A 60 anni dalla
fondazione dell'Internazionale situazionista, il 29 luglio Cosio d'Arroscia dedicherà una intera giornata a quell'evento e ai suoi protagonisti.
Da qui al 29 ogni giorno racconteremo un pezzettino di quella storia.
Iniziamo oggi con una pagina quasi sconosciuta della vita di Guy
Debord.
Giorgio Amico
Guy Debord, un liceale
surrealista
Nei suoi ricordi Debord
fa spesso riferimento al ruolo privilegiato che il surrealismo ha
avuto nella sua formazione. Non sappiamo bene come avvenga questa
scoperta, molto probabilmente tramite le poesie e le sceneggiature
cinematografiche di Prevert, e forse anche attraverso Cocteau, autori
allora molto di moda. Una scoperta che non avviene per caso, ma
grazie soprattutto all'incontro nella primavera del 1949 con Hervé
Falcou, un compagno di scuola di qualche anno più giovane.
Quando incontra Debord [che ha 18 anni], Hervé non ha ancora
compiuto 15 anni, ma manifesta già precocissimi interessi letterari
e artistici. Sarà proprio questa precocità a colpire Guy che non
tiene in grande considerazione i suoi coetanei e lo scrive all'amico:
«In
ogni modo si deve spaccare tutto. Non è credibile (…) che io
continui ad uscire con tipi privi di interesse e ragazze che non amo
– che non sono neppure belle. D'altronde nessuno lo potrebbe più
essere».
I due adolescenti hanno davvero
molto in comune: sono entrambi orfani di padre e di salute
cagionevole, tutti e due sono stati allevati dalla nonna materna e
disprezzano il nuovo marito della madre, ma soprattutto hanno un
comune ardente amore per la poesia e l'arte. Pur essendo il più
giovane, è Hervé il più preparato, quello dei due che ha letto di
più e soprattutto le cose più interessanti. Per sua stessa
ammissione Guy legge romanzi popolari, da poco è passato dai libri
d'avventura dell'infanzia ai romanzi gialli di cui resterà comunque
per tutta la vita un appassionato lettore. Hervé gli apre
all'improvviso le porte del mondo, fino a quel momento per lui
sconosciuto, delle avanguardie artistiche del Novecento. Questo
incontro segna una svolta fondamentale nella sua vita, documentata
dalla copiosa massa di lettere che i due si scambiano per quattro
anni dal 1949 al 1953 e che permette una conoscenza più precisa di
come Debord viva quella delicata fase di tranzione tra l'adolescenza
e l'età adulta, passaggio che si conclude con la sua adesione al
movimento lettrista e l'inizio di una vita pienamente indipendente.
Già nelle prime lettere di questa corrispondenza appaiono
frequentemente i nomi di Paul Éluard, Louis Aragon, Pablo Picasso,
André Breton, Jacques Prevert.
Hervé Falcou, venuto a
soggiornare al sud per ragioni di salute, proviene dall'ambiente
della grande borghesia intellettuale parigina. Sua madre, pittrice di
una certa fama, frequenta artisti e intellettuali importanti. Il
quattordicenne conosce bene per pratica famigliare l'ambiente delle
avanguardie parigine e in particolare dei surrealisti. Per non
sfigurare con l'amico Debord si accinge ad uno studio sistematico
del movimento surrealista a partire dalla fondamentale Storia del
Surrealismo di Maurice Nadeau, uscita con grande successo nel
1945 e completata tre anni dopo da una ricca antologia di testi.
Nel tempo libero dalla
scuola Hervé e Guy si dedicano con passione ad attività tipicamente
surrealiste come la scrittura automatica e a formulare fantasiosi
progetti di abbellimento architettonico di Parigi che rappresentano
forse i primi germi di quella che qualche anno più tardi diventerà,
arricchita da nuovi incontri e da nuove stimolanti esperienze, la
pratica situazionista dell'urbanismo unitario. Guy è consapevole
del suo ritardo culturale nei confronti dell'amico e un po' ne
soffre. Le lettere che invia nel 1950 a Hervé testimoniano della
frenesia con cui cerca di colmare le sue lacune. Uno dopo l'altro
legge tutti i classici del surrealismo, le opere di Breton, le poesie
di Char e di Éluard. Poi
passa ai precursori ideali del movimento, Rimbaud e Apollinaire.
L'influsso di queste letture sarà profondo e duraturo e darà al
giovane Debord la convinzione di appartenere ad una élite libera
dalle «meschinità che imprigionano le persone». Un sentimento
forte che si traduce nelle lettere all'amico in una scrittura tinta
di lirismo che rivela un senzo tragico dell'avvenire e un disagio
esistenziale a cui non è estranea la lettura di Sartre. Sulle soglie
dell'età adulta Guy non ha dubbi sulle scelte da fare sia sul piano
dell'arte che della vita e lo comunica a Falcou: «Il
movimento Dada è da rifare... se la questione si ponesse, io mi
affiancherei facilmente a André Breton».
Quanto al futuro egli più di ogni altra cosa desidera «condurre
la vita più libera possibile».
Il periodo fra la fine
del 1949 e l'inizio del 1950 è fondamentale per la sua evoluzione e
non solo sul piano culturale. Il giovane, che vuole scrollarsi di
dosso il peso sempre più soffocante della sua famiglia e della sua
classe sociale, è in cerca un'uscita di sicurezza e la trova nelle
potenzialità libertarie che la vita di strada offre a chi abbia il
coraggio di rifiutare le regole stabilite dalla società. Il suo
atteggiamento verso la vita e il mondo che lo circonda cambia
radicalmente. Non gli interessa più, se mai gli è davvero
importato, di farsi una posizione una volta terminati gli studi. Vive
la scuola come una costrizione che gli ruba il tempo che egli
vorrebbe interamente dedicare alle sue ricerche e ai suoi nuovi
«giochi».
Il suo linguaggio utilizza sempre più una fraseologia
rivoluzionaria. Nelle lettere a Falcou, che testimoniano di questa
rapidissima evoluzione, i termini «terrorismo» e «terrore»
iniziano ad apparire con una certa frequenza. Guy inizia ad
assumere atteggiamenti da teppista e a comportarsi di conseguenza.
Compiaciuto, confida all'amico le sue imprese: piccoli atti di
vandalismo, scritte provocatorie sui muri di Cannes, disturbo delle
funzioni religiose nelle chiese. Più di tutto, inizia a bere. Suoi
maestri di scrittura e di mala/vita diventano Villon, Sade,
Lautréamont, Cravan. É
alla loro approvazione ideale che egli tiene più di ogni altra cosa.
Ce lo dice in Panegirico senza alcun giro di parole, con poche
chiarissime frasi:
«Non
potevo nemmeno pensare di studiare una sola delle dotte discipline
che portano ad avere questo o quell'impiego, perchè mi apparivano
tutte estranee ai miei gusti o contrarie alle mie opinioni. Coloro
che stimavo più di chiunque altro al mondo erano Arthur Cravan e
Lautréamont, e sapevo perfettamente che tutti i loro amici, se
avessi accettato di fare studi universitari, mi avrebbero disprezzato
non meno che se mi fossi rassegnato a svolgere un'attività
artistica».
Nella
figura mitica del poeta «maledetto», così importante nella
letteratura occidentale dal romanticismo in avanti, il giovane
liceale trova il modello a cui riferirsi per dare sostanza culturale
al suo sempre più aperto rifiuto delle convenzioni. Debord
considererà sempre Lautréamont come l'ispiratore principale de la
sua scrittura:
«Niente
mi pare aver dato nell'arte questa impressione della luce definitiva,
tranne la prosa usata da Lautréamont nell'enunciazione programmatica
che ha chiamato Poesie».
Ciò che attira Debord è
il plagio, il gioco consapevole di riappropriazione a fini sovversivi
delle opere della tradizione letteraria: « Il plagio è necessario.
il progresso lo implica. Stringe da presso la frase di un autore, si
serve delle sue espressioni, cancella un'idea falsa, la sostituisce
con l'idea giusta», afferma Lautréamont.
Una frase che
affascina Debord, che su questo ardito concetto baserà interamente
la sua pratica del détournement. Pur dichiarandosi
«anarco-lettrista», si impegna per qualche tempo nelle attività
dei «partigiani della pace», raccogliendo firme sul cosiddetto
appello di Stoccolma per l'interdizione assoluta delle armi nucleari.
Debord non avrà mai ripensamenti. Da vero enfant
perdu il
giovane Guy è
ormai partito per un'avventura da cui sa non esserci ritorno
possibile:
“Vidi
finire, prima di avere vent'anni, questa parte tranquilla della mia
giovinezza. E non ebbi più altro obbligo che quello di seguire senza
freni tutti i miei gusti, ma in condizioni difficili. Andai anzitutto
verso l'ambiente, molto attraente, dove un estremo nichilismo non
voleva più saperne, né sopprattutto continuare ciò che era stato
fino ad allora ammesso come uso della vita o delle arti. Questo
ambiente mi riconobbe senza sforzo come uno dei suoi. Là svanirono
le mie ultime possibilità di tornare un giorno al corso normale
dell'esistenza. Lo pensai allora, e il seguito l'ha dimostrato».
(Da:
Giorgio Amico, Guy Debord e la società spettacolare di massa,
Massari editore, 2017)