martedì 10 ottobre 2017

9. Karl Korsch e l'esperienza di Kommunistische Politik (1926-1928)


Ottavo capitolo del nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista". Ormai fuori dal Partito comunista, Korsch fonda una una rivista politica come embrione di una nuova organizzazione rivoluzionaria del proletariato tedesco. Grandi ambizioni e grande impegno, ma gli esiti saranno deludenti.

Giorgio Amico

L’esperienza di Kommunistische Politik (1926-1928)



Fedele all’impegno assunto nella sua giovinezza di essere sempre e comunque dalla parte del proletariato, Korsch, ormai fuori dalle fila del partito comunista, rivolge con rinnovato interesse la sua attenzione alle manifestazioni di autonomia operaia che ancora si manifestano in Germania, riprendendo spunti già contenuti in nuce negli scritti del periodo consiliare. Parallelamente si dedica ad assicurare più solide basi teoriche al gruppo di Kommunistische Politik e al tentativo di costruire un raggruppamento di forze rivoluzionarie a livello internazionale. È un periodo di forte impegno militante, ma anche di studio intenso. Nella sua nuova veste di leader di un gruppo politico autonomo, Korsch si vede costretto ad approfondire questioni mai affrontate prima, ma che stanno diventando centrali nel dibattito del movimento comunista e su cui occorre dunque prendere posizione. Stimolato dall’emergere della questione cinese, inizia pertanto a studiare la realtà dei paesi coloniali e dei movimenti di liberazione nazionale. Un tema a cui si dedicherà, pur senza produrre alcun testo organico, fino agli ultimi giorni della sua vita.

“Dopo essere stato espulso dal KPD – testimonia Hedda – pubblicò per due anni la rivista Kommunistische Politik, pagandola con il proprio stipendio di deputato al Reichstag, mentre noi due vivevamo con il suo salario di Jena e con il mio reddito di insegnante. La rivista aveva il formato di un giornale ed era quasi autosufficiente. In tutto il periodo che va fino al 1933, Korsch sviluppò la sua comprensione di alcuni argomenti chiave e continuò a dare conferenze sul marxismo. Studiò geopolitica, storia mondiale e matematica. Lavorò molto a fondo sul pensiero matematico moderno (…). Affrontò anche profondamente i problemi di quello che oggi verrebbe definito Terzo Mondo. Studiò lo sviluppo dei vari paesi coloniali perché riteneva che la liberazione delle colonie era forse imminente e avrebbe potuto cambiare cmpletamente la politica mondiale”. 1

Nel corso dell’estate del 1926 si susseguono senza sosta le espulsioni degli esponenti della “Sinistra decisa”. A luglio vengono cacciati dal partito consistenti gruppi di militanti in Assia, nel Meclemburgo e in Turingia. Ad agosto è la volta di Schlagewerth, Loquingen, Loussau e altri dirigenti che vanno a costituire solidi gruppi locali composti prevalentemente di operai. L’estromissione pressochè totale della frazione di sinistra dal Partito comunista tedesco costringe Korsch e gli altri esponenti della “Sinistra decisa” ad organizzare una conferenza nazionale che affronti i problemi, numerosi e complessi, connessi alla trasformazione in organizzazione politica autonoma di quella che fino a quel momento era stata una componente interna della KPD. Occorre darsi una nuova struttura organizzativa, risolvere il problema, fondamentale per ogni forza politica, dei quadri a tempo pieno, reperire risorse finanziarie, aprire sedi. Ma prima di tutto è necessario fornire la nuova organizzazione di una linea politica complessiva a livello politico e sindacale. Va poi sciolto definitivamente il nodo delle alleanze, cosa certamente non facile considerato lo stato frammentato e fortemente conflittuale dell’estrema sinistra tedesca dell’epoca, divisa in almeno una decina di gruppi impegnati in una continua e feroce polemica con la KPD e fra di loro.

In questi frangenti la speranza di Korsch di costruire un’unica, solida, organizzazione politica capace di raggruppare attorno a sé l’intera ultrasinistra, si rivela fin da subito illusoria. La seconda conferenza nazionale della “Sinistra decisa”, che si tiene il 28 settembre 1926, è teatro di una nuova scissione. Nel momento in cui devono elaborare una loro linea autonoma, i dirigenti di Entschiedene Linke, non più tenuti assieme dalla necessità vitale di fare fronte comune contro la politica repressiva della direzione della KPD, si ritrovano divisi pressochè su tutto. Come sempre in queste situazioni, a complicare le cose riemergono vecchie polemiche e rivalità personali mai sopite. Dopo una giornata di accese polemiche che arrivano in alcuni momenti quasi a degenerare in scontro fisico fra i sostenitori delle varie fazioni, il convegno si chiude con una nuova scissione.

“Alla suddetta conferenza – scrive Weber – si verificarono scontri violenti tra Schwarz, Lossau, Körbs da un lato e Korsch, Loquingen, Schlagewerth, Rolf e Johansen dall’altro. Il primo gruppo, grazie ad un’esigua maggioranza, riuscì a conquistare la direzione nazionale (secondo i sostenitori di Korsch si trattò di una maggioranza “messa insieme con l’inganno”), ma contemporaneamente la conferenza confermò la linea politica del gruppo Korsch. Questi continuò a fare uscire “Kommunistische Politik”, mentre il gruppo Schwarz pubblicò una rivista dal titolo “Entschiedene Linke”. Korsch fu definito spregiativamente “il nuovo Lenin”. Le divergenze di opinione riguardavano soprattutto la questione sindacale, dato che i seguaci di Schwarz sostenevano l’Allgemeine Arbeiter Union e chiedevano la «distruzione dei sindacati»”. 2

Alla conferenza Korsch presenta un documento, sul quale ottiene la maggioranza, dal titolo significativo di Zimmerwald e la sinistra di Zimmerwald! in cui si afferma esplicitamente che i marxisti hanno ormai definitivamte abbandonato qualsiasi speranza di una riconquista del Comintern ad una politica autenticamente comunista rivoluzionaria. Occorre dunque ricominciare “da principio”, ma senza nutrire alcuna illusione sulla possibilità di “un’immediata nuova fondazione” del partito comunista. Proprio in questo consiste la differenza prima con la KAPD, poi con Katz e ora con Schwarz. L’unica prospettiva possibile nelle difficili condizioni date resta sul piano organizzativo semplicemente quella della “formazione di preparativi per una nuova e futura fondazione del partito comunista” allo stesso modo in cui la conferenza di Zimmerwald del 1915 era stata un preparativo della fondazione dell’internazionale comunista, avvenuta poi concretamente solo nel 1919. 3

Nonostante la spaccatura verificatasi alla conferenza, Korsch prosegue nel suo tentativo di costruire un’organizzazione politica autenticamente comunista con l’obiettivo dichiarato della “restaurazione del marxismo nella teoria e nella prassi del movimento della classe operaia sul piano nazionale e internazionale”. 4 Ancora agli inizi del 1927 egli sembra mantenere una certa fiducia nelle possibilità di riuscita dell’impresa:

“la I conferenza nazionale – si legge in un documento del gruppo, anonimo, ma quasi sicuramente redatto da Korsch – tenutasi il venerdì santo 1926, ha prodotto assieme alla discussione e accettazione della nostra Piattaforma della sinistra, la base programmatica provvisoria per il distacco dei veri comunisti (marxisti) dal partito comunista , che sta imputridendo. La II conferenza nazionale, settembre 1926, ha confermato la linea tattica Zimmerwald e la sinistra di Zimmerwald! E ha avuto come effetto il distacco completo del nostro gruppo comunista-marxista dal gruppo di Schwarz che oggi è in parte in decomposizione e in parte svoltato nella KAP. La III conferenza nazionale convocata dalla nuova direzione nazionale , allora provvisoria, del gruppo «Kommunistische Politik» per la Pasqua 1927, ha creato dopo un’approfondita discussione di quattro giorni su tutte le questioni economiche, politiche, tattiche e organizzative, una base solida per il futuro lavoro del nostro gruppo”. 5

Alla conferenza Korsch, uno dei quattro membri della direzione nazionale, tiene la relazione più importante, interamente dedicata ai compiti che stanno di fronte alla nuova organizzazione. Il concetto di fondo può essere sintetizzato nella necessità “di riconoscere e di esprimere con chiarezza, sulla base delle esperienze raccolte sul piano nazionale e internazionale, che al momento attuale anche una nuova Zimmerwald non è raggiungibile”. 6

La conseguenza è che il gruppo di Kommunistische Politik non può operare come un partito, scimmiottando in piccolo il modo di operare della vecchia KPD. Il gruppo deve, invece, cercare il più possibile di inserirsi nei movimenti reali, a partire da quello dei disoccupati, per adempiere a quei compiti di chiarificazione teorica di cui nessuno si fa più carico:

“Se partendo da questa precisa cognizione [l’impossibilità della ricostruzione immediata del partito ndr] cerchiamo delle forme organizzative nelle quali sia possibile creare – anche in questo periodo intermedio, durante il quale il vecchio partito comunista non esiste più e non si è ancora potuto costituire quello nuovo – un grado più alto di coscienza, di coesione e continuità al nostro lavoro, si offre come soluzione una distinzione dei diversi campi di attività, nei quali l’attività di un partito comunista rivoluzionario può venir suddivisa. In alcuni campi importanti il nostro gruppo può e deve – nonostante in questo momento non sia un partito e non possa adempiere a tutti i compiti di un partito comunista – prendere fermamente in mano quei lavori che oggi non vngono compiuti da alcun partito della classe operaia e cercare di portarli a termine con tutta l’audacia e l’impegno di tutte le proprie forze. Esistono, invece, altri campi dell’attività del partito dove nelle attuali circostanze la maggiore quantità di azione pratica del nostro gruppo e di tutti i suoi membri può venire realizzata molto meglio, se noi non insistiamo nel voler apparire dovunque e a ogni costo secondo direttive uniformi, centrali, in quanto organizzazione autonoma, ma orientarci il massimo possibile secondo le condizioni locali. Questo “decentramento”, che per una determinata parte della nostra attività eseguiamo coscientemente e volontariamente, non offre evidentemente ad alcun membro, ad alcun gruppo locale, ad alcun distretto del nostro gruppo «Kommunistische Politik» una lettura in bianco per un modo di procedere debole, senza principi. Per tutti noi valgono in maniera assoluta i principi rigidamente marxisti, comunisti, confermati all’unanimità dall’attuale conferenza nazionale. Ma noi rimaniamo marxisti, pensando nello stesso tempo alle parole di Marx, secondo il quale «ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di programmi»”. 7

Ci scusiamo con i lettori per la lunghezza di questa citazione, ma era necessario riportare il brano nella sua interezza, tanto esso esprime alla perfezione sia ciò che Korsch pensa e si propone in quel momento, quanto le contraddizioni reali che il gruppo sta vivendo e che lo porteranno nello spazio di un anno alla dissoluzione. In particolare, quel voler a tutti i costi operare da partito, senza voler essere “il partito” rappresenta lo scoglio su cui andrà a naufragare l’esperienza di Kommunistische Politik, lasciando aperto un interrogativo, teorico e politico, con cui proprio a partire da questa esperienza grandi individualità del movimento operaio come Pannekoek, Mattick, Castoriadis si sono in seguito confrontati senza riuscire a trovare una soluzione soddisfacente. 8



La questione sindacale e l’autonomia operaia

Se dunque dopo la rottura col movimento comunista ufficiale Korsch ritorna a confrontarsi con la tematica delle lotte operaie, il punto di partenza da cui egli muove è radicalmente mutato rispetto al passato. Non agire più da partito significa in questo caso valorizzare maggiormente la spontanea carica rivoluzionaria che la lotta operaia, ogni lotta operaia, comunque contiene. Assistiamo dunque ad un radicale spostamento dell’interesse di Korsch dall’azione disciplinata e programmata di partito alla ricchezza dei comportamenti antagonisti messi in campo dai proletari. Centrale nella sua prospettiva non è più la politica dei gruppi dirigenti delle varie organizzazioni, grandi e piccole, del movimento operaio, ma la lotta in sé come processo che permette al proletariato, di prendere coscienza e cioè di costituirsi come classe, di trasformarsi da classe in sé in classe per sé. Solo alla luce di questo processo di progressiva acquisizione di significato, si giustifica per Korsch l’importanza che la lotta sindacale ha sempre rivestito per i comunisti. Coerente con l’originaria impostazione marxiana, egli ritiene che

“il vero scopo delle lotte economiche che guidano e sempre devono guidare i lavoratori alla difesa e al miglioramento delle loro condizioni di lavoro e di vita all’interno dell’ordine esistente della società capitalistica consiste fin dall’inizio e ancor oggi non nei «successi» più o meno «positivi», che con ciò potrebbero e possono essere raggiunti a vantaggio dei lavoratori all’interno dell’esistente sistema sociale capitalistico e del suo Stato, ma piuttosto nella costituzione del proletariato come classe, che si compie tra vittorie e sconfitte, mediante queste lotte e nel corso di esse”. 9

Questa concezione, rigorosamente marxista, permette di superare una volta per tutte la diatriba “sindacato si, sindacato no” che dal 1920 divide il movimento rivoluzionario tedesco e che ancora nel settembre 1926 aveva causato la spaccatura di Entschiedene Linke. Korsch è convinto che le varie tendenze comuniste si siano divise su una valutazione “organizzativa” e non “politica” del problema. Si è cioè verificata un’inversione idealistica della questione: invece di partire dal significato delle lotte per arrivare a definire il rapporto con le varie organizzazioni sindacali, si è proceduto da una valutazione astratta, di principio, di quale fosse il tipo di organizzazione sindacale ideale per la lotta, indipendentemente dalle situazioni concrete. Alla luce di una coerente impostazione materialistica della questione, appare immediatamente l’assoluta inconsistenza delle posizioni di chi ritiene che il semplice rifiuto del lavoro nei sindacati connoti di per sé gli autentici rivoluzionari, ma anche il formalismo di chi pensa basti militare disciplinatamente all’interno della componente comunista nei sindacati ufficiali o costituire “sindacatini rossi” per potersi dichiarare marxista. Per Korsch la posizione dei marxisti autentici è dunque un’altra e si fonda sulla consapevolezza che ciò che conta è la lotta. Perchè ogni lotta operaia è in sé una lotta politica, perché la lotta del proletariato contro la borghesia inizia con la sua stessa esistenza. Ne deriva che

“dal punto di vista dello scopo rivoluzionario vero e proprio e di classe di tutte le lotte condotte dai lavoratori all’interno della società capitalistica e del suo Stato, è altrettanto importante, e talvolta più importante della legalistica lotta dei sindacati condotta secondo regole sperimentate tradizionalmente, la lotta dei proletari non organizzati nelle sue molteplici forme, a partire dall’immediata influenza personale dei compagni di fabbrica, fino alla formazione dei diversi tipi di comitati e direttivi temporanei o stabili”. 10

Per Korsch non ha dunque alcun senso contrapporre lotta sindacale e lotta politica, attività dei sindacati e azione spontanea delle masse, agitazioni di fabbrica e lotte dei disoccupati. Né esiste una scala di priorità tra le diverse forme di lotta. Quello che veramente conta è l’azione autonoma delle masse, il dispiegarsi di quel movimento reale che per Marx riveste più importanza di ogni per quanto perfetto documento di partito. Partito dall’ingenua fiducia dei socialisti fabiani nella positività delle masse, passato dopo la disillusione dei primi anni Venti attraverso l’esperienza “bolscevica” del partito centralizzato e disciplinato, Korsch approda ora ad una totale valorizzazione dell’autonomia operaia come base stessa del comunismo, superando definitivamente la contraddizione esistente tra la visione della rivoluzione come totalità che sostanzia Marxismo e filosofia e la militanza in un partito inteso leninisticamente come corpo esterno alla classe. Liberatosi sul piano della prassi concreta da ogni visione feticistica dell’organizzazione, egli può riprendere senza più impedimenti o autocensure il vecchio discorso consiliare, 11 accentuandone semmai ulteriormente la già forte carica sovversiva.

“Di grandissima importanza per l’attuale lotta di classe del proletariato è soprattutto la lotta di classe dei disoccupati, da favorire con tutti i mezzi da parte di tutti i veri comunisti, e l’«ancoraggio» di questa lotta non solo in qualche comitato «sindacale» dei disoccupati, ma nella solida unione organizzata di tutti i disoccupati, di questa parte del proletariato senza dubbio oggi la più sfruttata, per saldare i loro consigli dei disoccupati, liberamente eletti, tanto fra di loro quanto con i consigli aziendali e i fiduciari in una unità di classe rivoluzionaria, incrollabile”. 12

A partire da queste considerazioni, Korsch sviluppa in un lungo scritto Sul diritto di contrattazione, apparso come opuscolo agli inizi del 1928, una penetrante analisi sul ruolo assunto dai sindacati nella “fase ora iniziata di avanzato e tardo capitalismo”. 13 Testimone dello svuotamento di significato dei consigli operai operato nel quadro della Kollektive Demokratie dai sindacati per recuperare a pieno il loro vecchio monopolio della rappresentanza messo in discussione dal movimento consiliare, Korsch non si era mai dimostrato particolarmente tenero nei confronti delle grandi organizzazioni sindacali. Al punto da attirarsi dure critiche per aver osato definire “il grande inganno” la tanto celebrata democrazia sociale weimariana. In particolare egli aveva denunciato la “sindacalizzazione” strisciante dei consigli operai, trasformati da organi diretti dell’azione proletaria a rappresentanti dei sindacati nelle fabbriche strumenti di contrattazione aziendale e garanti del rispetto degli accordi nazionali, spacciata per controllo operaio nel quadro di un “capitalismo organizzato”, cioè in qualche modo governato dai partiti della sinistra. 14

Sulla base di queste premesse Korsch si dedica ora ad un’analisi minuziosa dello sviluppo del movimento sindacale in Germania, in Italia e in Russia come premessa di un attacco a fondo al tentativo liberticida dei sindacati maggioritari tedeschi, cattolici e socialdemocratici, di rappresentare per legge, grazie ad un accordo con lo Stato, la totalità dei lavoratori, escludendo dall’esercizio dei diritti di rappresentanza e contrattazione le più piccole organizzazioni sindacali alternative. Per cui

“ si è fatta sempre più chiara la tendenza ad ampliare e trasformare la libertà di coalizione (art. 159 della Costituzione) e il riconoscimento del diritto di coalizione (art. 165, I) – ottenuti nel periodo bellico e postbellico con la lotta economica e politica dell’intera classe operaia – in una posizione speciale di diritto pubblico di un determinato cerchio ristretto di organizzazioni sindacali, in un formale monopolio di coalizione e quindi in un obbligo indiretto di coalizione a vantaggio di queste organizzazioni privilegiate”. 15

Quello che Korsch denuncia è la vera e propria mutazione genetica dei sindacati che da organismi di lotta, espressione elementare e diretta degli interessi proletari, si stanno trasformando in veri e propri apparati dello Stato in nome della “pace sociale” e della “comunità di lavoro” (oggi si parlerebbe di “politica di concertazione”), nell’illusione di garantirsi legalmente tramite questa operazione tutta interna alle istituzioni un peso contrattuale nella singola fabbrica come nell’insieme della società che solo la lotta operaia può invece realmente assicurare. Corollario di questa politica è l’abbandono dello sciopero come forma principale di lotta:

“Questo mutato carattere storico dei sindacati si rivela (…) nel modo più evidente e radicale nella posizione completamente mutata della prassi sindacale, e ormai anche della teoria, verso l’arma dello sciopero prima universalmente riconosciuta come primo e più importante mezzo della lotta economica della classe operaia … [e ora respinto] tra gli ultimi anzi ultimissimi strumenti di lotta sindacale”. 16

In grado, grazie alla sua superiore padronanza della dialettica marxista, di andare al di là della semplice critica antiburocratica dei gruppi dirigenti sindacali tipica dell’ultrasinistra tedesca dell’epoca per intravvedere il progressivo dispiegarsi, indipendentemente dalle forme politiche concrete assunte dallo Stato nelle varie realtà - l’Italia fascista, la Russia sovietica, la Germania democratica - di un processo di statizzazione delle organizzazioni sindacali tipico del tardo capitalismo, Korsch delinea con largo anticipo le coordinate di una critica all’ideologia della società industriale avanzata destinata per decenni a restare insuperata. 17



Korsch e la sinistra comunista italiana

Abbiamo visto nel capitolo precedente come grazie all’opera del fuoriuscito Pappalardi già nel 1923 la sinistra comunista italiana e Amadeo Bordiga stringano stabili rapporti con Karl Korsch e l’estrema sinistra tedesca. Questi rapporti si intensificano dopo l’espulsione di Korsch dal Partito comunista tedesco e il suo tentativo di costituire assieme ai “Centralisti democratici” di Sapronov e agli internazionalisti italiani un comitato internazionale delle opposizioni comuniste destinato ad avere vita breve. Per tutto il 1926 Pappalardi continua a tenere informato Bordiga sulle attività di Korsch che gli richiede copia della Piattaforma della sinistra e di altri documenti del gruppo, oltre che i numeri usciti di Kommunistische Politik. Bordiga, che mantiene sui tedeschi le perplessità già manifestate l’anno precedente, non valuta positivamente la loro uscita dal partito, convinto com’è che ogni sforzo debba essere fatto per restare nell’ambito dl Comintern. In una lettera a Pappalardi si legge:

“Quanto ai tedeschi, sono più liberi di noi essendo stati tutti espulsi, ma di ciò io non mi rallegro. Forse era meglio evitassero di rompere su un terreno non interno di partito, come il parlamento. Cercherò di mandarvi in un altro scritto il mio parere sulle loro piattaforme, che certo si avvicinano molto a noi”. 18

Il 27 agosto a scrivere è Korsch che con una lettera, inviata da Berlino al gruppo dell’opposizione italiana all’estero, ribadisce in modo caloroso l’idea di un asse privilegiato da costruire con Bordiga e gli italiani in vista di una più complessiva battaglia internazionale contro un Comintern giudicato ormai irrecuperabile:

“Cari compagni!

La formula che abbiamo trovato per la nostra linea politica e tattica nel movimento attuale è: Zimmerwald e la sinistra di Zimmerwald. Con questo vogliamo dire, che nel periodo di liquidazione della Terza Internazionale bisogna riprendere la tattica del Lenin nel periodo di liquidazione della Seconda Internazionale. Egli andò a Zimmerwald assieme con degli elementi centristi per combattere i nazionalisti della destra. Ma nello stesso tempo preparò e incominciò la lotta contro i centristi per mezzo del programma e dell’organizzazione della sinistra di Zimmerwald. E lo stesso bisogna fare oggi, secondo l’opinione nostra, specialmente sulla base internazionale. Come veri alleati della sinistra noi riguardiamo soltanto il compagno Bordiga e voi, cari compagni”. 19

La lettera si conclude con un appello alla partecipazione ad una conferenza internazionale delle sinistre da tenersi al più presto presso la frontiera meridionale della Germania in modo da permettere la partecipazione di Bordiga. Poche settimane più tardi Kommunistische Politik lancia la parola d’ordine di lottare per “una nuova Zimmerwald e per una nuova sinistra di Zimmerwald!”.

Il 28 ottobre Bordiga risponde a Korsch e, mantenendo fede all’impegno preso con Pappalardi, chiarisce definitivamente la sua opinione in merito alle posizioni espresse nei suoi documenti dalla sinistra comunista tedesca. Già della prime battute esprime il suo più netto disaccordo in merito all’analisi che Korsch fa della situazione russa:

“il vostro ‘modo di esprimervi’ sulla Russia mi pare che non vada bene. Non si può dire che «la rivoluzione russa è una rivoluzione borghese». La rivoluzione del ’17 è stata una rivoluzione proletaria, benchè sia un errore generalizzarne le lezioni ‘tattiche’. Ora si pone il problema di che cosa avvenga della dittatura proletaria in un paese se non segue la rivoluzione negli altri paesi. Vi può essere una controrivoluzione, vi può essere un intervento esterno, vi può essere un corso degenerativo di cui si tratta di scoprire e definire i sintomi ed i riflessi dentro il partito comunista. Non si può dire semplicemente che la Russia è un paese in cui si espande il capitalismo. La cosa è molto più complessa: si tratta di nuove forme della lotta di classe che non hanno precedenti storici”. 20

Bordiga è critico anche nei confronti del tentativo di Korsch di riunificare i vari gruppi della estrema sinistra tedesca e internazionale. Si tratta di una tattica “troppo elastica” e ancora “troppo bolscevica” fondata sulla politica del “blocco di opposizioni”. Una scorciatoia che a suo parere non può portare lontano, considerato che la crisi del movimento comunista internazionale impone semmai un’opera di rigorosa delimitazione politica:

“In genere - scrive - io penso che in primo piano oggi più che l’organizzazione e la manovra, si deva mettere un lavoro pregiudiziale di elaborazione di una ideologia politica di sinistra internazionale, basata sulle esperienze eloquenti traversate dal Comintern”. 21

Soprattutto, occorre in ogni modo evitare di farsi espellere, così come sarebbe controproducente fomentare scissioni di piccoli gruppi nelle fila dell’Internazionale, infatti.

“la situazione oggettiva ed esterna è ancora tale che non solo in Russia essere cacciati fuori dai quadri del Comintern significa aver possibilità di modificare il corso della lotta della classe operaia ancora minori di quelle che si hanno nell’interno dei partiti”. 22

Per Bordiga l’opposizione russa va sostenuta nella sua battaglia contro la politica staliniana della costruzione del socialismo in un solo paese, così come va decisamente respinta ogni forma di subalternità dell’Internazionale Comunista al gruppo dirigente sovietico. Bisogna però con altrettanta forza ribadire il carattere proletario del partito e dello Stato russi che vanno comunque difesi. Fermamente avverso ad ogni proclamazione artificiale di nuovi partiti o Internazionali, nonostante la gravità della situazione Bordiga è fiducioso nel futuro. Egli crede fermamente che presto “nuovi avvenimenti esterni” verranno a spezzare l’isolamento degli internazionalisti. In attesa di questi eventi occorre mantenere la calma, non “raccogliere le provocazioni”, evitare nel modo più assoluto ogni atto affrettato. 23

Le cose, come si sa, non andranno in questo modo e nonostante la sua prudenza nel 1930 anche Bordiga verrà espulso dal partito, ma nel 1926 tanto gli basta per respingere garbatamente al mittente la proposta di una “nuova Zimmerwald”. Un atteggiamento cauto, poco gradito ai compagni all’estero che vorrebbero maggiore decisione nell’azione. Nel luglio 1927 Pappalardi, insofferente dell’attendismo della frazione, rompe con Bordiga e la sinistra comunista italiana proprio sul problema della natura sociale dello Stato russo e sulla necessità di costituire un’organizzazione politica autonoma dal partito e dall’ Internazionale. Mentre Bordiga continua a considerare l’URSS uno stato proletario, 24 Pappalardi condivide le posizioni di Korsch per il quale la dittatura proletaria, realmente esistente nella Russia sovietica degli anni del cosiddetto “comunismo di guerra”, ha iniziato a declinare nel 1921 con l’inizio della Nuova Politica Economica (NEP):

“A partire da quel momento nell’intera struttura economica e politica del nuovo sistema sociale russo (…) si fa sempre più acuta quella enorme contraddizione tra teoria e prassi, ideologia e realtà che ha la sua ragione di fondo nel fatto che – nonostante l’abbandono “serio e di lunga prospettiva” della prosecuzione immediata e dell’estensione internazionale della rivoluzione e nonostante la effettiva reintroduzione di rapporti di produzione capitalistici – si è mantenuta la finzione di una continuità della dittatura di classe proletaria nel sistema sociale russo.La classe operaia russa soffre di conseguenza sotto l’esistenza effettiva del modo di produzione capitalistico e sotto la finzione della sua non-esistenza che serve come pretesto per togliere agli operai russi persino quelle modeste possibilità di autonoma tutela dei loro interessi di classe che gli operai dei vecchi paesi capitalistici hanno strappato a viva forza in una secolare lotta di classe alla borghesia dominante e al suo Stato borghese”. 25

Come si vede il giudizio è drastico e inaugura quel filone di studi sul paese della “grande menzogna” destinato a grande fortuna nei decenni successivi. 26 Dopo la rottura con Bordiga Pappalardi, che ora vive in Francia, dà vita al foglio Réveil communiste e si lega strettamente al gruppo di Kommunistische Politik a cui invia corrispondenze sulla situazione italiana, tanto da essere associata a questo nella critica sferzante di una KAPD tanto estremista quanto settaria:

“È chiaro che i gruppi d’opposizione francesi [il riferimento è a Le Reveil communiste] hanno adottato la stessa linea di Karl Korsch in Germania, per quanto si debba dire che essi sono ancora più a destra”. 27

Korsch, ovviamente, registra con favore il fatto che sotto la direzione di Pappalardi, un’importante minoranza si sia distaccata dal gruppo bordighista italiano all’estero per costituire quri “gruppi di avanguardia comunista” che possono rappresentare assieme ai russi di Sapronov un importante tassello della nuova Internazionale. È un entusiasmo destinato a durare poco: favorevole “all’unità della sinistra sul terreno intermazionale” Réveil communiste è però contrario alla proclamazione immediata di una nuova Internazionale comunista. Si distingue dunque nettamente da Korsch di cui ospita diversi contributi pur criticandone l’«eclettismo pericoloso» e il tentativo di rimettere in causa non tanto la natura sociale dello Stato russo, su cui non c’è disaccordo, quanto lo stesso carattere proletario della rivoluzione d’ottobre.

Il progetto di una nuova Zimmerwald deve essere abbandonato. Alla fine del 1928 rotti i rapporti con Pappalardi e perso ogni contatto con il gruppo russo spazzato via dalla repressione staliniana, Korsch si trova solo a combattere la sua battaglia a livello internazionale mentre anche in Germania Kommunistische Politik si avvita in una crisi di prospettive che la porterà in pochi mesi a sciogliersi.



Korsch e l’ Opposizione russa

Per quanto fermamente convinto della necessità di una nuova organizzazione internazionale dei comunisti, Korsch non mostrò mai un particolare interesse a collegarsi con l’Opposizione di sinistra che su ispirazione di Trotsky inizia a formarsi a partire dal 1927 a livello del partito russo e del Comintern. 28 E’ un fatto singolare, considerata l’insistenza con cui pressochè nello stesso periodo egli cerca di stringere stabili rapporti organizzativi con l’opposizione italiana, con i russi di Sapronov, con i consiliaristi olandesi. Il che la dice lunga sulla reale considerazione che Korsch aveva di Trotsky come possibile punto di riferimento per una battaglia internazionale contro lo stalinismo.

Analizzato attentamente l’atteggiamento riluttante di Korsch ha radici profonde che risalgono almeno al 1926, quando, in realtà, un tentativo di alleanza c’era stato, ma era terminato presto con la totale rottura di ogni rapporto tra russi e tedeschi. Cosicchè quando a partire dalla fine dicembre 1927 Lev Trotsky, che ha ormai compreso dopo la totale disfatta della cosiddetta “Opposizione Unificata” al XV Congresso del Partito comunista russo 29 che non esistono più prospettive di successo in Russia, inizia a sviluppare una sistematica azione d’opposizione all’estero, le risposte saranno minime. Il fatto è, come sottolinea acutamente Michel Prat nella sua relazione al Convegno di Follonica del 1980, confermando indirettamente la caratterizzazione korschiana di un Trotsky nazionalista russo, che

“fino alla sua completa disfatta, Trotsky aveva portato avanti la sua battaglia in difesa del ‘carattere internazionale della rivoluzione proletaria’ contro i sostenitori del ‘socialismo in un solo paese’ essenzialmente all’interno del PC russo”. 30

Una battaglia senza esclusione di colpi, condotta in modo spregiudicato, utilizzando la sinistra comunista tedesca esclusivamente come massa di manovra i cui primi segnali si eano visti già nell’aprile del 1926 quando Zinov’ev aveva platealmente sconfessato i suoi sostenitori tedeschi, il gruppo Fischer-Maslow-Urbahns e la cosiddetta “opposizione di Wedding”, che avevano apertamente solidarizzato con l’opposizione di Leningrado e richiesto l’apertura nel Comintern di un dibattito approfondito sulla questione russa. Come afferma Prat, in realtà, si trattava di una manovra mirante a proteggere la preparazione clandestina, allora in svolgimento, della «Opposizione Unificata», ossia del «blocco» raggruppante la «Nuova Opposizione» del 1925 di Zinov’ev e Kamenev e l’ «Opposizione di sinistra» del 1923 di Trotsky, più qualche elemento dei gruppi della vecchia «Opposizione operaia» di Sljapnikov e Medvedev e del gruppo del «Centralismo Democratico» di Sapronov e V. Smirnov.

In queste condizioni, l’emergere allo scoperto nel partito russo dell’Opposizione Unificata e l’inizio di una nuova, durissima, lotta di frazione si va ad intrecciare strettamente con lo scontro da tempo in atto nella KPD tra la direzione Thälmann e la sinistra. Dopo l’annuncio alla fine di luglio della cacciata di Zinov’ev dall’Ufficio Politico del PCbR, la sinistra tedesca si schiera compattamente a fianco della sinistra russa. Su impulso di Ruth Fischer e Arkadij Maslow, il gruppo Urbahns, l’Opposizione di Wedding e il gruppo Korsch redigono e fanno circolare una dichiarazione di solidarietà con i compagni russi che raccoglie oltre 700 firme di militanti della KPD. Nel documento, da allora denominato Manifesto dei Settecento, si denuncia la teoria staliniana del socialismo in un solo paese e il rischio di scissione che grava sul partito russo. Per evitare questa eventualità, si richiede di nuovo l’apertura nel Comintern e nella KPD di una approfondita e dettagliata discussione della questione russa, la pubblicazione dei documenti dell’opposizione, il ritiro di ogni misura disciplinare. 31

Il Manifesto dei Settecento sembra l’avvio di quella battaglia decisiva per il controllo del Comintern che l’intervento di Bordiga al VI Esecutivo allargato aveva in modo criptico prefigurato. Ma le speranza di Korsch e degli altri esponenti della sinistra tedesca non durano neppure il tempo necessario a far asciugare l’inchiostro sulle pagine del Manifesto. Il 16 ottobre, praticamente alla vigilia del XV Congresso del partito, i rappresentanti dell’Opposizione Unificata si arrendono a Stalin praticamente senza combattere e con una umiliante dichiarazione si sottomettono alle condizioni poste dalla maggioranza stalinista, sperando in questo modo di mantenere uno spazio politico minimo nel partito. Con questo atto di sottomissione Zinov’ev e Trotsky accettano di rispettare la disciplina di partito, rinunciando per il futuro ad ogni tentativo frazionistico e, cosa più grave di tutte, respingono categoricamente ogni connessione con tutti quei gruppi che all’estero “conducono contro il Comintern, il PC dell’Unione Sovietica o l’Unione Sovietica stessa una agitazione di qualsivoglia genere”. 32

L’opposizione tedesca viene dunque cinicamente sacrificata sull’altare degli interessi dell’opposizione russa. Ancora una volta i russi mostrano di considerare i membri degli altri partiti comunisti come pedine da muovere sullo scacchiere della lotta di frazione nel PC sovietico. Nelle sue memorie Trotsky rivendica questa scelta, presentata come una ritirata strategica:

“Il 16 ottobre dichiarammo che ritenevamo giuste le nostre idee e ci riservavamo il diritto di combattere per esse nll’ambito del partito, evitando però quelle azioni che potessero provocare una scissione. La dichiarazione del 16 ottobre era destinata alle masse. Era l’espressione della nostra volontà di rimanere nel partito e di servirlo. Benchè gli staliniani rompessero l’accordo già il giorno dopo, tuttavia avevamo guadagnato tempo. L’inverno 1926-27 fu una tregua che ci consentì di approfondire vari problemi”. 33

Come riconosce lo spresso Prat, a differenza del “politicante e manovriero” Zinov’ev, il comportamento di Trotsky “poggia, in fin dei conti, su [di una] analisi realistica della gerarchia esistente di fatto tra il PC russo e il Comintern”. 34 Ma ciò non attenua minimanente la gravità dell’accaduto e soprattutto non giustifica in alcun modo il tono particolarmente insultante che egli e Zinov’ev utilizzano contro i loro alleati tedeschi ed in particolare Karl Korsch tacciato sprezzantemente per le sue valutazioni sull’URSS di “aver rotto con il comunismo”. 35

La dichiarazione del 16 ottobre ha un effetto devastante sulla sinistra comunista internazionale. In Germania la sinistra si trova totalmente spiazzata, costretta dopo la sconfessione dei russi, a sottomettersi ad un analogo diktat di Thälmann o ad uscire dal partito. Per chi, come Korsch, è già fuori dal partito la situazione è ancora più difficile. Con un articolo durissimo su Kommunistische Politik egli denuncia la «capitolazione vergognosa dei capi della ‘opposizione di sinistra’» 36 Inutilmente Bordiga, sulla base delle sue posizioni attendiste, lo invita alla prudenza e ad accettare l’inaccettabile:

“Bisogna lasciare compiere – scrive nella sua lettera del 28 ottobre – l’esperienza della disciplina artificiosa e meccanica col seguirla nei suoi assurdi di procedura fino a che sarà possibile, senza mai rinunciare alle posizioni di critica ideologica e politica e senza mai solidarizzare con l’indirizzo prevalente. I gruppi ideologici aventi una posizione di sinistra tradizionale e completa non potevano solidarizzare incondizionatamente con l’opposizione russa ma non possono condannare la sua recente sottomissione, con la quale essa non ha fatto una conciliazione ma ha solo subito delle condizioni di cui la sola alternativa era la scissione”. 37

Per Korsch il problema fondamentale resta quello di una direzione dell’Internazionale comunista che ponga realmente tutti i partiti, e a maggior ragione un partito del peso della KPD, secondo solo al PCR, su di un piano di effettiva eguaglianza. E ciò non per una difesa di principio delle regole della democrazia, ma perché il predominio sovietico blocca sul nascere ogni possibile manifestazione di autonomia operaia. Per lui Trotsky ragiona secondo i parametri nazionali russi, prigioniero “di una logica dell’azione nel quadro del monopolio russo del potere”, che conduce inevitabilmente a “sottovalutare le potenzialità di una opposizione di sinistra internazionale”, 38 ma anche della stessa classe operaia sovietica, “goffo gigante, inconsapevole nella «rossa» Russia ancor meno che in altri paesi della propria forza reale”. 39 Per Korsch, insomma, Trotsky stesso è parte integrante del problema, non ne può di conseguenza rappresentare la soluzione.

Quanto a Trotsky, come sottolinea Heinz Abosch, “tutto un mondo lo separava dalle idee di Korsch, di Rühle, di Gorter; la linea di demarcazione tra il comunismo dell’Ovest e quello dell’Est rimase intatta”. 40 Trotsky non è disposto ad accettare una discussione sul leninismo, di cui pretende di essere il più fedele interprete. Tantomeno può accettare la rimessa in discussione della natura socialista dell’Unione Sovietica. Può essere criticato soltanto Stalin, mentre una storia edulcorata del bolscevismo nel periodo 1917-1922 e l’articolo di fede sulla Russia “Stato operaio degenerato” diventano i miti fondanti della futura Quarta Internazionale. 41 Ciò non può che rendere impossibile ogni seria discussione con le sinistre non ortodosse ed in particolare con chi come Korsch intendeva eliminare la “pecca del giacobinismo, della teoria borghese della rivoluzione” che egli ritrovava tanto in Marx , quanto il Lenin , per dare libera espressione all’azione spontanea delle masse. 42

Anche nel periodo dell’esilio e della lotta allo stalinismo non ci saranno rapporti fra i due. Trotsky cita per l’ultima volta Korsch il 1 ottobre 1933, includendolo con Gorter, Loriot, Souvarine tra chi “fa delle scoperte astronomiche invece che esaminare il processo storico reale”, tra coloro cioè che giudicano che l’URSS non sia uno Stato operaio. Questi “innovatori”, dichiara sprezzantemente, “non hanno prodotto assolutamente nulla, perché essi riflettevano solamente la delusione soggettiva di circoli e individui, e non le esigenze oggettive del processo storico”. 43 Poi fino alla sua morte il nome di Korsch non rispunterà più fra le sue carte.



1 H. KORSCH, cit., p. 13.
2 H.WEBER, cit., p. 163. L’Algemeine Arbeiter Union (Unione Generale dei Lavoratori) nata nel 1920 aveva per principio essenziale la lotta contro i sindacati ed i consigli di impresa legali. Ciascuna delle organizzazioni membre dell’Unione aveva diritto alla massima indipendenza e alla più grande libertà nella scelta della tattica. Fortemente influenzata dalle idee di Otto Rühle per il quale “Il lavoratore è proletario nel senso marxista del termine, soltanto nella produzione, nel suo ruolo di lavoratore salariato [mentre nella società] egli vive, abita, pensa e agisce come un piccolo borghese”, l’AAU privilegiava pressochè esclusivamente il lavoro di fabbrica. Cfr. E. RUTIGLIANO, Linkskommunismus e rivoluzione in Occidente, cit., p. 34 e sgg.
3 Una sintesi di questo documento è rintracciabile in allegato a D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani.
4 I risultati della III conferenza dei comunisti di sinistra (gruppo “Kommunistische Politik”). Ora in appendice a D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit., p. 61.
5 Ivi, p. 60.
6 Ivi, p. 62.
7 Ivi, pp. 62-63.
8 Su Castoriadis e il gruppo di “Socialisme ou Barbarie” cfr. l’antologia a cura di M. BACCIANINI e A. TARTARINI, Socialisme ou Barbarie, Guanda, Parma 1969. Per l’evoluzione successiva di Castoriadis cfr. C. CASTORIADIS, L’istituzione immaginaria della società, Bollati Boringhieri, Torino 1995. Con l’avvertenza che l’edizione italiana, amputata rispetto all’originario testo francese di tutta la prima parte, non è proprio di facilissima lettura.
9 K. KORSCH, La ripresa del marxismo nella cosiddetta «questione del sindacato». In Scritti politici, 1, cit., p. 196.
10 Ivi, pp, 198.
11 “La più esplicita e teoricamente fondata alternativa alla società ‘compromissoria’ di Weimar” secondo la felice definizione di Angelo Bolaffi (A. BOLAFFI, Dalla “kollektive Demokratie” al “doppio Stato” nell’analisi di Ernst Fraenkel, in E. COLLOTTI (a cura di), L’Internazionale Operaia e Socialista tra le due guerre, Feltrinelli, Milano 1985, p. 1071)
12 K. KORSCH, La ripresa del marxismo…, cit., p. 199.Per un’analisi della centralità del movimento dei disoccupati nella crisi tedesca rimandiamo al nostro L’esercito di riserva nell’analisi marxista e gli effetti politici della disoccupazione nella Germania degli anni Trenta, Genova 1986.
13 K. KORSCH, Sul diritto di contrattazione nelle unioni sindacali rivoluzionarie. In Scritti politici, 1, cit., pp. 193-241.
14 Una tematica ripresa pressochè negli stessi termini (e con le stesse illusioni) dal PCI negli anni del “compromesso storico” sia in versione moderata (Berlinguer, Lama) che estremistica (Ingrao). Così come più o meno negli stessi termini (“nuovi diciannovisti”) viene ripresa nei confronti della dissidenza rappresentata da Autonomia Operaia l’accusa di “romanticismo reazionario” formulata nei confronti della critica di Korsch da E. Fraenkel.
15 K. KORSCH, Sul diritto di contrattazione…, cit., p. 215.
16 Ivi, p. 238.
17 Per una riconsiderazione della questione operaia in epoca post-industriale cfr. A. BIHR, Dall’«assalto al cielo» all’ «alternativa», BFS edizioni, Pisa 1995 e M. REVELLI, Oltre il Novecento, Einaudi, Torino 2001.
18 D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit., p. 26.
19 Ivi, p. 27.
20 A. BORDIGA, Lettera a Korsch, in D. MONTALDI, cit., p. 47.
21 Ivi, p. 48.
22 Ibidem.
23 Bordiga “è convinto – scrive nel 1924 Gramsci a Togliatti e Terracini – e lotta con molta abilità e con molta elasticità per ottenere il suo scopo, per non compromettere le sue tesi, per dilazionare una sanzione del Comintern che gli impedisca di continuare fino alla saldatura col periodo storico in cui la rivoluzione nell’Europa occidentale e centrale abbia tolto alla Russia il carattere di egemonia che oggi essa ha”. (P. TOGLIATTI, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 197)
24 Solo nei primi anni Cinquanta Bordiga inizierà a considerare l’URSS un paese a capitalismo di Stato. Fino ad allora egli parla genericamente di un non meglio definito “industrialismo di Stato”. Cfr. a questo proposito O. DAMEN, Amadeo Bordiga. Validità e limiti d’una esperienza nella storia della “sinistra italiana”, EPI, Milano 1977. Su Bordiga e l’URSS si può anche vedere L. Grilli, Amadeo Bordiga: capitalismo sovietico e comunismo, La Pietra, Milano 1982.
25 K. KORSCH, Sul diritto di contrattazione…, cit., p. 207.
26 Su questo dibattutissimo argomento vedere B. BONGIOVANNI (a cura di), l’antistalinismo di sinistra e la natura sociale dell’URSS, Feltrinelli, Milano 1975; A. BORDIGA, Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, Editoriale Contra, Milano 1966; J. BURNHAM, La rivoluzione dei tecnici, Mondadori, Milano 1946; A. CILIGA, Nel paese della grande menzogna, Casini, Firenze 1951; P. CHAULIEAU (Castoriadis), I rapporti di produzione in Russia, Samonà e Savelli, Roma 1971; T. CLIFF, Capitalismo di Stato in Russia, Prospettiva Edizioni, Roma 1999; E. MANDEL-F. CHARLIER, L’URSS è uno Stato capitalista?, Samonà e Savelli, Roma 1971; E. MORIN, La natura dell’URSS, Armando, Roma 1989; B. RIZZI, La burocratizzazione del mondo, Edizioni Colibrì, Milano 2002.
27 P. BOURRINET, Alle origini del comunismo dei consigli, cit., p. 443.
28 Sui rapporti tra Korsch, la sinistra tedesca e l’opposizione di sinistra trotskista cfrr. M. PRAT, Crise du PC russe et crise du Komintern: Trockij et la question d’une opposition de gauche internationale (1926-1927). In Pensiero e azione politica di Lev Trockij (Atti del Convegno internazionale di Follonica dell’ottobre 1980), Olschki, Firenze 1982, pp. 347-358; e P. BROUÉ, Gauche allemande et opposition russe (1926-1928), in Cahiers Léon Trotsky, n.22, juin 1981.
29 Per una dettagliata ricostruzione dello scontro fra Opposizione Uficata e maggioranza staliniana al XV Congresso del PC russo cfr. A. DI BIAGIO, L’ultima battaglia dell’opposizione (1926-1927), in Studi di storia sovietica, Editori Riuniti, Roma 1978, pp. 87-223.
30 M. PRAT, cit., p. 348.
31 Ivi, p. 352.
32 Ivi, p. 353.
33 L. TROTSKY, La mia vita, cit., pp. 443-44.
34 M. PRAT, cit., p. 357.
35 Ivi, p. 353.
36 Ivi, p. 354.
37 D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit., p. 50.
38 P. BROUÉ, Gauche allemande et Opposition russe de 1926 à 1928, Cahiers Léon Trotsky, juin 1985.
39 K. KORSCH, La questione Trotsky, in Scritti politici, 1, cit., p. 187.
40 H. ABOSCH, Trockij e il bolscevismo, Feltrinelli, Milano 1977, p. 103.
41 Da qui la miseria teorica del trotskismo relativamente all’analisi della realtà sovietica, i silenzi su Kronstadt, l’esaltazione acritica dei primi quattro congressi dell’Internazionale Comunista, l’ostinata difesa del carattere comunque “operaio” dello Stato russo. Un esempio su tutti: Lutte ouvrière, un’organizzazione per intenderci che raccoglie oltre il 5% dei voti alle elezioni presidenziali francesi, definisce ancora oggi la Russia di Putin “uno stato operaio degenerato” anche se “in uno stato di decomposizione avanzatissimo”, ma dove “la controrivoluzione sociale non è ancora completata”. Ragion per cui per comprendere la realtà della Russia ex-sovietica “è ancora l’analisi di Trotsky ad essere la più feconda”. (Cfr. 50 ans après la mort de staline, 15 ans après la pérestroïka, 11 ans après la disparition de l’URSS, OÙ VA LA RUSSIE ?, Exposé du Cercle Léon Trotsky du 25 avril 2003, Pantin 2003, p. 56-57)
42 Ivi, p. 102.
43 L. TROTSKY, La Quatrième internationale et l’URSS. La nature de classe de l’Etat soviétique, in ŒUVRES, 2, EDI, Paris 1978, p. 264.