Il 19 novembre (dalle
18.00) Raffaele Salinari sarà a Savona alla libreria Ubik per
presentare il suo libro Alias/Aleph. Un'occasione per incontrarlo di
persona e dialogare con lui di quella che è la condizione umana in
un mondo che ha smarrito il senso autentico del vivere.
Raffaele K. Salinari
Ma emendare i crimini
umanitari non si può
Sotto la spinta delle
società civile e di una piccola parte di quella politica, l’Italia
ha finalmente chiesto, ai sensi dell’articolo 3 del Memorandum
Italia-Libia, di riunire la commissione congiunta dei due paesi per
modificare l’intesa. L’obiettivo, spiegano fonti governative, è
quello di «migliorare il memorandum sul fronte dei diritti umani».
Intanto però si è fatto scadere il Memorandum, che così si è
automaticamente quanto tragicamente rinnovato. Dentro questa
ambiguità, quali «modifiche» si vogliono davvero ottenere?
Certo, è positiva, in
questo senso, la risposta del governo libico che si è detto «aperto
a modifiche del memorandum d’intesa sui migranti stipulati tra
Libia e Italia». Ma il memorandum per la sua struttura non è
modificabile come si vuol far credere: non sono infatti emendabili né
la detenzione arbitraria (carceri e campi di concentramento) che noi
finanziamo, degli esseri umani torturati, stuprati, soggetti ad ogni
tipo di violenza; né i nostri fondi alle milizie che chiamiamo
«guardia costiera»; né il sostegno armato a questi aguzzini
criminali con le dotazioni di eleganti motovedette militari; e
tantomeno è emendabile l’autorizzazione fin qui data a fare la
guerra alle navi umanitarie: tutti questi contenuti dell’attuale
Memorandum altro non sono che crimini e vanno solo cancellati.
Ora, se questa novità
della quale bisognerà attentamente verificare i contenuti, vuole
veramente sanare il vulnus aperto dal rinnovo automatico, dovrà
perlomeno cancellare questi misfatti.
Resta però fondamentale
inquadrare quel che accade sul Memorandum, che altro non è che uno
scempio del diritto internazionale, in uno scenario molto più ampio,
che parte da lontano, da almeno 20 anni e precisamente dalla
ridefinizione dell’«intervento umanitario» che deve essere
prioritariamente militare, come sancito dai bombardamenti della
Serbia da parte della Nato nel 1999.
Il filo rosso, rosso
sangue in questo caso, che lega due momenti solo in apparenza
distanti tra loro, sia nel tempo che nello spazio, è in realtà
estremamente evidente e può essere riassunto nella categoria,
individuata già nel secolo scorso da Carl Schmitt, di «guerra
costituente».
Dopo il crollo trenta
anni fa esatti del muro di Berlino, infatti, a livello mondiale, da
parte dell’unica potenza allora rimasta, gli Stati uniti leadership
del mondo e da parte del capitale finanziario che non vuole regole di
controllo o pagare le tasse sui suoi immensi profitti, alle industrie
dell’agrobusiness e del farmaco che privatizzano con i brevetti le
risorse genetiche naturali, l’idea di un Nuovo Ordine Mondiale
costruito attorno al profitto ha cercato di imporre la sua visione
del mondo. Se solo ricordiamo come e perché nacque l’Organizzazione
del Commercio mondiale, il Wto e, di conseguenza, un diffuso
movimento di resistenza sociale ai processi solo mercantili della
globalizzazione, cogliamo il quadro di riferimento complessivo.
Ebbene di quello
scenario, oggi potentissimo nelle sue espressioni di potere a livello
politico mondiale e nelle conseguenze nefaste in termini di ambiente,
esclusione sociale, diseguaglianze, processi migratori e via
enumerando, faceva parte l’idea delle guerre di nuovo conio, al di
fuori dell’egida Onu, con una valenza di riconfigurazione delle
regole del Diritto Internazionale, a partire dal suo anello più
debole ed esposto: i diritti umani.
Tutto questo per dire,
evidentemente, che il Memorandum libico, tra i suoi effetti nefasti,
già ampiamente evidenziati da tantissime associazioni, Ong,
parlamentari, e soprattutto dai reportage e dalle inchieste dirette,
ha anche quello di sancire, per così dire, la presunta efficacia
della guerra civile-mondiale in Libia del 2011 – e poi in Siria –
nel cambiare de facto le regole del diritto internazionale. In
effetti la morsa che stringe l’Europa, stretta da una parte dagli
accordi con Erdogan per la gestione dei rifugiati siriani, e le cui
conseguenze si vedono ora in tutta la loro tragicità (e non solo
rispetto al popolo curdo, ma più in generale sull’impotenza dei
meccanismi multilaterali nel gestire quel conflitto); e dall’altra
proprio dal Memorandum italiano con la Libia, o meglio con i poteri
criminali libici, definisce le nuove dinamiche internazionali in
termini di gestione dei conflitti, rispetto dei diritti umani, ruolo
delle Ong, politica estera comunitaria e di cooperazione allo
sviluppo, aree di sovrapposizione tra interessi dei governi e quelli
della criminalità organizzata nella gestione dei flussi migratori, e
molto altro ancora.
E allora, in conclusione,
la revisione del Memorandum va costruita a partire dal rifiuto di
questo quadro geopolitico più articolato, in cui la posta in gioco
va ben al di la delle relazioni italo-libiche, per inserirsi in una
tendenza di denaturazione delle regole multilaterali e di una loro
riscrittura a colpi di violazioni del diritto internazionale motivate
da una realpolitik che di fatto le vuole radicalmente cambiare in
favore del Diritto del più forte, del più ricco, della visione
escludente legata ai nuovi e vecchi razzismi.
Riscrivere il Memorandum,
in altre parole, significa rigettare la logica dei nuovi sovranismi,
della reificazione degli esseri umani, del securitarismo versus
l’inclusione, della cooperazione militare al posto di quella allo
sviluppo. Speriamo che chi dice ancora di rappresentare a livello
politico i valori costituzionali, comunitari, delle Nazioni unite,
colga questa occasione e riesca a trovare le ragioni per un
ripensamento radicale di questa aberrazione giuridica alla base del
disastro libico e della stessa tragedia dei nuovi Muri eretti -a
proposito del muro di Berlino caduto 30 anni fa – contro i migranti
in fuga dalle nostre guerre e dalla miseria spesso prodotto del
nostro modello economico di rapina
il manifesto, 3 novembre
2019