Giorgio Amico
Il paese dimenticato
Andare per boschi in una giornata di sole con le Alpi luccicanti di neve a riempire gli occhi rende leggero il cuore. Siamo appena sopra la città, a pochi chilometri dal mare e da una riviera affollata.
Lasci la macchina sulla strada provinciale, prendi un sentiero fra gli alberi e dopo qualche centinaio di metri ti ritrovi davanti a un gruppo di case in rovina.
Un posto che conosci, che ricordi pieno di vita, dove sei stato tante volte.
Anche la Chiesa è in rovina. Il tetto lascia intravvedere il campanile.
All'interno solo i segni della devastazione. Non c'è più nulla, solo rovine. Quello che non è stato possibile rubare è stato distrutto. Resta solo un confessionale, testimone muto del passare inesorabile del tempo.
Eppure fino a non molti anni fa queste viuzze erano abitate.
Queste stalle, miracolosamente quasi intatte, ospitavano animali.
Si sentivano le voci dei bambini. Lo testimonia la targa sbiadita che ci dice che qui c'era una volta una "scuola rurale". La scritta si legge a fatica, ma basta a riempire il cuore di tristezza.
Guardando quelle finestre senza più luce ci sentiamo intrusi.
Ci sembra che la nostra presenza fra quei muri spezzati, fra quei focolari spenti per sempre, sia una specie di profanazione.
Torniamo alla macchina senza parlare. E il sole caldo e il rosseggiare degli agrifogli nel cielo limpidissimo non bastano a mitigare il senso di morte che proviamo.
Le bacche sono il segno del Natale che si avvicina, ma non per questo paese dimenticato troppo in fretta. Qui da anni ormai non ci sono più né canti né luci. Le campane della chiesa sono mute. Solo il fischio del vento fra le rovine e la neve che presto verrà a coprire di nuovo i tetti.