mercoledì 31 ottobre 2018

Verso il '68. Gli anni dei pugni in tasca



Anni Sessanta: cresce l'insoddisfazione e la rabbia dei giovani verso una società patriarcale soffocante. Non c'è ancora una causa per cui lottare, ma la rivolta contro i padri cova. E' il senso de I pugni in tasca, film d'esordio di Marco Bellocchio.

Giorgio Amico

Della miseria in ambiente giovanile

E di certo gli anni Sessanta non sono anni facili per i giovani. La riforma della scuola dell'obbligo con l'istituzione nel 1962 della nuova scuola media e la soppressione delle scuole di avviamento professionale non risolve il problema della selezione che colpisce quasi esclusivamente gli strati popolari. Ancora nel 1966 un alunno su quattro delle elementari non riesce ad ottenere la licenza nei cinque anni previsti. Peggiore, se possibile, la situazione della scuola media, dove il ritardo scolastico riguarda il 35% degli allievi. 

E non è solo questione di bocciature. Diffusissimo, soprattutto al Sud e nelle campagne del Nord, resta il fenomeno dell'abbandono e dell'evasione dell'obbligo scolastico. In una scuola che è diventata di massa, e che per questo è duramente contestata dalla destra, gli esclusi si contano a centinaia di migliaia. Sono i nuovi marginali, destinati a diventare gli strati più bassi del proletariato e ad alimentare il fenomeno del lavoro nero (spesso minorile) nell'artigianato e nel commercio e del caporalato nell'agricoltura.

Sempre nel 1966 su un totale di otto milioni e mezzo di giovani (cioè di cittadini compresi fra i 14 e i 24 anni) oltre un milione e mezzo lavora dal compimento dei quindici anni, mentre altri trecentomila sono già emigrati all'estero in Svizzera, Belgio, Germania, in cerca di lavoro. Anche la minoranza “privilegiata”, i “Pierini” del libro di Don Milani, che ha completato il ciclo di studi inferiore ed ora frequenta l'università non ha particolari motivi per essere soddisfatta.

Al pari del resto dell'apparato pubblico le istituzioni universitarie non reggono il ritmo del cambiamento in atto nella società. Mancano aule, laboratori, biblioteche. Il corpo accademico, selezionato con criteri familisti e di contiguità col potere, si contraddistingue per una grettezza culturale e una chiusura corporativa che non ha eguali in Occidente. Sono i “baroni” che hanno tiranneggiato generazioni di studenti, ma che all'improvviso non spaventano più. Di fronte alle prime forme di contestazione aperta il re si rivelerà nudo.

La stagnazione economica che ha seguito il boom, la mancata modernizzazione del paese, le riforme annunciate e non fatte determinano uno stato di incertezza sul futuro che diventa presto riflessione critica sul ruolo sociale che i futuri laureati andranno a svolgere nell'industria, nelle professioni, nella scuola. Si sviluppa il dibattito sul ruolo dei tecnici, sulla proletarizzazione delle professioni intellettuali. Gli studenti iniziano a non pensarsi più tanto diversi dai giovani operai.

Una generale rimessa in discussione che investe presto anche il quotidiano e la sfera più intima dell'esistenza: la famiglia, il rapporto con i genitori, la scoperta del corpo e della sessualità. Il bigottismo soffocante degli anni Cinquanta mostra le prime crepe. L'autorità dei padri inizia a essere messa in discussione. L'obbedienza – siamo ancora a Don Milani – non è più una virtù. 

Nel 1965 I pugni in tasca, film di esordio di un giovanissimo Marco Bellocchio, diventa il manifesto cinematografico della rabbia sorda di una generazione intera. Come proclameranno gli studenti situazionisti di Strasburgo nel loro manifesto scandalo del 1966, la miseria dei giovani non è solo economica, ma esistenziale e prima di tutto sessuale. Il cambiamento sognato prende già dagli inizi le caratteristiche libertarie della rivoluzione sessuale teorizzata negli anni Venti da Wilhelm Reich.

(Giorgio Amico, Le culture del Sessantotto, 5)