lunedì 29 ottobre 2018

Verso il '68. Tutti davanti alla TV: l'Italia di Carosello



All'inizio degli anni Sessanta l'Italia è ormai una società industriale e urbana. Questa radicale trasformazione determina un cambiamento profondo della vita quotidiana. La televisione entra in tutte le case e pone le premesse culturali della società dei consumi.

Giorgio Amico

Tutti davanti alla TV: l'Italia di Carosello

Il boom economico determina oltre all'affermarsi anche in Italia di una moderna società dei consumi, profonde trasformazioni in campo culturale. Nasce una vera e propria industria moderna della cultura articolata su grandi apparati pubblici e privati. Centrale come strumento di informazione, ma anche di standardizzazione culturale (e linguistica) diventa la televisione. È davanti a Carosello e a Lascia o raddoppia? che l'Italia si unfica davvero linguisticamente.

Una vera e propria alfabetizzazione di massa che passa attrverso le immagini e porta a livelli mai raggiunti neppure durante il fascismo il condizionamento ideologico degli italiani, che schiude sogni di consumo e benessere fino ad allora impensabili (la Seicento, il frigorifero), ma apre anche squarci illuminanti sulla realtà del paese (“Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi, le grandi inchieste sulle campagne del Sud o sulla condizione femminile, le prime tribune politiche) che contribuiscono comunque alla crescita civile e politica degli italiani.

E poi, naturalmente, la scolarizzazione di massa, con l'istituzione nel 1962 della Scuola Media Unica (con la nazionalizzazione dell'energia elettrica l'unica vera riforma di un centrosinistra destinato ad avvitarsi presto su se stesso e a ridursi alla gestione dell'esistente e alla salvaguardia degli equlibri politici), a cui fa da sfondo una mutazione profonda del ruolo degli intellettuali, diventati ormai a pieno titolo parte integrante della forza-lavoro complessiva.

Una forza-lavoro particolare, inserita in una industria della comunicazione e dello spettacolo in fortissima crescita e che ora nelle sue avanguardie si interroga sul proprio ruolo effettivo e inizia a formulare una critica radicale dell'organizzazione del sapere, del suo utilizzo istituzionale a fine di conservazione degli assetti di potere esistenti e dunque della sua oggettiva funzione repressiva. E anche questi sono temi che da patrimonio di un'èlite di intellettuali diventeranno di massa nel '68.

(Giorgio Amico, Le culture del sessantotto, 3)