Giorgio Amico
Mauro Corona, un
Bertoldo del nostro tempo
In TV, ce lo ricorda ad
ogni incontro, Felice Rossello, tutto è falso, costruito, montato ad
arte, nulla è spontaneo e vero. Questo soprattutto nei talkshow
dove, come nella antica commedia dell'arte, ogni personaggio porta
una maschera e impersona un ruolo sempre uguale, perché il pubblico
quello vuole e quello si aspetta di vedere.
Così Sgarbi è un
iracondo volgare, Cacciari un intellettuale eternamente seccato dalle
domande banali degli intervistatori, Mughini una specie di clown. Tre
intellettuali di grande spessore trasformati in maschere, in
“personaggi” stereotipati. Lo stesso accade con Mauro Corona che
riprende e attualizza la maschera del contadino, rozzo, ma furbo che
sa tenere teste alla spocchia del cittadino acculturato.Insomma la
vecchia favola della bella (la Berlinguer) e la bestia, rozza ma sensibile (Corona), o, se
volete, quella ancora più antica di Bertoldo.
Personaggio ridicolo,
circondato di personaggi ridicoli che fanno lavori improbabili (il
conducente di asini, l'imitatore del canto degli uccelli), dai nomi
improbabili (il Poiana), a rappresentare una montagna diventata parco
giochi (il turismo invernale, le piste da sci) per l'uomo della
città, che resta incomprensibile ed estranea nella sua essenza
all'occhio moderno. Un luogo strano, altro, popolato di strane
figure, che diventa fonte di riso per esorcizzare la paura di una
alterità che rimane per noi incomprensibile e dunque avvertita come fonte di pericolo.
Vestito da guardia forestale (chissà se è davvero sua la trovata), Corona fa il pagliaccio, fingendo di ribellarsi al tono
supponente dell'intervistatrice, anche lei una maschera, quella
contemporanea della radical chic, o se vogliamo scomodare Propp,
dell'antagonista.
Alla fine, secondo lo
schema, non del programmista RAI, ma della della favola, il rozzo e
pagliaccesco contadino si rivela saggio e fra lazzi e cachinni
spiattella perle di saggezza, a dimostrazione della positività
della gente comune, del popolo minuto, divertendo e rassicurando lo
spettatore che compiaciuto assiste allo spettacolo dell'incolto e
rozzo che sa mettere al posto suo l'intellettuale borioso e
supponente. Commedia dell'arte , appunto, che funziona sempre.
E poi...
E poi c'è quello che
sullo schermo non si vede, che non vi faranno mai vedere.
Poi c'è Mauro Corona
scrittore e i suoi libri, fra i più belli che si possono leggere sulla montagna.
Un montagna colta nella
sua magia senza tempo, animata da presenze inquietanti, che assiste
impassibile alla vita degli uomini, non sfondo di storie, ma origine
vera di tutte ciò che accade, di buone e di terribile, a quegli uomini che, come formiche, si ostinano a vivere aggrappati
ai suoi fianchi.
Un grande madre, la
Grande Madre, che può essere protettiva e accogliente e matrigna,
che ha la forza distruttiva del Fato, che gioca con gli uomini, ma
anche li nutre e li protegge.
Scordatevi Cognetti, uomo
di città andato a vivere in montagna. Ci vuole un montanaro vero,
come Corona, come prima di lui Rigoni Stern, per esprimere la forza
primordiale e magica della montagna, la sacralità profonda della
pietra, la maternità misteriosa delle sorgenti.
Nei suoi libri, duri e violenti, ma che hanno la poesia delle vette, Corona
incide sulla carta parole come i suoi antenati incidevano segni e
figure sulle rocce dei passi alpini e degli alpeggi, nei luoghi dove
il numinoso manifesta agli uomini tutta la sua potenza misteriosa e terribile.
I libri di Corona sono
oscuri e luminosi, come oscura e luminosa è la natura del cosmo di
cui tutti uomini, animali, piante, rocce siamo parte. Una magia naturale che la città
ha reso invisibile, ma che in montagna ancora regge le vite degli
uomini.
Non guardate Corona in
TV, leggete i suoi libri. E iniziate da L'ombra del bastone, il più
misterioso di tutti. Storia, affascinante di colpa e redenzione, dove
nessuno è innocente, ma tutti vittime. E la donna, il vero
anello forte, è guaritrice e strega, fonte misteriosa e incomprensibile di vita e di morte,
proprio come la montagna.