Una
mostra a Roma ricostruisce storia e percorsi di CoBrA, momento di
passaggio fondamentale dal surrealismo rivoluzionario al situazionismo.
Achille Bonito Oliva
CoBrA, la comunità
europea degli artisti in fuga dalla realtà del mondo
«After us, freedom».
Dopo di noi, la libertà. Questo è lo slogan che accompagna CoBrA,
una grande avanguardia europea ( 1948- 1951), mostra promossa dalla
Fondazione Roma a Palazzo Cipolla, fino al 3 aprile 2016. Il gruppo
Cobra nasce per iniziativa di artisti come Jorn, Appel, Constant,
Corneille, Alechinsky e gli scrittori Dotremont e Noiret con
l’intenzione di scardinare ogni modulo linguistico,
dall’astrattismo al realismo.
Un gruppo trans-europeo
che rompe ogni ordine formale per accedere a una libertà espressiva
capace di trasmettere vitalità ed energia creativa. L’artista
diventa l’eroe che si autorizza da solo a usare in piena libertà
tutte le armi del linguaggio pittorico per consegnare al corpo
sociale il deposito di visioni da lui elaborate. Da qui la violenza,
non soltanto del segno, necessaria per spostare l’inerzia della
sensibilità collettiva fuori da ogni convenzione verso il piano
dinamico e inclinato della visionarietà e di una visibile
spiritualità.
Una necessaria e felice
frammentarietà, riscontrabile in tutte le opere, è il sintomo di
una mentalità che non vuole opporre a un ordine un altro ordine. Al
contrario essa è il segno di un universo linguistico continuamente
aperto e arricchito da una conflittualità permanente, frutto di una
sensibilità neoumanistica che vuole ridare centralità
all’immaginario.
Corneille, Habitants du Désert
Begging Children (1948)
di Karel Appel, Eine Cobra- Gruppe (1946) di Asger Jorn, Habitant du
Desert (1951-1952) di Corneille, Ondes extremes (1974-1979) di Pierre
Alechinsky e Christian Dotremont, costituiscono le prove di grande
spiritualità individuale e morale degli artisti, nello stesso tempo
del bisogno di un sodalizio capace di spostarli fuori da solitudine e
isolamento.
La lingua dell’arte è
l’unica in grado di formulare parole visive che attraversano ogni
differenza etnica e culturale. I modi sono quelli di un linguaggio
che accetta ogni contaminazione e vuole colmare ogni scissione.
Infatti prevale lo stile della frammentazione, l’alterazione
dell’eleganza e del garbo, l’accento forte di una espressione che
vuole farsi sentire in tutte le sue lacerazioni. Enfatizzare per
questi artisti europei significa compiere una sana operazione di
regressione che consiste nel mettere il proprio io al centro di un
mondo che ipocritamente sembra voler celebrare il mito collettivo del
noi. La forza sta nel non aver posto un io monumentale monolitico,
dunque adulto, bensì alterato da tensioni centrifughe che lo
spostano fuori dai luoghi della ragionevolezza verso territori
abitati dal nervosismo e da una nostalgia primigenia.
Jorn, Ohne Verteidigung
Tale nostalgia,
confinante col sospetto perduto di una possibile interezza, fonda la
sostanza morale di tutti gli artisti del gruppo che non hanno mai
spinto i propri furori nella direzione del nichilismo, ma sempre
nella rifondazione di una visione, attuata attraverso i modelli del
linguaggio creativo. Il delirio espresso dalla loro pittura e grafica
è quello di tentare una umanizzazione della società, usare lo stile
dell’enfasi per essere ed esistere. Questo comune sentimento della
vita elimina ogni distanza geografica, abbatte le frontiere di
appartenenza territoriale, come si desume da nome del gruppo. Cobra:
acronimo e sintesi delle città di provenienza Copenaghen, Bruxelles,
Amsterdam. Un’an- ticipata comunità europea che accoglie artisti
diversi sotto le insegne di un’arte libera e liberatoria, giocata
sull’intreccio di astrazione e figurazione.
All’anemia di una
realtà inizialmente incolore del secondo dopoguerra, questi artisti
rispondono con la rappresentazione di un’altra malattia, quella
dell’esuberanza. La temperatura incandescente dell’opera dimostra
come l’arte sia un procedimento che, pur adottando proprie regole
interne e specifici linguaggi, crea numerosi varchi nella opacità
del quotidiano e introduce una nuova visibilità del mondo. La
sequenza delle opere in mostra conferma una visione antinaturalistica
delle cose, sintomo di una mentalità che non entra in competizione
con le apparenze della vita, semmai si pone in completa alternativa,
in una contrapposizione radicale ed eclatante.
Appel, Begging Children
Uno stato
d’ipersensibilità arma la mano degli artisti che prima si
inabissano all’interno delle loro pulsioni e poi riemergono nella
zona solare della forma e di una materia tattile dove tutto diventa
rappresentazione tangibile. Lo stile dell’enfasi dà continuità a
tale procedimento, voce e notizia a ciò che altrimenti resterebbe
interiore e represso, fondando la possibilità di uno scambio che in
caso contrario sarebbe impossibile. Uno stato dionisiaco sfiora
l’intera esposizione a testimonianza di una poetica comune, l’uso
della creatività che nella sua eccezione altera il ritmo ripetitivo
dell’esistenza.
Ravnen (1952) di Asger
Jorn, Animals (1953) di Karel Appel, Gilles vegetal (1967) di Pierre
Alechinsky e Beest en kind (1960) di Lucebert, Stördo 8.11.1957
(1957) di Karl Otto Götz documentano il bisogno dell’artista di
ristabilire una diversa attenzione del mondo su di sé che altrimenti
non ci sarebbe. La naturalezza del soggetto viene celebrata
attraverso il linguaggio pittorico capace di rappresentare la
posizione asimmetrica dell’uomo fuori da ogni verosimiglianza e
aperta ad ogni felice conflitto. Per questo l’enfasi della forma,
tra materia e colore, diventa il travestimento necessario per
evidenziare tutte le istanze e i bisogni di totalità che la vita
tende a negare.
La repubblica – 13
dicembre 2015