Tre
libri svelano gli ultimi misteri della cosiddetta strategia della
tensione, dalle bombe falso-anarchiche dell'aprile '69 alla strage di
Piazza della Loggia nel 1974, passando ovviamente per Piazza Fontana,
vero cardine dell'intero processo. Coinvolti con ruoli e
responsabilità diverse politici (Saragat e Rumor), generali, uomini
dei servizi segreti, della polizia e dei carabinieri. Tre libri che
finalmente smontano la tesi degli “apparati deviati”. “Deviati”
furono semmai i giudici che coraggiosamente si ostinarono a ricercare
la verità nonostante depistaggi e menzogne del potere.
(In
altra epoca avremmo riportato gli articoli integralmente, oggi ne
riprendiamo qualche stralcio rimandando per una lettura integrale
alle fonti originarie. Non nascondiamo di farlo con disagio, come una
autolimitazione che di fatto corrisponde ad una censura pesante tesa
a bloccare la più ampia e libera circolazione delle informazioni).
Giorgio Amico
1969-1974. Strategia
della tensione
Quando lo Stato dichiarò guerra ai suoi cittadini.
Continua la ricerca sugli
anni delle stragi e sulle responsabilità politiche e degli apparati
militari nella strategia della tensione che costò al Paese decine di
morti.Quasi in contemporanea escono tre libri dedicati il primo alle
bombe fino-anarchiche della primavera '69, vera prova generale di
quanto poi in dimensioni enormemente più tragiche sarebbe avvenuto a
Piazza Fontana. Libro importante perché testimonia del ruolo svolto
nel fabbricare la falsa pista anarchica dal commissario Calabresi
(quello che interroga Pinelli la notte che l'anarchicò morì in
Questura) di cui qualcuno ha persino richiesto la beatificazione
canonica.
Importante anche il secondo libro, di Benedetta Tobagi, dedicato al
lungo e faticoso iter giudiziario per trovare i veri responsabili
(fascisti) della strage di Piazza Fontana, storia di depistaggi
operati dai servizi segreti che dovevano occultare il coinvolgimento
nell'ideazione e nell'attuazione del massacro di uomini delle
istituzioni militari e di sicurezza.l'autrice lo sintetizza
perfettamente in un passo dell'intervista a La Repubblica (di cui più
sotto riprendiamo l'introduzione di Simonetta Fiori) che riportiamo
integralmente.
«Esisteva un accordo tra l’allora presidente della Repubblica
Giuseppe Saragat e il premier Mariano Rumor – un patto benedetto
dagli Stati Uniti – per far salire la temperatura politica al fine
di favorire uno spostamento a destra dell’asse politico. Una
versione minimale della strategia della tensione. Ma questo patto
segreto fu scavalcato dalla destra eversiva che preferì fare una
fuga in avanti, protetta dai servizi nazionali e internazionali. Aldo
Moro contribuì a fermare lo spostamento a destra, promettendo in
cambio il silenzio, ossia l’insabbiamento della pista nera.
Infine,
il terzo libro ricostruisce gli avvenimenti che precedono e seguono
la strage di Piazza della Loggia del 1974. L'autore, Paolo Barbieri
giustamente parla di una strage da ricondurre a quel «partito del
golpe», presente nei vertici militari e in settori della classe
dirigente politica, che operò in quegli anni per scardinare la
democrazia nata dalla Resistenza.
Paolo Morando, Prima
di Piazza Fontana. La prova generale, Laterza
“Una piccola storia
ignobile della giustizia italiana, subito cancellata e rimossa. La
prova generale della strategia della tensione. A cinquant’anni dai
fatti, un libro-inchiesta, degno erede dei lavori di Corrado Stajano
e di Camilla Cederna, rivela le verità nascoste di uno dei momenti
chiave della storia repubblicana.
Milano, 25 aprile 1969:
due ordigni scoppiano alla Fiera campionaria e all’Ufficio cambi
della Banca Nazionale delle Comunicazioni della Stazione centrale,
provocando una ventina di feriti. È il primo atto della campagna di
attentati che pochi mesi dopo porterà a Piazza Fontana. L’Ufficio
politico della questura, fin dalle prime ore, punta verso gli
anarchici. A condurre le indagini sono il commissario Luigi Calabresi
e i suoi uomini, gli stessi che si troveranno nel suo ufficio la
notte della morte di Giuseppe Pinelli, nome che nell’inchiesta
spunterà di continuo, come quello di Pietro Valpreda, che già qui
si profila come futuro capro espiatorio. Nel giro di pochi giorni
vengono arrestati tre giovani (e altrettanti nelle settimane
successive) e una coppia di noti anarchici milanesi, amici
dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, che pure verrà rinviato a
giudizio assieme alla moglie. Due anni dopo, con un colpo di scena
dietro l’altro, il processo chiarirà le dimensioni della
macchinazione anti-anarchica innescata da quegli attentati. Una
vicenda determinante per comprendere fino in fondo i misteri di
Piazza Fontana. Un racconto serrato di una pagina nera per la
giustizia italiana, da allora totalmente rimossa dalla memoria, che
assume nuova luce grazie alla scoperta di documenti fin qui inediti”.
(Nota editoriale)
Benedetta Tobagi,
Piazza Fontana. Il processo impossibile, Einaudi
“È stato uno dei
processi più importanti della storia d’Italia. Un processo monstre
per durata (complessivamente trentasei anni!) ed esito paradossale:
incompiuto sul piano della giustizia – ancora ignoti i nomi degli
esecutori materiali – ma più che compiuto per il Tribunale della
storia che certifica la responsabilità di Freda e Ventura, esponenti
di Ordine Nuovo spalleggiati dai servizi segreti. Soprattutto la
strage di Piazza Fontana – con i suoi diciassette morti e novanta
feriti per un ordigno esploso alla Banca dell’Agricoltura il 12
dicembre del 1969 – ha segnato uno spartiacque nella storia
italiana, con una scia di segreti, fantasmi, risentimenti e violenze
da cui fatichiamo a liberarci, a distanza di mezzo secolo. Alla
“madre di tutte le stragi” e alla sua tormentata avventura
giudiziaria Benedetta Tobagi ha dedicato quattrocento pagine, frutto
di una ricchissima ricerca archivistica e di un metodo di studio che
consente di rovesciare lo sguardo su quel labirinto drammatico: non
più solo incubo del Paese, ma anche risveglio di energie
democratiche”.
(Da: Simonetta Fiori, Piazza Fontana.
Storia infinita di un processo, La Repubblica 7 giugno 2019)
Paolo Barbieri, La morte a Brescia.
28 maggio 1974, Red Star Press
“Esce ora nella
ricorrenza del 45/mo anniversario della strage di Piazza della Loggia
(otto morti e più di cento feriti) La morte a Brescia. 28 maggio
1974: storia di una strage fascista di Paolo Barbieri (Red Star
Press, pp. 128, euro 14). Lo stesso autore, all’epoca diciottenne,
era su quella piazza al momento dello scoppio della bomba. Non fu
investito dall’esplosione per una pura casualità, o come scrive,
per «destino o fortuna». Ma non è un libro solo di ricordi.
Tutt’altro. Si ricostruiscono, infatti, le tappe che avevano
preceduto la strage con lo stillicidio delle azioni violente e degli
attentati, in particolare quello del 20 maggio, quando un giovane
neofascista, Silvio Ferrari, era saltato per aria in Piazza del
Mercato con la sua motoretta con la quale trasportava un potente
ordigno per un attentato. Un episodio che aveva spinto i sindacati e
il Comitato unitario antifascista a indire la manifestazione del 28
maggio. Uno sciopero generale della città «contro ogni trama
fascista».
La strage di Brescia fu
la «più politica di tutte le stragi» messe a segno in quegli anni.
Non si volle colpire «nel mucchio» in modo indiscriminato per
scatenare il panico e suscitare una richiesta d’ordine, così come
era accaduto per Piazza Fontana. L’intento era di «uccidere
proprio quei cittadini». Come scrisse il giudice Gian Paolo Zorzi:
«convenuti per manifestare la loro protesta nei confronti dei
ripetuti atti terroristici di sicura marca neofascista».
La lunghissima vicenda
giudiziaria, ripercorsa minuziosamente da Paolo Barbieri, giornalista
professionista per moltissimi anni all’Agenzia Ansa di Milano, si è
conclusa in Cassazione il 20 giugno 2017 con la condanna
all’ergastolo di due esponenti di Ordine nuovo, l’organizzazione
nazifascista fondata da Pino Rauti: Maurizio Tramonte, al contempo
informatore del Sid (il Servizio informazioni difesa) con il nome in
codice di «Tritone», e Carlo Maria Maggi, il «reggente» nel
Triveneto.
Il Sid coprì Tramonte e
Maggi, pur sapendo dei loro progetti criminali e nulla fece per
impedire la strage. I depistaggi furono una costante. Paolo Barbieri
giustamente parla di una strage da ricondurre a quel «partito del
golpe», presente nei vertici militari e in settori della classe
dirigente politica, che operò in quegli anni per scardinare la
democrazia nata dalla Resistenza”.
(Da: Savero Ferrari, Piazza della
Loggia, il boato di una strage fascista, Il manifesto, 28.05.2019)