L'Occitania è la più
grande delle Nazioni senza Stato europee. Un libro ne racconta la storia.
Alessandro Barile
Settecento anni di
rivolte e resistenza
A dispetto del luogo
comune che vorrebbe la Francia uno dei paesi più “unitari” e
omogenei d’Europa, questo è al contrario uno dei territori
maggiormente attraversati da spinte secessioniste e federaliste:
occitani, corsi, bretoni, baschi, alsaziani e fiamminghi da secoli
lottano per il riconoscimento delle proprie specificità nazionali,
culturali e politiche. L’esasperato centralismo statuale non è
allora la caratteristica peculiare di un territorio particolarmente
coeso, ma la risposta necessaria che la Francia è stata costretta a
darsi onde evitare l’inevitabile frantumazione.
Come si è imposto questo
centralismo, è proprio l’oggetto della ricerca di Gérard de Sède,
pubblicata in Francia addirittura nel 1970 ma che solo oggi vede la
sua edizione italiana per opera meritoria delle edizioni Tabor
(tabor.noblogs.org). L’autore si concentra sullo specifico caso
occitano, che costituisce un unicum nella storia europea.
L’Occitania è infatti
il più grande dei territori europei, con una popolazione stimata di
15 milioni di abitanti e una superficie di 196 mila kmq, a non aver
mai raggiunto alcuna forma di riconoscimento ufficiale e
istituzionale, a non essere mai divenuta Stato. Per dirla con le
parole del romanziere Robèrt Martì, “il solo territorio sovrano
che il popolo occitano poté mai abitare furono la sua lingua e la
sua letteratura”. Una lingua e una letteratura davvero notevoli,
che coincisero con l’apice della letteratura medievale trobadorica,
e che successivamente si trasformarono in strumento di resistenza
all’assimilazione francese dopo il XIV secolo. L’annessione di
tutto il Mezzogiorno al nord francese non avvenne però
pacificamente.
Anche nel caso occitano,
i perdenti rimangono senza voce, vittime di una guerra civile mai
riconosciuta. Eppure, la pacificazione occitana rimane uno dei
capitoli più cruenti della storia francese e della chiesa cattolica.
L’istituzione stessa del Tribunale dell’Inquisizione, nel 1184 e
perfezionata da Innocenzo III nei primi anni del XIII secolo, rispose
alla necessità di stroncare la religione catara in Occitania, un
culto popolare che, sfruttando la dimensione religiosa, garantì la
continuità di alcuni caratteri tradizionali occitani addirittura
pre-romani. La crociata del 1209-1229, la prima contro altri
cristiani, solo superficialmente rispose alle esigenze di
pacificazione confessionale: molto più concretamente, la religione
servì come copertura ideologica di un processo di annessione
territoriale di una popolazione aliena alle caratteristiche dei
gallo-franchi del nord.
L’esagono francese,
almeno fino alla fine del XV secolo, era tutt’altro che compatto
territorialmente e culturalmente. La stessa lingua, oggi celebrata
come elemento di unità culturale dal mare del Nord al Mediterraneo,
fino al XVIII secolo avrà vita dura nell’affermarsi in tutto il
regno. Solo l’organizzazione delle prefetture garantirà la
soppressione di ogni particolarismo locale.
Un fenomeno in sé non
necessariamente regressivo, ma che calato nella specifica realtà
occitana assume la forma della colonizzazione interna. Il saggio di
de Sède ripercorre settecento anni di resistenza, di rivolte, di
vere e proprie guerre civili combattute da eroi sconosciuti: dalla
resistenza religiosa di Bernard Délicieux alle rivolte contadine dei
crocquants, dai guerriglieri camisards alle comuni occitane del XIX
secolo, per finire nel Novecento dove il movimento occitano assume
chiaramente i caratteri progressivi e socialisti nella lotta contro
l’accentramento francese e contro l’invasore nazista.
La conclusione
dell’autore è amara ma sintetizza un fenomeno tipico di certi
regionalismi addomesticati dal potere centrale: una volta sconfitta
politicamente e sottomessa culturalmente, l’Occitania viene
riscoperta in chiave turistica e sotto-culturale proprio da quello
Stato centrale nei secoli impegnato alla sua scomparsa reale. Dagli
anni Settanta l’Occitania vive la sua “riscoperta”, così come
il catarismo, oggi rivalutato (e addirittura rivendicato dai
“francesi”) in chiave folcloristica e pacificata. Nel momento in
cui non fa più “paura”, l’Occitania diviene elemento culturale
da sfoggiare, simbolo della trasformazione democratica dello Stato.
Motivo in più per visitare quei luoghi fuori da circuiti turistici
prestabiliti, magari partendo proprio dalle Valli occitane
piemontesi.
Il Manifesto – 28
gennaio 2017
Per chi vuole approfondire. E' consultabile on line Lo Lugarn, la rivista del Partito della Nazione Occitana.
http://lo.lugarn-pno.over-blog.org/