“La speranza era
quella di far diventare il cinematografo uno strumento utile. Con "Roma città aperta" ho innovato tanto. Allora era impensabile girare
in ambiente vero e non ricostruito in un teatro di posa, che era il
luogo in cui si celebrava il grande rito del cinema; la strada,
quella vera, era completamente sconosciuta al cinema di allora.
Volevo fare un cinematografo accessibile a tutti: uscire dalla
produzione industriale, con tutte le schiavitù che comportava”.
Così Roberto Rossellini racconta il suo cinema. Nel 1945 a guerra
ancora in corso inizia la grande stagione del neorealismo.
Giorgio Amico
Il primo dopoguerra
e il cinema neorealista (1945-1951)
La prima stagione del
cinema resistenziale si apre nel gennaio del 1945 a guerra ancora in
corso con “Roma città aperta” di Roberto Rossellini per
concludersi all’inizio degli anni Cinquanta con “Achtung!
Banditi!” di Carlo Lizzani, un film girato a Genova fra le
fabbriche e le case di Pontedecimo. E' un cinema povero di mezzi, ma
ricco di ideali e di speranze. Film girati nelle strade spesso con
attori non professionisti sia per sopperire alla drammatica mancanza
di risorse (gli stessi studi di Cinecittà erano allora ricovero
degli abitanti dei quartieri distrutti dai bombardamenti), sia per
sottolineare il carattere realistico e popolare della narrazione.
Con
il film di Rossellini inizia la grande stagione neorealista,
destinata a rendere celebre in tutto il mondo il cinema italiano,
vissuta come una reazione all'uso che del mezzo cinematografico aveva
fatto il fascismo. Un cinema di propaganda, rappresentato da film
come “La vecchia guardia” di Blasetti (1934) o “Scipione
l'Africano” di Carmine Gallone (1937) celebrativi della
“rivoluzione fascista” e della conquista dell'impero, a cui si
affiancava (a imitazione della commedia americana) il genere
sofisticato dei “telefoni bianchi”, apparentemente meno
impegnato, ma in realtà teso a magnificare il benessere crescente e
la modernizzazione dell'Italia fascista degli anni Trenta. Ne sono un
chiaro esempio “Grandi Magazzini” di Camerini del 1939 e “Gli
uomini che mascalzoni” di Lattuada del 1932 che pure in anni di
crescente autarchia importano italianizzandolo il sogno americano
fatto di negozi luccicanti ed automobili lussuose.
Il cinema della
Resistenza parte da Roma, proprio all'indomani dell'uscita dalla
città dei tedeschi e dell'arrivo degli Alleati per raccontare la
lunga notte dell'occupazione nazista, gli arresti e le torture, le
fucilazioni e le rappresaglie. E parte con un film girato nel segno
della morte e della tragedia, ma anche della speranza incentrato su
due personaggi: un prete fucilato sul campetto della sua parrocchia e
un ingegnere comunista che muore sotto tortura. Il prete benedice i
suoi assassini, il comunista non rivela i nomi dei suoi compagni.
Rossellini nel raccontare queste tristi vicende pone l'accento più
sul piano morale che su quello politico, spiegando per immagini di un
bianco e nero essenziale cosa sia quella “moralità nella
Resistenza” che Claudio Pavone porrà nel 1991 a titolo del suo
libro.
“Roma città aperta” è un film totalmente antiretorico.
Non ci sono proclami né slogan, ma, anche se non in primo piano, la
politica c'è e rimanda già dalla scelta dei protagonisti allo
storico incontro fra comunisti cattolici che avviene proprio in quei
mesi, a quella unità antifascista destinata ad esaurirsi nello
spazio di pochi anni con l'inizio della guerra fredda, ma che è
comunque, nonostante tutto, alla base della nascita prima della
Repubblica e poi della Costituzione.
Seguirà nel 1946 Paisà, sempre
di Rossellini, un potente affresco collettivo di un'Italia
attraversata dalla guerra. Sei storie, dallo sbarco degli Alleati in
Sicilia alla guerra partigiana nel delta del Po, passando per Napoli,
Roma, Firenze, a raccontare di un'Italia in rovina che si arrangia
come può (splendido l'episodio napoletano), ma che non ha perso del
tutto la sua innocenza e la sua fede. Lo testimoniano i fraticelli
del piccolo convento sperduto sull'Apennino emiliano che si trovano
ad ospitare per una notte tre cappellani militari americani: un prete
cattolico, un pastore protestante e un rabbino.
Tra il 1945 e il 1948,
negli anni della ricostruzione e dell'unità antifascista, sono
complessivamente una dozzina i film dedicati alla Resistenza. Non è
poco tenuto conto della ridottissima produzione di quegli anni in cui
nelle sale dominano i film americani. Una situazione sintetizzabile
in pochi dati: nel 1946, a fronte di 46 film prodotti in Italia,
quelli importati sono complessivamente 874, di cui 668 americani. Nel
1948 sono 54 i film italiani di fronte agli 874 realizzati
all'estero, di cui 668 provenienti dagli USA. Come dimostrano queste
cifre sono anni fortunati per le sale cinematografiche che riaprono a migliaia, spesso in condizioni di fortuna, in tutto il
Paese compresi i paesi più piccoli. Centrali in questo rilancio
sono i circuiti organizzati, quello delle sale parrocchiali (da sole
un terzo dei cinema) e quello alternativo delle organizzazioni
ricreative e culturali legate alla sinistra.
La stessa Associazione
nazionale partigiani d'Italia (ANPI) è in prima fila a promuovere
l'utilizzo del mezzo cinematografico nella costruzione della memoria.
Lo farà commissionando nel 1946 la realizzazione di due film, “Il
sole sorge ancora”, di Aldo Vergano, e “Caccia tragica”, di
Giuseppe De Santis, entrambi di ambientazione rurale: il primo in un
cascinale lombardo, il secondo nella campagna ravennate. Film
poverissimo, tanto da costringere gli sceneggiatori a recitare in
prima persona per ridurre la spesa degli attori, “Il sole sorge
ancora” racconta gli inizi della lotta partigiana all'indomani
dell'8 settembre, il travagliato processo di formazione delle prima
bande e il loro radicarsi nelle comunità locali. Il film di Vergano
sottolinea particolarmente gli elementi di rivolta popolare (operaia
e contadina) della guerra partigiana, tanto da essere definito un
film “marxista” da parte della critica, restando tuttavia
all'interno del tema, già incontrato in “Roma città aperta”
dell'unità antifascista delle grandi forze popolari. Eloquente in
questo senso la sequenza della fucilazione congiunta del prete e
dell'operaio comunista i cui corpi vanno a formare una croce.
Lo
scopo di questi film era sostanzialmente educativo: trasformare
il cinema da momento di mero intrattenimento in un primo stadio del
processo di alfabetizzazione democratica di masse popolari diseducate
da vent'anni di dittatura. Il messaggio doveva essere chiaro,
accessibile a tutti, immediatamente comprensibile. L'aggancio
alla realtà doveva essere totale, non ci doveva essere finzione, la
storia raccontata doveva rispecchiare il più possibile il vissuto
degli spettatori, le loro storie individuali, le loro esperienze della
guerra. In un'intervista, rilasciata molti anni dopo a Enzo Biagi,
Roberto Rossellini parlerà della volontà di fare un cinema “utile”:
“La speranza era quella
di far diventare il cinematografo uno strumento utile. Con Roma città
aperta ho innovato tanto. Allora era impensabile girare in ambiente
vero e non ricostruito in un teatro di posa, che era il luogo in cui
si celebrava il grande rito del cinema; la strada, quella vera, era
completamente sconosciuta al cinema di allora. Volevo fare un
cinematografo accessibile a tutti: uscire dalla produzione
industriale, con tutte le schiavitù che comportava”.
E' proprio questo intento
educativo che spiega l'accento posto da tutti gli autori di questa
prima stagione resistenziale sui motivi etici piuttosto che su quelli
politici. Anche le storie individuali raccontate hanno questo
sottofondo, i personaggi sono continuamente posti di fronte ad una
scelta che è prima di tutto etica.
La fine dei governi di
unità antifascista e l'inizio della guerra fredda segnano un
profondo cambiamento del clima politico e culturale. Dopo le elezioni
politiche del 1948 l'Italia rispecchia fedelmente la realtà di un
mondo diviso in due blocchi. L'esclusione delle sinistre dal governo
seguita dalla scissione sindacale apre una fase nuova. Anche sul
cinema cala il gelo della guerra fredda. Nel clima di stabilizzazione
moderata dei primi anni Cinquanta, segnati dal recupero in funzione
anticomunista della destra monarchica e neofascista, la Resistenza
diventa una realtà scomoda. Uno storico inglese descrive così
questo passaggio epocale:
“Il governo italiano lanciò un programma di misure anticomuniste
per cui sindacalisti, ex partigiani e membri del Partito comunista
furono arrestati in massa. (…) Dei 90-95.000 comunisti ed ex
partigiani arrestati fra l'autunno del 1948 e il 1951, solo 19.000
andarono sotto processo, e solo 7000 furono trovati colpevoli di
qualche reato; gli altri furono trattenuti per periodi variabili in
«custodia preventiva».
Furono i militanti più ostinati, e soprattutto gli ex partigiani, a
essere trattati con la massima durezza. Dei 1697 ex partigiani
arrestati fra il 1948 e il 1954, 884 furono condannati a un totale di
5806 anni di galera. (…) Certo è che questo «processo
alla Resistenza» fu molto
più severo di quanto non fosse mai stata l'epurazione dei fascisti.
Il messaggio era chiaro: gli «eroi»
del 1945, che avevano liberato il Nord d'Italia dal governo fascista,
erano diventati alla fine il nuovo nemico”.
“Achtung!Banditi!”
film del 1951 di Carlo Lizzani chiude un’epoca e ne apre un’altra.
Lo dimostrano gli ostacoli di ogni genere mossi dalle autorità alla
relizzazione del film. Non fu ad esempio permesso l'uso di armi da
fuoco vere e la produzione fu costretta non senza difficoltà a
provvedere alla fabbricazione di abili imitazioni in legno in tutto
simili agli originali. Notevoli furono anche i problemi finanziari.
Nell'impossibilità di trovare un produttore disposto a finanziare il
film (e rischiare così di perdere i contributi statali), si dovette
addirittura costituire una cooperativa, la Società cooperativa di
produttori e spettatori. Il film racconta della lotta per impedire
lo smantellamento di una fabbrica e il trasferimento dei macchinari
in Germania. L'accentuazione “operaista” del film, girato nel
quartiere industriale di Pontedecimo tra i capannoni delle fabbriche,
rivendica il ruolo nazionale e patriottico svolto nella guerra di
Liberazione da una classe operaia descritta ora dalla reazione come
una massa fanatizzata e incolta, facile preda della propaganda
sovversiva.
(Giorgio Amico, Da "Roma città aperta" a "Il partigiano Johnny". La Resistenza nella filmografia italiana)