mercoledì 30 settembre 2020

Savona operaia sotto il fascismo

 


Giorgio Amico

Savona operaia sotto il fascismo

A proposito di “Come si costruisce una dittatura” di Andrea Corsiglia


È convinzione diffusa che la resistenza organizzata al fascismo inizi solo nell'estate del 1943 dopo l'arresto di Mussolini e la caduta del regime conseguenti al voto del Gran Consiglio del 25 luglio e sul piano militare dopo l'8 settembre e l'occupazione militare tedesca. In realtà fin dalla marcia su Roma e poi dalla messa fuori legge dei partiti nel 1926 la resistenza al regime non cessò mai di covare nelle fabbriche anche negli anni del massimo consenso popolare. Una resistenza tenace, alimentata dall'estero dalla Direzione del Partito comunista che inviò, nonostante un duro confronto interno (vedi l'espulsione nel 1930 di dirigenti di primo piano come Leonetti, Tresso e Ravazzoli), costantemente suoi emissari in Italia per orientare e collegare i gruppi di militanti che spontaneamente nonostante la repressione sistematica e l'opera di controllo dell'OVRA continuavano a riformarsi nelle fabbriche.

A parte il lavoro più generale dello Spriano, manca ad oggi una storia sistematica di questo fenomeno che non ha eguali nei paesi retti da dittature fasciste. Certo, esistono numerosi riferimenti nei libri di memorie scritti da militanti, ma pochissime ricerche in merito.

È dunque con grande piacere che segnaliamo l'uscita di “Come si costruisce una dittatura”, ultimo lavoro di Andrea Consiglia, giovane e capace ricercatore già autore di numerose pubblicazioni fra cui “Noi eravamo tutto” sulla storia della Compagnia portuali di Savona.

Il libro, pubblicato a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'età Contemporanea di Savona e arricchito da una bella prefazione di Giosiana Carrara, direttore scientifico dell'ISREC, ricostruisce un episodio importante di questa lotta sotterranea al fascismo, avvenuto a Savona nel 1934 e che portò all'arresto di quaranta operai delle fabbriche di Vado L. e Savona e poi alla condanna di 28 di essi a pene varianti da tre a tredici anni di reclusione per ricostituzione del Partito comunista e attività sovversiva e antinazionale.

Il libro di Corsiglia, documentatissimo e frutto di minuziose ricerche d'archivio, si articola in quattro parti. Una riflessione iniziale sulla creazione del Tribunale speciale e sulla emanazione da parte del regime di un insieme di leggi e disposizioni che permettessero una efficace e capillare repressione di ogni forma di opposizione politica. Una seconda parte, sicuramente la più interessante per i lettori savonesi, in cui si ricostruisce il caso del marzo 1943 iniziato con la scoperta nell'armadietto di un operaio, Pierino Ugo, poi nel 1944 martire della Resistenza, presso le Officine Meccaniche di Vado Ligure di materiale di propaganda comunista e di alcuni numeri de l'Unità clandestina. Il caso è ricostruito attraverso i verbali di polizia che testimoniano eloquentemente dei mezzi, fisici e psicologici, usati dagli agenti della questura e dell'OVRA per estorcere confessioni. Segue un documento di grandissimo interesse: la lunga testimonianza dell'Onorevole Aldo Pastore, al tempo dei fatti bambino, sulla attività antifascista del padre, operaio anche lui presso le Officine Meccaniche di Vado Ligure e fra i principali imputati. Conclude il volume una ricca appendice composta prevalentemente dalle schede biografiche dei principali protagonisti della vicenda.

Un libro di grande spessore e valore storico, ma anche di facile e piacevole lettura come era da attendersi da Andrea Corsiglia che da buon insegnante ha la capacità di rendere facili e attraenti anche argomenti che a prima vista possono sembrare molto specialistici, come l'analisi del sistema giudiziario fascista.

Insomma, un libro da leggere, soprattutto da chi voglia comprendere meglio cosa sia stata durante gli anni del regime fascista la vita quotidiana in una città operaia come Savona. Un libro di cui si sentiva la mancanza e che ora finalmente c'è.


lunedì 28 settembre 2020

Luiso Sturla, Carte di primavera. Entr'acte

 



Carte di primavera

a cura di Sandro Ricaldone



Entr'acte

Via sant’Agnese 19R - Genova

30 settembre – 31 ottobre 2020

orario: mercoledì-venerdì 16-19

Entr’acte apre la stagione 2020-2021 con un omaggio a Luiso Sturla, del quale presenta una sequenza di quindici carte di piccola dimensione realizzate nella scorsa primavera.

Si tratta di lavori che, pur nella limitatezza dei mezzi disponibili (all’artista non era possibile, per la clausura connessa alla fase acuta della pandemia, accedere al proprio studio), esemplificano al meglio la sua cifra espressiva, che si dispiega come “un campo che accumula tensioni: della luce, delle forme che vi si immettono, dei varchi che vi si aprono” (Gianfranco Bruno).

Così, al di là della situazione contingente, pur acutamente avvertita, con alternati liquidità e addensamenti di colore, con assetti organici e segni allusivi, Sturla mette a fuoco l’inquietudine del tempo primaverile, la vertigine di una trasformazione repentina, la sua natura di prologo a ciò che è possibile.

Completano la mostra – allestita in collaborazione con l’Archivio Luiso Sturla - due lavori di formato più grande, anch’essi del 2020.

Luiso Sturla (Chiavari, 1930) dopo un esordio figurativo agli inizi degli anni ’50 aderisce nel 1955 al Movimento Arte Concreta, per divenire – dopo un fruttuoso soggiorno a New York all’inizio del decennio successivo, durante il quale conosce alcuni fra i più importanti artisti del periodo, da De Kooning a Larry Rivers – uno degli esponenti di rilievo dell’Informale italiano, declinato in una dimensione dove la matrice naturalistica inizialmente caratterizzata da una forte componente materica si è venuta gradualmente stemperando in atmosfere più liquide e aeree, filtrate da immaginazione e memoria.

Attivo a Milano per decenni, rientra a Chiavari nel 2008. Ha al suo attivo innumerevoli personali in gallerie e spazi museali in Italia e all’estero.

AVVISO IMPORTANTE

In relazione all’emergenza Covid19, ed alle misure assunte dal Presidente della Regione Liguria con ordinanza del 23 settembre, misure che riguardano la zona del Centro Storico limitrofa alla sede della mostra, risulta necessario evitare assembramenti nello spazio esterno alla galleria, in particolare nel giorno dell’apertura, e adottare durante la visita le misure di cautela (mascherina, sanificazione delle mani, distanze di sicurezza) prescritte per gli ambienti chiusi.

Il 29 ottobre, nell’imminenza della conclusione della mostra, si terrà – con inizio alle 17 - presso lo spazio 21 dell’ex O.P. di Quarto (via Giovanni Maggio 4), un incontro con l’intervento dell’Autore, la presentazione di una pubblicazione/catalogo della rassegna e la proiezione di immagini e video sull’opera di Luiso Sturla.



venerdì 25 settembre 2020

Lo chiamavano Cimitero. Un capo partigiano tra Albenga e la Val Tanaro

 












È da poco disponibile il volume di Ferruccio Iebole e Pino Fragalà “Lo chiamavano Cimitero”, che ricostruisce la storia del leggendario comandante partigiano Bruno Schivo (Cimitero), terrore dei tedeschi e dei repubblichini nella vasta zona montuosa compresa fra Albenga e la Val Tanaro. Il volume ricostruisce sulla base di una vastissima documentazione anche fotografica (ben 450 immagini) episodi poco noti della lotta partigiana nell'albenganese e con estrema onestà storica e intellettuale anche le fucilazioni di torturatori, collaborazionisti e spie avvenute dopo il 25 aprile. Un libro da leggere, di cui riportiamo l'efficace introduzione di Giuliano Arnaldi.


Giuliano Arnaldi

Immaginate un ragazzo di vent'anni...

Immaginate un ragazzo di vent’anni, perché Bruno Schivo era questo, un ragazzo di vent’anni quando fece la scelta della vita, diventare Partigiano.

Immaginate una personalità appassionata e appassionante. Appassionata nel modo di agire.. istintivo, diretto, fisico. Abituato a far parlare i fatti, a fare scelte nette e sorprendenti ma non roboanti. Appassionante perché autorevolmente carismatico. Una di quelle persone destinate ad essere la benzina che infiamma la voglia di libertà dei popoli, incarnazione naturale di quella forza inesorabile ed inevitabile che c’e in ogni movimento che sia obbligato ad usare appunto la forza per cambiare una situazione insostenibile.

Immaginate che una persona cosi, con questo carattere, si trovi a vivere un momento storico unico.

Unico perché la storia raramente chiama a vivere un dramma netto, oppressivo, cattivo e banale come fu il fascismo. Ancora più del nazismo, il fascismo oltre alla drammatica ferocia di cui il nazismo era intriso, obbligò gli italiani a subire l’aggravante della mediocrità dell’italietta che tiene famiglia, gira la testa dall’altra parte pur di campare, di una italietta rassicurante rappresentata da un roboante pagliaccio nel quale ci si poteva riconoscere riconoscendone i propri peggiori difetti, a cominciare dalla arrogante mediocrità di chi ostenta la sicumera delle chiacchiere davanti a problemi che non sa risolvere e forse nemmeno capire.

Bruno Schivo, quell’impetuoso ragazzo di vent’anni, scelse d’istinto, come tantissimi suoi coetanei. Chi pensa che la scelta della Montagna fu ideologica sbaglia. Fu ideale, ed è profondamente diverso. L’ideale è intangibile ma non astratto. E’ come l’aria, non la tocchi, non la vedi ma se ti manca muori.

Quel ragazzo, quei ragazzi volevano avere il diritto alla felicità. Cioè amare, lavorare, agire secondo coscienza e non sotto minaccia. E per conquistarsi quel diritto Brun, insieme ad altri ragazzi, prese le armi.

Comprese subito che erano necessarie regole, le condivise, le rispettò e le fece rispettare. Ci credette. Credette ad un altro mondo possibile, mise la sua vita al servizio di quella possibilità. E pago’, subito, un prezzo altissimo, forse il più alto, quello di essere vigliaccamente e ferocemente colpito negli affetti più cari. Certo fu combattente implacabile, ma come non esserlo in quei tempi e in quella situazione? Si ritrovò ad incarnare il ruolo più difficile, quello di chi non teme l’impopolarità che spesso la responsabilità delle scelte porta con se, non si curo’ di essere prima odiato e temuto, poi trasformato in capro espiatorio per ogni nefandezza reale o immaginaria.

Immaginate un ragazzo così, inesorabilmente destinato al mito più che alla cronaca, testimone e protagonista di passioni nette e dure - amore, odio, vita, morte, coraggio, paura...implacabilmente coerente con se stesso, immaginate questo ragazzo davanti a ciò che furono i giorni, i mesi seguenti la Liberazione. Immaginatelo mentre si rende conto che non è come pensava, che l’altro mondo possibile nei posti che contano ha troppo spesso le stesse facce furbesche di chi c’era prima ed ha semplicemente cambiato casacca, di chi è pronto a seppellire con un fiume fangoso di parole la limpidezza della Costituzione scritta con il sangue e il futuro di tanti ragazzi. Una rivincita della dittatura della mediocrità, sconfitta dalla passione e dalle armi Partigiane ma nuovamente vincente nel trasformare i princìpi in parole e le parole in chiacchiere inutili. Immaginate quel ragazzo smarrito davanti alla impossibilita di constatare un percorso di cambiamento, e con la sgradevole sensazione di un calo di tensione ideale del suo stesso mondo, di scelte fatte di compromessi non comprensibili e non autorevolmente spiegati.

Non credo che Cimitero volesse tutto e subito, penso invece che percepì un andazzo e non riuscì a sopportarlo.

Pensate alla delusione di quel ragazzo, alla rabbia...alla sensazione di avere sprecato la sua gioventù per qualcuno ( e non per qualcosa) che non la meritava. Non c’e nulla di più osceno e pericoloso che calpestare i sogni di un ragazzo. E se la reazione consiste nell’essere presente durante una sventagliata di mitra esplosa nel momento e nel luogo sbagliato bisogna riflettere prima di giudicare. Incidentalmente per quell’errore lo Stato Democratico che Cimitero contribuì a costruire gli commino’ una pena quasi pari a quella stabilita per il Boia di Albenga... mi viene in mente una canzone di Guccini, e penso a Cimitero stesso come ad una Locomotiva, come una cosa viva lanciata a bomba contro l’ingiustizia... La delusione provocata da un sogno calpestato può creare grossi danni, oggi come ieri. Chi coltiva il sogno di una vita libera, vissuta liberamente dentro quel sistema di regole che si chiama democrazia, come può reagire davanti ad una democrazia che non rispetta se stessa e le regole che si è data? Saprà discernere tra il valore profondo del principio democratico e i limiti di chi, pur chiamato a tradurlo in gesti concreti, non vuole o non può essere all’altezza del compito a cui è chiamato? Ecco un problema, oggi come ieri. Un problema che genera veleni mortali come l’indifferenza quando servirebbe impegno, paura quando servirebbe coraggio, egoismo quando servirebbe senso di comunità. E sono tutti veleni più subdoli e mortali della rabbia. 

Sono onorato e grato a Ferruccio Iebole e a Pino Fragala’ per avermi chiesto di introdurre questo libro. Cimitero vuol dire Resistenza , e Resistenza vuol dire Cimitero: mancava una riflessione coraggiosa e precisa. Spero essere stato all’altezza di un compito cosi importante. Scrivere queste poche righe mi ha obbligato a riflettere senza retorica su questioni vitali ieri come oggi, sul fatto che la banalità del male si alimenta sempre nelle singole scelte delle singole coscienze come in ogni singola coscienza è custodita la responsabilità del bene. Ma bisogna scegliere, sapere vedere la sostanza oltre la facilità delle apparenze. E non dimenticare che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. Calpestare quei sogni probabilmente è peggio che morire.


giovedì 24 settembre 2020

notturni di versi FASE 2: quattro serate a settembre

 


notturni di versi FASE 2: quattro serate a settembre

Prenotazione necessaria con messaggio Whatsapp o SMS al numero 3500868227


Ven. 18/09 ore 21.00 
Cortino del Castello Via Castello, 1  Fratta di Fossalta di Portogruaro
In caso di maltempo Auditorium Comunale “DON A. TONIATTI” Via Ippolito Nievo, 20
READING
Unlock Poetry PAB 
Lettura dei testi inseriti nella Galleria Virtuale Unlock Art Pab
Alessandra Flores d’Arcais, Barbara Boatto, Davide Scattoli, Fabio Franzin, Francesco Tomada, Gerardo Pedicini, Laura Gorgato, Luca Ariano, Luca Sera, Luisa Gastaldo, Massimiliano Drigo, Olivia Rossi, Piero Simon Ostan, Roberto Ferrari

Ven. 18/09 ore 21.30
Cortino del Castello Via Castello, 1 Fratta di Fossalta di Portogruaro
In caso di maltempo Auditorium Comunale “DON A. TONIATTI” Via Ippolito Nievo, 20
TEATRALITA’
Cosa c’è oltre le stelle? Spettacolo teatrale dei Rotolacampo in collaborazione con i Creattori 
Idezione e regia di Max Bazzana


Sab. 19/09 ore 21.00
Chiostro dell’Istituto Marconi Via Seminario, 34 Portogruaro
In caso di maltempo l’evento si terrà nella Sala delle Colonne  dell’Istituto Marconi
INCONTRI
Il Cinema Brucia e Illumina - Zanzotto e Fellini tra Poesia e Cinema
Incontro con il prof. Luciano De Giusti, docente di storia del cinema Università di Trieste, curatore del libro Il cinema brucia e illumina – intorno a Fellini e altri rari di Andrea Zanzotto, Marsilio editore, 2011
A cura di Sergio Amurri 
In collaborazione con il Circolo di Cinema Estate Violenta di Portogruaro


Sab. 26/09 ore 21.00


Chiesetta di S. Cristina in Gorgo Fossalta di Portogruaro 
In caso di maltempo Auditorium Comunale “DON A. TONIATTI” Via Ippolito Nievo, 20
READING
Partiture con voci in versi con il collettivo ZufZone
a cura di Gaia Rossella Sain

Sab. 26/09 Ore 22.00
Chiesetta di S. Cristina in Gorgo Fossalta di Portogruaro
In caso di maltempo Auditorium Comunale “DON A. TONIATTI” Via Ippolito Nievo, 20
PRESENTAZIONE LIBRO 
ASSOLO per un attimo 
(Roberto Ferrari, Marco Opla Pasian / parole + disegni) QUDUlibri Bologna, 2020
Suoni: Marco Opla Pasian, Sandro Pellarin, Sandro Carta


Dom. 27/09 ore 20.30 
Abbazia di Summaga Via Richerio, 7 Portogruaro Summaga 
READING
Limine 
Lettura con L. Lorenzini, F. Gerometta, P. Simon Ostan
Musiche a cura del TrioLeScarpeRosse S. Carraro, G. Franzin, M. Battaiotto
Installazione artistica a cura di Renato De Marco
visita guidata all’Abbazia di Summaga a cura della prof.ssa Lara Bortolusso 
In collaborazione con: Rassegna di arte contemporanea 2020 - LIMINALITÀ - betwixt and between 


Il tema


Guarda quante ce ne sono, oh. Milioni di milioni di milioni di stelle. Ostia ragazzi, io mi domando come cavolo fa a reggersi tutta sta baracca. Perché per noi, così per dire, in fondo è abbastanza facile, devo fare un palazzo: tot mattoni, tot quintali di calce, ma lassù, viva la Madonna, dove le metto le fondamenta, eh? Non son mica coriandoli.

Dal film Amarcord,



Anche per l’edizione 2020 l’Associazione Culturale Porto dei Benandanti continuerà a promuovere la poesia con rinnovato entusiasmo proseguendo il discorso intrapreso sedici anni or sono. In particolare Il tema di questa edizione del Festival è ispirato alle parole di una scena di Amarcord, uno dei film più noti di Federico Fellini. Regista tra i più significativi della storia del cinema, che ha percorso con tratti di indubbia ed esemplare leggerezza e impareggiabile sensibilità poetica, grandissimo orchestratore di immagini, di visioni poetiche e di ritmi narrativi, si è rivelato maestro nel dare corpo alla passione del sogno che invade lo schermo cinematografico, dove i confini dell'immaginazione vanno a coincidere con quelli della realtà senza tuttavia mai essere condizionati da questa.

Tra gli aspetti più significativi dell’opera di Fellini che il nostro festival vorrà mettere in luce, vi è la stretta collaborazione, e l’amicizia, con alcuni grandi poeti, primo fra tutti Tonino Guerra, Romagnolo come Fellini, che con lui collaborò alla stesura del capolavoro sugli anni dell’infanzia riminese del regista, premiato nel 1976 con l’Oscar. Ma importante è anche la collaborazione con il grande poeta veneto Andrea Zanzotto, nata in occasione del film Casanova e che sfociò in un’autentica e duratura amicizia. Zanzotto oltre a scrivere alcuni testi poetici compaiono nel film, collaborò anche alla sceneggiatura di altri film e scrisse alcuni saggi sul cinema di Fellini. Da non dimenticare infine che anche il poeta Nico Naldini, cugino di Pier Paolo Pasolini fu assistente di Fellini in alcune occasioni.

mercoledì 23 settembre 2020

In difesa della lingua e della cultura occitana e per l'autonomia politica del popolo occitano

 







In difesa della lingua e della cultura occitana e per l'autonomia politica del popolo occitano


Il governo francese con la sua ultima riforma dei licei ha ridotto ulteriormente l'insegnamento della lingua occitana, già largamente insufficiente a tutelare le caratteristiche culturali e linguistiche di quella minoranza che abita una vasta porzione di territorio andante dal confine con la Spagna alla Provenza (oltre alle valli alpine "italiane" dal monregalese all'alta Valle Susa). È un atto brutale che cerca di riportare indietro di decenni il processo irreversibile di autonomia del popolo occitano.

Come Vento largo solidarizziamo in piano con la lotta del Partito della Nazione Occitana, rappresentante politico degli Occitani e con la giornata di lotta del 10 ottobre

Con l'augurio fraterno che la lotta intrapresa vada a buon fine. Per una Occitania libera, autonoma e riunificata in una Europa unita e democratica davvero senza più frontiere interne.

G.A.

Di seguito riportiamo il manifesto del PNO.













Il Partito della Nazione Occitana chiama a partecipare alle manifestazioni del 10 ottobre 2020


La lingua è uno degli elementi principali dell'identità di una nazione. Secondo il nostro punto di vista etnista ne è addirittura l'elemento determinante.

Davanti agli attacchi incessanti dello Stato colonialista francese per far scomparire l'essenza della nazione occitana, in mancanza di una lotta pù radicale, il Partito della Nazione Occitana sostiene senza riserve le azioni del collettivo Pour que vivent nos langues / Per que viscan nòstras lengas (Perchè le nostre lingue vivano).

Il PNO ha sempre sostenuto le azioni condotte dai sindacati, dalle associazioni professionali o rappresentative dei genitori degli studenti che si battono per l'insegnamento della lingua occitana e continuerà a farlo.

Contro l'ultima riforma del liceo da parte dell'educazione nazionale francese che riduce drasticamente l'insegnamento, già del tutto insufficiente, della lingua occitana ottenuto dopo decenni di lotte, il Partito della Nazione Occitana chiede ai suoi aderenti e simpatizzanti di partecipare alle manifestazioni organizzate un po' ovunque in Occitania per il 10 ottobre 2020.

Oggi, probabilmente più che mai e malgrado le difficoltà della lotta, è utile ricordare ai poteri pubblici che noi non ci lasceremo schiacciare senza resistere.

Il PNO invita tutti gli Occitani e tutte le Occitane a lottare uniti per la difesa della nostra identità minacciata. Ciò facendo, ricorda che la lotta in difesa della lingua non è solamente una lotta culturale ma una lotta politica e che senza un potere politico occitano indipendente, lo stato francese continuerà nella sua politica di sradicamento dell'occitano e delle altre lingue, salvo il francese.

Per la liberazione dell’Occitania è necessario un impegno politico, e dunque, mobilitiamoci tutti e tutte, senza illusioni ma con determinazione, il 10 ottobre 2020, per la lingua e per la nazione!

Partito della Nazione Occitana


L'angolo di Bastian Contrario. Gelli, Acerbo e la talpa

 








L'angolo di Bastian Contrario.

Gelli, Acerbo e la talpa

Il segretario nazionale di Rifondazione comunista sostiene che la vittoria del SI al referendum è in realtà la vittoria della P2 di Gelli. Affermazione subito ripresa e rilanciata dagli ultras del NO.

Abbiamo letto la dichiarazione di Acerbo e ci è sembrato che mancasse una frase, forse tagliata per motivi di politically correct.

Abbiamo cercato di capirci di più e il risultato è stato questo:

1981: scoppia il caso P2. Viene sequestrata una lista di quasi mille iscritti.

2020: referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, Si recano al voto quasi 25 milioni di italiani. IL SI vince con quasi il 70%. Voto più, voto meno significa che circa 17 milioni e mezzo di italiani hanno votato SI.

E tutto questo nonostante il fatto che in questi quarant'anni della P2 sia stato detto, giustamente, tutto il male possibile.

Da mille a 17 milioni e mezzo, davvero un bel salto che nemmeno Gesù, ci si scusi l'irriverenza, con il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci...

Da buon marxista, quale sicuramente è, Acerbo avrebbe dovuto aggiungere, seppure a malincuore: “Ben scavato vecchia talpa”. Perchè di fronte a miracoli del genere l'onore delle armi va reso anche al peggior nemico, si chiami pure Gelli.


domenica 20 settembre 2020

L'angolo di Bastian Contrario: Machiavelli, l'hosteria e Facebook











L'angolo di Bastian Contrario*

Machiavelli, l'hosteria e Facebook

“Transferiscomi poi in sulla strada, nell'hosteria; parlo con quelli che passono, dimando delle nuove de' paesi loro; intendo varie cose, e noto varii gusti e diverse fantasie d'huomini. Viene in questo mentre l'hora del desinare, dove con la mia brigata mi mangio di quelli cibi che questa povera villa e paululo patrimonio comporta.  Mangiato che ho, ritorno nell'hosteria: quivi è l'hoste, per l'ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m'ingaglioffo per tutto dí giuocando a cricca, a trich-trach, e poi dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose; e il più delle volte si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano. Cosí, rinvolto in tra questi pidocchi, traggo el cervello di muffa, e sfogo questa malignità di questa mia sorta, sendo contento mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne vergognassi.

Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro”.

(Niccolò Machiavelli, Lettera a Francesco Vettori)

In questa, che è considerata la sua lettera più significativa, Machiavelli nel dicembre 1513 si lascia andare a considerazioni che sono di grande attualità se solo traduciamo “hosteria” con Facebook, Whatsapp o altri simili marchingegni con cui spesso ci intratteniamo e dove appunto "nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose". Mutano i tempi e i luoghi, ma l'ingaglioffimento, cioè l'imbarbarimento intellettuale, è lo stesso. Certo, nulla obbliga a andare su Internet, ma è dura legge che al proprio mondo non si sfugge o almeno è molto difficile farlo. Per fortuna, Machiavelli ci offre anche la soluzione, lo studio come via di fuga dalla banalità e dalla volgarità delle nostre piccole esistenze individuali. E conversare con Marx, con Pavese o con Debord ripaga con gli interessi del tempo perso a giocare su Facebook a "trich-trach" con un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai.

*Bastian contrario si dice da noi chi ha per abitudine il contraddire le idee correnti. Noi preferiamo invece riferirci al personaggio, mezzo storico, mezzo di fantasia, descritto dallo scrittore novarese Luigi Gramegna nel romanzo “Bastian Contrario - storia di un bandito piemontese del XVII secolo”. Un misto di brigante e guerrigliero che, per conto dei Savoia, rendeva difficili i traffici verso l'entroterra della serenissima Repubblica di Genova. Insomma, una sorta di pirata dei monti, maestro nell'arte delle imboscate e dunque al di fuori di tutti gli schemi.


sabato 19 settembre 2020

Beethoven. Momenti di vita e di musica



In collaborazione con Chiesa Cattedrale Basilica di N.S. Assunta

Cattedrale di Savona, Associazione Musicale "G. Rossini", Ensemble Nuove Musiche

venerdí 25 settembre ore 21

Ingresso libero

In base alle norme vigenti, si prega confermare la partecipazione preferibilmente per mail (oppure per telefono al numero 339.6890613), comunicando il proprio recapito telefonico, entro le ore 12 di venerdí 25 settembre.


venerdì 18 settembre 2020

Roberto Massari a Tuscania Libri


 

In occasione della seconda edizione di Tuscania Libri, Roberto Massari presenta il suo ultimo lavoro "Volsinii etrusca nelle fonti greche e latine che rivoluziona profondamente la vulgata tradizionale sulla localizzazione del Fanum Voltumnae, centro religioso e politico della civiltà etrusca. Il libro, appena pubblicato, ha già suscitato vivaci polemiche e persino interventi censori da parte degli amministratori del Museo di Bolsena. Un motivo di più per leggerlo, perché i libri si possono criticare, ma non cancellare. E comunque l'amico Massari, da sempre editore e scrittore da battaglia, non è tipo da lasciarsi intimidire. Ma avremo presto occasione di riparlarne.


martedì 8 settembre 2020

Cari compagni, stalinisti inconsapevoli.




Giorgio Amico

Cari compagni, stalinisti inconsapevoli


In un paese dove succede di tutto "a propria insaputa", è del tutto logico che si possa essere stalinisti senza saperlo, anzi ritenendosi campioni di democrazia.
E' davvero singolare infatti vedere l'accanimento con cui sostenitori di paesi a partito unico come Cuba o il Vietnam o la Cina e la Corea del Nord continuino ad accusare di fascismo o di golpismo chi al referendum voterà si al taglio dei parlamentari, legge peraltro largamente votata dall'attuale parlamento. Fatemi capire: l'Italia con 600 parlamentari, rappresentanti di tutte le sensibilità politiche, dicentebbe un paese semifascista mentre Cuba, dove non esiste libertà di voto, continua a rappresentare il faro luminoso della libertà? Vorrei che qualcuno mi spiegasse. Sarò limitato, ma non capisco. O forse capisco anche troppo bene. Sono abbastanza vecchio per ricordare di persona, come Togliatti e il PCI esaltassero la grande e vera democrazia sovietica,quella fondata sul Gulag, e non perdessero occasione per definire fascista e servo degli USA chi osasse avanzare qualche obiezione in merito. Io stesso nel 68 ai tempi della Cecoslovacchia invasa per aver parlato, incautamente lo ammetto, di imperialismo sovietico mi presi non poche botte di fascista e anche qualche botta vera, poco dialettica ma molto fisica.Possibile, cari compagni, che la storia non vi abbia insegnato nulla e che, nonostante tutto quello che è successo negli ultimi 30 anni, il vecchio vizio staliniano di demonizzare l'avversario e di considerarsi gli unici depositari della verità rispunti sempre fuori? A questo punto devo pensare che lo stalinismo non sia nemmeno più una concezione politica, ma uno stato mentale.


Salinari, Quei ragazzi col ciuffo




Il significato profondo di un apparato che torna periodicamente: il ciuffo, dalle ascendenze fiabesche, che lo collegano al mondo dell'avventura ribelle e a quello della magia.

Raffaele K. Salinari

Quei ragazzi col ciuffo


«Mi han detto che ti piacciono i ragazzi col ciuffo, mi han detto che ti piacciono i tipi come me, ed io mi sono fatto crescere i capelli, per farmi guardare da te, ye, ye, ye, ye, ye, ye, ye, ye». Così cantava Little Tony nei lontani anni ‘60 del secolo scorso, segno che anche in contemporanea all’emergente stagione Beat, quella dei capelli lunghi e fluenti sia per i ragazzi che per le ragazze, il fascino del «ragazzo col ciuffo», manteneva la sua centralità estetica, il suo fascino disfunzionale. Dopo quel periodo di splendore, però, il ciuffo sembrava eclissato da altre fogge, anche se ha sempre mantenuto una sua carsica presenza pronta a riemergere ciclicamente, tanto che oggi molti adolescenti ne sono dotati come particolare di una acconciatura che sempre si accompagna al gesto di aggiustarlo. E allora, che origini potrebbe rivelare questa particolare modalità di portare i capelli, e quale significato potrebbe avere il gesto di rassettarli toccandosi così la fronte, sede naturale del ciuffo?

Kairos

Se indaghiamo le ascendenze mitologiche del ciuffo, cioè le sue origini archetipiche, quelle che precedono la moda poiché la creano nel suo significato cosmetico-cosmologico, cioè di creazione dell’Ordine dal Caos, arriviamo immancabilmente alla figura di Kairos. Nelle raffigurazioni allegoriche dell’antica Grecia Kairos, il tempo dell’opportunità, dell’occasione, del soggettivo, è contrapposto a Kronos, quello lineare ed oggettivo della quantità, degli orologi. Il dio ha appunto un ciuffo di capelli sulla fronte, per poterlo «acciuffare», ma la nuca è calva poiché, una volta passato, non torna. C’è ancora uno splendido bassorilievo, risalente al III secolo a.C.: il dio vi è raffigurato come un giovane nudo, che corre rapido sui talari; ora si trova al Museo Municipale della città croata di Traù, l’antica Tragurium romana.

L’artista greco Lisippo aveva scolpito una statua di Kairos che teneva presso il cortile della sua casa, nella città ellenica di Sikyon. Sul piedistallo dell’opera era inciso un epigramma di Posidippo: «E chi sei tu? Il Tempo che controlla tutte le cose. Perché ti mantieni sulla punta dei piedi? Io non corro mai. E perché hai un paio di ali sui tuoi piedi? Io volo con il vento. E perché hai un rasoio nella mano destra? Come segno per gli uomini che sono più tagliente di qualsiasi lama. E perché hai dei capelli davanti al viso? Per colui che mi incontra per prendermi per il ciuffo. E perché, in nome del cielo, hai la parte posteriore della testa calva? Perché nessuno che una volta ha corso sui miei piedi alati lo faccia ora, benché si auguri che accada, mi afferri da dietro. Perché l’artista ti ha foggiato? Per amor tuo, sconosciuto, e mi mise su nel portico come insegnamento».

Già qui notiamo le convergenze tra la giovinezza, il ciuffo, e la figura di Kairos. In questo periodo della vita, quando ancora tutto è possibile, quando i dispositivi della normalizzazione non hanno sedimentato quel disincanto cui diamo il nome di maturità, tutto è Kairos: a noi tutti è sembrato di volare come lui sui talari, magari verso il primo amore, mentre il ciuffo ci indicava la strada dell’opportunità, dell’avventura. Ed anche se il ciuffo non era sulla nostra fronte come tale, bastava un soffio di vento a crearlo anche giusto per un momento, come noi stavamo facendo con la nostra vita. «Il vento vuole sempre giocare con i tuoi capelli» diceva Gibran, e cosa più del ciuffo cairologico, istantaneo, generato dallo zefiro improvviso, simboleggia la libertà dello spirito? Vento nei capelli, vento nei pensieri… Ecco perché, se ci pensiamo bene, alla vista di un «ragazzo col ciuffo», torna per un momento in noi la consapevolezza che subiamo un’epoca di coscienza infelice, nella quale avvertiamo confusamente la necessità di orientare la molteplicità dispersa dei nostri pensieri proprio in una prospettiva cairologica: rinascere «nell’assentimento alla legge d’armonia che collega e unisce ogni cosa nell’Universo», come dice l’egizio Plotino; lasciare la plumbea dittatura di Kronos, il dio che divora i suoi stessi figli, per praticare la leggerezza alata, ma non per questo meno impegnativa, anzi, di Kairos. Questa «metamorfosi degli dèi», come diceva Jung, ossia dei principi e dei simboli fondamentali che governano la nostra esistenza, nasce anche dall’evidenza che siamo pericolosamente al limite degli equilibri vitali complessivi, come la pandemia di Covid-19 ha ampiamente dimostrato.

Dai Promessi sposi ai Teddy Boys

La parola ciuffo deriva forse dal longobardo zupfa, simile al tedesco Zopf, che significa appunto ciuffo o treccia. Il dizionario Treccani così ci dice, aggiungendo, a mo’ di esempio: «ciocca di capelli che scende sulla fronte o sta ritta sul capo: i bravi di mestiere … usavan portare un lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una visiera». Ecco che qui traspare un’altra caratteristica, per così dire essenziale e del tutto complementare alla prima, del ciuffo: il suo lato «ribelle». Ciuffo e ribelle, infatti, sono due parole che vanno, non a caso, sovente insieme. E questo ci dice che la foggia dei capelli messi in quel modo vuole spesso simboleggiare proprio questa caratteristica. La ciocca sulla fronte o che, come nel caso dei Bravi di Don Rodrigo, può essere usata addirittura come maschera, emana sempre un ché di incoercibile, che non può essere costretto, fissato, composto: un qualcosa di ribelle appunto, un particolare che illumina tutta una maniera di essere.

E qui entriamo nel grande campo dei rebel without a cause, di quella «gioventù bruciata» immortalata nell’omonimo film del 1955 diretto da Nicholas Ray con un mitico James Dean che sfoggia il celebre ciuffo. Dall’altra parte dell’Atlantico, non a caso, si vivono le stesse dinamiche esistenziali. Sono gli anni in cui il nostro Tony Renis, a Londra per cominciare la sua carriera di rocker, si fa crescere il ciuffo. Lungo il Tamigi incontriamo infatti i Teddy Boys, una delle bande di giovani proletari che, insieme ai Blouson Noir francesi, rappresentavano le prime manifestazioni di contestazione generica, anarcoide, senza una causa appunto, del «sistema». Tanto per misurare la distanza ideale, se non ideologica, tra quel periodo ed il ’68, basti citare un altro film, completamente diverso, ma altrettanto iconico, Barbarella, di Roger Vadim con l’attivista Jane Fonda, in cui il capo dei rivoluzionari contro il tiranno di turno, riassume all’avvenente agente segreta terrestre il credo del suo movimento: «chi non ha causa non ha effetto».

Ebbene, in quegli anni, invece, a maggior ragione il ciuffo esprimeva, insieme agli altri particolari dell’abbigliamento, una rabbia spesso inconsulta, ancora non politicizzata, spesso rivolta contro se stessa, come dimostra il fatto che i Teddy Boys si riunivano in bande che sovente si scontravano ferocemente fra loro. Fra gli scontri più violenti si ricordano i fatti di Notting Hill del 1958. Negli anni successivi il ciuffo diventa caratteristica stilistica dei Rocker, altra tendenza giovanile degli anni ’60 che si contrapponevano ai Mods. Non è questa la sede per analizzare in dettaglio la storia delle differenze, e dunque delle immancabili analogie, tra i due blocchi contrapposti, che sfociarono nella leggendaria battaglia nel 1964 a Clacton. Sempre per rimanere nell’ambito delle citazioni filmiche basterebbe andarsi a rivedere Quadrophenia, la pellicola del 1979 tratta dall’omonima opera rock degli Who. Naturalmente corre l’obbligo di citare la presenza del ciuffo sulla fronte di cantanti iconici di questo periodo, da Little Richard ad Elvis Presley, ben ondeggianti sulla fronte a tempo di rock a significare il tono ribelle ed irriverente della loro musica, inclusi i tanti epigoni rockabilly.

Infine, per chi volesse immergersi nell’ossimoro, ricordiamo Ricky Shayne, che nel 1965 incise il pezzo Uno dei Mods avendo in tutto e per tutto l’aspetto, ciuffo ipertrofico incluso… di un Rocker. Anche nei fumetti di quegli anni il ciuffo connotava personaggi ribelli e poco socializzati: basti pensare alla testata Il Monello dove campeggiava un ricciuto e ciuffato ragazzino dallo sguardo assai birichino, ed a personaggi come Accio, Superbone e Narciso Putiferio, contrapposti al bravo bambino Cuoricino, dotato di un taglio molto composto.

Richetto dal ciuffo e ciuffettino

Ma il ciuffo ha anche ascendenze fiabesche, che lo collegano non solo al mondo dell’avventura ribelle, ma anche a quello della magia. In qualità di attributo magico, infatti, lo troviamo in diverse favole tra cui le più significative sono certamente due: Enrichetto dal ciuffo e Ciuffettino.
Riquet à la houppe (Enrichetto dal ciuffo) è il titolo di una fiaba popolare francese, resa celebre dalla versione di Charles Perrault del 1697. La storia è quella legata al magico potere del ragazzo col ciuffo di «regalare lo spirito» a chi gli garbava. In particolare Enrichetto sceglie come oggetto del suo potere una bella principessa totalmente stupida alla quale però, in cambio dell’amore incondizionato, concederà il suo dono. La bella, infatti, lo incontra in un bosco dove si era ritirata a piangere sulla sua assoluta mancanza di spirito. «Se non è che questo, signorina, io posso facilmente far cessare le vostre pene. – E come farete? esclamò la principessa. – Io ho il potere, signorina, disse Richetto dal ciuffo, di dare tutto lo spirito possibile e immaginabile alla persona da me amata; e poiché questa persona siete proprio voi, signorina, da voi solo dipende aver quanto spirito volete, purché acconsentiate a sposarmi». La favola, naturalmente, dopo varie peripezie, ha un lieto fine: la principessa dotata di spirito si ricorda, mercé il dono magicamente ricevuto, di poter rendere bello chiunque avesse amato, e dato che Enrichetto era brutto assai, ecco la mutua trasformazione: lei spiritosa ed intelligente, lui bello ed aitante. Qui il ciuffo è indicato, dalla nascita di Enrichetto, come il contenitore stesso del suo potere trasformativo, un vero e proprio dispositivo dello spirito, caratteristica che tornerà, come vedremo tra poco, negli studi di Giorgio Agamben sul Genius.

Anche Ciuffettino è molto significativo del potere magico insito nel ciuffo. Il protagonista di questo racconto è un personaggio il cui fortunato esordio risale al 1902, nell’omonimo libro scritto e illustrato da Yambo, al secolo Enrico Novelli (Pisa, 5 giugno 1876 – Firenze, 29 dicembre 1943). Ecco come il piccolo Ciuffettino viene presentato: «Un bambinetto alto quanto… eh no, il solito soldo di cacio non lo dico, neanche se mi bastonano. Mettiamo tanto per cambiare, alto come una pianta di basilico. La faccia sarebbe stata passabile, anzi, piuttosto carina, se lui l’avesse sempre tenuta pulita: ma siccome si lavava due volte la settimana per finta, così era nera e brutta come un carboncino. Egli portava fieramente, ritto su la fronte, un ciuffo immenso di capelli che gli dava un’aria curiosa, e lo faceva somigliare ad uno spolvera-mobili. E lui ci teneva, sapete, al suo ciuffo! Guai se qualche amico gli consigliava giudiziosamente di farselo tagliare! Appena Ciuffettino ebbe cinque anni, il babbo lo mandò a scuola. Bisogna premettere, a lode del nostro eroe, che era venuto su un monello di prima forza: svogliato, bugiardo, sfacciato, sporco… Basta: a sei anni, Ciuffettino era più asino che a cinque.

A sette, peggio che mai. A otto, non ve ne parlo. A nove…». Come si vede siamo di fronte ad un epigono dell’archetipo stesso del bambino ribelle ed infingardo: Pinocchio che, come Ciuffettino, alla fine compirà la sua metamorfosi attraversando le diverse prove iniziatiche che il grande Collodi, Libero Muratore, gli fa esperire. Ora, la cosa interessante, è che le avventure di Ciuffettino, veramente fantasmagoriche, vedono nel ciuffo una specie di antenna rabdomante che lo spinge, in una atmosfera francamente onirica, insieme al fido cane che si chiama, guarda caso Melampo, a visitare popoli e paesi fantastici sino al ritorno, finalmente «maturo», al suo paesello di origine che, chissà perché, si chiama Cocciapelata!.Significativo è che in ogni avventura c’è un dato che sempre ritorna: tutti vorrebbero tagliargli il ciuffo!
Genius

«I latini chiamavano Genius il dio a cui ciascun uomo viene affidato in tutela al momento della nascita. L’etimologia è trasparente ed è ancora visibile nella nostra lingua nella prossimità fra genio e generare. Che Genius avesse a che fare con il generare, è del resto evidente dal fatto che l’oggetto per eccellenza «geniale» era, per i latini, il letto: genialis lectus, perché in esso si compie l’atto della generazione. E sacro a Genius era il giorno della nascita, che per questo noi chiamiamo ancora genetliaco». Così Giorgio Agamben, nella raccolta di saggi brevi Profanazioni (2007), definisce le caratteristiche del Genius. Ora, ciò che a noi interessa, per concludere questo excursus sul ciuffo, è il gesto che richiama alla mente il Genius di ognuno di noi, inteso qui non solo come nume personale, ma come essenza stessa del nostro essere, ciò che ci rende unici e dunque che in qualche modo contribuisce, o forse è alla radice stessa, del nostro processo di individuazione.

Senza entrare ulteriormente nei risvolti psicologici di questo processo, richiamiamo qui allora solo l’atto di toccarsi la fronte quando dobbiamo ricordarci qualcosa, o quando qualcosa che già sapevamo ci appare però nel suo significato più intimo e veritiero, sotto un’altra luce. In sintesi quando siamo in presenza di un momento di consapevolezza del nostro essere. Ecco che allora possiamo pensare che i «ragazzi col ciuffo», che in continuazione si toccano la fronte per rassettarlo, utilizzino questo espediente come continua forma di rammemorazione del loro essere, come gesto autopoietico del cammino verso la coscienza del sé. E qui il cerchio aperto dal dio Kairos sembra così chiudersi per poi immediatamente trasformarsi nella spirale delle continue trasmutazioni che ognuno di noi vive nella propria esistenza, anche mercé un ciuffo di capelli che, seppure su molte delle nostre teste non appare più come tale, resta pur sempre, come Genius nella nostra essenza più profonda.

Il manifesto del 5 settembre 2020

mercoledì 2 settembre 2020

Ancora su Massoneria e Costituzione




Giorgio Amico

Ancora su Massoneria e Costituzione

Avvicinandosi la data del referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari si infittiscono su Facebook le denunce di un presunto complotto massonico mirante allo smantellamento della Costituzione. Ipotesi deliranti, come ogni teoria complottistica, ma anche frutto di una diffusa ignoranza su come la nostra costituzione è nata.

In genere si dice che la Costituzione italiana sia stata soprattutto il frutto dell'incontro delle due grandi componenti popolari comunista e cattolica. Il che è vero, ma solo parzialmente. Quasi tutti ignorano infatti che importante, a livello ideale perchè la Massoneria non è una entità politica, fu anche il ruolo della Massoneria. Pochi infatti sanno che dei 75 padri costituenti, 8 erano massoni a partire dal Presidente della Commissione Meuccio Ruini, iniziato nel 1901 e perseguitato dal fascismo proprio per la sua irriducibile fedeltà alla causa massonica.

Meucci Ruini sintetizzò così il lavoro della Commissione costituente da lui presieduta:

“Nello  sforzo di conquistare stabilmente la libertà e di ancorarla ad una sfera di valori alti, convergono correnti profonde: dalle democratiche fedeli agli ‘immortali principi’ e dalle liberali che invocano ‘la religione della libertà’; alla grande ispirazione cristiana che rivendica a sé la fonte eterna di quei principi ed all’impulso di rinnovamento che muove dal Manifesto dei comunisti e che, per combattere lo sfruttamento di una classe da parte di un’altra, risale alla liberazione dell’uomo dal giogo dell’uomo; e cioè ai suoi inalienabili diritti”.

Una dimostrazione di tolleranza e di democrazia a conferma di come molti dei principi compresi nella prima parte della Costituzione siano di diretta derivazione massonica e si ispirino appunto agli “immortali principi” sintetizzati dal trinomio libertà, eguaglianza, fratellanza, nato con la rivoluzione francese, che campeggia in ogni loggia sopra lo scranno del Maestro Venerabile.




Sinistra per Israele