venerdì 18 gennaio 2019

Quando Picasso dipinse l'orrore. Guernica



Pensata per il padiglione della Repubblica spagnola all'Expo Universale di Parigi del 1937, l'opera di Picasso è diventata il simbolo della resistenza alla violenza cieca del fascismo e agli orrori della guerra.

Giorgio Amico

Guernica

Il 26 aprile 1937 una squadriglia di 24 aerei (21 tedeschi e tre italiani) rade al suolo la città di Guernica che non è un obiettivo militare, ma rappresenta la capitale storica del popolo basco e dunque il cuore della resistenza all'oppressione e al fascismo. E' il primo bombardamento sistematico di un obiettivo civile e inaugura un nuovo tipo di guerra, che i nazisti applicheranno poi su larga scala due anni più tardi sulle città inglesi, mirante a terrorizzare la popolazione civile, a spezzare la volontà di resistenza di un popolo con l'annientamento pianificato minuziosamente di chi si oppone.

Le foto di Guernica distrutta fanno il giro del mondo. Pablo Picasso, che vive a Parigi, ne è immediatamente informato dalla sua compagna Dora Maar. E' lei a spingerlo a fare qualcosa, perchè qualcosa si deve fare, non si può rimanere inerti a guardare ciò che il fascismo fa in terra di Spagna.


“Il segreto di Guernica è una donna. - scrive una giornalista ricostruendo quell'episodio - C'era lei, quei giorni. è scesa lei in strada il pomeriggio del primo maggio del '37 a comprare Ce soir. Ha visto lei per prima, salendo fino all' ultimo piano le scale dell' atelier di rue des Grands Agustins, la foto in bianco e nero di prima pagina: «Immagine della città di Guernica in fiamme». è lei che gli ha detto: «Guarda». Lui stava conversando con un amico, lei si è avvicinata, ha messo tra i due il giornale e ha detto solo questo: guarda”.

La risposta di Picasso sarà Guernica, la grande tela che denuncia gli orrori e la ferocia della guerra di Spagna. Fin da subito l'artista è consapevole della portata politica del suo lavoro:

"La guerra di Spagna – dichiarerà - è la battaglia della reazione contro il popolo, contro la libertà. Tutta la mia vita è stata una lotta continua contro la reazione e la morte dell'arte. In Guernica, e in tutte le mie opere recenti esprimo chiaramente il mio odio per la casta militare che ha fatto naufragare la Spagna in un oceano di dolore e di morte".

In quegli stessi giorni si apre a Parigi la grande esposizione universale che vede la partecipazione dei principali paesi del mondo. Sono gli anni del Fronte Popolare e l'Expo diventa immediatamente occasione di contrasto politico. La destra vede nell'esposizione il segno della propaganda “giudaico-massonica”. Nel suo libello antisemita Bagattelle per un massacro Céline la definisce “La grande giuderia 1937” e aggiunge: “Tutti quelli che espongono sono ebrei. Tutto quello che comanda, che dirige, che ordina, architetti, grandi ingegneri, direttori, incaricati, tutti ebrei, o mezzi ebrei, o peggio andare massoni. Occorre che la Francia intera venga ad ammirare il genio ebraico. Occorre che la Francia intera si eserciti a morire per gli ebrei”.


Ed in effetti l'Expo del 1937 diventa una grande vetrina propagandistica, ma per i regimi totalitari. All'ingresso due grandi padiglioni si contrappongono l'uno all'altro a segnare anche visivamente il contrasto fra due ideologie e due potenze: quello tedesco costruito da Albert Speer e quello sovietico. Entrambi nel segno del gigantismo marziale, segno della potenza dei regimi nazista e staliniano, ideologicamente opposti, ma esteticamente identici.

Proprio nell’anno 1937 sia la Germania nazista che l’Unione Sovietica di Stalin avevano intensificato la repressione nei confronti dell’arte «decadente». A Monaco i nazisti allestirono quella che sarcasticamente è stata definita la più bella mostra di arte contemporanea e che Goebbels decise di battezzare come Mostra dell’arte degenerata : oltre 650 opere confiscate, da Otto Dix a Paul Klee, da Kandinskij a Piet Mondrian, da Oskar Kokoschka a Max Ernst, allo stesso Picasso, espressione dello spirito «ebraico», «prodotto di menti malate» e antitedesco. Sempre nel 1937 Stalin metteva al bando, come antisovietico e antipopolare l’astrattismo di Kandinskij.

Anche la Spagna partecipa all'Expo trasformando il suo padiglione in una denuncia dei crimini del fascismo. Max Aub, che ne è il curatore, chiama due artisti ad affrescarlo. Sono Mirò e Picasso, entrambi catalani, entrambi antifascisti convinti.

Joan Mirò crea un grande murales di cinque metri per quattro composto di sei pannelli e rappresentante un mietitore radicato nella terra come un albero che in una mano impugna una falce e alza l'altra verso il cielo ad accarezzare una stella. Un'opera visionaria e bellissima di cui rimangono solo le foto scattate allora perchè non se ne trovano più tracce dopo la chiusura dell'Expo e lo smantellamento dei padiglioni.


El segador (il mietitore) incarna il sogno di una Spagna che lotta accanitamente per la libertà e per un avvenire che sia fatto di pane (il grano mietuto), ma anche di rose: l'arte, la cultura, la bellezza a disposizione del popolo (la stella). L'opera si richiama anche direttamente all'indipendentismo catalano perchè Els segadors (I mietitori) è anche il titolo dell'inno nazionale catalano che riprende un antico canto popolare nato in occasione della grande rivolta antispagnola dei contadini catalani del 1622.

Diversa l'impostazione di Picasso. Guernica, che dipingerà in pochissimi giorni (l'inaugurazione del padiglione sarà il 25 maggio), vuole essere un grido di denuncia della guerra, una luce che si accende e rivela la brutalità e l'orrore dell'aggressione fascista alla democrazia spagnola. Picasso pensa l'opera, che prende una intera parete del piano terra del padiglione, come una sorta di sacra rappresentazione, strutturata secondo i canoni dell'arte sacra medievale, come un polittico composto di tre fasce verticali, due laterali più strette, simmetriche, contenenti a sinistra il toro ( simbolo di violenza e bestialità) e a destra un uomo in una casa in fiamme che tende le mani al cielo rappresentato in un urlo senza voce. Le due parti estreme fanno da quinta a quella centrale, più larga, ove è ammassato il maggior numero di personaggi, qui la composizione si organizza su una struttura “a frontone” ispirato ai templi greci che converge verso la lampada a esplicitare lo scopo dell'opera: fare luce sull'orrore.

All’estrema sinistra una madre lancia al cielo il suo grido straziante mentre stringe fra le mani il cadavere del figlio. Picasso lo definirà un riferimento esplicito alla pietà di Michelangelo. Al vertice un cavallo ferito, simbolo del popolo spagnolo, nitrisce dolorosamente protendendo verso l’alto una lingua aguzza come una scheggia di vetro. Sopra di lui una lampada che illumina la scena e rende evidente ciò che sta accadendo. Da una finestra una figura femminile sporge una lampada. E' un omaggio e una dedica a Dora Maar che per prima ha aperto gli occhi del pittore sull'orrore di Guernica e ad insistere perchè si prendesse posizione. Ovunque sono morte e distruzione, sottolineate da un disegno duro e quasi tagliente. All’angolo inferiore destro una donna in ginocchio tende le braccia al cielo. Al suolo, tra le macerie, si assiste all’orrore dei cadaveri straziati.


Esattamente al centro del dipinto una mano serra ancora una spada spezzata, da cui germoglia un fiore: è l'unico segno di speranza, ma da il senso profondo dell'opera. Occorre far luce sull'orrore, squarciare le tenebre che coprono la violenza e la vogliono rendere invisibile e impunita. Solo così può risorgere dalle rovine e dalla morte il fiore della libertà e della pace. Questo è il compito dell'artista: fare luce, rappresentare l'indicibile, lasciare aperta una via alla speranza.

“Io – affermerà anni più tardi Picasso - non ho mai considerato la pittura come un’arte di puro piacere, di distrazione. Io ho voluto con il disegno e col colore, dato che sono le mie armi, penetrare sempre più nella coscienza degli uomini e del mondo, affinché questa coscienza ci liberi ogni giorno di più”.