lunedì 28 maggio 2018

Antico frantoio di Marmoreo. Arte per la Repubblica



Arte e Cultura per celebrare i Valori costituenti

ARTE A MARMOREO PER IL 2 GIUGNO: in esposizione opere di Scanavino, Van den Berg, Gaudaire Thor , Pintapiuma insieme a opere tradizionali Africane, Nepalesi e Oceaniche

Molte iniziative a Marmoreo, presso Casanova Lerrone per il 2 giugno, Festa della Repubblica : le celebrazioni ufficiali presso la Stele, previste in mattinata insieme ad  eventi teatrali e musicali con Pino Ronco, Claudio Denei, Davide e Alessandro De Muro saranno precedute da un intenso programma di mostre curate dalla Associazione Etra e Fondazione Tribaleglobale e inaugurate venerdì 1 giugno alle 18 presso l’antico Frantoio di Marmoreo. Qual’è il nesso tra Arte, Libertà e Partecipazione? Gli organizzatori rispondo con una frase di John Ruskin - “Arte è quando la mano, la testa, e il cuore dell’uomo vanno insieme.” - Esattamente come accadde nell’epoca resistenziale-

Ecco il programma

100 ANNI DI FELICE CASCIONE Mostra fotografica a cura dell’Archivio Fragalà
SEMPLICEMENTE BELLI Utensili agricoli da Africa, Oceania, Nepal…

DIALOGHI TRIBALIGLOBALI Opere di Emilio Scanavino, Siep van den Berg, Jean Gaudiere Thor dialogano con l’arte Primaria

MONOGRAFICA 1/ Le Biro di Claudio Ruggeri alias Pintapiuma
MONOGRAFICA 2/ Tessuti rituali Bushoong

Le mostré saranno visitabili gratuitamente anche sabato dalle 11 alle 18 e domenica dalle 14 alle 18

IL 2 GIUGNO ALLE 11.30 circa sarà presente IL PARTIGIANO LEO , che ha custodito per oltre settant’anni la borsa di Felice Cascione, U Megu 




Vi racconto la mia terra


domenica 27 maggio 2018

Alle origini del '68. Panzieri, Montaldi e l'inchiesta operaia


    Panzieri alla FIAT

Il '68 italiano non fu un fenomeno improvviso, ma fu preparato da un lungo lavoro di ricerca teorica e di studio concretizzatosi poi in libri e riviste. Centrale in questa fase, che va dalla rivoluzione ungherese agli incidenti di Piazza Statuto, fu il ruolo di Danilo Montaldi e Raniero Panzieri.

Giorgio Amico

Alle origini del '68.
Panzieri, Montaldi e l'inchiesta operaia

Danilo Montaldi partecipò alla fase iniziale dei Quaderni Rossi, ne è testimonianza una serie di lettere a Raniero Panzieri che vanno dal settembre 1959 al marzo 1961.

Da Cremona Montaldi invia a Panzieri Unità Proletaria, il bollettino ciclostilato che redige assieme a un piccolo gruppo di studenti ed operai. Panzieri gli risponde esprimendo apprezzamento per la serietà dell'iniziativa che gli deriva dai legami stretti con la realtà operaia cremonese. Mette in guardia però il suo giovane corrispondente da “alcune punte che richiamano ancora i foglietti di setta”. Implicitamente un invito a recidere i legami con ciò che resta in Italia di una corrente (il bordighismo) che anche nelle sue realtà migliori (Battaglia comunista di Onorato Damen) resta comunque autoreferenziale, incapace di comprendere le forme del conflitto di classe in un'Italia in profonda e tumultuosa trasformazione.

    Danilo Montaldi

L'intesa tra i due è profonda. Panzieri non nasconde a Montaldi le sue perplessità sui partiti del movimento operaio ed in particolare sulle modalità dell'intervento (o meglio del non-intervento) del PCI alla FIAT:

“E' una mistificazione -scrive in una lettera del 24 settembre 1959 riferendosi ad un articolo di Minucci su Rinascita– addirittura esemplare, una «sistemazione» tanto completa da sembrare inventata dal neoriformismo di matrice staliniana. Vengono persino riesumate le più vecchie sciocchezze sull'impoverimento assoluto a sostegno di una politica di evasione sul piano della «società globale». L'azione di fabbrica viene identificata con l'azione sindacale per dimostrare la necessità di «uscire» dalla fabbrica e l'operaio alienato si recupera «politicamente» come cittadino! Ideologicamente, è una non tanto curiosa metamorfosi dello stalinismo in una sottospecie di sociologia dell'integrazione, dove il partito giuoca il ruolo centrale di assorbimento”.  

Insomma, il Partito comunista punta esclusivamente sulla dimensione politico-elettorale, delegando l'intervento in realtà operaie complesse come la FIAT al sindacato. Una impostazione che va rovesciata, rimettendo al centro l'intervento politico in fabbrica. Un intervento di tipo nuovo che superi sia l'approccio elettorale-riformistico del PCI che si ricorda degli operai solo al momento delle elezioni o per sostenere particolari battaglie parlamentari, sia lo sterile approccio predicatorio dei gruppetti settari portatori del “verbo” ad una classe inconsapevole che va resa cosciente della propria condizione di sfruttamento. In realtà gli operai conoscono benissimo le loro condizioni, manca semmai la capacità di coordinare in un progetto coerente la richiesta di potere che si esprime nella ripresa delle lotte e in una sempre più estesa microconflittualità in fabbrica.


La risposta di Panzieri sarà la conricerca, il metodo dell'inchiesta operaia che parte proprio in quei mesi e alla FIAT, coinvolgendo i “sociologi”dei Quaderni Rossi (che nasceranno di lì a poco proprio come espressione dei primi risultati dell'inchiesta) e le avanguardie operaie che all'insaputa quasi di partiti e sindacato si stanno formando negli stabilimenti torinesi. Una dinamica che riflette nella realtà torinese ciò che accade nelle metropoli dell'imperialismo, dagli scioperi a gatto selvaggio delle fabbriche americane alle teorie del gruppo parigino Socialisme ou Barbarie con cui Montaldi si tiene in stretto contatto e di cui traduce per Einaudi su sollecitazione di Panzieri il “Diario di un operaio” di Daniel Mothé (che uscirà nel 1960 suscitando non poche polemiche).

Ancora all'inizio del 1960 Panzieri pensa a Unità Proletaria di Cremona come ad una possibile articolazione “pratica” sul territorio del gruppo dei Quaderni Rossi. Lo scrive ad Asor Rosa, assimilando il lavoro sul territorio di Montaldi all'intervento alla FIAT dei torinesi.

Ed in effetti esiste in quei primi mesi del 1960 una forte comunanza di intenti e di impegno fra Montaldi e Panzieri. Lo attesta lo schema di lavoro che da Cremona Montaldi invia ai compagni torinesi il 2 marzo 1960. Uno schema centrato sulla struttura e funzione dell'industria capitalistica moderna, sulla struttura e funzione dei sindacati, sulla realtà nuova rappresentata dalla Fiat: il tutto in aperta, anche se non dichiarata, polemica con le tesi di un PCI che continua a raccontare di un'Italia arretrata che va svecchiata. Un'Italia ancora non completamente capitalistica che deve completare lo stadio della rivoluzione democratico-borghese. Di qui il richiamo togliattiano all'unità delle forze popolari cattoliche e socialiste e l'accento costantemente posto agli interessi nazionali minacciati dai monopoli. Il tutto a declinare una versione massimalista del riformismo nenniano intrisa di generici richiami alle tesi di Gramsci sul Meridione e la questione contadina.


Panzieri, Tronti e Montaldi insistono invece con forza sul tema della centralità della questione operaia in un'Italia pienamente sviluppata, anzi addirittura neocapitalistica. Ruolo dei tecnici, pianificazione, standardizzazione dei processi produttivi, generalizzazione della catena di montaggio, sono i punti con cui occorre confrontarsi non nel chiuso dei centri studi, ma nel vivo delle lotte, a contatto diretto con gli operai che debbono diventare i protagonisti della ricerca.

Pur non facendosi illusioni, gli “operaisti” puntano sulla sinistra socialista che in quel periodo dirige la federazione del PSI di Torino e su alcuni suoi esponenti in ambito sindacale come Vittorio Foa. L'uso operaio del Partito socialista si rivelerà ben presto impossibile. Già dal secondo numero dei Quaderni Rossi il rigetto delle ipotesi di lavoro di Panzieri da parte di Psi e Pci è netto. E non solo in conseguenza dei fatti di Piazza Statuto.

Ma questa, come si dice, è ancora un'altra storia.




sabato 26 maggio 2018

Louis Oreiller, il pastore di stambecchi che sarebbe piaciuto a Jung


Paolo Cognetti l'ha definito il più bel libro di montagna dell'anno. Per noi un viaggio straordinario alla scoperta dell'animo di un uomo, condotti per mano da Irene Borgna.

Giorgio Amico

Louis Oreiller, il pastore di stambecchi che sarebbe piaciuto a Jung


Avvicinarsi a un libro è come andare in montagna. “Quello che puoi trovare dipende da quello che stai cercando”. Sono parole di Louis Oreiller, protagonista e coautore de Il pastore di stambecchi ultimo (dopo Profondo verde e Montagna femminile plurale) libro di Irene Borgna, appena pubblicato da Ponte alle Grazie.

Un libro di montagna, anzi , secondo quanto ne scrive Paolo Cognetti su La Repubblica, “il più bel libro di montagna dell'ultimo anno”.

Ma anche un libro sulla montagna, un piccolo trattato di antropologia alpina scritto da chi questa materia la conosce bene. Dopo una laurea in filosofia, Irene ha un dottorato in questa disciplina, guadagnato alla scuola di Marco Aime, grande antropologo e uomo della montagna, autore di un libro importante come Rubare l'erba, saga dei pastori transumanti di Roaschia.

Un libro su un mondo che c'era e non c'è più. Pieno di immagini bellissime, a partire dal titolo: quel Pastore di stambecchi che già ti emoziona solo a prendere il libro in mano e a guardarne la copertina.

Un libro magico, colmo di un sapere antico: la luna che tutto governa della vita degli uomini, degli animali e delle piante, il cuore a croce dello stambecco che essiccato diventa un talismano, il granello di terra mescolato all'acqua che ristora dalla fatica...

Un libro capace di suscitare echi profondi nel lettore, perché racconta uno straordinario viaggio nel cuore di uomo in cui centrale è la capacità di ascoltare. E' questa attenzione, questo pudore tutto femminile nel riprendere e dare forma scritta alla narrazione del vecchio montanaro, a rendere straordinario il libro, a farne un antidoto prezioso ai mali di un vivere moderno autocentrato, incattivito, incapace di ascolto e di attenzione autentica per l'altro.

Irene ascolta Louis raccontare della sua vita e poi trascrive ciò che ascolta: il detto e il non detto, le pause e i silenzi. Soprattutto i silenzi, spesso più rivelatori delle parole. Una forma di rispetto che si fa metodo di lavoro, indicazione preziosa per chi voglia mettersi sul terreno non privo di insidie del raccoglitore di memorie. E' lei stessa a dircelo nella primissime pagine del libro:

Occorre saper leggere tra le righe di ciò che viene detto, insistere discretamente lungo i confini dell'esplicito per individuare il taciuto e le sacrosante ragioni del silenzio – per scegliere infine con cura le parole da non scrivere”.

Quanto più si è sviluppata la coscienza scientifica – annota Jung in quello che si può considerare il suo testamento spirituale – tanto più il mondo si è disumanizzato. L'uomo si sente isolato nel cosmo, perché non è più inserito nella natura e ha perduto la sua «identità inconscia» emotiva con i fenomeni naturali (…) Nessuna voce giunge più all'uomo da pietre, piante o animali, né l'uomo si rivolge ad essi sicuro di venire ascoltato. Il suo contatto con la natura è perduto, e con esso è venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava. Questa perdita enorme è compensata solo dai simboli dei sogni. Essi ci ripropongono la nostra natura originaria, con i suoi istinti e il suo particolare pensiero”. (Carl.G. Jung, L'uomo e i suoi simboli) 

E dunque questo libro gli sarebbe piaciuto e forse avrebbe invidiato Irene per aver raccolto la testimonianza di uno degli ultimi uomini ancora capaci di dialogare con la realtà profonda e misteriosa del cosmo. Ne siamo fermamente convinti, perché “Louis Oreiller parla con la voce della montagna”, ci dice ancora Cognetti. Ed è vero, basta anche solo sfogliare il libro per rendersene conto. Attraverso le parole di Louis la voce della montagna torna a risuonare dentro di noi. Leggendo il racconto della sua vita pare anche a noi di ascoltarla.

Filosofa, antropologa, guida naturalistica, Irene Borgna pagina dopo pagina si rivela capace di disegnare con mano sicura la carta dei percorsi di una vita, di rendere con straordinaria umanità, un pizzico di ironia e tanto buon umore la storia di un uomo che piano piano impariamo a conoscere attraverso i suoi occhi e un po' anche ad amare.

Non è facile scrivere un libro così. Ci vuole sensibilità, pazienza e soprattutto tanto pudore. Irene ci riesce e ci consegna la mappa del cuore di Louis Oreiller, contrabbandiere, cacciatore di frodo, guardiaparco, guardiacaccia, ma soprattutto uomo nel senso antico e autentico della parola. A noi, ora, oltre il piacere della lettura, la capacità di utilizzare questa guida preziosa sui sentieri della nostra vita, certo diversi, ma non meno impegnativi e pericolosi di quelli percorsi da Louis nella sua Val di Rhemes.



venerdì 25 maggio 2018

giovedì 24 maggio 2018

Roberto Settembre alla Ubik



Venerdì 25 maggio ore 18
Libreria Ubik
incontro con
ROBERTO SETTEMBRE
scrittore ed ex Giudice per i fatti del G8 di Genova
e presentazione del libro
"Pulizia etica"
(Editore Robin&sons)
Introduce il Professore e autore televisivo
FELICE ROSSELLO


Quattro storie sulla terza età, e soprattutto sulla politica, che (quando non ce ne interessiamo) si interessa di noi, e lo può fare in modo brutale.
I protagonisti dei quattro racconti sono tutti uomini in pensione, che non amano la politica e vorrebbero vivere l’ultima parte della loro esistenza nella quiete di quanto hanno saputo tesaurizzare attraverso la loro vita di lavoro. Ma hanno due grandi colpe: sono anziani e hanno un reddito discreto, frutto del lavoro e della meritata pensione. E le due colpe non sono perdonabili, e infatti la politica non perdona.
Le quattro storie evidenziano come le coscienze, sapientemente manipolate, si corrompano in funzione degli interessi di potere di chi usa il populismo nelle sue forme più bieche.


Roberto Settembre, scrittore, ex giudice della Corte di Appello di Genova (estensore della sentenza di secondo grado sui fatti della Caserma di Bolzaneto in occasione del G8 del 2001). Ha scritto per Einaudi “Gridavano e piangevano”, pubblicato nel 2014.


martedì 22 maggio 2018

Il pastore di stambecchi




Venerdì 25 maggio 2018
alle ore 17.30
presso la Libreria Libraccio
Corso Italia 235, Savona

Irene Borgna 
presenta
“Il pastore di stambecchi”
di Louis Oreiller 

Con l’autrice dialoga Giorgio Amico


«Esistono uomini che hanno ascoltato la montagna così a lungo da sentirne la voce. Quando poi questi uomini parlano, dopo una vita intera, è la montagna che parla attraverso di loro. Louis Oreiller parla con la voce della montagna e ascoltarlo riempie di meraviglia, ancora più che di nostalgia. »

Paolo Cognetti


Nella sua valle, sa il carattere di ogni canalone, di ogni balza di roccia. Riconosce le volpi, i camosci, le vipere, i gipeti. Può chiamare per nome ogni valanga. La montagna per Luigi Oreiller non è una sfida, né una prestazione. È la sua casa di terra e di cielo, un orizzonte a cui appartenere. 

Luigi nasce nella povertà e cresce con la guerra. Valdostano ma “anche” italiano, trascorre i suoi 84 anni a Rhêmes Notre Dame, venti comignoli rubati alla slavina al fondo di una valle stretta e dal fascino selvatico, su un versante Parco del Gran Paradiso sull’altro riserva di caccia. 

Da ragazzo, armato dalla fame, è cacciatore, contrabbandiere, manovale. Quando diventa guardiaparco e poi guardiacaccia, cambia sguardo. Dietro le lenti del cannocchiale, nelle lunghe solitarie giornate di appostamento ai bracconieri, diventa il signore delle cenge, segue il volo delle aquile e sperimenta un qualcosa di molto simile all’amore.  Stagione dopo stagione, trasforma gli alberi in sculture, “scava” tassi e marmotte, parla con i cani, le mucche, le galline. A volte anche con gli uomini. 

Quello di Oreiller è un mondo ormai perduto, travolto da una modernità senza pazienza, da un fiume di gente che torna ma non resta. Eppure, nei suoi occhi, nelle sue mani nodose e forti, tutto ha ancora memoria e lui ha memoria di tutto. Le sue parole, consegnate a chi, come Irene Borgna, le sa ascoltare, conducono lontano, fuori traccia, tra valichi nascosti. E segnano il tempo, come gli anelli di un tronco, come i cerchi sulle corna di un vecchio stambecco. 



lunedì 21 maggio 2018

La presenza di lei


Camminare sui sentieri dei partigiani a Paraloup



Siamo stati a Paraloup, culla della Resistenza. E abbiamo imparato qualcosa.

Giorgio Amico

Camminare sui sentieri dei partigiani a Paraloup.

Ci arriviamo con la nebbia. Il bosco, imperlinato dalla pioggia , appare e scompare in una massa bianca e impalpabile. Tutto attorno a noi è silenzio, solo il rumore di cento torrentelli accompagna il nostro cammino.

Stiamo salendo a Paraloup, culla del movimento partigiano e non solo nel Cuneese. Qui subito dopo l'8 settembre 1943 si attestò la prima banda. «Strano gruppo di improbabili guerrieri – la definisce Marco revelli - che avrebbe senza dubbio fatto arricciare il naso a più d’uno dei numerosi ufficiali di Stato maggiore che rifiutavano la collaborazione con i “ribelli”, perché non la consideravano una cosa seria». (Marco Revelli, Resistenze, quelli di Paraloup, Edizioni Gruppo Abele).

E invece cosa seria era, anzi serissima. Tanto che da quel piccolo gruppo di combattenti, dodici in tutto, guidati da Duccio Galimberti, prese vita e forza il movimento partigiano. Tanto seria che con tutta la loro forza e crudele ferocia fascisti e tedeschi non riuscirono più a sradicare quei combattenti, sempre più numerosi e motivati, da quelle montagne fra Valle Stura e Valle Grana.

Paraloup, piccolo borgo di alta quota di pastori e contadini, diventa un simbolo di forza e tenacia. Il suo nome risuona come un grido di battaglia.Italia libera” si chiama il movimento che lo anima. Sono giellisti, intellettuali, borghesi, contadini, operai. Fra loro figure storiche della Resistenza come Duccio Galimberti che finirà fucilato dai tedeschi, e tanti giovani destinati poi a lasciare un segno nell'Italia del dopoguerra: Dante Livio Bianco (anche grande alpinista), Nuto Revelli, Giorgio Bocca.


E' proprio Nuto Revelli, che a Paraloup arrivò nel febbraio del 1944, dopo la tragica esperienza della Russia, a rendere storia viva la guerra di Paraloup: «Fra le povere baite tutto è vivo, in movimento: partigiani che puliscono le armi, che spaccano la legna, che tornano dalle corvées con i muli. Strano esercito. Uomini senza gradi, senza divise, sbrindellati: gente che parla tutti i dialetti, dal piemontese al siciliano. Molti i colori: maglioni e giubbotti rossi, gialli, con il grigioverde di sfondo, proprio come apparivano i campi di sci prima della guerra». (Nuto Revelli, La guerra dei poveri, Einaudi)

Con gli anni del “miracolo” Paraloup, come tutta la montagna, si spopola. I giovani scendono a valle. Da montanari si fanno classe operaia, ma non perdono combattività e fierezza. Saranno gli operai della Michelin dell'autunno caldo. Ma la borgata resta deserta e lentamente va in rovina, muta testimonianza di una storia che troppi in alto hanno voluto dimenticare in fretta.

Dove resta la memoria è in basso, fra la gente più semplice, fra quegli uomini e quelle donne che furono carne e sangue della lotta contro i fascisti. Italia libera li voleva cittadini di un paese finalmente democratico e giusto, il dopoguerra li ha resi di nuovo gli ultimi, gli invisibili, i dimenticati.


E allora Nuto Revelli ritorna a Paraloup, risale la montagna e la Langa, cerca quegli uomini e quelle donne, ormai invecchiati, raccoglie le loro storie. Uno dopo l'altro escono libri che ricostruiscono la memoria viva di quei luoghi e della sua gente. Il mondo dei vinti e poi L'anello debole sono pietre a edificare un monumento a chi il potere trascura e dimentica, a chi la storia l'ha fatta davvero ogni giorno della sua vita con il fucile, come negli anni infuocati della Resistenza, e con la zappa nella vita di ogni giorno. Una vita difficile, tirata con i denti, ma che non ha tolto dignità a chi voleva prima di tutto essere e restare uomo libero. Nonostante la miseria, nonostante lo spettacolo indecente di una Italia che si riscopre ricca e senz'anima.

Ricostruita la memoria, ora tocca ricostruire le case. Grazie alla Fondazione Nuto Revelli, animata dal figlio Marco, lentamente Paraloup viene ricostruito, casa dopo casa. L'obiettivo diventa dimostrare che si può tornare a vivere in montagna, che la battaglia non è persa. E così pietra su pietra Paraloup rinasce e oggi ospita un rifugio, accoglientissimo grazie all'impegno di un gruppo di giovani donne, oltre che mostre, incontri, proiezioni, reading e conferenze, organizzati dalla Fondazione Revelli.


A Paraloup si respira libertà, tra quelle case di pietra e legno il sogno di Duccio Galimberti e Nuto Revelli continua a vivere. Scendiamo e a casa ci accolgono i telegiornali con l'ultima puntata della telenovela Di Maio-Salvini, ma stranamente non ci arrabbiamo. Sarà l'aria di Paraloup che ci ha dato speranza. Passerà anche questa, ora si deve resistere.





sabato 19 maggio 2018

venerdì 18 maggio 2018

Blue Moon. A proposito di "Il viaggio sulla Luna" di Marco Ghione



Oggi alle 17.30 nella Sala Comunale Palace di Spotorno presentazione di “Il viaggio sulla Luna. Storia di un sogno, tra letteratura e nuova scienza” di Marco Ghione. Un libro affascinante.


Giorgio Amico

Blue Moon

“Alle origini della cultura occidentale, i grandi poemi epici di Omero ed Esiodo celebrano la Luna come una figura divina, dispensatrice di luce nel cielo notturno. Nell'omerico Inno a Selene risaltano le qualità luminose della dea e la sua natura benevola”. Inizia così Il viaggio sulla Luna. Storia di un sogno, tra letteratura e nuova scienza, ultimo intrigante lavoro di Marco Ghione, giovane e bravo ricercatore universitario, autore tra l'altro di un affascinante libro su Keplero.

L'autore ci ricorda che un detto attribuito a Pitagora paragona l'astro notturno ad uno specchio e in questo modo ci offre il senso profondo del libro, perche la Luna nei secoli XVII e XVIII è stata davvero per generazioni di intellettuali il riflesso speculare della Terra e delle sue contraddizioni e follie nella società e nella politica.

Dopo un efficace excursus su come il mondo classico e medievale si è rapportato con l'astro, Ghione ci introduce nel cuore del tema a partire dai trattati di filosofia naturale e astronomia che dal Seicento offrono una nuova visione del cosmo. Un vivace dibattito che vede coinvolti scienziati famosi come Copernico, Keplero, Galilei, ma anche divulgatori, oggi dimenticati, ma allora notissimi, che tradussero le nuove scoperte in pubblicazioni rivolte ad una élite intellettuale, uomini e donne “sapienti” frequentatori dei salotti alla moda. Come puntualizza l'autore, la scienza si inserisce nelle nuove forme di socialità (il salotto, il caffè, la loggia massonica) indotte dalla modernità trasformandosi in un erudito divertissament. Nasce addirittura un nuovo genere letterario, una vera e propria mania. Si parla della Luna, ma alla Terra e agli uomini che ci si rivolge.


E' una lettura frutto del disincanto provocato dall'implosione del mondo rinascimentale incentrato su principi di corrispondenza e armonia. La magia naturalis lascia il posto alla scienza e la narrazione del cosmo rischia di perdere poesia. La risposta sarà il trionfo dell'immaginazione che da l'assalto al cielo, descrivendo mondi lunari che sono sia la ricerca di un altrove fatto di armonia e di pace o la satira feroce del presente, raccontando di un mondo rovesciato che in realtà è la rappresentazione grottesca delle assurdità della società reale, di cui per bon ton e prudenza è meglio non parlare.

E invece gli autori ripresi nel libro ne parlano e tanto, disegnando addirittura scenari che prefigurano aspetti (il macchinismo, la centralità del profitto) fondanti una società industriale che è appena dietro l'angolo, che sta per nascere e trasformare radicalmente il mondo.

Uno sguardo disincantato e scettico che non deve però oscurare il grande balzo in avanti della ricerca astronomica che sostanzia di dati scientifici e ipotesi questo divertissament filosofico-letterario. L'autore ce lo ricorda nell'ultimo capitolo, schizzando a tratti veloci ma incisivi un quadro della selenografia nel XVII secolo. Una disciplina che si evolve grazie all'uso di forme sempre più perfezionate di un nuovo strumento ottico, il telescopio, e che trova la sua più matura manifestazione nelle accuratissime mappe lunari di Gian Domenico Cassini, nato a Perinaldo (e dunque nostro conterraneo), diventato per i suoi meriti scientifici direttore dell'Osservatorio Reale di Parigi e personaggio influente alla corte del Re Sole. E cosa di più avrebbe potuto chiedere alla vita un amante appassionato della Regina della notte?

Marco Ghione
Il viaggio sulla Luna
Storia di un sogno, tra letteratura e nuova scienza.
Città del Silenzio, 2017
20 euro




giovedì 17 maggio 2018

Massoneria, Partito comunista e Chiesa cattolica nell'Italia del dopoguerra



Nel 1945-47 rapporti intensi legarono il Grande Oriente d'Italia di Guido Laj e il Partito comunista di Palmiro Togliatti. Una pagina interessante della storia italiana del dopoguerra, ancora oggi poco conosciuta.

Giorgio Amico

Massoneria, Partito comunista e Chiesa cattolica nell'Italia del dopoguerra

Ricostituitasi all'indomani della caduta del fascismo, già nei primi giorni del governo Badoglio la Massoneria comincia a riorganizzarsi, alla luce del sole nei territori liberati dagli Alleati, clandestinamente nella parte d'Italia ancora occupata dai tedeschi. Logge clandestine nascono a Roma, Milano e nelle più importanti città italiane, mentre molti Liberi Muratori partecipano attivamente alla Resistenza. Una lotta a cui la Massoneria versò un pesante contributo di sangue a partire dai 18 massoni romani trucidati nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.

Una opposizione ben nota a Mussolini e al governo della Repubblica Sociale, tanto che Giovanni Preziosi, Ispettore generale per la demografia e la razza della RSI, nell'agosto 1944 giunge a proporre la pena di morte mediante fucilazione per i massoni clandestini e Julius Evola (tanto caro all'attuale Grande Oratore del Grande Oriente d'Italia che non perde occasione per esaltarne importanza e "attualità" del pensiero), dopo esser volato già nel settembre 1943 al Quartier Generale di Hitler per ricevere disposizioni, si stabilisce a Vienna dove opera attivamente fino all'arrivo dei russi e alla fine delle ostilità al servizio dell'ufficio speciale delle SS incaricato della liquidazione definitiva della Massoneria nei territori occupati dalle armate del Reich.


Quella che rinasce dopo il ventennio fascista, che aveva visto la devastazione delle logge e la messa fuorilegge dell'istituzione, è dunque una massoneria che guarda a sinistra, al Partito repubblicano di Randolfo Pacciardi e al Partito socialista di Nenni, ma anche ai comunisti. Soprattutto dopo la fine dell'effimera esperienza del Partito democratico del lavoro prima e dell'Unione Democratica Nazionale poi, il Grande Oriente d'Italia si volge decisamente a sinistra. Netta è la preclusione antifascista, mentre forti sono le preoccupazioni per una Democrazia cristiana che presenta forti elementi di integralismo religioso.

In quest'ottica già dalla primavera 1945 contatti vengono stretti con il Partito comunista a cui il GOI fa pervenire tramite un alto dignitario del Rito Scozzese, materiali interni e circolari. Significativa è anche la presenza massonica nelle fila del partito di Togliatti: solo a Roma i massoni iscritti al partito sono tra i 100 e i 150. Altrettanto forte l'interesse del PCI per le vicende, invero piuttosto travagliate (sono operanti diversi gruppi massonici che si combattono aspramente), della Libera Muratoria italiana. In un documento, conservato presso la Fondazione Istituto Gramsci, contrassegnato dalla dicitura a penna “segreto”, si stabilisce di “introdurre nella massoneria un certo numero di compagni allo scopo di influenzarne l'indirizzo politico; cosa non solo possibile data la situazione interna della massoneria, ma particolarmente opportuna dato che la M. ha una certa influenza sui ceti medi (piccola borghesia radicale)”. 


Con molta spregiudicatezza il Pci apre alla Massoneria. Così il 10 marzo 1946 lo stesso segretario Palmiro Togliatti tiene alla Normale di Pisa una prolusione su Giuseppe Mazzini, con Garibaldi figura di riferimento fondamentale per la Massoneria italiana, in cui esalta la figura dell'esule come il più grande riformatore italiano dell'Ottocento. “Mazzini – afferma Togliatti – giganteggia perchè la sua intuizione riformatrice e le sue idee riformatrici sono inserite in una concezione generale del mondo e della vita dalla quale egli ricava una direttiva per l'azione”. Concezione generale del mondo e della vita, sia detto per inciso, che il Grande Oriente rivendicava orgogliosamente come propria fin dalla sua fondazione all'indomani dell'unità d'Italia.

Approcci che inquietano le autorità, massoniche e non solo, americane, ormai entrate nell'ottica dell'incipiente guerra fredda. Chiarimenti in merito vengono chiesti al GOI, che è in attesa di riconoscimento, anche su pressioni insistenti di gruppi massonici concorrenti come il gruppo diretto da Liborio Granone che, allo scopo di accreditarsi come il più filoamericano, invia lettere di fuoco alla Gran Loggia di New York per denunciare le compromissioni del GOI con i comunisti.

    Guido Laj

Nonostante le preoccupazioni americane il Grande Oriente insistette a puntare sulla sinistra nel suo complesso e in particolare sul Pci perchè la Repubblica in via di definizione costituzionale nascesse laica e aconfessionale e dunque per il rigetto degli accordi fra Stato e Chiesa negoziati da Mussolini nel 1929, i famosi Patti lateranensi. In questo senso,il Gran Maestro del GOI, Guido Laj, inviò un proprio delegato al Pci proponendo un patto di collaborazione su tre punti: lotta all'integralismo clericale, divorzio e scuola laica. Lo stesso Laj alla vigilia del voto alla Costituente si recò personalmente da Togliatti per comunicargli che “la massoneria non poteva neppure considerare l'ipotesi che i patti del Laterano potessero essere recepiti nella Costituzione”. Togliatti gli assicurò che il Pci era fermamente della stessa opinione, ma il giorno dopo, rompendo con socialisti e laici, i rappresentanti comunisti votarono compatti assieme alla DC per l'inserimento.

Come sottolinea Giuseppe Vacca nel suo recentissimo lavoro su comunisti e democristiani nel “lungo dopoguerra” a Togliatti interessavano le masse cattoliche per l'influenza che avrebbero potuto esercitare sui vertici della gerarchia ecclesiastica in funzione filocomunista all'interno e filosovietica all'estero. Un lucido tentativo di inserire una zeppa nel fronte occidentale e staccare la Chiesa dalla logica della Guerra fredda e dall'abbraccio con Washington. In quest'ottica, avallata dai sovietici e da Stalin, anche il momentaneo idillio con il Grande Oriente d'Italia poteva essere tranquillamente sacrificato. 

I massoni si sentirono traditi e ci restarono male, ma non per questo cessarono di auspicare l'adozione di una decisa politica riformatrice da parte di tutta la sinistra Pci compreso. Illusioni spazzate vie nel breve arco di due anni dagli sviluppi della situazione nei paesi dietro la cortina di ferro dove la massoneria veniva messa fuorilegge e perseguitata con la stessa durezza usata dai regimi fascisti filonazisti durante la guerra. Anche per i massoni il punto di rottura fu rappresentato dai fatti cecoslovacchi dell'inizio 1948 con l'assassinio del primo ministro Jan Masaryk, la presa del potere del Pc e la messa fuorilegge della massoneria, molto influente nel paese, di cui Masaryk era stato un illustre esponente. Da allora non ci furono più rapporti con il Pci, anche se non pochi massoni restarono iscritti al partito.


mercoledì 16 maggio 2018

Fare Cinema in Liguria


sabato 12 maggio 2018

Savona alla fine del Medioevo



Presentato ieri a Savona il grande studio in due volumi di Angelo Nicolini sulla Savona medievale. L'opera, straordinaria per la ricchezza della documentazione, presenta un quadro vivissimo degli ultimi due secoli di vita del libero Comune savonese. Qui di seguito un estratto della Prefazione del Prof. Giovanni Assereto.

Dalla Prefazione di Giovanni Assereto

Dai primi anni Ottanta del secolo scorso Angelo Nicolini è andato via via pubblicando un gran numero di articoli, spesso piuttosto corposi, riguardanti il commercio, la navigazione e le manifatture savonesi nel basso medioevo: articoli nei quali, se Savona è certamente la protagonista, lo sguardo spazia non di rado su orizzonti più ampi. Lo stesso si può dire per una sua solida monografia apparsa nel 2010, Lana medievale, che non a caso reca come sottotitolo L’industria tessile savonese e l’Europa.

Una così lunga rincorsa, lo si intuiva, doveva presto o tardi consentire a Nicolini di spiccare un gran salto, cosa che è avvenuta con questo volume, il quale da un lato raccoglie e condensa molti frutti delle sue precedenti ricerche, ma dall’altro le supera nettamente e perviene a un risultato tale da far pensare che, per parecchio tempo, sarà difficile aggiungervi qualcosa e men che mai oltrepassarlo.

La quantità dei temi trattati è impressionante. Se l’indice del libro, molto dettagliato, ci esime dal compito di elencarli minuziosamente, va comunque sottolineato come quasi ogni aspetto della vita della città in due secoli abbondanti– ma in realtà su un arco temporale ancora più ampio – sia preso in esame e sviscerato a fondo: dall’organizzazione del territorio urbano e suburbano ai più diversi aspetti della cultura materiale, dalle varie articolazioni della società alle forme di gestione e di spartizione del potere politico-amministrativo, e all’economia. La quale ultima è senza dubbio la grande protagonista di questo volume in tutte le sue manifestazioni: agricoltura, approvvigionamento alimentare, manifatture, commercio, trasporti, navigazione, armamento marittimo, finanza e credito, meccanismi monetari.


Queste diverse realtà sono state ricostruite e analizzate sulla base di un imponente spoglio documentario: Nicolini ha attinto in primo luogo – come è ovvio– all’Archivio di Stato di Savona (e in subordine a quello di Genova), ma ha scavato con cura anche in numerosi archivi stranieri, estraendone notizie di grande interesse e originalità. Nell’Introduzione, rivendica giustamente tale merito: «tutto il materiale primario su cui questo libro si fonda è di origine archivistica», e «ciò significa che la storia tardo-medievale della nostra città è stata totalmente riscritta, basandola su informazioni di prima mano».

In particolare, gli atti dei notai savonesi, grazie alla straordinaria competenza con cui sono stati interrogati, rappresentano la miniera che è stata sfruttata più a fondo e con maggiore successo. Ma la ricerca archivistica è stata continuamente affiancata e supportata dall’esame di una bibliografia vastissima, scelta accuratamente e ben “digerita”, peraltro senza la preoccupazione di mostrarsi ad ogni costo aggiornati e di inseguire qualche metodologia à la page: perché, come nota maliziosamente l’Autore, «uno dei pochi vantaggi del non appartenere al mondo accademico è quello di non dover assecondare le correnti storiografiche del momento».

In realtà questo storico non accademico e per così dire “dilettante” si mostra poi perfettamente in grado di dialogare con i grandi maestri – Fernand Braudel, Carlo M. Cipolla, Raymond De Roover, Giuseppe Felloni, Edoardo Grendi, Jacques Heers, Jacques Le Goff, Roberto Lopez, Federigo Melis, Michel Mollat, Charles Verlinden – e in generale con la migliore produzione dei “professionisti” (…)

(Da: Angelo Nicolini, Savona alla fine del Medioevo (1315-1528), Città del silenzio edizioni, 2018, pp. 17-18)

Sanremo. Cinema dipinto


giovedì 10 maggio 2018

Pensieri in movimento. Libri del '68 e altre cose




PENSIERI IN MOVIMENTO.
Libri del ’68 e altre cose

Mostra a cura di Giuliano Galletta e Sandro Ricaldone
Entr’acte, via sant’Agnese 19R – Genova
15 maggio – 8 giugno 2018
inaugurazione: martedì 15 maggio 2018, ore 18
orario: mercoledì-venerdì 16-19


Entr’acte ospita, dal 15 maggio all’8 giugno 2018 Pensieri in movimento, una rassegna dedicata ai libri che hanno precorso, dato sostanza e sviluppato la riflessione nata attorno ai movimenti del ‘68.La mostra raccoglie volumi che abbracciano le ricerche della scuola di Francoforte, dai Minima moralia di Adorno all’Uomo a una dimensione di Marcuse, insieme ai testi situazionisti di Debord e Vaneigem; il pensiero filosofico francese da Sarte a Foucault e a Deleuze; la condizione e la rivolta femminile con Simone De Beauvoir e Carla Lonzi, le lotte degli afroamericani e la rivoluzione cubana, l’antipsichiatria, la poesia della Beat Generation e l’Arte povera.Accanto ai libri, immagini fotografiche e citazioni dei protagonisti nonché, alle pareti, riproduzioni di manifesti realizzati da artisti (tra cui Pierre Alechinsky, Claudio Costa, Asger Jorn, Sebastian Matta) e scrittori (Michel Butor, André Pieyre de Mandiargues) durante il maggio parigino. La mostra sarà affiancata da testi e apparati esplicativi redatti per l’occasione. nIn collaborazione con l’Archivio dei Movimenti.

mercoledì 9 maggio 2018

Caso Moro. Noi ricordiamo un'altra storia




Giorgio Amico

Caso Moro. Noi ricordiamo un'altra storia

Da settimane stiamo assistendo ad una operazione di disinformazione di grande portata consistente nella riduzione dell'intera vicenda italiana degli anni '70 (fatta di grandi lotte, stragi sanguinose, minacce golpiste, scandali senza colpevoli) al solo caso Moro. Una vera e propria beatificazione di Moro (grazie al criminale e folle avventurismo delle BR che ne fecero un martire) che disinvoltamente tace dei grandi scandali che lo videro protagonista, degli omissis sui tentativi di golpe e sulle stragi di Stato, dell'arroganza estrema del potere. "Noi non ci faremo processare sulle piazze" fu la sua risposta minacciosa alla contestazione e intanto scoppiavano le bombe e tintinnavano le sciabole. Moro fu certo una vittima del terrorismo, ma non una vittima innocente. Quell'Italia corrotta e feroce, fatta di stragi coperte dal potere, di morti misteriose e impunite (Pinelli per citarne una), di repressione del dissenso e di scandali, che lo vide poi cadere vittima del folle progetto brigatista, era anche (e forse soprattutto) la “sua” Italia, frutto di una politica che con Andreotti l'aveva visto assoluto protagonista per decenni. Lo stesso terrorismo d'altronde (prima nero e poi rosso) fu il prodotto di una strategia lucidamente progettata tendente a destabilizzare la società per stabilizzare il potere DC messo in discussione dalla lotte operaie e studentesche del '68-'69.  

Considerazioni estremistiche? No, ricordi di chi in quegli anni c'era e non ha dimenticato. Come Aldo Giannuli, autorevole storico, docente universitario e consulente delle procure di Milano (strage di piazza Fontana) e Brescia (strage di piazza della Loggia), oltre che della Commissione Parlamentare sulle Stragi, che a proposito del caso Moro scrive:

“In realtà, a un progetto di restaurazione conservatrice Moro serviva più morto che vivo. (…) Considerato da questo punto di vista, il rapimento Moro è la storia di un'azione fallita dal suo nascere. Gli italiani ebbero la sensazione (in realtà esagerata) che il terrorismo potesse vincere o, quantomeno, mettere seriamente in crisi il sistema politico. Reagirono stringendosi intorno allo Stato, pure così inefficiente, e ai partiti che lo rappresentavano, prima fra tutti la DC, che beneficiò di una larghissima amnistia. In poche settimane il caso Lockheed, il processo di Catanzaro, lo scandalo dei petroli e i mille episodi di corruzione a livello locale vennero di colpo cancellati. Le Br, con la loro azione, avevano restituito alla DC una legittimazione ormai perduta.”

(Da: Aldo Giannuli, Bombe a inchiostro, BUR, 2008, p. 403-404)

lunedì 7 maggio 2018

sabato 5 maggio 2018

Discure in sciu’ tempu e l’aiga (Dialogo sul tempo e l'acqua)




Da un bel sito (che invitiamo a visitare) un invito a smettere di correre, fermarsi un attimo e riflettere.

Tommaso Lupi

Discure in sciu’ tempu e l’aiga

Àiga duse e varegu amo(r)u u tempu.
Tempu che pé nui u passa cume a passa
a mejima àiga sutta i ponti:
ina vota sulla,
tempu ch’u marca i passi da memo(r)ia
in sciá stradda da vitta,
tempu che sensa u spassiu u nu l ’è nien,
tempu che mancu tütta l ’àiga du diluviu
a l ’è riuscia a fermō.
“Fausto, aù che a tò senne a s’arescio(r)a
cünō da l ’àiga da ma(r)ina
fin fin a-e revese dell ’eternu,
Tü, omu sensa ciü tempu, che de de lì
ti poi vē pe’ sempre e tutt’insemme
sea, anc’ öi e duman,
dimme … cuss’ u l ’è u tempu?”.
“Me frai, serca da sullu a risposta,
mi a t’ò musciau a stradda
intantu ch’a me n’andajevu …
ti nu t’aregordi e ürtime u(r)e insemme?
… aù, cu-e pa(r)olle du puetta,
a te diggu sullu che u tempu
u l ‘è ina sciu(r)a pocu cunusciüa,
sciu(r)a du mō e sciu(r)a du ben,
e che u tempu u l ‘è àiga de vena
ch’a te leva a sē ma ch’a te
scappa aviau din te die de mae,
àiga d ’ina vena
che pe’ mi a s’é seccō troppu prestu.
Frai, serca da sullu ina risposta,
tü serca sempre, me(r)aveiate de tüttu,
mīa drentu au miste(r)u sensa fin e …
bevi àncū l ’àiga da vitta”.


Dialogo sul tempo e l'acqua

Acqua dolce e tossico amaro il tempo.
Tempo che per noi passa come passa
la stessa acqua sotto i ponti:
una volta sola,
tempo che segna i passi della memoria
sulla strada della vita,
tempo che senza lo spazio è niente,
tempo che nemmeno tutta l ’acqua del diluvio
è riuscita a fermare.
“Fausto, ora che le tue ceneri si riposano
cullate dall’acqua del mare
fin fino alle rive dell’eterno,
Tu, uomo senza più tempo, che da lì
hai presenti per sempre e insieme
ricordo, coscienza e presagio,
dimmi … cos’è il tempo?”.
“Fratello mio, cerca da te la risposta,
io ti ho indicato la strada
mentre già andavo via …
non ti ricordi le ultime ore insieme?
… adesso, con le parole del poeta,
ti dico solo che il tempo
è un fiore poco conosciuto,
fiore del male e fiore del bene,
e che il tempo è acqua di fonte
che ti leva la sete ma che
ti sfugge veloce fra le dita delle mani,
acqua di una fonte
per me troppo presto inaridita.
Fratello, cerca da te una risposta,
tu cerca sempre, meravigliati di tutto,
indaga il mistero senza fine e …
bevi ancora l’acqua della vita”.

traduzione libera dal dialetto di Dolcedo

https://parole-di-autolico.oneminutesite.it/

venerdì 4 maggio 2018

Alle origini del '68. Danilo Montaldi


Il '68 italiano non fu un fenomeno improvviso, ma fu preparato da un lungo lavoro di ricerca teorica e di studio concretizzatosi poi in libri e riviste. Centrale in questa fase, che va dalla rivoluzione ungherese agli incidenti di Piazza Statuto, fu il ruolo di Danilo Montaldi e Raniero Panzieri.

Giorgio Amico

Danilo Montaldi (1929-1975)

Danilo Montaldi nasce il primo luglio 1929 a Cremona. Cresciuto in un ambiente proletario e antifascista, inizia non ancora quattordicenne l'attività politica distribuendo materiale contro la guerra e il regime. Nel 1944 entra nel “Fronte della Gioventù”, l'organizzazione giovanile comunista promossa dal PCI. Il 25 aprile 1945 partecipa armi alla mano all'insurrezione e alla liberazione della sua città.

Nel PCI, a cui nel frattempo ha aderito, lavora a stretto contatto con un gruppo di vecchi militanti della sinistra comunista. Critico verso la politica togliattiana di unità nazionale, esce dal partito all'inizio del 1946. Entra in contatto con il Partito Comunista Internazionalista assai attivo a Cremona grazie all'impegno di Giovanni Bottaioli, fondatore del Pcd'I nel 1921, poi dirigente della Frazione italiana della sinistra comunista internazionale nell'emigrazione. Pur non aderendo al PC Internazionalista, collabora ai suoi organi di stampa “Prometeo” e “Battaglia Comunista”.


Nel 1953 è a Parigi dove prende contatto con il gruppo di “Socialisme ou Barbarie” impegnato nel tentativo di definire una strategia operaia adeguata per i paesi sviluppati e nella costruzione di una “organizzazione rivoluzionaria di tipo nuovo” in aperta rottura con il tradizionale modello trotskista.

Rientrato in Italia, Montaldi entra in contatto con un'altra realtà eterodossa della sinistra rivoluzionaria, i Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) di Arrigo Cervetto e Lorenzo Parodi, impegnati dalle colonne della rivista “L'Impulso” in una difficile transizione dal comunismo libertario al marxismo.

Nel 1957 fonda il Gruppo di Unità Proletaria che svolge nel Cremonese un'intensa attività di agitazione e di propaganda rivoluzionaria. Grazie all'impulso di Montaldi, sempre più interessato a quanto fermenta nel campo proletario, il gruppo stringe rapporti oltre che con “Socialisme ou Barbarie”, con “Tribune Ouvrière” (giornale operaio della Renault), con “Pouvoir Ouvrier” belga, con il gruppo inglese “Solidarity for Worker's Power”, con il movimento studentesco giapponese “Zengakuren” e con i gruppi operaisti americani “News & Letters” di Chicago e “Correspondance” di Detroit. Vale a dire quanto di più dinamico si stia producendo nell'ultimo scorcio degli anni Cinquanta a livello internazionale.


Nel 1958 inizia la collaborazione a “Azione Comunista”, organo del Movimento della Sinistra Comunista, nato l'anno precedente dalla fusione del preesistente gruppo di Azione Comunista con la Federazione Comunista Libertaria di Pier Carlo Masini, Arrigo Cervetto e Lorenzo Parodi. Per “Azione Comunista” scriverà complessivamente quattordici articoli (oggi raccolti in “Bisogna sognare”). Lavora intanto al suo grande progetto di indagine sui soggetti relegati ai margini della società dallo sviluppo capitalistico, mentre continua a seguire professionalmente la cultura francese e a svolgere ricerche sulla realtà della Valle Padana alle soglie del miracolo economico.

Nel 1959 per Feltrinelli esce “Milano, Corea. Inchiesta sugli emigrati”, scritto assieme a Franco Alasia, mentre per Einaudi traduce “Diario di un operaio” di Daniel Mothé (Jacques Gautrat). Sempre stretti sono i rapporti con i compagni francesi di “Socialisme ou Barbarie”. “Unità Proletaria” pubblica “Capitalismo e socialismo” di Paul Cardan (Cornelius Castoriadis), mentre sul piano dell'azione militante si tenta di raggruppare quelle avanguardie di fabbrica che la rivolta del luglio '60 e l'esplodere delle lotte contrattuali nei primi anni '60 hanno portato in rotta collisione con i partiti “operai” (PCI, certo, ma forse in misura ancora maggiore PSI).

Il rifluire del movimento lo allontana parzialmente dalla militanza attiva. Pur mantenendo stretti contatti con quanto si muove a sinistra (sono gli anni di “Quaderni Rossi” e di “Classe Operaia”), Montaldi si impegna caparbiamente in un intenso lavoro di ricerca. Al libro “Autobiografia della leggera”, pubblicato nel 1961, primo grande capitolo della sua indagine sulla cultura degli strati subalterni nella Bassa Padana, seguono i grandi lavori su “Korsch e i comunisti italiani” e il “Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970)”che, rifiutati dall'editoria progressista, vedranno la luce solo dopo la sua morte.Nel 1971 appare “Militanti politici base”, raccolta di testimonianze sulla cultura politica delle classi subalterne, illustrazione di una coscienza politica proletaria non priva di contraddizioni, ritratta nel suo quotidiano formarsi al di fuori di ogni intenzione celebrativa e retorica.

Il '68 segna un ritorno all'impegno politico diretto nel Gruppo Karl Marx, filiazione del vecchio “Unità Proletaria”. Il gruppo, oltre ad intervenire attivamente nelle lotte studentesche di quegli anni, è particolarmente attivo fra i ferrovieri. Frutto di questo intervento e della collaborazione con nuclei operai di Milano (ATM) e Genova-Savona (portuali) è l'opuscolo “Lo Stato, la FIAT. I trasporti e la classe operaia” che riprende e sistematizza, nel quadro più generale di una lucida analisi dell'imperialismo italiano, temi e materiali già apparsi su vari fogli della sinistra rivoluzionaria tra cui “Lotta Comunista”.


Il riflusso che già inizia a manifestarsi nei primi anni Settanta, porta Montaldi a tirare un bilancio della “stagione dei movimenti”, come è suo costume del tutto privo di illusioni autoconsolatorie. In un articolo occasionato dal tracollo elettorale del PSIUP nel 1972, Montaldi denuncia i limiti di un progetto politico massimalistico, esclusivamente orientato verso la massa degli “scontenti di sinistra”, i cui connotati salienti sono la “faciloneria teorica” e la “irrisione nei confronti della teoria marxista e del metodo scientifico”. In questo contesto la nascita di nuove “agenzie politiche” (Montaldi si riferisce al PDUP, ma l'analisi calzerà altrettanto bene per Democrazia Proletaria frutto del riflusso della seconda metà degli anni '70) altro non può rappresentare che il “progetto di istituzionalizzazione di una Nuova Sinistra la quale serva da retroterra dei partiti ufficiali”.

Del tutto privo di illusioni sulle potenzialità rivoluzionarie dei partitini nati con il '68, danilo Montaldi inizia con il Gruppo Karl Marx un ambizioso lavoro di ricerca sulle condizioni della classe operaia nella nuova realtà degli anni '70. Una ricerca che resterà incompiuta per la sua improvvisa e tragica morte in un incidente a Ventimiglia il 27 aprile 1975.

(Da: Appunti Marxisti, n. 2 – Luglio 1998)