lunedì 30 aprile 2018

Nazirock



GIOVEDÌ 03 maggio - ORE 21:00

NuovoFilmstudio G.C. - Officine Solimano
P.zza Rebagliati SAVONA
Proiezione del documentario "NAZIROCK"

ALLA PROIEZIONE SARÀ PRESENTE L’AUTORE
IL GIORNALISTA CLAUDIO LAZZARO

INGRESSO LIBERO

Genova per noi


sabato 28 aprile 2018

Albissola Comics 2018


Gli sguardi alefici di Raffaele K. Salinari



Ci sono più cose tra cielo e terra che in tutta la tua filosofia” (William Shakespeare)

Marco Dotti

Gli sguardi alefici di Raffaele K. Salinari


Negli anni 80 del secolo scorso Michael Foucault elabora il termine «eterotopia» che, nella sua forma più essenziale, definisce: «Quegli spazi che hanno la caratteristica di essere connessi a tutti gli altri ma in modo da sospendere, neutralizzare, invertire l’insieme dei rapporti che essi rispecchiano o riflettono».

Cinquant’anni prima, dall’altra parte del mondo, in Argentina e precisamente nel 1929, si spegneva, dopo una «imperiosa agonia» Beatriz Viterbo. Questa splendida figura di donna era amata dallo scrittore forse più immaginifico della storia della letteratura fantastica, dunque “eterotopica” per eccellenza: Jorge Luis Borges.

Vale la pena allora porsi una domanda: Foucault conosceva Borges, ed in particolare il testo che il Direttore emerito delle Biblioteca Nazionale Argentina aveva esplicitamente dedicato alla sua adorata Beatriz? Non ci è dato saperlo, ma ciò che con assoluta certezza possiamo invece dire, è che l’omonimo racconto che titola l’antologia borgesiana più famosa è certo la descrizione maggiormente intrisa di poesia di una suggestione eterotopica: L’Aleph.

    Raffaele K. Salinari

Quando Borges, che nel racconto parla di se in prima persona, scende nel sottoscala della casa di via Garay a Buenos Aires invitato dal cugino e coinquilino della defunta Beatriz a rimirare l’Aleph, si trova improvvisamente di fronte al «microcosmo di alchimisti e cabalisti»: un sfera incredibilmente piccola e luminosa attraverso la quale si riflettono ed emanano, in uno stesso momento ed in uno stesso luogo, senza sovrapposizioni o scarti cronologici, tutti i luoghi e tutti i momenti esistenti e vissuti dal cosmo.

E, come Dante di fronte allo splendore dell’Essere del Vero, della Sfera Suprema, ad un certo punto non ha più le parole per descrivere l’ineffabile. E allora il Maestro argentino si affida ad una serie di metafore, simboli, analogie, suggestioni, rimandi letterari e poetici, per cercare di rendere l’idea di questo unicum che vedrà quella sola, memorabile, volta. Ma tutto questo, lo ammette lo stesso Borges, ha una origine molto più lontana: ha i suoi archetipi. L’idea di Dio come sfera infinita il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo, come pure l’immagine della biblioteca come un immenso labirinto, o dello specchio come forma del passaggio da un piano di realtà ad un altro, magari dal sonno alla morte, ma anche (perché no) viceversa, sono solo alcuni di questi; sono le immagini immaginanti la cui infinita ricreazione e ripetizione costituiscono le fondamenta stesse della Storia Universale.

A questi archetipi borgesiani, ma anche ai parerga e paralipomeni legati all’immagine dell’Aleph come eterotopia-atopia-utopia, cioè ai luoghi (e non luoghi) ed alle suggestioni che da questa figura centrale possono irradiare, o su di essa e da essa convergere o divergere, e ben al di la del racconto, è dedicato il libro Alias: Aleph di Raffaele K. Salinari (edizioni Punto Rosso). Nel titolo è già contenuta la genesi di questo densissimo volume: si tratta, infatti, di una raccolta ragionata e rivista di una serie di articoli apparsi nel tempo sull’omonimo inserto culturale del manifesto.

Il «biglietto di accompagnamento» di Silvana Silvestri, direttrice di Alias, ce ne rende ragione, mentre l’erudita prefazione animica di Davide Susanetti apre alle ascendenze orfico-iniziatiche del testo. Ma è indubbiamente la coerenza dei vari capitoli – che hanno tra l’altro la caratteristica di poter essere letti come essenziali monografie sui vari argomenti – unificati dall’immagine espressa nel sottotitolo del volume«Mundus Imaginalis Borgesianus», a suscitare nel lettore le suggestioni maggiori.

    Henry Corbin

L’espressione «Mundus Imaginalis» rimanda, infatti, a quella folgorante intuizione di Henry Corbin, maestro massone, filosofo e soprattutto iranista, che, studiando l’esoterismo islamico di matrice sciita, coniò questa definizione per descrivere, utilizzando le parole di una lingua morta «un ordine di realtà superiore che corrisponde a un certo tipo di percezione, poiché la terminologia latina ha il vantaggio di fornire un punto di riferimento tecnico preciso, con cui confrontare i più o meno idonei equivalenti dei linguaggi moderni occidentali».

E qui Corbin, il cui spirito esoterico aleggia attraverso tutto lo svolgersi del libro, offre il suo assist allo sguardo «alefico» di R. K. S. quando chiarisce che: «Indichiamo solitamente l’immaginario come irreale, utopistico… Di contro l’ordine di realtà che io ho designato come Mundus Imaginalis è ciò che i teosofi islamici indicano come coscienza immaginativa, l’Immaginazione cognitiva».

La potenza simbolica del Mundus Imaginalis evocata dal sottotitolo si specifica allora con l’aggettivo «borgesiano» anch’esso in latino, che rimanda perfettamente alla scansione degli argomenti contenuti nei vari capitoli, che spaziano vertiginosamente dall’Omino con la gobba caro a Walter Benjamin, sino allo sguardo di Gagarin, primo uomo a contemplare nel suo splendore totale l’immensità cosmica di Gaia. Tra gli Aleph più originali forse le Body Map disegnate dai sieropositivi da Hiv in Sud Africa e decisamente le bottiglie di gazzosa degli anni 50 con le perle di vetro, – come quelle del romanzo di Herman Hesse – racchiuse al loro interno. I tanti Aleph descritti divengono allora gli specchi splendenti od oscuri nei quali si riflettono una moltitudine di immagini archetipali, i dispositivi, direbbe ancora Foucault, della funzione cognitiva dell’Immaginazione.

Nell’introduzione si avanza anche una ipotesi poetica: che tutto il racconto sia stato scritto per omaggiare la bella Beatriz, la Beatrice di Borges, esattamente come la Commedia lo fu per quella di Dante. Varrebbe la pena inoltrarsi su questo sentiero non fosse altro per scovare le relazioni inaudite tra due personaggi la cui capacità visionaria era certo sublime.


Gli Aleph divengono allora i luoghi o le situazioni che consentono di superare il dilemma del razionalismo, che lascia soltanto la scelta tra i due termini di un dualismo banale: «materia» o «spirito», un dilemma che l’eterotopia alefica risolve sostituendolo con una scelta, non meno fatale, tra sogno e realtà, storia e mito.

E così le parole inscritte in queste pagine visionarie trovano nello spazio infinito del Mundus Imaginalis la possibilità di comporre il Volto dell’Angelo del Mondo, un ris/volto che risplende delle luci di una «costellazione inscritta nelle traiettorie di astri a volte impercettibili, eclissati dall’ombra feroce della modernità ma che, come certe stelle spente da eoni, continuano a irradiare il loro fulgore su di noi».

Sono i «mondi alefici» descritti dall’autore, le Porte Regali, come direbbe Pavel Florenskij, sulle cui soglie s’incontrano finalmente visibile e invisibile. E così la moltitudine degli Aleph e gli sguardi «alefici» – aggettivo coniato per descrivere lo stato visionario che ci rende possibile la loro percezione – precipitano finalmente all’interno di un caleidoscopio che si svela sempre e solo al singolo – ai suoi sensi, al suo cuore, alla sua consapevolezza – e dunque mai definibile, o definito, in modo univoco. Nel capitolo finale, forse ciò che tutti si aspettano: la descrizione dell’Aleph dell’autore, l’origine della metafora creata nel e dal suo stesso Mundus Imaginalis per continuarne la ricerca; un augurio per ogni lettore alla ricerca del suo.

Il Manifesto/Alias – 9 dicembre 2017

giovedì 26 aprile 2018

martedì 24 aprile 2018

68 e dintorni


lunedì 23 aprile 2018

Raimondo Sirotti


Ora è sempre Resistenza


mercoledì 18 aprile 2018

Ma quanto erano civili questi Longobardi...

Chi era il guerriero senza un braccio e con un pugnale come protesi? Storia del “Capitan Uncino” longobardo.

Giorgio Amico

Ma quanto erano civili questi Longobardi...

Povegliano Veronese è un paese di circa 7000 abitanti a pochi chilometri da Verona. Nei dintorni del paese nel 1985 è stata ritrovata una vasta necropoli longobarda contenente 164 tombe di quasi un millennio e mezzo fa, scavata in due campagne nel 1986 e nel 1992-93 e finora nota per la cosiddetta tomba del cavallo: una sepoltura rituale contenente un cavallo decapitato tumulato su un fianco con due cani accucciati vicino. Probabilmente la sepoltura di un importante guerriero e grande cacciatore.

Depositati preso l'Università la Sapienza di Roma i reperti di Povegliano godono oggi di nuova fortuna dopo la pubblicazione delle ricerche effettuate su quella che in termini tecnici è chiamata la sepoltura "T US 380", contente i resti di un guerriero di età compresa tra i 40 e 50 anni di cui i ricrcatori utilizzando avanzatissime tecniche in 3D hanno ricostruito anche il volto.

La cosa straordinaria, che ha suscitato l'interesse degli studiosi, è che l'uomo ha vissuto per anni con un coltello come protesi dell’avambraccio destro a causa di un’amputazione dopo una caduta o una ferita in battaglia. Al guerriero longobardo mancano infatti la mano destra, il polso e parte dell’avambraccio, sostituiti da una lama ritrovata disposta orizzontalmente sul bacino. Gli archeologi sono certi che si tratti di una protesi perchè di norma le armi venivano sepolte a fianco del cadavere e per una serie di altri indizi di cui parleremo.

    Tomba del cavallo e dei cani

"Il braccio destro - ha spiegato l'archeologa Ileana Micarelli, era piegato a 90 gradi, con radio e ulna tagliati di netto", segno che "l'amputazione è avvenuta senza anestesia con un colpo unico, inclinato di 31 gradi verso il cntro del corpo".

Al posto della mano del guerriero c'era una fibbia metallica e tracce di materiale organico, pelle o legno, che probabilmente sono dei residui di un sistema per il fissaggio della protesi, costituita da un manicotto su cui era inserita una lama ed era tenuta ancorato al braccio da legacci in cuoio. Tracce di cuoio sono state ritrovate anche tra i denti, a dimostrazione che il guerriero si applicava da solo la protesi-pugnale, con il solo utilizzo della mano sinistra e dei denti.


Quello che ha colpito di più i ricercatori è lo stato di buona salute del corpo. "T US 380", o "Capitan Uncino" come è stato subito definito, rappresenterebbe dunque la testimonianza di una amputazione perfettamente guarita e di pratiche di cura moderne in un’epoca pre-antibiotica. All’epoca non c’erano antibiotici ma il guerriero longobardo non aveva riportato infezioni. Gli studiosi ritengono altamente probabile che l’uomo sia stato curato con prodotti a base di erbe per bloccare l’emorragia e balsami disinfettanti.

“Sopravvivere alla perdita di un avambraccio – scrive la coordinatrice della ricerca - in un’epoca in cui gli antibiotici non sono disponibili, mostra un forte senso di attenzione e cure costanti da parte della comunità: privilegi che si avvicinano all’idea di welfare moderno” Perchè, nota ancora la dottressa Micarelli, T US 380 “era un individuo svantaggiato. Ma è sorprende quanta solidarietà abbia ricevuto”. Un aiuto che gli ha permesso non solo di sopravvivere all'amputazione, ma di continuare la sua vita nonostante la menomazione con un buon grado di autonomia,




martedì 17 aprile 2018

"Un uomo giusto". Ricordo di Nuto Revelli




Mercoledì 21 aprile
nell'ambito delle celebrazioni della ricorrenza del 25 Aprile
Presso la Sala consigliare (Biblioteca)
del Comune di Quiliano
alle ore 20.30

“Un uomo giusto”. Ricordo di Nuto Revelli
a cura del Prof. Giorgio Amico

lunedì 16 aprile 2018

Diario dell'alpino Francesco Maccario




sabato 21 aprile
alle ore 17,30
presso la libreria AmicoLibro
via Vittorio Emanuele II Bordighera

presentazione del volume
"Diario dell'alpino Francesco Maccario"
a cura di Paola Maccario,
Araba Fenice Editore.

Sarà presente Paola Maccario.


Dall'Introduzione

L'8 settembre 1943 la Divisione Alpina Cuneense, della quale mio padre faceva parte, essendo una recluta del 1° reggimento alpini battaglione "Pieve di Teco", era di stanza in Alto Adige con compiti di sorveglianza e protezione di obiettivi sensibili.

La truppa era composta per un terzo dai reduci della Russia e per i restanti due terzi dalle reclute del '23 le quali non avevano un addestramento adeguato per affrontar il nemico ma l'inesperienza era sopperita dalla forte motivazione antitedesca impartita dai reduci ai giovani soldati i quali dal canto loro avevano già potuto notare l'ostilità da parte della popolazione altoatesina di lingua tedesca.

Mio padre si trovava lì, purtroppo a causa della censura nelle lettere non può descrivere cosa in realtà stesse facendo e non aveva ancora deciso di tenere un diario che iniziò a tenere dopo la sua cattura il giorno dell'armistizio, ma gli stati d'animo si intuiscono in maniera molto chiara, va ricercato il senso dentro frasi che apparentemente un senso non hanno, occorre saper leggere tra le righe. Si esprime con dovizia di particolari, a volte con toni molto puerili ma ricco di passione giovanile altre scarno e schematico; l'importanza di un diario è che immortala come una fotografia ciò che avviene in quel particolare momento, non è scritto a posteriori, non ci sono revisioni, lo stile passa in secondo piano e ciò che si descrive non è scritto solo da un testimone di un fatto ma dal protagonista stesso. Per questo motivo il diario non ha subito correzioni ma è fedele copia dell'originale quadernetto scritto a matita.

Mio padre voleva dimenticare tutto quel triste periodo ma allo stesso tempo, col diario, voleva che non fosse dimenticata per sempre quella esperienza ma che servisse da monito alle generazioni successive affinché non dimenticassero che la loro libertà è stata conquistata col sacrificio di altre generazioni di giovani.

domenica 15 aprile 2018

'68 e dintorni



Martedì 17 aprile ore 18
Libreria Ubik
Corso Italia, Savona

68 e dintorni

Presentazione della Mostra sul ’68 a Savona e in Italia, curata dalla prof. GIOSIANA CARRARA, che verrà inaugurata il 25 Aprile presso il Palazzo del Commissario al Priamar, nell’ambito delle iniziative per la Festa della Liberazione.

Intervengono GIORGIO AMICO, FRANCA FERRANDO e MARIO LORENZO PAGGI.

A cura dell’ISREC Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona

sabato 14 aprile 2018

Pietro Millefiore, S.T.



PIETRO MILLEFIORE
S.T. (Senza Titolo)
a cura di Sandro Ricaldone


Entr’acte
via sant’Agnese 19R – Genova
18 aprile – 12 maggio 2018
orario: mercoledì-venerdì 16-19

inaugurazione: mercoledì 18 aprile 2018, ore 18


Entr’acte ospita, dal 17 aprile al 12 maggio S.T. (Senza Titolo), mostra personale di Pietro Millefiore, allestita con tre grandi lavori pittorici eseguiti nella prima metà degli anni Ottanta.

A proposito delle opere in mostra, e di altre coeve, Franco Sborgi annotava – in una presentazione del 1986 – come a caratterizzarne l’opera fosse “il viaggio attraverso i reperti della realtà e, al tempo stesso, attraverso i valori di linguaggio. L’interlocutore immediato è l’immagine fotografica, ma a differenza di quanto avveniva nel fotorealismo degli anni Sessanta e Settanta, la ricerca di Millefiore sembra porsi in particolare l’obiettivo di forzare il carattere di reperto banale e incomunicativo che l’immagine fotografica ha in se stessa. Si assiste allora ad un gioco continuo di manipolazioni che della fotografia smentisce il carattere intrinseco di immagine data. A questo punto, però, è il mezzo pittorico, utilizzato per far esplodere le contraddizioni sopite dall’immagine fotografica, che diviene esso stesso una sorta di linguaggio parallelo, in un gioco di rimandi continui, in cui i protagonisti sono sia i linguaggi che le immagini stesse”.



Pietro Millefiore nasce a Genova nel 1956. Frequenta l'Accademia Ligustica di Belle Arti e la facoltà di Architettura dove si laurea nel 1985.
Partecipa quindi a numerose esposizioni personali e collettive in Italia, in Europa e negli Stati Uniti.
Nel 1983 gli è stato assegnato il Premio d'Arte Duchessa di Galliera per un viaggio di studio nelle città e nei principali musei di Parigi, Amburgo, Londra e Berlino e nel 1997 il Premio Provincia di Genova per la Scultura nell'ambito della mostra "Forme ed immagini contemporanee". Nel 2004 vince il concorso ad inviti indetto dal Comune di Genova per la realizzazione di un bassorilievo all’interno dell’edificio della Società Canottieri di Prà.
Ha collaborato con l'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Genova e con la Facoltà di Architettura.
Dal 2007 è docente presso l'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova dove attualmente insegna Pittura, Tecniche della Rappresentazione e Storia della Scenografia.

giovedì 12 aprile 2018

Il viaggio sulla Luna. Storia di un sogno



Libreria Ubik Savona

Sabato 14 aprile ore 18.00
presentazione del libro

Viaggio sulla Luna”
Storia di un sogno, tra letteratura e nuova scienza

Partecipa l’autore MARCO GHIONE
Introducono il prof. SANDRO ZAPPATORE e il dott. MARCO PERRANDO, Presidente e Segretario Gruppo Astrofili Savonesi. A cura del GAS Gruppo Astrofili Savonesi.

Visitare il "pianeta d'argento", la Luna, conquistare il silenzioso globo che rischiara ogni notte, è stato il sogno dell'uomo di età moderna. Tra Cinque e Settecento, infatti, dall'epoca delle grandi scoperte geografiche al secolo dei Lumi, scrittori, scienziati, uomini di fede e di cultura hanno tentato in ogni modo di concretizzare questa inafferrabile visione. Grazie a un lungo e minuzioso lavoro di ricerca, il libro racconta la loro storia e illustra le soluzioni tecniche che astronomi e scienziati insieme a tanti, eccezionali cittadini della Repubblica delle Lettere hanno elaborato per trasformare l'impossibile in realtà.


domenica 8 aprile 2018

La Rafanhauda



Disponibile il n.10 de La Rafanhauda., la bella rivista dell'Association Renaissença Occitana di Chaumont (Chiomonte).

Tre i principali temi trattati in questo numero, tutti di grande interesse. Una ricognizione della Chaumont medievale attraverso l'analisi di due atti d'archivio. Un documento del 1238 della Prevostura di Oulx e un contratto relativo all'affido di un gregge del 1571.

Segue poi un esaustivo saggio su come le leggi razziali del 1938 toccarono in modo drammatico anche l'alta valle di Susa, in questo caso Salbertrand. Una pagina buia della nostra storia recente trattata attraverso le traversie di una figura allora importante, il marchese Guglielmo de Levy.

Infine una ricognizione della questione catalana di Alessandro Strano molto utile per comprendere una realtà di cui i giornali parlano molto, ma spesso in modo superficiale.

Insomma, un numero vario per contenuti e temi, approfonditi con la cura, quasi filologica, che contraddistingue da sempre La Rafanhauda.


Per contatti e richieste di copie: larafanhaudagmail.com

venerdì 6 aprile 2018

giovedì 5 aprile 2018

Marx ed Engels di nuovo in libreria (grazie a Lotta Comunista)



Si può essere critici per molti motivi verso Lotta Comunista, ma va riconosciuto come, unico in Italia, questo partito si impegni a far circolare i classici del marxismo, ormai introvabili in libreria. A 200 anni dalla nascita, le Edizioni Lotta Comunista pubblicano ora in 50 volumi l’opera omnia di Marx ed Engels.


Fabio Martini

Ridacci oggi il nostro Marx



Nell’approssimarsi del bicentenario della nascita di Karl Marx si sta silenziosamente avvicinando alle librerie qualcosa di mai visto prima in Italia: cinquanta volumi, undici dei quali in parte inediti, che di fatto rappresentano l’opera completa del padre del materialismo storico e del suo amico Friedrich Engels. Un’impresa poderosa, una festa per gli eruditi ma non solo per loro, perché tra gli inediti (lettere, articoli, manoscritti) affiorano tanti spunti che «parlano» anche all’oggi e al lettore meno smaliziato: dall’analisi dei partiti italiani a quella di casa Savoia, da Garibaldi al continente asiatico, individuato come fattore strategico e non visto - come usava a quei tempi - come immobile agglomerato millenario.

L’impresa è il risultato del lavoro, durato dieci anni, delle Edizioni Lotta Comunista, una casa editrice lontana dai clamori mediatici e animata, oltreché da passione monotematica, anche da una acribia filologica inattesa in un collettivo di rivoluzionari. L’editrice prende il nome da un movimento restato l’unico superstite dei tanti gruppi della sinistra extraparlamentare degli Anni Sessanta e da allora attestato su una linea di fedeltà a Marx e Lenin, di ostilità allo stalinismo e con nessuna simpatia per il castrismo e il maoismo.


Dai Savoia a Garibaldi

Un centinaio tra militanti, storici e traduttori si sono dedicati alle opere dei profeti del comunismo, in collaborazione con docenti universitari (Gian Mario Bravo e Mario Cingoli) e con l’Accademia delle Scienze di Berlino, che da anni cura l’opera omnia di Marx, dopo averlo fatto per Immanuel Kant. Un’operazione editoriale (alla fine conterà qualcosa come 35 mila pagine) che cade in un momento propizio: il bicentenario della nascita di Marx (Treviri, 5 maggio 1818) incrocia una delle cicliche riprese di interesse per il marxismo, in particolare nelle università anglosassoni. Come testimonia anche l’approdo dopodomani nei cinema di un film americano sul giovane Marx.

I volumi partono proprio dagli scritti del diciassettenne Karl, per poi dipanarsi tra un’infinità di argomenti. Sui partiti italiani di estrema sinistra Engels scrisse pennellate che colgono un elemento perenne di certa sinistra: «L’Alleanza è un ammasso di déclassés [...] avvocati senza cause, medici senza malati e senza scienza, studenti di biliardo, commessi viaggiatori e altri impiegati di commercio, e principalmente di giornalisti della piccola stampa di una reputazione più o meno equivoca». Ai giudizi sferzanti sul Regno di Sardegna, cui rimproverava «ambiguità, asse costante intorno al quale ruota la sua politica», Marx alterna la curiosità per Garibaldi. Al quale dedica un articolo, il 17 settembre 1862 su Die Presse, nel quale si propone nel ruolo di cronista, resocontando una manifestazione a sostegno dell’Eroe dei Due Mondi che si era svolta a Newcastle e limitandosi a inserire alcune notazioni tra parentesi: «ovazione», «applauso scrosciante», «applausi e risate».
Marx, come è noto, è tra i primi a proporre una lettura «globale» del mondo e lo fa anche in privato.

Il 25 marzo 1853 scrive all’amico Weydemeyer per congratularsi con lui per la nascita del figlio: «Evviva il nuovo cittadino del mondo! Non è possibile venire al mondo in un’epoca più formidabile che oggigiorno. Quando si viaggerà in sette giorni da Londra a Calcutta ci avranno tagliato la testa a tutti e due da moltissimo tempo. I nuovi cittadini del mondo non riusciranno a capire quanto piccolo era il nostro mondo». Marx non esita a cimentarsi con problemi della vita quotidiana. In un articolo del 1862 si occupa della «Produzione del pane» con espressioni iper-realistiche: «Un indicibile mixtum compositum di farina, allume, ragnatele, black beetles e sudore umano».



Accuratezza filologica

I volumi in uscita - che comprendono classici come Il Capitale e tanti appunti inediti - arriveranno nelle librerie nei prossimi mesi in sequenza, completando lo storico lavoro svolto dagli Editori Riuniti e con un link alla monumentale opera di ripristino e scoperta di inediti ancora in corso: la cosiddetta Mega, la Marx-Engels-Gesamtausgabe. Il progetto ha una storia a sé, ancora tutta da raccontare: ad avviare le pubblicazioni fu nel 1927 David B. Rjazanov, successivamente incappato nelle purghe sovietiche e condannato a morte nel 1938. Dopo il consolidamento dello stalinismo, infatti, la Russia bolscevica interruppe la pubblicazione dell’opera omnia perché il progetto era considerato troppo indipendente.

I volumi in uscita in Italia (cinquanta più uno di soli indici) si gioveranno di quella cura filologica da tempo prerogativa di Lotta Comunista, che dispone di un catalogo di 209 titoli, diversi dei quali tradotti in sette lingue: «Abbiamo sempre teso a fornire il miglior prodotto editoriale», spiega Irma Perrotti, del collettivo editoriale, «nella convinzione che “diffusione” e “popolarizzazione” non debbano essere confuse con “volgarizzazione”».

Un metodo di lavoro che è anche un programma politico: nella loro sede, un’ex officina di caldaie in via Sarca alla periferia Nord di Milano, i militanti comunisti - un po’ come i monaci amanuensi medievali - trascrivono nel modo più fedele e più ampio quel che scrissero i fondatori del materialismo storico. Nella incrollabile fiducia che quelle profezie, dopo aver influenzato e mosso nel passato milioni di uomini, prima o poi tornino a essere attuali e attuabili.


La Stampa – 2 aprile 2018

Eiger parete nord


mercoledì 4 aprile 2018

martedì 3 aprile 2018