martedì 16 dicembre 2014

Pinot Gallizio e l'arte come liberazione della vita



Oggi alle ore 18.00 a Savona nei locali della SMS Libertà e Lavoro e Mille Papaveri Rossi di Lavagnola, si terrà l'incontro organizzato dalla Sez. ANPI “Fratelli Briano” con Giorgio Amico dal titolo: "Pinot Gallizio, l'arte come percorso di liberazione della vita".

Proponiamo il ricordo di Pinot Gallizio uscito sulla Gazzetta di Alba nel cinquantenario della morte.

Edoardo Borra

Pinot Gallizio Maestro incompreso di Alba

Il 13 febbraio 1964 moriva, a 62 anni, una delle personalità albesi più affascinanti del Novecento, che fece della sua casa un centro di movimenti d’avanguardia europei.

Mezzo secolo ci separa, oggi, anche dalla scomparsa di Pinot Gallizio (1902-1964): nel giro di un anno Alba ha dovuto consumare tre anniversari luttuosi, che impressionano per quanto sono ravvicinati e per come ora li soppesiamo. Beppe Fenoglio, Giacomo Morra e Gallizio se ne vanno tutti improvvisamente, tra gli estremi del 18 febbraio 1963 e del 13 febbraio 1964: impossibile non farsene influenzare, non parlare di un prima e di un dopo, non riconoscersi nella posizione avvantaggiata e rammaricata dei posteri.

Oggi siamo felici e orgogliosi di constatare le tracce della consacrazione e dell’accettazione di trovare il nome di Gallizio nelle storie delle avanguardie del secondo Novecento, le sue opere a Londra, Parigi, Madrid…; chi ci tiene, può dire tranquillo che Gallizio è uno degli ambasciatori di Alba nel mondo. Qualcuno se n’era accorto già mezzo secolo fa, ma non faceva parte di una compagnia numerosa.

Tra i suoi rotoli di pittura industriale – l’oggetto che a Gallizio viene schematicamente associato, come il sigaro a Groucho Marx o i tulipani all’Olanda – ne avanza uno, in più spezzoni ritagliato, che porta un titolo divertente e “aperto”: Le acque del Nilo non passarono ad Alba. Il viaggio a ritroso delle ricostruzioni e dei riconoscimenti lo attribuisce a una tela di oltre 13 metri, dipinta nella primavera del 1958: agli inizi del periodo situazionista, dunque, al battesimo della pittura da vendersi a metraggio.

Si sa bene quanto siano divertenti e poetici i titoli delle opere di Pinot Gallizio: anche quando riportano un intercalare, o si rivestono di un titolo altrui (detournandolo), sono sempre il corrispettivo ideale, persino autonomo, delle sue visioni magiche, o al minimo del suo temperamento ironico. Nel 1958, la classe dirigente di Alba non sapeva metabolizzare correttamente l’idea di un estroso ex farmacista fabbricante di caramelle alle erbe, di un consigliere comunale dalla molto vivace opposizione, di un competente insegnante di erboristeria e aromateria (amatissimo dai suoi studenti, come da tutti i giovani) che si mescolava, lui “vecchio” cinquantenne, a venti-trentenni provenienti da Parigi, Amsterdam, Cosio d’Arroscia, intestando la sua casa-laboratorio a succursale creativa di movimenti d’avanguardia di portata europea.

Gallizio, dal canto suo, non forniva (apposta) dati rassicuranti a chi liquidava a priori il suo serissimo gioco, moltiplicando le «mattane», offrendo generosamente spunti per l’aneddotica presente e futura: come quando, ricordava suo figlio Pier Giorgio, fece sprizzare grumi di colore scoppiandoci dentro dei petardi, sul tetto lungo e piatto di una rimessa in cortile, a beneficio dei deliziati, scandalizzati vicini. Ma una parte di lui certamente soffriva dell’incomprensione – soprattutto del fatto che non gli venisse attribuito lo sforzo e il credito di una vera e propria ricerca artistica, condannandolo epidermicamente all’estemporaneità e al velleitarismo: «Vorrei che tutti mi capissero, all’infuori dei soldi e della gloria», scriverà. Se però Le acque del Nilo non passarono ad Alba, inutile sperare che la sua città si dimostri un terreno fertile e ricettivo: il titolo è dunque un piccolo sberleffo vendicativo, un’obliqua, satirica accusa.

Una nota di satira la esprime, naturalmente, anche il titolo Lichene spregiudicato, il dipinto del 1961 che speriamo rimanga nella collezione del Comune di Alba, affisso in quella sala consiliare dove Gallizio ha avuto un seggio per una quindicina d’anni, rimanendo, crediamo, ben poco seduto e molto in piedi a proporre, polemizzare, affabulare. Il lichene ci richiama il mondo vegetale, la cui chimica Gallizio padroneggiava; e ci fa saltare in scenari “preistorici”, di rocce e caverne, che tanto sono stati fecondi per la sua immaginazione di adolescente e di artista che cerca lo stupore e la paura dell’uomo del neolitico. Di quell’ignoto artefice che (spiega Gallizio nel prezioso documentario Rai girato pochi mesi prima della sua morte) un giorno decise di graffiare una parete, o di adornare un vaso, perché voleva «giocare»…

Di tanti licheni possibili, pare ovvio che in un quadro di Pinot Gallizio ne finisca uno spregiudicato, spudorato, anticonformista: la sana, positiva spregiudicatezza di Gallizio, artista libero, «amateur professionnel», coinvolto in un gioco millenario.

http://www.gazzettadalba.it/2014/02/pinot-gallizio-maestro-incompreso-di-alba/