martedì 9 luglio 2019

1969-1974. Strategia della tensione. Quando lo Stato dichiarò guerra ai suoi cittadini.




Tre libri svelano gli ultimi misteri della cosiddetta strategia della tensione, dalle bombe falso-anarchiche dell'aprile '69 alla strage di Piazza della Loggia nel 1974, passando ovviamente per Piazza Fontana, vero cardine dell'intero processo. Coinvolti con ruoli e responsabilità diverse politici (Saragat e Rumor), generali, uomini dei servizi segreti, della polizia e dei carabinieri. Tre libri che finalmente smontano la tesi degli “apparati deviati”. “Deviati” furono semmai i giudici che coraggiosamente si ostinarono a ricercare la verità nonostante depistaggi e menzogne del potere.

(In altra epoca avremmo riportato gli articoli integralmente, oggi ne riprendiamo qualche stralcio rimandando per una lettura integrale alle fonti originarie. Non nascondiamo di farlo con disagio, come una autolimitazione che di fatto corrisponde ad una censura pesante tesa a bloccare la più ampia e libera circolazione delle informazioni).

Giorgio Amico

1969-1974. Strategia della tensione
Quando lo Stato dichiarò guerra ai suoi cittadini.

Continua la ricerca sugli anni delle stragi e sulle responsabilità politiche e degli apparati militari nella strategia della tensione che costò al Paese decine di morti.Quasi in contemporanea escono tre libri dedicati il primo alle bombe fino-anarchiche della primavera '69, vera prova generale di quanto poi in dimensioni enormemente più tragiche sarebbe avvenuto a Piazza Fontana. Libro importante perché testimonia del ruolo svolto nel fabbricare la falsa pista anarchica dal commissario Calabresi (quello che interroga Pinelli la notte che l'anarchicò morì in Questura) di cui qualcuno ha persino richiesto la beatificazione canonica.

Importante anche il secondo libro, di Benedetta Tobagi, dedicato al lungo e faticoso iter giudiziario per trovare i veri responsabili (fascisti) della strage di Piazza Fontana, storia di depistaggi operati dai servizi segreti che dovevano occultare il coinvolgimento nell'ideazione e nell'attuazione del massacro di uomini delle istituzioni militari e di sicurezza.l'autrice lo sintetizza perfettamente in un passo dell'intervista a La Repubblica (di cui più sotto riprendiamo l'introduzione di Simonetta Fiori) che riportiamo integralmente.

«Esisteva un accordo tra l’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il premier Mariano Rumor – un patto benedetto dagli Stati Uniti – per far salire la temperatura politica al fine di favorire uno spostamento a destra dell’asse politico. Una versione minimale della strategia della tensione. Ma questo patto segreto fu scavalcato dalla destra eversiva che preferì fare una fuga in avanti, protetta dai servizi nazionali e internazionali. Aldo Moro contribuì a fermare lo spostamento a destra, promettendo in cambio il silenzio, ossia l’insabbiamento della pista nera.

Infine, il terzo libro ricostruisce gli avvenimenti che precedono e seguono la strage di Piazza della Loggia del 1974. L'autore, Paolo Barbieri giustamente parla di una strage da ricondurre a quel «partito del golpe», presente nei vertici militari e in settori della classe dirigente politica, che operò in quegli anni per scardinare la democrazia nata dalla Resistenza.



Paolo Morando, Prima di Piazza Fontana. La prova generale, Laterza

“Una piccola storia ignobile della giustizia italiana, subito cancellata e rimossa. La prova generale della strategia della tensione. A cinquant’anni dai fatti, un libro-inchiesta, degno erede dei lavori di Corrado Stajano e di Camilla Cederna, rivela le verità nascoste di uno dei momenti chiave della storia repubblicana.
Milano, 25 aprile 1969: due ordigni scoppiano alla Fiera campionaria e all’Ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni della Stazione centrale, provocando una ventina di feriti. È il primo atto della campagna di attentati che pochi mesi dopo porterà a Piazza Fontana. L’Ufficio politico della questura, fin dalle prime ore, punta verso gli anarchici. A condurre le indagini sono il commissario Luigi Calabresi e i suoi uomini, gli stessi che si troveranno nel suo ufficio la notte della morte di Giuseppe Pinelli, nome che nell’inchiesta spunterà di continuo, come quello di Pietro Valpreda, che già qui si profila come futuro capro espiatorio. Nel giro di pochi giorni vengono arrestati tre giovani (e altrettanti nelle settimane successive) e una coppia di noti anarchici milanesi, amici dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, che pure verrà rinviato a giudizio assieme alla moglie. Due anni dopo, con un colpo di scena dietro l’altro, il processo chiarirà le dimensioni della macchinazione anti-anarchica innescata da quegli attentati. Una vicenda determinante per comprendere fino in fondo i misteri di Piazza Fontana. Un racconto serrato di una pagina nera per la giustizia italiana, da allora totalmente rimossa dalla memoria, che assume nuova luce grazie alla scoperta di documenti fin qui inediti”.

(Nota editoriale)



Benedetta Tobagi, Piazza Fontana. Il processo impossibile, Einaudi

“È stato uno dei processi più importanti della storia d’Italia. Un processo monstre per durata (complessivamente trentasei anni!) ed esito paradossale: incompiuto sul piano della giustizia – ancora ignoti i nomi degli esecutori materiali – ma più che compiuto per il Tribunale della storia che certifica la responsabilità di Freda e Ventura, esponenti di Ordine Nuovo spalleggiati dai servizi segreti. Soprattutto la strage di Piazza Fontana – con i suoi diciassette morti e novanta feriti per un ordigno esploso alla Banca dell’Agricoltura il 12 dicembre del 1969 – ha segnato uno spartiacque nella storia italiana, con una scia di segreti, fantasmi, risentimenti e violenze da cui fatichiamo a liberarci, a distanza di mezzo secolo. Alla “madre di tutte le stragi” e alla sua tormentata avventura giudiziaria Benedetta Tobagi ha dedicato quattrocento pagine, frutto di una ricchissima ricerca archivistica e di un metodo di studio che consente di rovesciare lo sguardo su quel labirinto drammatico: non più solo incubo del Paese, ma anche risveglio di energie democratiche”.

(Da: Simonetta Fiori, Piazza Fontana. Storia infinita di un processo, La Repubblica 7 giugno 2019)



Paolo Barbieri, La morte a Brescia. 28 maggio 1974, Red Star Press

“Esce ora nella ricorrenza del 45/mo anniversario della strage di Piazza della Loggia (otto morti e più di cento feriti) La morte a Brescia. 28 maggio 1974: storia di una strage fascista di Paolo Barbieri (Red Star Press, pp. 128, euro 14). Lo stesso autore, all’epoca diciottenne, era su quella piazza al momento dello scoppio della bomba. Non fu investito dall’esplosione per una pura casualità, o come scrive, per «destino o fortuna». Ma non è un libro solo di ricordi. Tutt’altro. Si ricostruiscono, infatti, le tappe che avevano preceduto la strage con lo stillicidio delle azioni violente e degli attentati, in particolare quello del 20 maggio, quando un giovane neofascista, Silvio Ferrari, era saltato per aria in Piazza del Mercato con la sua motoretta con la quale trasportava un potente ordigno per un attentato. Un episodio che aveva spinto i sindacati e il Comitato unitario antifascista a indire la manifestazione del 28 maggio. Uno sciopero generale della città «contro ogni trama fascista».
La strage di Brescia fu la «più politica di tutte le stragi» messe a segno in quegli anni. Non si volle colpire «nel mucchio» in modo indiscriminato per scatenare il panico e suscitare una richiesta d’ordine, così come era accaduto per Piazza Fontana. L’intento era di «uccidere proprio quei cittadini». Come scrisse il giudice Gian Paolo Zorzi: «convenuti per manifestare la loro protesta nei confronti dei ripetuti atti terroristici di sicura marca neofascista».
La lunghissima vicenda giudiziaria, ripercorsa minuziosamente da Paolo Barbieri, giornalista professionista per moltissimi anni all’Agenzia Ansa di Milano, si è conclusa in Cassazione il 20 giugno 2017 con la condanna all’ergastolo di due esponenti di Ordine nuovo, l’organizzazione nazifascista fondata da Pino Rauti: Maurizio Tramonte, al contempo informatore del Sid (il Servizio informazioni difesa) con il nome in codice di «Tritone», e Carlo Maria Maggi, il «reggente» nel Triveneto.
Il Sid coprì Tramonte e Maggi, pur sapendo dei loro progetti criminali e nulla fece per impedire la strage. I depistaggi furono una costante. Paolo Barbieri giustamente parla di una strage da ricondurre a quel «partito del golpe», presente nei vertici militari e in settori della classe dirigente politica, che operò in quegli anni per scardinare la democrazia nata dalla Resistenza”.

(Da: Savero Ferrari, Piazza della Loggia, il boato di una strage fascista, Il manifesto, 28.05.2019)