martedì 14 maggio 2019

Karl Marx, dal liberalismo al comunismo (1843-1847)



Partito da iniziali posizioni di liberalismo democratico, Marx approdò presto ad una visione comunista della storia e della politica. Fondamentale fu il suo soggiorno a Parigi e il contatto con le organizzazioni degli operai francesi. Lì Marx scoprì un mondo che non conosceva e che lo conquistò per tutta la vita.


Giorgio Amico

Karl Marx, dal liberalismo al comunismo (1843-1847)


Il fallimento della "Gazzetta Renana" convince Marx dell'impossibilità di svolgere un'azione politica di un qualche significato in Germania, così come del fatto che la sinistra hegeliana abbia ormai del tutto esaurita la sua funzione di coscienza critica della società tedesca. Riflettendo sulla situazione tedesca e sulla rapida parabola dei giovani hegeliani, Marx concluderà che il pensiero critico è stato sconfitto perché si è isolato dalle forze vive della società. Incapace di divenire teoria della rivoluzione, la filosofia critica non è stata in grado di passare dal mondo astratto delle idee al terreno concreto delle lotte sociali. Per realizzarsi la filosofia deve incarnarsi nel proletariato, l'arma della critica trasformarsi nella critica delle armi.

"L'arma della critica - scrive Marx - non può rimpiazzare la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta per mezzo della forza materiale, ma la teoria diventa, essa pure, una forza materiale, quand'essa si impadronisce delle masse".

Occorre, dunque, entrare in contatto con il proletariato, confrontarsi con le teorie che il movimento operaio sta faticosamente elaborando. E questo significa in primo luogo abbandonare la Germania per la Francia dove le teorie socialiste avevano largamente preso campo nel proletariato.



Marx a Parigi

Marx accolse pertanto con favore la proposta di Ruge di partecipare alla redazione di una nuova serie di quaderni mensili, gli "Annali franco-tedeschi", rivolti agli intellettuali rivoluzionari dei due paesi. Scopo della rivista era realizzare una "alleanza intellettuale" tra il meglio del movimento democratico di Francia e Germania, riunificando la teoria critica degli intellettuali tedeschi con la pratica politica avanzata degli operai francesi.

Una lettera a Ruge del settembre 1843, successivamente pubblicata proprio negli "Annali" chiarisce l'importanza che il giovane Marx ormai attribuisce alla lotta politica di contro alle fumose speculazioni ideologiche: "Come la religione è l'indice delle battaglie teoretiche degli uomini, lo stato politico lo è delle loro battaglie pratiche. Lo stato politico esprime quindi all'interno della sua forma, sub specie rei publicae, tutte le lotte, le esigenze, le verità sociali. (...). Il critico dunque non solo può, ma deve interessarsi dei problemi politici (...). Il nostro motto sarà quindi: riforma della coscienza, non mediante dogmi, bensì mediante l'analisi della coscienza mistica oscura a se stessa, sia che si presenti in modo religioso, sia in modo politico. Si vedrà allora come da tempi il mondo possiede il sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente. Sarà chiaro come non si tratti di tirare una linea retta tra passato e futuro, ma di realizzare le idee del passato. Si vedrà infine come l'umanità non incominci un lavoro nuovo, ma venga consapevolmente a capo del suo antico lavoro. Possiamo dunque sintetizzare in una parola la tendenza della nostra rivista: autochiarificazione (filosofia critica) del nostro tempo in relazione alle sue lotte e ai suoi desideri. Questo è un lavoro per il mondo e per noi. Esso può derivare solo da un unione di forze".

L'unione di "coloro che pensano" e di "coloro che soffrono", cioè degli intellettuali rivoluzionari e dei lavoratori, come significativamente aveva scritto sempre a Ruge nel mese di maggio: "Da parte nostra, dobbiamo portare completamente alla luce del giorno il vecchio mondo e creare positivamente il mondo nuovo. Quanto più a lungo gli eventi lasceranno all'umanità che pensa tempo per riflettere e all'umanità che soffre tempo per unirsi, tanto più perfetto verrà al mondo il frutto che il presente porta in grembo".

A convincere Marx fu anche la promessa di Ruge di garantirgli uno stipendio fisso come redattore della rivista su cui avrebbero scritto i nomi più illustri del socialismo francese. E per il giovane Karl questo significava soprattutto la possibilità di sposarsi con la sua Jenny.

"Firmato il contratto - scrive a Ruge - mi recherò a Kreuznach, dove mi sposerò. Posso assicurarvi, senza alcuna romanticheria, che sono perdutamente eppure molto seriamente innamorato. Sono fidanzato da più di sette anni, e la mia fidanzata si è quasi rovinata la salute sostenendo per me le più dure lotte sia contro la sua famiglia, bigotta e aristocratica, (...) sia contro la mia famiglia, nella quale si sono insinuati dei pretonzoli. (...). La mia fidanzata ed io abbiamo così, per anni, sostenuto parecchie lotte inutili ed estenuanti, più di tanti altri che hanno tre volte la nostra età e che parlano continuamente della loro "esperienza della vita", espressione favorita nella nostra buona società".

Come si legge nei registri dell'epoca, il 13 giugno 1843 ebbe luogo il matrimonio del "signor Karl Marx, dottore in filosofia, domiciliato a Colonia, con la signorina Johanna Bertha Julia Jenny von Westphalen, senza professione, domiciliata a Kreuznach". Quattro mesi più tardi la coppia si trasferisce a Parigi dove era stata fissata la redazione degli "Annali" e dove già si trovava Ruge.


Gli "Annali franco-tedeschi"

Nonostante le grandi speranze di Marx e Ruge, il progetto stentò a partire. Non un solo intellettuale francese accettò di scrivere sulla rivista, così come sul versante tedesco Feuerbach e altri noti intellettuali rifiutarono con varie motivazioni di collaborare all'iniziativa. Il primo numero dei "Deutsch-französische Jahrbücher" poté uscire solo alla fine di febbraio del 1844. Era destinato a restare l'unico.

Il numero conteneva due articoli di Marx. Uno, "La questione ebraica", rappresenta la risposta a due opere di Bruno Bauer, mentre l'altro, intitolato "Per la critica della filosofia del diritto di Hegel", vuole essere l'inizio del definitivo superamento della filosofia hegeliana.

Anni più tardi nella prefazione a "Per la critica dell'economia politica" sarà Marx stesso a chiarire il senso profondo del suo distacco da Hegel: "Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assillavano fu una revisione critica della filosofia del diritto di Hegel (...). La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione in generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell'esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l'esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di "società civile"; e che l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia politica".

Marx è pienamente consapevole che tutto ciò comporta il passaggio a un ordine di idee totalmente diverso, a un radicale rovesciamento del modo stesso di pensare. Nella "Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel" egli con grande efficacia chiarisce come: "La critica del cielo si trasforma in tal modo nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica".

Lo sviluppo di questa radicale critica al pensiero di Hegel non avviene nel vuoto. Marx ha appena letto le "Tesi provvisorie per la riforma della filosofia" di Ludwig Feuerbach ed è rimasto profondamente colpito dalla chiarezza con cui l'autore aveva espresso il suo punto di vista materialistico soprattutto riguardo all'idealismo hegeliano, considerato l'ultimo mascheramento della teologia. Feuerbach era stato categorico: il fondamento della filosofia era da ricercarsi nella natura. La filosofia doveva congiungersi con le scienze naturali e queste con la filosofia. Tutto il resto era teologia, ossia vuota apparenza.

Marx è affascinato da queste tesi, la sua conversione al materialismo è totale. Tuttavia critica Feuerbach per l'eccessiva insistenza sul tema della natura. Occorre nella critica a Hegel andare oltre, applicare la concezione materialistica alla politica e alla storia.

"Gli aforismi di Feuerbach - scrive - non mi convincono solo nel punto in cui fa troppo riferimento alla natura e troppo poco alla politica. Ma questa è la sola alleanza con la quale l'odierna filosofia può diventare una verità".

Il saggio sulla "Questione ebraica" contiene una dura critica a Bruno Bauer che aveva sostenuto in modo idealistico l'impossibilità dell'emancipazione politica degli ebrei nella società tedesca. Marx, rifacendosi a "L'essenza del cristianesimo" di Feuerbach, ribadisce che la religione è il rispecchiamento della condizione umana alienata. Anche in questo campo, tuttavia, egli va oltre per affrontare il più complessivo tema dei rapporti sociali. Emancipazione politica ed emancipazione umana non coincidono e cita il caso degli Stati Uniti dove le libertà politiche sono garantite a tutti, ma vengono negate nella realtà concreta di ogni giorno.

"Il limite dell'emancipazione politica - conclude - appare immediatamente nel fatto che lo Stato può liberarsi da un limite senza che l'uomo ne sia realmente libero, che lo Stato può definirsi un libero Stato senza che l'uomo sia un uomo libero".

Attraverso la critica materialistica della religione, superato l'imbelle naturalismo feuerbachiano, Marx approda al socialismo. L'emancipazione politica, e cioè il liberalismo borghese, rappresenta il trionfo della proprietà privata, del denaro, della merce. L'uomo, politicamente liberato, appare ancora più alienato, ridotto a cosa, mero oggetto di scambio. Il principio fondante la società borghese è l'egoismo, la lotta di tutti contro tutti. La vera emancipazione dell'uomo è l'emancipazione sociale.

Non estranea a questa maturazione era stata la lettura del saggio di Friedrich Engels, che Marx allora conosceva appena, pubblicato negli "Annali" con il titolo di "Lineamenti di una critica dell'economia politica", in cui si dimostrava con grande ricchezza di argomentazioni che la società borghese non poteva evitare un avvenire scandito da una serie costante di crisi commerciali e caratterizzato dal progressivo impoverimento delle masse. Unica soluzione era "un totale ribaltamento dei rapporti sociali" attraverso il superamento della proprietà privata. Il giovane intellettuale rivoluzionario, già conquistato al comunismo dalle teorie di Moses Hess, sviluppava una tesi decisiva per la maturazione politica di Marx: la tendenza storica verso l'emancipazione, la "cosa" sognata di cui Marx scriveva a Ruge, non poteva fondarsi su una necessità solo filosofica, tantomeno in una fumosa idea di "natura", ma doveva affondare le sue radici in potenti leggi economiche che andavano attentamente studiate nel loro dinamico interagire con la società.

Nella critica della filosofia del diritto Marx vede ormai la possibilità della rivoluzione in Germania: "Nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile che non è una classe della società civile, di un ceto che è la dissoluzione di tutti i ceti, di una sfera che possiede un carattere universale grazie alle sue sofferenze universali e che non rivendica nessun diritto particolare perché non si commette su di essa nessuna ingiustizia particolare, ma l'ingiustizia per eccellenza, che non può più rivendicare un titolo storico ma ormai soltanto il titolo umano, che non sta in una contraddizione unilaterale con le conseguenze, ma in una contraddizione universale con le premesse dello Stato tedesco, una sfera infine che non può emanciparsi senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società e senza emancipare con ciò tutte le altre sfere; che, in una parola, è la perdita totale dell'uomo, e che insomma può riconquistare se stessa soltanto con la piena riconquista dell'uomo. Questa dissoluzione della società è il proletariato".

Come si vede, Marx pensa ancora in termini filosofici, ma la prospettiva è del tutto nuova e apre la via del comunismo.


I "Manoscritti economico-filosofici del 1844"

La pubblicazione degli "Annali franco-tedeschi" suscitò le proteste del governo prussiano che intervenne ufficialmente su quello francese perché impedisse la diffusione della rivista. Spaventato, l'editore Frobel si ritirò dal progetto e lo stesso Ruge iniziò a mostrarsi scettico sulle reali possibilità dell'iniziativa e molto restio ad arrischiare del denaro per garantire la vita della rivista. Anzi, di fronte alla scarsa diffusione degli "Annali", poco venduti a Parigi e sequestrati dalla polizia in Germania, egli, nonostante le grandi promesse fatte, non esitò a pagare lo stipendio che spettava a Marx come caporedattore con copie della rivista. Nonostante le difficoltà anche materiali in cui si venne a trovare per il precipitare della situazione, Marx si dedicò a uno studio sistematico della rivoluzione francese e degli scritti dei socialisti francesi ed in particolare di Proudhon. Sfruttando le conoscenze di Moses Hess, egli entrò in stretto contatto con i capi delle più importanti società operaie segrete, senza però aderire a nessuna di queste.

Il frutto di queste frequentazioni e di questa gigantesca mole di studi verrà da Marx sintetizzato in un'opera, più quaderno di appunti che compiuta elaborazione teorica, destinata a restare sconosciuta fino al 1932, quando nella forma frammentaria rimasta verrà pubblicata sotto il titolo di "Manoscritti economico-filosofici del 1844".

Opera di difficile lettura per il suo carattere frammentario, ma anche per l'oscurità del linguaggio usato - va tenuto presente che Marx scrive per sé e non per la pubblicazione - i "Manoscritti" comprendono estratti di opere di economia politica, lunghe annotazioni personali a margine di quanto letto, riassunti delle principali dottrine economiche, conclusioni tratte da questi studi e una definitiva presa di posizione nei confronti di Hegel da parte di un Marx ormai compiutamente comunista.

Anche nella sua attuale frammentarietà l'opera colpisce per la quantità enorme dei riferimenti e per la capacità dell'autore di padroneggiare una materia tanto vasta. In poco più di un anno Marx divora decine di opere, di cui espone spesso con grande acutezza le linee essenziali, di cui sa con occhio attento cogliere le contraddizioni. Ma ciò che colpisce maggiormente è l'immagine di Marx che balza fuori da queste pagine. Egli si accosta allo studio, ed in particolare all'economia politica, con l'atteggiamento proprio del militante che cerca nelle teoria solidi strumenti per l'azione politica e agisce con la visione prospettica dello scienziato.

La lettura delle principali opere degli economisti borghesi, per i quali l'operaio è considerato "solo come animale da lavoro, come una bestia ridotta ai più elementari bisogni di vita", porta Marx ad applicare la teoria hegeliana e feuerbachiana dell'alienazione ai fatti economici, fino a scoprire nello sfruttamento capitalistico la causa prima della disumanizzazione dell'uomo che ancora idealisticamente Feuerbach aveva considerato solo in rapporto alla genesi delle idee religiose.

Il capitalismo è il mondo delle merci e del denaro che diventa il metro di paragone di tutte le cose. Tale è la perdita di realtà del lavoro come principale fattore di realizzazione dell'uomo che attraverso l'attività lavorativa riproduce di continuo le condizioni stesse della sua vita che "la realizzazione del lavoro appare a tal punto una perdita di realtà, che il lavoratore perde la sua realtà fino a morire di fame". Quanto più la classe operaia produce tanto meno essa partecipa del consumo della ricchezza prodotta, quanto più crea valore, tanto più essa diventa priva di valore, quanto più i prodotti diventano il centro della società tanto più l'operaio è spinto ai margini della vita sociale. "Con la valutazione del mondo delle cose, cresce in misura direttamente proporzionale la svalutazione del mondo dell'uomo".

La soluzione per Marx sta nella "positiva abolizione della proprietà privata", nella "reale appropriazione dell'essenza umana" da parte dell'uomo: nel comunismo. Il comunismo rappresenta il definitivo scioglimento di tutte le contraddizioni: esso è "l'enigma della storia risolto". La società comunista è "la compiuta, essenziale unità dell'uomo con la natura", in cui "l'individuo è l 'essere sociale".

La conversione di Marx al comunismo porta a una brusca rottura con Ruge. L'occasione viene offerta dalla pubblicazione sul "Vorwärts", il giornale degli emigrati tedeschi a Parigi, di un articolo, "Il re di Prussia e la riforma sociale", in cui Ruge, che si firmava "un prussiano", valutava politicamente insignificante l'insurrezione dei tessitori della Slesia avvenuta nel giugno 1844 perché del tutto priva di prospettiva. In un articolo di risposta, "Le osservazioni critiche a margine", pubblicato nello stesso numero della rivista, Marx rovescia radicalmente il giudizio negativo di Ruge. L'insurrezione del proletariato slesiano rappresenta il sintomo del fatto che anche nell'arretrata Germania stanno venendo a maturazione le condizioni della rivoluzione comunista. Il proletariato tedesco ha dimostrato di aver acquisito una prima, embrionale coscienza di classe, che lo rende a pieno titolo soggetto rivoluzionario. Ruge, che si attarda dietro ai suoi sogni di rivoluzione delle idee, è solo un intellettuale liberale incapace di vedere l'inarrestabile crescere nella società del movimento reale in grado di mutare l'ordine di cose esistente. La collaborazione con lui non ha più senso. Si tratta di conquistare i proletari al comunismo, di portare a piena maturazione la coscienza del proletariato di essere l'unica classe veramente rivoluzionaria. Il tempo dei dibattiti, delle polemiche intellettuali è finito. Inizia il tempo delle lotte di partito.

Un partito rappresentato in embrione da quei circoli operai tedeschi di Parigi in cui, come scrive Ruge non senza una nota di sarcasmo, "Marx si è buttato a capo fitto". Per Ruge, chiuso nelle sue sicurezze intellettuali, "questo meschino affaccendarsi" è incomprensibile. Per Marx si tratta, invece, della scoperta di un mondo nuovo, fatto di solidarietà e di fatica. Una scoperta che lo allontana definitivamente da una visione astratta ed estetizzante dell'uomo, portandolo a scoprire nel contatto quotidiano l'essenza autentica e profonda del proletariato. Una scoperta sconvolgente che lo porta ad annotare nei "Manoscritti" come il comunismo non sia affatto una vaga utopia di filosofi sognatori, ma un bisogno concreto reso ogni giorno di più manifesto dalla pratica politica degli operai d'avanguardia: "Quando gli operai comunisti si riuniscono, essi hanno primamente come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno della società, e ciò che sembra un mezzo, è diventato scopo. Questo movimento pratico può essere osservato nei suoi risultati più luminosi, se si guarda ad una riunione di "ouvriers" socialisti francesi. Fumare, bere, mangiare, ecc. non sono più puri mezzi per stare uniti, mezzi di unione. A loro basta la società, l'unione, la conversazione che questa società ha a sua volta per iscopo; la fratellanza degli uomini non è presso di loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell'uomo si irradia verso di noi da quei volti induriti dal lavoro".

    Dal film Il giovane Marx

L'incontro con Engels e la genesi del materialismo storico

A luglio giunge dall'Inghilterra Friedrich Engels che, sulla via del ritorno a casa, vuole fermarsi qualche giorno a Parigi per confrontarsi di persona con Marx con cui ha collaborato alla redazione degli "Annali". I due si erano già fugacemente incontrati a Colonia ai tempi della "Rheinische Zeitung", ma l'impressione reciproca era stata negativa. Allora Engels proveniva da Berlino, dove partecipava alle iniziative del circolo dei "Liberi" e per Marx, in piena rotta con Bauer, ciò rappresentava un pessimo biglietto da visita. La situazione è ora radicalmente cambiata: anche Engels ha rotto i ponti con Bauer e l'hegelismo di sinistra per approdare ad una visione scientifica del comunismo fondata sullo studio puntiglioso degli economisti classici e sull'osservazione sistematica della borghese Inghilterra, dove più acute sono le contraddizioni proprie del modo di produzione capitalistico. I due rivoluzionari passano insieme dieci giorni a discutere di tutto, scoprendo di avere un "accordo perfetto in tutti i campi della teoria".

Questo incontro rappresenta per Marx e Engels la svolta decisiva del loro cammino intellettuale e politico, destinata a segnare l'inizio di un'amicizia e di una comunanza di lavoro, fatta di studio e di lotte, che durerà per tutta la loro vita, in un rapporto così intenso da rendere impossibile oggi definire con chiarezza dove termini l'impronta dell'uno e dove inizi il contributo dell'altro alla fondazione della comune teoria materialistica della storia. Quasi mezzo secolo dopo, nel 1885, Engels ricostruirà così la genesi del materialismo storico: "A Manchester mi ero brutalmente accorto che i fatti economici, ai quali la storia aveva fino ad allora attribuito una importanza nulla o minima, costituiscono, almeno nel mondo moderno, una forza storica decisiva, da essi traevano origine gli attuali antagonismi di classe. Compresi che questi antagonismi, nel paese in cui la grande industria li ha portati al loro pieno sviluppo, sono le basi sulle quali si fondano i partiti, sono l'origine delle lotte politiche, sono le ragioni di tutta la storia politica. Marx non soltanto era arrivato alla stessa opinione, ma aveva perfino, nei "Deutsch-französische Jahrbücher", generalizzato questa concezione e sviluppata la tesi che in generale non lo stato condiziona e regola la società civile, ma la società civile condiziona e regola lo stato; e che bisogna quindi spiegare la politica e la storia per mezzo dei rapporti economici e non viceversa".

Al momento di ripartire per la Germania, Engels si accorda con Marx per regolare definitivamente i conti con Bruno Bauer e i giovani hegeliani. I due amici decidono di redigere un opuscolo di critica aperta e sistematica delle posizioni filosofiche e politiche di Bauer. Engels scrive di getto il suo contributo di poco più di quindici pagine. Marx, molto più sistematico, si dedica a fondo all'analisi del "pensiero critico" fino a far raggiungere all'opera le dimensioni di un grosso volume di circa trecento pagine che viene pubblicato nel febbraio 1845 col titolo "La sacra famiglia, ossia critica della critica critica".

L'opera passò quasi inosservata, anche perché le teorie di Bauer non erano più da tempo al centro dell'attenzione degli intellettuali tedeschi. Tanto che lo stesso Engels si mostrò stupito del tempo dedicato da Marx alla confutazione di tesi che non meritavano che un "sovrano disprezzo". In realtà, come si è visto, a causa dell'insurrezione dei tessitori slesiani Marx guardava con rinnovato ottimismo alla Germania. Diventava pertanto importante stabilire quali correnti politiche avrebbero potuto nell'ipotesi, che gli appariva sempre più realistica, di una rivoluzione in Germania influenzare l'opinione pubblica tedesca. Occorreva sgombrare il campo da tutte quelle forze che potevano essere di ostacolo al maturare del processo rivoluzionario a partire dai fratelli Bauer, per giungere poi a Stirner, allo stesso Feuerbach ed infine a Proudhon. "La sacra famiglia" va dunque inquadrata in una ben definita prospettiva politica, in totale sintonia con le opere successive, da "L'ideologia tedesca" a "La miseria della filosofia".


"L'ideologia tedesca"

Intanto proseguiva l'azione della Prussia sul governo francese. L'11 gennaio 1845 il ministero dell'Interno ordinò l'espulsione dalla Francia di Marx, Ruge e altri esponenti dell'opposizione tedesca. Mentre Ruge e gli altri capitolarono, rinunziando a svolgere attività politica, Marx abbandonò la Francia per Bruxelles dove si stabilì con la moglie e la figlia di un anno. Lì due mesi dopo fu raggiunto da Engels e i due amici iniziarono a dar corso ai progetti stesi nell'estate precedente a Parigi.

Marx aveva intenzione di scrivere un'opera in due volumi, "Critica dell'economia politica", per la quale aveva già firmato un contratto con un editore tedesco e che sarebbe dovuta uscire nell'estate., ma che non vedrà la luce che nel 1859. Secondo il suo stile iniziò lo studio di una infinità di libri di cui redasse accurati riassunti, ricchi di annotazioni e di spunti di riflessione. Poi nell'estate del 1845 si recò con Engels, che aveva appena pubblicato "Le condizioni della classe operaia in Inghilterra", a Manchester per studiare gli economisti inglesi di cui non era riuscito a procurarsi le opere a Bruxelles.

Di ritorno dall'Inghilterra, dal settembre 1845 all'agosto 1846, Marx e Engels decisero di "mettere in chiaro, con un lavoro comune", il contrasto tra il loro nuovo modo di vedere e la "concezione ideologica della filosofia tedesca", di fare i conti con la loro anteriore coscienza filosofica. Frutto di questo impegno fu "L'ideologia tedesca": due grossi volumi, più della metà dei quali era dedicata alla confutazione dell'individualismo anarchico di Max Stirner e delle teorie del cosiddetto "vero socialismo", un ibrido di hegelismo mal compreso e di utopie socialiste allora in gran voga tra gli intellettuali tedeschi. Per Marx si tratta di un compito tanto urgente da fargli interrompere il suo lavoro sulla critica dell'economia politica. Egli pensa che la Germania sia alla vigilia di uno scoppio rivoluzionario: nell'estate del 1844 un'ondata di scioperi aveva percorso i principali centri industriali tedeschi, ovunque si erano costituite associazioni per il benessere delle classi lavoratrici, mentre avevano fatto la loro apparizione i primi giornali socialisti. Marx ritiene che questo movimento vada orientato, che si debba combattere a fondo tanto il diffondersi nella classe operaia di teorie filantropiche spacciate per socialiste quanto l'equivoco rappresentato dal presunto carattere rivoluzionario dell'individualismo stirneriano.

Ne "L'ideologia tedesca" la concezione materialistica, di cui come si è visto i primi accenni erano già presenti nei "Manoscritti economico-filosofici", viene sviluppata finalmente in modo organico ed esaustivo. Marx e Engels intendono definire i lineamenti di una "scienza reale e positiva" della società e della storia, iniziando dalle condizioni materiali di vita degli individui reali. Il punto di partenza non può che essere la produzione, cioè il modo concreto in cui gli uomini entrano in rapporto per soddisfare i loro bisogni essenziali. Per cui "ciò che gli individui sono, coincide con la loro produzione, sia per ciò che producono, sia per come producono". Marx definisce qui in forma compiuta i concetti fondamentali di "forze produttive" e di "rapporti di produzione", che stanno alla base dell'intera storia dell'uomo. E poiché i rapporti di produzione sono la forma storica, concreta, via assunta dalla divisione sociale del lavoro, essi determinano anche il nascere e il mutuo interagire delle classi sociali. Per cui in una gigantesca sintesi Marx può definire l'intera storia dell'umanità come storia delle lotte di classe.

Ciò a maggior ragione vale anche per la genesi e lo sviluppo del pensiero umano. "Le idee della classe dominante - scrivono Marx e Engels - sono in ogni epoca le idee dominanti, ossia la classe che è la potenza materiale dominante è al tempo stesso la sua potenza spirituale dominante". Chi non esce dal mondo delle idee si preclude la possibilità di formarsi una reale idea del mondo: "la filosofia sta allo studio del mondo reale come l'onanismo sta all'atto sessuale". Marx ed Engels portano qui alle estreme conseguenze la critica di Feuerbach a Hegel: come per Feuerbach la religione era un riflesso delle aspirazioni dell'uomo, così ora l'ideologia è un riflesso della vita sociale dell'uomo che si compie indipendentemente dalla volontà dei singoli e in modo inconsapevole. L'ideologia è dunque la "falsa coscienza" di un'umanità alienata, così come la religione ne era stata la rappresentazione deformata.

L'opera non riuscì a trovare un editore e verrà pubblicata in forma integrale solo nel 1932 a cura dell'Istituto Marx-Engels di Mosca, ma i due autori avevano lo stesso raggiunto il loro scopo: l'organica definizione delle linee portanti della concezione materialistica della storia. Con "L'ideologia tedesca" il marxismo ha ormai forma compiuta e il manoscritto può essere volentieri abbandonato alla "critica roditrice dei topi".

Alla fine del 1846 Marx e Engels sono dunque ormai definitivamente approdati ad una matura visione del comunismo come scienza dei rapporti sociali e della rivoluzione, lasciandosi alle spalle ogni residua tentazione filosofica. Nelle sue "Tesi su Feuerbach", composte nella primavera del 1845, Marx scrive: "Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività sensibile umana, come attività pratica... I filosofi non hanno fatto finora che interpretare il mondo in modi diversi; ciò che importa è trasformarlo".

Il comunismo non è più una dottrina, una visione più illuminata del mondo, né tantomeno si fonda su principi filosofici, siano essi l'hegelismo di sinistra o l'umanismo di Feuerbach. Il comunismo è la scienza della trasformazione rivoluzionaria della società e si fonda sulla lotta delle classi. Con "L'ideologia tedesca" il comunismo diventa scienza. La battaglia vinta sul piano teorico deve ora essere ingaggiata sul piano politico.

"Appena raggiunto l'accordo con noi stessi - ricorda Engels - ci mettemmo al lavoro". Il primo compito e il più urgente era di sconfiggere nell'azione politica di ogni giorno il comunismo primitivo che ancora affascinava l'avanguardia politica del proletariato. Ciò significava soprattutto confrontarsi con le teorie di Proudhon. Ed è appunto quello che Marx fece tra il dicembre 1846 e il giugno 1847.



"La polemica con Proudhon e "La miseria della filosofia"

Nel luglio 1847 appare "La miseria della filosofia", che già nel titolo ironicamente rovescia quel "Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della miseria" da poco apparso in cui Proudhon tentava di dare fondamento scientifico alla sua visione del socialismo.

La critica di Marx è feroce e non salva nulla, sia sul piano economico che su quello filosofico, delle confuse teorie proudhoniane. La premessa è fulminante: "Il signor Proudhon ha la sventura di essere misconosciuto in Europa in un modo singolare. In Francia egli ha il diritto di essere un cattivo economista perché passa per un buon filosofo tedesco. In Germania ha il diritto di essere un cattivo filosofo, perché passa per uno dei migliori economisti francesi. Noi, nella nostra duplice qualità di tedeschi e di economisti, abbiamo voluto protestare contro questo duplice errore".

Lo scritto tratta in apparenza quasi esclusivamente concetti economici: valore d'uso e valore di scambio, denaro, profitto, rendita, divisione del lavoro, concorrenza e monopolio, ecc. In realtà gli intenti sono ben più ambiziosi. In una lettera all'amico russo Paul Annenkov, Marx chiarisce come al fondo della sua critica a Proudhon stia la volontà di smascherare una visione idealistica della storia spacciata per materialismo: "Che cos'è la società, in qualunque forma esista? Il prodotto delle attività reciproche degli uomini. L'uomo è forse libero di scegliere questa o quella forma sociale? In nessun modo. Dato un punto determinato nell'evoluzione delle forze produttive degli uomini, si avrà una forma corrispondente del commercio e del consumo. Dato un punto determinato nell'evoluzione della produzione, del commercio e del consumo, si avrà una forma corrispondente di costituzione sociale, una certa organizzazione della famiglia, dei mestieri o delle classi, in una parola, una società civile corrispondente. Data una tale società civile, si avrà una situazione politica corrispondente, che non sarà che l'espressione ufficiale di questa società civile.

Occorre anche aggiungere che gli uomini non dirigono a loro piacimento le forze produttive - fondamento di tutta la loro storia - giacché ogni forza produttiva è una forza acquisita, prodotto di un'attività anteriore. Così le forze produttive sono il risultato dell'energia pratica degli uomini, ma questa energia pratica è essa stessa determinata dalle circostanze in cui si trovano gli uomini, a causa delle forze produttive già acquisite, a causa della forma sociale esistente prima di loro, forma sociale che essi non creano, ma che è il prodotto della generazione precedente. (…)

Conseguenza necessaria: la storia sociale degli uomini non è altro che la storia del loro sviluppo individuale, ne abbiano essi o no coscienza. Le loro relazioni materiali formano la base di tutte le loro relazioni. Queste relazioni materiali non sono che le forme in cui si attua necessariamente la loro attività materiale e individuale... Le forme economiche secondo cui gli uomini producono, consumano, fanno scambi, sono transitorie e storiche. Grazie alle forze produttive di recente acquisite, gli uomini trasformano il loro modo di produzione, e con il loro modo di produzione trasformano tutte le loro relazioni economiche, che non erano che le relazioni necessariamente corrispondenti a un modo di produzione determinato... Il signor Proudhon ha capito benissimo che gli uomini fabbricano i tessuti, la tela, le stoffe di seta. Ciò che il signor Proudhon non ha capito, è che gli uomini producono pure. a seconda delle loro capacità, le loro relazioni sociali, allo stesso modo che producono la tela e il lino. Proudhon ha capito ancor meno che gli uomini che producono le loro relazioni sociali corrispondenti alla loro produzione materiale, producono pure le idee, le categorie, vale a dire le espressioni ideali e astratte di queste stesse relazioni sociali. Quindi, le categorie sono altrettanto poco eterne quanto le relazioni di cui sono l'espressione. Esse sono prodotti storici e transitori. Per il signor Proudhon, viceversa, le astrazioni, le categorie, sono le cause primordiali. A suo avviso, sono esse, e non gli uomini, che fanno la storia... Poiché, secondo lui, le categorie sono le forze determinanti, non c'è alcun bisogno di trasformare la vita pratica per trasformare le categorie. Al contrario: bisogna modificare le categorie, il che modificherà di conseguenza la vita reale".

Detto in altri termini: per cambiare il mondo non bastano le idee, occorre la rivoluzione. La filosofia ha ormai esaurito il suo compito. Il proletariato, unica classe rivoluzionaria, armato della concezione materialistica della storia, ne è l'erede.


II. 1996