mercoledì 28 febbraio 2018

Francesco Petrarca, Maledetta tu sia Savona, città bellissima




Il 1348 è l'anno della peste nera, la grande epidemia che fa milioni di morti in tutta Europa. In un anno sparisce un terzo della popolazione del continente. A dicembre 1347 la pestilenza colpisce Nizza, a febbraio devasta Savona. Francesco Petrarca è in Italia, in missione diplomatica per conto della corte pontificia di Avignone. A Parma attende il nipote, Franceschino degli Albizzi che, partito dalla Provenza, deve riunirsi a lui. Ma improvvisa gli giunge la notizia che, colpito dal morbo, il giovane a lui così caro è morto a Savona. Distrutto dal dolore scrive di getto all'amico Fra Giovanni dell'Incisa una lettera in cui esprime tutta la sua sofferenza. E' l'11 aprile 1348.

Francesco Petrarca

Maledetta tu sia Savona, città bellissima

O malvagia ed iniqua Savona cagione a me di tanto affanno. Che di male imprecarti io potrei a quel che ti meriti ? Tu mi rapisti la metà dell' anima mia, troncasti inesorabile sul più bel flore la vita a giovane egregio, che di crescente virtù la irradiava, ed or su quel corpo che il mio Francesco abitava, la terra tua spietatamente si aggrava. Che quegli a tuo dispetto è fuggito, né su lui puoi tu nulla, ma solo il corpo suo e la mia speranza tieni sepolta. Ed io che ti dovrò augurare per questo?

Apransi e si distèndano a lungo quei colli che ora in giro ti cingono, sicché fatta spiaggia scoperta, indifesa, s' abbiano in te le navi stanza pericolosa e malsicura. Si sfracellino le muraglie e gli artefatti ripari da te opposti alla furia dei venti e dell'onde: e la violenza delle Sirtì, il furor dell' Euripo , la rabbia di Scilla, l'impeto di Cariddi, e tutti quanti sono nell'ampio mare i pericoli sul lido tuo si rovescino.

Scateni Eolo gli inquieti fratelli, e l'Austro, e gli altri soliti ad infestar le tue rive, lasciata in pace ogn' altra parte del mondo, tengano sollevata sopra te sola una perpetua procella.

Quanto di malanni e di morti per ogni terra ed ogni mare quest'anno pestifero ebbe diffuso, tutto si raccolga in te sola, e se altrove un anno, in te duri eterna la peste.

Dall'isola di Sardegna, e da ogni parte più impura del cielo, dai putridi stagni, dai laghi solfurei, dalle limacciose paludi sgombri e si parta l'aere più crasso ed infetto, e il gelo dell'artico polo, l'ardore dell'Etiopia, i serpenti dell'Africa, le tigri dell'Ircania, quanto in fine di letale, di mostruoso, di ferino per lo mondo intero si spande tutto da ogni angolo della terra si riunisca in te sola.

Su te le triste nebbie, le velenose sorgenti , i maligni influssi , e ghiaccio e fuoco incrudeliscano. Salvo infine e felice tutto il resto dell' universo, possa tu sola perire da cima a fondo, e divenire terra di morte, paese di paura e di terrore, dimora del lutto e della miseria: da te il peregrino, da te il mercadante, fuggan da ultimo gli stessi tuoi cittadini da te; e pauroso dalle vette de' monti abbattuta ti contempli il viandante, e trepido dall' alto mare ti riguardi il nocchiero, facendo forza di remi e di vele per evitare gl'infami tuoi scogli...

    La più antica rappresentazione di Savona

Ma dove il dolor mi trasporta? Ove sono, e che è questo ch'io dico? Mortale io stesso, faccio dei mortali destini tanto lamento, e maledico la terra innocente, che secondo suo diritto tutti riceve, mentre di me non so dove avverrà ch'io mi muoia , ed ove sarà che alla terra ritornino le ceneri mie? Sia dunque tregua ai gemiti e al pianto, e come meglio ad uom si conviene, preghiamo finché la vita ci duri pel caro fratello che si parti prima di noi.

E a te , città bellissima che nel tuo seno depositato quel mio tesoro custodisci , fatto senno alla fine io rendo grazie , perchè forse in barbara terra ei giacerebbe, se accolto in te tu non l'avessi. Che breve avesse ei la vita era volere dei fati; ma fu tuo dono che il dolce amico mio, comechè giovane, d'affanni stanco e di cure, sortisse in Italia la pace del sepolcro , conforto, per lieve che sia, da molti grandi personaggi desiderato.

Già di vederti io mi fui lieto e ti ammirai per l'amenità del tuo cielo, e della tua postura: or fatta custode di ceneri a me dilette, con una soavità mista di amarezza ti rivedrò più volentieri.


(Francesco Petrarca, Lettere, II, p. 220-221, Firenze 1864)