Lettera aperta ad un
amico riguardo a chi da giovane militò nella Repubblica Sociale.
Le Forze Armate
repubblichine contarono circa 600 mila uomini. Non tutti erano
fascisti convinti e forse neppure la maggioranza. Molti erano giovani
che, magari su sollecitazione delle famiglie, avevano risposto al
bando di leva. Io ne ho conosciuti alcuni, uno in particolare, mio
stimatissimo e amatissimo professore al liceo che non ce lo nascose,
ma ci raccontò la sua storia "normale" di giovane del 1923
arruolato a vent'anni. Vidi poi piangere un mio collega durante una
visita scolastica al sacrario partigiano in Valle Pesio. Gli chiesi
dove avesse fatto il partigiano, mi rispose che era stato soldato
repubblichino all'aereoporto di Alessandria e che piangeva per la
vergogna di non aver capito allora cosa era giusto fare. Lo
abbracciai e lo ringraziai perché mi aveva ricordato che non si deve
mai giudicare e che l'uomo resta un mistero per l'uomo.
Capii allora che quelli
erano stati anni difficili e difficile era anche capire cosa fosse
giusto fare, soprattutto se non si veniva da famiglie antifasciste. E
ancora più difficile, poi farlo. Certo altra cosa erano le Brigate
Nere o la X MAS, anche se anche su quest'ultima la realtà è
complessa. Può sembrare strano ma anche nella Decima non tutti erano
fascisti fanatici. Ho conosciuto un anarchico savonese, militante per
anni dei GAAP di cui conservava con orgoglio la tessera, che era
stato con la Decima, motorista su una silurante ormeggiata al porto
di Oneglia. Suo fratello era stato partigiano. Era un operaio e lo
raccontava senza vergogna.
Alle volte penso che
siamo come i giapponesi rimasti sull'isola, mentre dovremmo avere il
coraggio di prendere atto che quella guerra è finita. Il che sia
chiaro non significa equiparare fascismo e antifascismo, ma guardare
a quegli uomini con la pietas che sempre ci vuole quando si
affrontano tragedie immani come quella di una guerra civile.
Passati gli anni
giovanili degli slogan sanguinari (che purtroppo per molti non
rimasero solo parole), da quando penso di capire un po' di più della
vita, degli uomini e anche delle mie debolezze e contraddizioni,
considero questa pietas la vera sostanza del mio antifascismo.
"Per dignità, non
per odio", scrisse Calamandrei, anche se l'odio purtroppo, come
era inevitabile, ci fu e da entrambe le parti. Una frase che vale
però anche per molti giovani repubblichini, educati nel culto della
Patria e a cui era sembrato un tradimento il capovolgimento di
alleanze del 1943.
“Avendo applicato
l’animo mio alla politica, per trattare di questa scienza con la
stessa libertà d’animo, con cui ci accostiamo alle ricerche
matematiche, mi occupai con diligenza di non deridere, di non
piangere, di non condannare, ma solo di comprendere le azioni
umane: e così considerai le passioni umane come l’amore, l’odio,
l’ira, l’invidia, l’orgoglio, la pietà e le altre commozioni
dell’animo, non come vizi della natura umana, ma come proprietà
che le appartengono, come alla natura dell’aria il freddo, il
caldo, il temporale, il tuono e simili”
Scriveva così un
filosofo ebreo, di professione intagliatore di lenti, in un'epoca
feroce di guerre religiose e civili e questo lo rese estraneo alle
passioni del suo tempo e dunque un pericolo per cattolici,
protestanti e persino per i suoi correligionari che lo cacciarono
dalla comunità. Ma di più e di meglio, non un filosofo, ma un Uomo,
ancora oggi cosa potrebbe dire?
Con amicizia
Giorgio