A proposito della
polemica (disgustosa) su Giuseppina Ghersi
Ce lo hanno insegnato i
greci. Il nemico ucciso va placato, sacralizzandone la morte. Lo fa
Achille, dopo aver fatto scempio del corpo di Ettore. Lo fa Ulisse
dopo la vendetta e lo sterminio dei Proci. Il sangue sparso va
giustificato perchè ogni guerra è una guerra civile. Solo così la vita può riprendere. Ce lo ricorda
Cesare Pavese.
Ma ho visto i morti
sconosciuti, i morti repubblichini: sono questi che mi hanno
svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile,
se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche
vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna
placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l’ha
sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda
altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha
l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei
corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi.
Non è paura, non è la solita viltà Ci si sente umiliati perché si
capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto
potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo
dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra
civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.
(Cesare Pavese, La casa in collina)