La "domenica più
lunga" per la Grecia e l'Ue, vista da Atene. Una corrispondenza
di Mauro Faroldi.
Mauro Faroldi
Grecia, tre motivi per
la clamorosa vittoria del NO al referendum. E adesso?
La “domenica più lunga
è finta da poche ore”, e da poche ore si è spento in piazza
Syntagma, la piazza della Costituzione, il clamore dei vincitori, i
sostenitori del no al referendum.
Un risultato clamoroso:
il no, dato indietro di stretta misura su tutti i sondaggi, ha vinto
raggiungendo il 61,31%. Come spiegare un consenso così
plebiscitario a un governo che alle ultime elezioni aveva raggiunto
poco più del 42% dei consensi e sta governando grazie a un generoso
premio di maggioranza garantito dalla legge elettorale del paese?
A mio avviso ci sono tre
motivi principali. Il primo è che il tentativo dell’opposizione,
supportata da tutte le cancellerie europee con in testa quella
tedesca, di far passare (conoscendo la vocazione europeista dei
greci) il sì o il no al referendum come un sì o un no alla
permanenza nell’Unione Europea è fallito. Il governo chiedeva col
referendum il consenso per sottoscrivere o no un accordo –
definito da Tsipras un ultimatum e dalla Merkel un “buon accordo”
– su una serie di pesanti misure economiche richieste dalla
“troika”.
Il secondo è che
l’opposizione non è riuscita a smuovere e a portare a votare sì
quella grande massa di greci, che tradizionalmente votava al centro
o a destra, e che ormai non si reca più a votare. Al referendum,
vissuto specialmente nella seconda parte della scorsa settimana in
maniera estremamente emozionale, alla fine hanno votato meno degli
elettori delle ultime elezioni politiche.
Il terzo è che la
chiusura delle banche, le file ai Bancomat dove i prelevamenti
avevano un tetto massimo di 60 euro giornalieri, non hanno indotto
la popolazione a “più miti consigli” come speravano
l’opposizione e gli ambienti finanziari europei, e come temevano
anche molti sostenitori del no; al contrario, hanno suscitato un
esplodere dell’orgoglio nazionale e spinto molti a votare no.
Non amo e non voglio
scendere nella retorica, ma popolazione greca ha dimostrato di
essere un “osso duro”, di saper dire no anche in situazioni
estremamente sfavorevoli e difficili, e non è la prima volta nella
sua storia.
Finiti i festeggiamenti,
lo sventolio delle bandiere biancoazzurre, i salti di gioia, per il
governo Tsipras riprende una strada che non può essere che in
salita. Per cogliere i frutti del suo successo deve raggiungere al
più presto un accordo per ottenere gli aiuti di giugno con cui
continuare saldare una delle infinite scadenze dei debiti che
soffocano il Paese.
Deve trovare il modo di
rimediare ai pagamenti non saldati, sempre a giugno, che pongono la
Grecia in situazione di insolvenza e quindi con un piede e mezzo nel
baratro del default. Deve convincere, e questo nelle prossime ore,
la BCE a far ripartire il sostegno ELA (la fornitura di liquidità
d’emergenza) alle banche greche.
Senza liquidità, il
governo sarebbe infatti costretto a battere moneta uscendo di fatto
dall’euro, e aprendo in questo una fase ancora più incerta e
difficile e sicuramente molto più dolorosa almeno in un primo
periodo, da misurare in anni e non certo in mesi. Il momento è così
difficile che il ministro dell’economia Yanis Varoufakis,
inviso da BCE e FMI, si è dimesso stamattina per facilitare le
trattative e raggiungere un accordo.
Il momento è cruciale,
Tsipras forse fin da oggi si presenterà a Bruxelles con in mano un
pacco di voti che hanno sostenuto la sua scelta, una piccola carta
in più in questa estenuante partita a poker che dura ormai da
cinque mesi. Ma questo determinerà ben poco le trattative, che
dipenderanno dalle valutazioni delle cancellerie europee e dei
centri finanziari: se è conveniente tenersi nella moneta unica una
Grecia “inaffidabile, indisciplinata e ribelle” o se
abbandonarla a se stessa.