lunedì 25 gennaio 2016

Dissidenti americani: Dalton Trumbo, il fantasma di Hollywood



Un libro e un film rivalutano la figura di Dalton Trumbo,  lo sceneggiatore perseguitato nell'America degli anni 50' e costretto a scrivere sotto pseudonimo.

Mirella Serri

Il fantasma di Hollywood



Deborah Kerr, con l’aria paciosa e i capelli cotonati, nella notte degli Oscar del 1957, proclama vincitore il film La più grande corrida per il miglior soggetto originale di cui è autore Robert Rich. L’attrice rimane però interdetta: sul palco non appare nessuno a ritirare l’ambita statuetta per quella pellicola di gran successo. Il giorno dopo domina le prime pagine la discussione sul «mistero-Rich». I produttori negano di aver mai incontrato quello sceneggiatore-fantasma che ha lavorato senza contatti diretti con loro.

Il mistero di Mr. Rich

Lo strano caso di mister Rich è destinato a ripetersi di frequente e nell’America degli Anni Cinquanta proliferano gli scrittori cinematografici senza identità né volto: La legge del Signore, il bel lavoro di William Wyler, appare privo del nome dello sceneggiatore nei titoli di coda; Pierre Boulle viene incoronato dall’Oscar per l’adattamento per lo schermo del suo libro, Il ponte sul fiume Kwai, ma è noto che a confezionare il testo non è stato il narratore francese digiuno della lingua inglese. A chi appartengono tutte queste penne senza nome?

Carl Foreman e Michael Wilson sono in realtà gli autori del famosissimo «Ponte» di David Lean, la scrittura della Legge del Signore è sempre di Wilson, Rich è lo pseudonimo dietro cui si nasconde Dalton Trumbo. Che peraltro ha avuto l’Oscar anche per il soggetto del meraviglioso Vacanze romane, con Gregory Peck e Audrey Hepburn, siglato però con un altro nom de plume, Ian McLellan Hunter.

A raccontarci la vera storia di Trumbo, una delle più pagate e ricercate firme di Hollywood, è il saggista Bruce Cook ne L’ultima parola (in uscita da Rizzoli ). La biografia ha ispirato il film Trumbo che, diretto da Jay Roach e interpretato da Brian Cranston, Diane Lane, Helen Mirren e John Goodman, sarà nelle sale italiane a partire dall’11 febbraio. Nella pellicola viene ricostruita l’avventurosa vicenda dei cosiddetti Hollywood Ten, ovvero dei dieci attori, scrittori, produttori, registi - di cui Trumbo è uno degli esponenti di maggior spicco - i quali a partire dal 1947 rientrano nella blacklist della commissione maccartista incaricata di indagare sulle attività antiamericane.

In epoca di caccia alle streghe e di guerra fredda, con il globo diviso tra America e impero del male, questi uomini di spettacolo si rifiutano di compiere opera di delazione nei confronti dei loro colleghi. Chi collabora, come Jack L.Warner, capo della Warner Brothers, Gary Cooper, Robert Montgomery, Ronald Reagan (futuro presidente degli States) e Robert Taylor, viene scagionato. Chi si sottrae, invece, ha davanti il carcere: tra gli accusati, insieme ai magnifici dieci, c’è anche Bertolt Brecht che ribatte alle accuse in maniera così convincente da sfuggire alla citazione per vilipendio al Congresso. Poi però scappa subito dagli Usa per approdare nella Germania dell’Est, finendo dalla padella nella brace.



Nella lista nera

Trumbo è arrivato nel paradiso degli Studios facendo la gavetta. Intollerante, gran bevitore, non è uno dei tanti «comunisti da piscina», come vengono chiamati gli esponenti dell’intellighenzia di sinistra. Ha lavorato tutte le notti come panettiere crollando con la testa sui libri della University of Southern California, ha sfondato come reporter per il Grand Junction Sentinel, il quotidiano della sua città, e poi ha avuto successo a Hollywood.

Quando la commissione lo interroga sui suoi legami con il Partito comunista, si appella al diritto di non rispondere: in aula al suo fianco vi sono Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Gene Kelly, John Garfield e John Huston. Ma il sostegno delle grandi star non basta. Viene condannato a 11 mesi di galera. Dalton è accompagnato dai suoi estimatori come un eroe ai cancelli del penitenziario federale di Ashland, Kentucky. Ma quando esce la propaganda contro i sovversivi ha convinto gran parte della pubblica opinione che è un «losco traditore» assieme a tutta la sua famiglia. Le porte di Hollywood per lui sono sbarrate.

È costretto a rifugiarsi in Messico dove, offrendo le sue prestazioni in nero e nel più completo anonimato, produce addirittura più di trenta copioni. Ma nel 1960 il regista Otto Preminger compie un gesto eclatante: rivela che Trumbo è stato incaricato della sceneggiatura di Exodus, tratto dal romanzo di Leon Uris che prende il nome dalla nave che nel 1947 porta in Israele un numeroso gruppo di immigranti. Il desiderio di verità e di giustizia si sta facendo strada: Kirk Douglas rende noto che Spartacus, con la regia di Stanley Kubrick, ha avuto origine dalla magia di Trumbo. La reazione degli attivisti non si fa attendere: gruppi di manifestanti anticomunisti organizzano picchetti in tutti gli States per impedire l’ingresso nelle sale dove viene proiettata la pellicola.



L’apprezzamento di JFK

Il clima però sta cambiando e non c’è più spazio per gli adepti di Joseph McCarthy. A dare la spallata definitiva ai fanatismi è il neoeletto John F. Kennedy: superando gli sbarramenti entra in un cinema di Washington dove si proietta Spartacus. «Un bel film», commenta all’uscita. Il suo giudizio pone fine a tutte le ostilità. Da quel momento Trumbo è riaccolto nella Mecca del cinema e può riprendere apertamente la penna in mano. Ultima sceneggiatura, prima della sua scomparsa nel 1976, sarà Papillon in cui presta pure il suo volto ad un arcigno ufficiale. Lo sdoganamento di Trumbo rappresenta non solo la sua personale riabilitazione ma la fine dell’era della caccia alla streghe e dei fantasmi dello schermo.


La Stampa – 24 gennaio 2016