici
sostenitori di un socialismo senza filo spinato? Assolutamente no,
come nota già nel 1967 Marcello Flores per cui:
L'operaismo
di Secchia si traduce puramente in un rafforzamento del partito, in
una maggiore attenzione organizzativa all'interno dei luoghi di
produzione; mai in una diversa concezione dell'unità di classe,
degli obiettivi, delle forme di lotta, delle alleanze sul terreno
sociale […]. Se la linea democratico-nazionale di Togliatti si
presenta come una strategia difensiva che non considera le condizioni
reali adatte ad una politica offensiva sul terreno di classe e non
prefigura, quindi, nel breve periodo, che una massimizzazione della
propria forza e della propria presenza nella società, le ipotesi
organizzativo-massimalistiche di Secchia accentuano e codificano
ancora di più questo carattere difensivo; certo una difesa più
dura, più intransigente, ma anche una sostanziale sfiducia nella
possibilità delle masse di innescare un processo alternativo.
In
realtà, siamo in presenza di un contrasto non sulla strategia
complessiva del partito, ma sulla tattica, di una accentuazione
massimalistica e operaistica del togliattismo, cioè della forma
storicamente assunta dallo stalinismo nel movimento operaio italiano.
Una versione più dura e militante della via italiana al socialismo
che non va al di là dei limiti ben definiti di questa, ma che
proprio per la durezza, soprattutto verbale, usata può apparire
accattivante per chi è stanco di attendere una ora x che non arriva
mai. Che quello fra Secchia e Togliatti sia un contrasto tutto
interno alla stessa ipotesi strategica non lo rende tuttavia meno
aspro. La risposta di Togliatti alla fronda secchiana sarà
durissima con l'obiettivo per nulla celato di fare il vuoto attorno
al numero due del partito. Uno dopo l'altro saltano i segretari
federali, dirigenti, come Alberganti a Milano, legati a Secchia da un
rapporto personale di fedeltà risalente agli anni della cospirazione
antifascista o della guerra partigiana. Già nel 1953 viene rimesso
in discussione il monopolio dell'organizzazione da parte di Secchia
e insieme a questo il ruolo egemonico finora svolta dai quadri
formatisi nei tempi dell'emigrazione e poi della lotta armata. Nel
rapporto al Comitato Centrale del 7 dicembre 1953 Togliatti chiude la
questione, prima facendo suo il tema della direzione collegiale e
poi portando l'affondo finale contro i «secchiani», visti come un
peso morto, un ostacolo sulla via del necessario rinnovamento del
partito.
Il
PCI ha riassorbito la botta del 1948 ed è all'apice della sua forza
organizzata; 2.145.000 iscritti, di cui 160.000 i nuovi reclutati.
Eppure per i comunisti il momento è particolarmente difficile. È
in pieno svolgimento una violenta campagna anticomunista che utilizza
ogni mezzo, lecito e illecito, per ridurre il peso del Partito nel
paese e spazzarne via la la presenza nelle fabbriche. Sono gli anni
delle provocazioni anticomuniste di Pace
e Libertà,
il movimento finanziato dalla CIA e coordinato dalla stessa
ambasciata americana a Roma. La guerra fredda è in pieno svolgimento
e l'Italia, per la sua stessa collocazione geografica al centro del
Mediterraneo, ne rappresenta uno dei principali fronti. Nel suo
libro-testamento, Il
sarto di Ulm,
Lucio Magri offre una efficace rappresentazione di questa
particolarità italiana:
Il
Italia la nuova guerra fredda si trascinò più a lungo e, nel
'54-'55, ebbe anzi un ritorno di fiamma. Il governo Scelba-Saragat
ripropose le pratiche della repressione poliziesca (nello stesso
giorno della sua nascita ci furono quattro morti durante una
manifestazione a Mussomeli), e si aggiunse l'esclusione per legge dei
comunisti da ogni posto di rilievo nella pubblica amministrazione;
licenziamenti, e punizioni nelle fabbriche per ragioni politiche
divennero ancor più sistematici; la censura diretta o nascosta ai
danni delle attività culturali fu più stringente; una prima e
ancora limitata ondata di assunzioni al lavoro dell'industria fu
politicamente discriminatoria; le divisioni aspre tra le
confederazioni, e l'influenza della Coldiretti e della Federconsorzi
accentuavano le difficoltà delle lotte sociali. Infine era
cresciuto, anziché attenuarsi, l'intervento diretto dell'ambasciata
americana: l'affacciarsi di un eventuale allargamento dell'alleanza
di governo al Partito socialista era visto con preoccupazione ed
esigeva una ancor più netta discriminazione dei comunisti.
Pace
e Libertà è in prima
fila in questa azione, attraverso la produzione di materiali,
volantini, documenti, lettere, che vengono poi massicciamente diffusi
fra i militanti comunisti, utilizzando schedari segreti e del tutto
illegali che contengono migliaia di nomi e indirizzi. L'obiettivo è
far sentire sotto tiro i comunisti, soprattutto quelli che lavorano
in fabbrica o nell'amministrazione pubblica, esposti alle
rappresaglie delle direzioni aziendali. È solo uno dei tanti
tasselli della strategia della «guerra psicologica» al comunismo
programmata nella riunione del 14 maggio 1952 del comitato dei capi
di stato maggiore degli eserciti della NATO e nota con il nome in
codice Demagnetize.
Una
campagna a tutto campo che coinvolge in ruoli non secondari anche
esponenti della sinistra non comunista, come Saragat e il suo
partito, sindacalisti “liberi” di CISL e UIL, uomini dal passato
torbido come Ignazio Silone, transfughi della guerra fredda come
Eugenio Reale, riviste come “Critica Sociale” del socialista di
destra Faravelli. Il tutto in nome dei valori della democrazia e
dell'Occidente minacciati dall'espansionismo sovietico.
Un dato che occorre sempre tenere ben presente quando si affronta a
qualunque titolo la politica italiana degli anni Cinquanta. È
in questo contesto che si colloca e trova alimento il caso Seniga.