Continuiamo la nostra
navigazione nell'Oceano sconfinato (che proprio di quello si tratta)
di antichi volumi e riviste ora reperibili on line. Questa volta
navighiamo per davvero, essendo il nostro argomento la pirateria
endemica sulle coste liguri. Genova
non aveva la forza di difendere i suoi commerci e qualche volta da contrabbando e pirateria riusciva comunque a ricavare un guadagno, magari a spese dei suoi concorrenti. Il testo che
proponiamo è tratto da un lungo studio apparso nel 1927 sul
Giornale storico e letterario della Liguria.
Emilio Pandiani
Storie di pirati liguri
Quando si pensa ai tempi
nei quali i viaggi per mare erano effettuati soltanto da navi a vela,
si divaga sulla bellezza di quelle navigazioni placide con grandi
vele bianche e gonfie dal vento, sulle lente, quasi solenni
traversate, sugli approdi a terre lontane, ricche di forti aromi,
di frutti meravigliosi, di genti bizzarre e si sogna la strana vita
fra cielo e mare, sotto il sole splendente, le stelle scintillanti, e
si invidia la vita semplice e poetica del marinaio nella solitudine
delle grandi acque, dinanzi agli spettacoli meravigliosi delle albe
diafane, delle aurore sorridenti, degli infuocati tramonti, mentre
sfilano silenziosi scenari sempre mutevoli di isole, di promontori,
di coste boscose o ferrigne.
A ben pochi vien fatto di
pensare alla vita durissima e spesso assai triste su quei poveri
gusci di noce, alla mancanza di ogni comodità, ai cibi grossolani e
sempre gli stessi, alla calme di vento, alle traversie, ai pericoli
di ogni sorta, posti in agguato dovunque e in ogni momento, alle
minacce dei mare non solo, ma anche degli uomini.
Chi parla oggi di corsari
? pensavo sfogliando certe vecchie carte dell’Archivio di Stato di
Genova, ove trovavo come suol dirsi ad ogni piè sospinto tracce di
assalti e di depredazioni, lamenti di mercanti che avevano perso
tutti i loro averi per opera di pirati lungo la loro navigazione. La
lettura di quelle carte mi faceva tornare in mente le antiche novelle
che contengono tanto spesso le vicende romanzesche di abbordaggi e di
rapimenti di corsari e che sono così piacevoli a leggersi, mentre in
queste vecchie carte di Archivio v’era il fatto puro e semplice
senza orpelli, v’era la prepotenza brutale, il furto, la perdita
delle robe, gli insulti, le percosse, le ferite e qualche volta la
morte del povero navigante.
È veramente
impressionante la quantità di lettere che il governo genovese
dirigeva a comunità ed a principi per i beni perduti da genovesi, in
conseguenza di incontri con corsari. Nel solo periodo di una trentina
di anni (tra il 1480 ed il 1510) le violenze subite per mano di essi,
sono centinaia e centinaia e intorno ad esse si accoglie naturalmente
un ampio stuolo di ordinanze, di provvedimenti e di processi che
fanno rivivere questa epoca così diversa dalla attuale. (...)
Come si diventava pirati?
In una maniera molto
semplice. Bastava che un uomo di mare, senza scrupoli e d ’animo
fermo, risoluto a guadagnare largamente, sia pure col pericolo della
galera e della forca, raccogliesse intorno a sé pochi compagni che
avessero la stessa tempra e le stesse mire. Sopra un brigantino
veloce e ben armato essi andavano ad appostarsi in qualche angolo di
costa ove il mare fosse frequentato da passaggi di navi e quando ne
era in vista alcuna che sembrasse ricca di bottino e poco armata ,
piombavano su essa all’improvviso, e, profittando della sorpresa,
del disordine e della inferiorità di armi dei naviganti, salivano
sulla nave e la depredavano di quanto rappresentasse una ricchezza.
Poteva anche accadere che
i corsari non si accontentassero di depredare merci e naviganti, ma
che si impadronissero anche della nave stessa e se ne servissero per
più ardite imprese piratesche, gettando il terrore sul mare.
Non era infrequente il
caso che il governo di qualche città marinara, per indebolire od
ostacolare il commercio di una città emula, permettesse subdolamente
questo brigantaggio, salvo però a smentire ufficialmente tale
condiscendenza. A volte, per vendetta di gravi offese al proprio
naviglio, si dichiarava pubblicamente la guerra di corsa verso le
navi della città colpevole ed allora ognuno poteva porsi alla caccia
delle navi nemiche col diritto di fare bottino di esse. Era questo il
sistema della rappresaglia che durava a volte per mesi e anche per
anni, sinché non si fosse giunti ad un accomodamento fra le due
città, oppure ad una guerra decisiva.
Meno frequentemente la
pirateria si esercitava anche sulle coste, in occasione di qualche
naufragio. Nell’alto medioevo era esistito il cosiddetto ius
naufragi, il diritto cioè degli abitanti delle coste di
impadronirsi di quanto il mare gettasse sulla riva o potesse
raccogliersi in una nave gettata dalla furia delle onde sugli scogli.
Ancora nel 1491 essendosi
incagliata una nave genovese presso Salerno, l’equipaggio che si
era potuto salvare aveva ricuperate quasi tutte le merci, ma gli
abitanti della costa le reclamarono come ius naufragi e occorse
l'intervento del governo genovese presso il Re di Napoli e l'invio di
un cancelliere di Genova a Napoli per ottenere, con molti stenti, che
le merci e le artiglierie ritornassero ai loro proprietari.
La pianta parassita della
pirateria era allora diffusa su tutte le coste del Mediterraneo e,
tranne i casi già citati, i governi delle città marinare si
sforzavano ad estirparla, poiché essa portava gravi danni all’intero
organismo statale.
Perciò nelle carte del
governo genovese si incontrano assai spesso gli ordini ai vani
ufficiali sparsi nei borghi e nelle città delle Riviere perché vigilassero sulle partenze di navi sospette dalle loro spiagge e se,
malgrado tali ordini qualche brigantino prendeva il largo, la
Dominante fulminava una multa ai suoi sudditi, avvertiva con pubblica
grida quali fossero i patroni delle navi uscite a pirateggiare
e se non riusciva ad impedire le loro gesta brigantesche li
dichiarava ribelli e li metteva al bando dello Stato.
Ma prima di ricorrere a
questa ultima misura il governo cercava di costringere i suoi sudditi
un po’ troppo lesti di mano a restituire il mal tolto e ciò
avveniva in special modo quando essi avessero lesi gli interessi di qualche
stato o di qualche principe che fosse in buone relazioni con Genova.
Si chiudevano invece gli occhi quando le navi o le merci depredate
appartenessero a quegli stati coi quali la Repubblica fosse in
rapporti poco amichevoli come, ai tempi di cui parliamo, con i
Fiorentini. Accadeva però spesso che questi audaci avventurieri del
mare confondessero il lecito con l'illecito, e non andassero tanto
pel sottile nello scegliere le loro vittime, depredando, se si
presentava una buona occasione, qualche mercante o qualche nave
genovese ed allora i fulmini della giustizia cadevano inesorabili su
essi o sul borgo dal quale erano partiti.(...)
(Da: Giornale storico e letterario della Liguria, Anno III. Fascicolo 1, Gennaio-Marzo 1927)