giovedì 19 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 10. L'espulsione dal partito

 


Nel marzo 1930 Bordiga è espulso dal Partito comunista, ma la cosa pare lasciarlo indifferente.

Giorgio Amico

10. L'espulsione dal partito

A gennaio 1930 la Direzione del Partito rompe gli indugi e apre una campagna politica contro Bordiga finalizzata ad assuefare la base all'idea di una possibile espulsione di quello che per la maggioranza dei compagni restava ancora il fondatore del Pcd'I e il suo più autorevole rappresentante. In una comunicazione ai Comitati regionali l'Ufficio politico, in data 28 gennaio 1930, dichiara che « dagli elementi appurati sinora risulta che A. Bordiga si è comportato in modo tale ed ha assunto tali posizioni ideologiche e politiche che richiedono la sua esclusione dagli organi dirigenti del Partito e dal Partito stesso». [1]

L'Ufficio Politico decide quindi l'apertura formale di un'inchiesta più ampia finalizzata alla discussione di una possibile espulsione che comunque allo stato delle cose appare ormai decisa. Comunque, secondo le regole non scritte ormai in uso nell'Internazionale comunista, è necessario sentire prima il parere della “casa madre” moscovita. E' Ruggero Grieco a intervenire sull'I.C. con una informativa estremamente critica sulle posizioni manifestate da Bordiga a Ponza rispetto alla politica dell'Internazionale. Non solo l'assenso dei russi sarà totale, ma la Direzione del partito italiano sarà duramente criticata per non aver ancora preso provvedimenti:

“A Mosca – dichiara Di Vittorio – i compagni dell'Internazionale hanno criticato il partito quando hanno saputo che Bordiga non era ancora stato espulso dal partito stesso”. [2]

In una riunione del Comitato centrale tenutasi il 20 marzo a Liegi si discute della relazione di Berti, così come dell'esito negativo dell'incontro avvenuto a Napoli tra l'emissario del Centro, Giorgio Amendola, e Bordiga. Nella discussione di tratta anche, ovviamente in termini negativi, dell'attività professionale svolta a Ponza come ingegnere: 

«Quale sarà - si chiede Di Vittorio - l'impressione degli altri isolani? E quale l'impressione degli operai i quali vedono Bordiga fare questa domanda mentre noi andiamo dicendo che gli operai ivi confinati stanno malissimo?». [3] 

Grieco ricorda che Bordiga, una volta liberato, non ha cercato in alcun modo di riprendere contatto con il Partito. Al termine della discussione è Togliatti a proporre l'espulsione per 

«a) avere Bordiga preso posizioni politiche le quali non sono conciliabili con la permanenza nell'IC, per precisa decisione del IX Plenum dell'IC e del VI Congresso mondiale; b) aver condotto un lavoro di frazione e di disgregazione del partito; c) aver tenuto alla fine del suo periodo di deportazione un atteggiamento non conciliabile con la permanenza nel partito». [4] 

Il comitato Centrale approva la proposta all'unanimità, anche con i voti di Pietro Tresso, Alfonso Leonetti e Paolo Ravazzoli destinati ad essere di lì a poco a loro volta espulsi per il dissenso manifestato verso l'azione svolta dal Partito in Italia. I “Tre”, come verranno definiti, prenderanno immediatamente contatto con Trotsky e formeranno la Nuova Opposizione Italiana, sezione dell'Opposizione di Sinistra Internazionale di ispirazione trotskista. Leonetti nelle sue memorie contesta la versione ufficiale data dal partito, secondo la sua testimonianza sulla decisione di espellere Bordiga non ci fu unanimità:

“Si discusse infine del «caso Bordiga». Relatore Giuseppe Berti, che proveniva dall'isola di Ponza dove era stato confinato con Bordiga e che ora se ne faceva il «pubblico accusatore». […] Si mise ai voti l'espulsione di Bordiga e la votazione avvenne per alzata di mano. Alla controprova, né io né Tresso alzammo la mano. Per debolezza, stanchezza, frustrazione? Forse tutto questo insieme. Risultato: Bordiga venne dichiarato espulso all'unanimità. Ma non era così. L'unanimità non c'era, proprio come essa mancò in molte altre decisioni prese unanimemente”. [5]

Dell'espulsione fu data immediatamente notizia con un comunicato del Comitato centrale pubblicato su Lo Stato Operaio, la rivista mensile che il partito faceva uscire a Parigi:

“Il Comitato Centrale del Partito Comunista d'Italia

Considerato che la IX riunione plenaria del Comitato esecutivo dell'Internazionale Comunista ha deciso che la adesione e la difesa dei punti di vista della opposizione trotzkista non è compatibile con la permanenza nelle file della Internazionale Comunista e delle sue sezioni, decisione che è stata confermata dal VI Congresso mondiale. Considerato che Amadeo Bordiga ha sostenuto, difeso e fatto proprie le posizioni della opposizione trotzkista ed è l'esponente di una corrente che fa parte di questa opposizione. Considerato che le posizioni ideologiche e politiche di questa corrente non solamente sono in contrasto profondo, di carattere programmatico, con la linea política della Internazionale e del Partito, ma tendono oggi a coincidere con le posizioni opportuniste e liquidatrici delle correnti di destra che l'Internazionale e il Partito combattono con il più grande accanimento. Considerato che la opposizione trotzkista è oggi di fatto una organizzazione controrivoluzionaria, la quale conduce sistematicamente la lotta contro il comunismo e contro la Unione Sovietica per spezzare le file del partito mondiale della rivoluzione. Considerato che A. Bordiga ha dato le direttive e ha svolto una attività frazionistica, di disgregazione del partito, e che a lui si richiamano i peggiori elementi disgregatori, che il Partito ha cacciato come nemici. Considerato che A. Bordiga, finito il periodo di tre anni di deportazione, se è comportato in modo non degno di un comunista e di un combattente della rivoluzione proletaria.

DICHIARA AMADEO BORDIGA ESPULSO DALLE FILE DEL PARTITO COMUNISTA D'ITALIA, chiedendo al C.E. della I.C. di ratificare questa decisione.

Pone all'ordine del giorno del Partito la lotta per la liquidazione definitiva dei residui dell'infantilismo sedicente «di sinistra», il quale non è altro che una forma di opportunismo, che impedisce al Partito di riconoscere e di adempiere i propri compiti di guida della classe operaia nella rivoluzione”. [6]

La Frazione di sinistra riprenderà la notizia dell'espulsione con molto ritardo. Sul numero 31 del 1 giugno 1930 di Prometeo, che esce a Bruxelles come organo quindicinale del gruppo, viene ripreso il comunicato del Comitato Centrale comunista accompagnato da una nota di commento a firma della Commissione Esecutiva della Frazione che in un italiano un po' traballante inizia così:

“Dunque Amadio [sic] Bordiga, il capo della tendenza che portò alla fondazione del partito comunista, l'espressione ferma, implacabile e costante degli interessi del proletariato rivoluzionario, il portavoce della corrente proletaria nel seno del partito socialista, quegli che attraverso la tormenta della guerra, del successo rivoluzionario in Russia, aveva saputo scorgere nel fracasso delle folle di opportunisti tinti di scarlatto, il nucleo degli elementi che volevano combattere per la rivoluzione, quegli che dipoi fondava il partito comunista nella mischia della guerra civile, quegli che nell'Internazionale, levò per primo, la voce contro la minaccia dell'opportunismo, Amadeo Bordiga è espulso dal partito”.

Il comunicato continua poi con toni enfatici contro i “signori centristi”, il termine stalinista non era ancora entrato nell'uso corrente, che “sotto la bandiera dell'antitrotzkysmo” operano per “distruggere l'organo del proletariato in Italia per trasformarlo in un'appendice dell'opportunismo trionfante che ha preso alla gola la rivoluzione in Russia”. Per concludere infine:

“E al grido di Viva il Comunismo che noi accogliamo la nuova impresa dell'affarismo centrista. E da questa impresa noi ricaviamo il fermo incitamento a moltiplicare il nostro lavoro. Solo su questo cammino il proletariato vincerà la sua battaglia malgrado e contro i signori centristi. Viva Amadeo Bordiga!”. [7]

Decisamente più efficace anche per incisività politica, il commento dei socialisti apparso su l'Avanti! a firma dell'ex deputato socialista Fernando Garosi:

“Bordiga è stato espulso dal PC non per i suoi errori del passato (da lungo tempo amnistiati dai dirigenti di Leningrado, che gli avevano offerto persino la vice-presidenza della Terza Internazionale – se i miei ricordi sono esatti – subito dopo la sua eliminazione dalla direzione dell’Esecutivo Italiano) ma per il suo atteggiamento contrario allo stalinismo trionfante. La motivazione dell’espulsione – controrivoluzionario, traditore, ecc. – è, al solito, sbalorditiva e dimostra ancora una volta che le persone intelligenti e in buonafede non hanno più diritto di cittadinanza nel PC, dove la follia della epurazione assume proporzioni addirittura fantastiche. Chi potrà ormai più salvarsi dalla “charrette” staliniana?! Trotski, Racovsky, Bordiga, Tasca e tanti, tanti altri, eliminati come nemici del proletariato, come disprezzabili piccolo-borghesi!!! Chi dunque è rivoluzionario nel PC Ufficiale? Che resta a fare ancora agli attuali dirigenti della Terza Internazionale per disonorare un movimento, già così glorioso?... Punti interrogativi che non avranno per risposta che delle ingiurie. Il fatto però rimane, brutale e assurdo. Il dittatore russo non vuole, nel suo partito, degli uomini, ma dei servi; della gente cioè che dica sì e no a seconda dei suoi ordini. Ecco la verità. Il grande pontefice e i sottopaperottoli non si facciano però illusione alcuna: finché durerà il mondo vi saranno pure degli esseri amanti della libertà di pensiero e capaci di lottare contro tutte le tirannie”. [8]

Un anno più tardi, dal 14 al 21 aprile 1931, in un albergo situato in un luogo isolato fra Colonia e Dusseldorf si tiene il Quarto congresso del Partito Comunista d'Italia. Il Congresso conferma la linea del Terzo periodo e approva l' espulsione di Bordiga, oltre che degli altri dirigenti nel frattempo caduti in disgrazia, Tasca e i “Tre”. Nelle sue memorie Giorgio Amendola ne ha lasciato una viva descrizione da cui ancora una volta emerge la delusione profonda provocata in lui dall'atteggiamento rinunciatario di Bordiga:

“Il congresso convalidò le espulsioni di Tasca, di Bordiga e dei «tre». Alla condanna definitiva di Bordiga diedi anche il mio contributo. Avevo scritto un rapporto nel quale denunciavo il comportamento dell'ex segretario del partito. Egli aveva, dopo l'arresto e la condanna di Sereni e Rossi Doria, accusato i dirigenti del partito di restare sicuri a Parigi e di mandare allo sbaraglio i «poveri fessi». Aveva respinto l'offerta che gli avevo fatto, a nome del centro, di dargli i mezzi (passaporto falso e denaro) per uscire illegalmente dal paese e giungere a una spiegazione politica. «Ma mi credono un imbecille!...»La mia denuncia non era una mossa per ingraziarmi il centro del partito e quello dell'Internazionale comunista, ma l'espressione di una sincera convinzione e del disgusto provocato dal suo atteggiamento passivo e conciliante con il regime”. [9]

Secondo Spriano la notizia dell'espulsione di Bordiga non suscitò particolari reazioni nella base del partito salvo una vivace polemica in una cellula di Livorno. [10] In realtà lo sconcerto fu profondo e non solo alla base, ma anche fra i dirigenti che pure avevano approvato il provvedimento. Preziosa a questo proposito la testimonianza di Camilla Ravera:

“Bordiga aveva ormai dimostrato non soltanto di rimanere immobilmente chiuso nelle sue posizioni, dalla stessa realtà smentite e condannate, ma di non essere un dirigente politico, un combattente rivoluzionario. E tuttavia la sua definitiva perdita lasciò in noi una amara tristezza. Era un dottrinario dogmatico, utopista, che spingeva il suo schematico dogmatismo a limiti estremi all'assurdo. Ma era stato un compagno che sapeva farsi amare, umanamente comprensivo sempre e, nella vita di partito, aperto e leale. Era stato fra i creatori del partito e se ne andava così: al di fuori di lotta, per tutti noi tanto accesa, dura e necessaria”. [11]

Anche Luigi Longo, allora tra i più duri verso Bordiga forse anche perchè giovanissimo era stato un suo fedele seguace, nelle sue memorie cercherà di stemperare la cosa, di trovare comunque una spiegazione ad un comportamento che nel 1930 appariva difficilmente spiegabile se non nei termini schematici del tradimento del partito, dei compagni e della causa stessa del comunismo:

“Questo estraniarsi fu conseguenza, credo, del suo temperamento; dato che nella situazione politica creatasi non c'era posto per un'azione politica come egli la intendeva, si ritirò. Non era il caso, secondo lui, di perdere tempo e di compromettersi in una politica a suo giudizio così inutile”. [12]

Quanto a Bordiga, alla notizia della sua espulsione, egli ostentò una sprezzante indifferenza. Un atteggiamento di cui volle immediatamente far partecipi le autorità di polizia. Come ricorda in un passo del suo libro Franco Livorsi:

“In ACS, CPC, 811/1-2-3 c'è una dichiarazione di Bordiga formulata in forma indiretta al questore di Napoli, in data 13 maggio 1930, in cui si legge: «La notizia dell'espulsione gli è giunta totalmente nuova e “gli” è rimasta estranea e indifferente come immutata lascia “la sua” attitudine e condotta.». [13]

Livorsi riporta la notizia in una noticina a fondo pagina, non attribuendole dunque un particolare significato. In realtà il documento è molto importante, in quanto rappresenta il primo di una serie di messaggi in cui Bordiga, pur ribadendo orgogliosamente i suoi orientamenti ideologici, rassicura le autorità di polizia che devono vegliare su di lui, sul suo assoluto distacco dalla militanza comunista e sulla sua ferma intenzione di non svolgere più alcun tipo di azione politica. In questo caso poi, non si tratta di una comunicazione “indiretta”, come scrive Livorsi, ma di una lettera che Bordiga invia spontaneamente al Questore di Napoli per chiarire la sua posizione, usando un tono ossequioso che non tralascia né di usare le formule di cortesia di “Illustrissimo Signore” e “Vostra Signoria Illustrissima” allora in uso verso le autorità, né di scrivere la data secondo il calendario fascista. La riportiamo per intero:

“All'Ill/mo Signor Questore

NAPOLI

Alcuni giornali hanno pubblicato una notizia che riguarda la mia persona e che non può essere sfuggita all'Autorità che V.S. Ill/ma rappresenta, mentre è suscettibile di varie interpretazioni che potrebbero nuocermi.

Mi sembra perciò necessario affermare in linea di fatto che non avendo io dal mio ritorno dal confino compiuto alcun atto di carattere politica, o avuto alcun contatto o rapporto di tal natura con chicchessia, nessuna mia partecipazione od intervento ha preceduto il giudizio che, a tenore della detta notizia, un “Comitato Centrale del Partito Comunista d'Italia” avrebbe pronunziato a mio riguardo.

La notizia stessa mi è quindi giunta totalmente nuova e mi è rimasta estranea e indifferente, come immutata lascia la mia attitudine e condotta.

Ciò per la verità dei fatti che credo aver interesse e diritto di far risultare nei rapporti delle Autorità.

Prego V.S. Ill/ma di gradire i miei ossequi.

F.to Amadeo Bordiga

Napoli, 13 maggio 1930 (anno VIII)”. [14]

Dalla lettera appare chiaro l'intento di Bordiga di orientare a suo favore il rapporto che sugli effetti della sua espulsione di sicuro l'autorità preposta alla sua vigilanza, è cioè il Questore di Napoli, avrebbe inviato alla Direzione della polizia politica. Un atteggiamento che lascia perplessi e che si spiega solo con quella “paura anche e soprattutto fisica” a cui, come si ricorderà, aveva accennato Onorato Damen. Ma c'è di peggio. Dopo aver riprodotto il testo della lettera, Roberto Gremmo, che pure con il suo libro intende difendere Bordiga dalle calunnie degli stalinisti, aggiunge nuovi particolari che confermano, lo vedremo ancor meglio in futuro, come l'ex capo del Partito comunista ponga fin dall'inizio del suo ritorno a Napoli la massima cura a mantenere aperto un canale di comunicazione con gli organi del regime e questo mentre rifiuta ostinatamente ogni contatto con quei militanti comunisti, come Ottorino Perrone, che pure gli sono rimasti fedeli. Scrive Gremmo citando passi di un rapporto del 16 maggio 1930 dell'Alto Commissariato per la Città e la Provincia di Napoli, cioè dell'organo preposto alla sicurezza del regime e alla repressione dell'antifascismo:

“ [Bordiga] poi chiese ed ottenne udienza dal questore per ribadire di non aver più svolto attività politica da anni giudicandola «sterile ed inutile» e d'essersi impegnato esclusivamente nella professione anche se mostrò d'essere tutto sommato «soddisfatto del provvedimento adottato nei suoi confronti se non nella forma usata, che egli rit(eneva) alquanto insidiosa (ma perché) il provvedimento (veniva) a separare definitivamente e chiaramente le di lui responsabilità da quelle degli attuali dirigenti»”. [15]

Alla luce di questi documenti, è davvero difficile comprendere l'ostentata sicurezza con cui Basile e Leni, che pure si presume fossero a conoscenza di questi materiali nel momento in cui scrivevano la loro biografia politica di Bordiga, affermano che il comunista napoletano mai venne a compromessi “anche minimi” con il fascismo. Ma come Bordiga si accomodò a convivere con il regime sarà argomento delle prossime puntate.

Note

1. P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, cit., p. 255n.

2. Ibidem.

3. Ivi, p. 256.

4. Ibidem

5. Alfonso Leonetti, Un comunista (1895-1930), Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 176-77.

6. Risoluzione per la espulsione di Amadeo Bordiga, Lo Stato Operaio, n° 3, marzo 1930.

7. L'espulsione di Bordiga dal partito, Prometeo, n. 31, 1 giugno 1930.

8. Fernando Garosi, Il caso Bordiga, Avanti!, a. XXXV, n.20 (Seconda serie), Parigi, 25 maggio 1930.

9. Giorgio Amendola, Un'isola, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1982, p. 28.

10. P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, cit., p. 256n.

11. C. Ravera, Diario di trent'anni..., cit., p. 489.

12. L. Longo- C. Salinari, Tra reazione e rivoluzione, cit., pp. 219-20.

13. F. Livorsi, Amadeo Bordiga, cit., p. 354n.

14. Amadeo Bordiga all'Ill/signor Questore, ora in: R. Gremmo, Gli anni amari di Bordiga, cit., p. 67.

15. Ivi, pp. 67-68.


10. Continua