martedì 27 dicembre 2022

Hugo Pratt e la Massoneria

 


Giorgio Amico

Hugo Pratt e la Massoneria


“Curioso miscuglio di ascendenze franco-inglesi, giudaico-spagnole e turche, Hugo Pratt nasce veneziano e forma la sua adolescenza in Etiopia dove scopre il fascismo e I’amore, impara a disegnare e a detestare iÌ colonialismo. Nella Venezia liberata, indossa tutte le uniformi possibili, nemiche e alleate. A ventidue anni, s’imbarca per Buenos Aires, dividendo il suo tempo tra fumetti, viaggi e stravaganze mondane. Crea circa novemila tavole disegnate, da L’Asso di picche a Corto Maltese, personaggio culto dagli anni Settanta ai Novanta. Da un’avventura all’altra, compie più volte il giro del mondo, sulle tracce di Rimbaud, Stevenson, Jack London e tanti altri amici noti e meno noti.
L’altro viaggio è interiore. Esperto di cabala, iniziato al vudu, esploratore dell’arcano in sei o sette lingue apprese e parlate e in trentamila libri letti e collezionati, Hugo Pratt è il misterioso gentiluomo di Venezia che si incontra in questo libro assieme alle sue sorelle nere, ai suoi cugini indiani, alle sue donne, ai suoi personaggi, ai suoi amici e alla morte….”.

Così sul sito cong-pratt.com interamente dedicato alla vita e all'opera di Hugo Pratt viene presentato “Il desiderio di essere inutile”, splendido libro, arricchito da centinaia di disegni, acquerelli e foto, che raccoglie le interviste fatte al maestro del fumetto dal giornalista e ricercatore Dominique Petitfaux.

Chiunque abbia letto, anche distrattamente ammesso che ciò sia davvero possibile, una storia di Corto Maltese non può non restare affascinato dai continui richiami all'esoterismo, dal vudù alla massoneria. Eppure, come sottolinea Petitfaux, interrogato in merito Pratt restava nel vago o spostava il discorso su temi più generali senza scendere in particolari.

Lo stesso accade in questo libro: quando l'intervistatore gli chiede quale rapporto egli abbia con l'esoterismo. Hugo Pratt risponde così:

“Non ho abbandonato questo tipo di studi. Frequento dei circoli di iniziati e mi capita anche di tenere a battesimo i membri. Ma sarebbe da parte mia indelicato soffermarmi più a lungo su questi argomenti: in breve e semplicemente, dirò che i massoni mi hanno aiutato in alcuni punti quando stavo realizzando Favola di Venezia e che ho tuttora dei legami con loro. D'altronde, non si può dire che la la massoneria sia una società veramente segreta, dato che la maggior parte delle logge deve dichiarare alla polizia i propri membri: si tratta di una società discreta più che segreta”. (Hugo Pratt, Il desiderio di essere inutile, p. 347)

E alla discrezione più che al segreto è dovuta la risposta di Pratt, tanto che siamo facilmente in grado di svelarne il non detto.

Il grande maestro del fumetto, uno dei più grandi in assoluto, era stato iniziato al grado di apprendista il 17 novembre 1976 presso la Loggia “Hermes”, all'Oriente (giusto per usare la terminologia massonica) di Venezia. Loggia facente a sua volta parte della Gran loggia d'Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, anche conosciuta dal nome della sede come Gran Loggia di Palazzo Vitelleschi. Ne avrebbe fatto parte fino alla morte, avvenuta nel 1995 a 68 anni.

La sua carriera massonica era stata rapida. Il 27 aprile 1977 era stato elevato al grado di Compagno d'Arte e il 26 settembre di quello stesso anno a quello di Maestro. E con questo ultimo passaggio il suo percorso massonico poteva considerarsi concluso almeno per quanto riguardava l'apprendimento dei fondamenti dell'Istituzione.

Ma, a differenza del Grande Oriente d'Italia al cui interno operano diversi Riti a cui l'adesione è facoltativa, la Gran Loggia, erede della Massoneria di Piazza del Gesù nata dalla scissione del 1908, non opera di fatto distinzione fra Ordine e Rito, in questo caso il Rito Scozzese Antico e Accettato. E così l'11 novembre 1989 Hugo Pratt era stato ammesso al quarto grado del RSAA, quello di Maestro segreto, durante una tornata comune a Nizza delle logge di perfezionamento “La Serenissima” della GL degli ALAM e “L'Olivier Secret” della Grande Loge de France.

Sarà solo dopo la sua morte. In un articolo apparso nel 1998 su Officinae, rivista ufficiale della Gran Loggia, che il veneziano Luigi Danesin renderà pubblica l'appartenenza di Pratt alla Massoneria. Danesin ne è un membro influente, tanto che dal 2001 al 2007 sarà al vertice della GL degli ALAM come Gran Maestro dell'Ordine e Sovrano Gran Commendatore del Rito. Proprio lui, grande amico personale di Pratt, lo ha convinto ad aderire e se ne è fatto garante come presentatore.



A rivendicare con orgoglio l'appartenenza alla Massoneria di Hugo Pratt penserà poi nel 2012 con una grande mostra il Museo della Massoneria di Parigi che ne rilegge l'opera alla luce della Tradizione esoterica. Da allora, anche per i lettori più sprovveduti, diventerà chiaro perché il Libero Muratore Hugo Pratt avesse in una famosa tavola ambientata in una logga massonica, guarda caso veneziana, fatto dire al suo alter ego Corto Maltese: “Chi sono io? Sono un libero marinaio”.

Un libero marinaio navigante sulle rotte della Tradizione verso Oriente alla ricerca dell'isola fatata dove riti e simboli si incontrano nel segno dell'Armonia universale.



domenica 25 dicembre 2022

Albert Masó (Vega), Stalinismo trotskismo bordighismo negli scritti per Socialisme ou barbarie (1950-1965)

 


Giorgio Amico



Albert Masó (Vega). Una vita per la rivoluzione



Albert Masó March, meglio conosciuto come “Vega”, “R. Maille”, “Julio Gil”, nacque a Barcellona nel dicembre 1918 in una famiglia della piccola boghesia. Il padre era un contabile di idee moderatamente progressiste e simpatizzante del movimento nazionalista catalano, tanto da iscriverlo alla Scuola Blanquerna, istituto fondato nel 1923 e caratterizzato, oltre che da un acceso catalanismo, dalll'adozione del metodo Montessori e da una completa autonomia rispetto al sistema scolastico ufficiale. Una scuola d'élite, pensata per la nascente borghesia nazionalista catalana che il regime franchista si affrettò a sopprimere nel 1939 proprio per il suo carattere innovatore. Lì il giovane ricevette una solida educazione umanistica e tecnica.

Nonostante la contrarietà del padre, intorno ai sedici anni il giovane Albert iniziò a impegnarsi in politica. Una scelta a cui non fu estraneo, almeno secondo la testimonianza di Wilebaldo Solano suo compagno di lotta e amico di gioventù il rifiuto adolescenziale dell'autoritarismo della figura paterna e dell'ambiente della scuola che egli considerava troppo catalanista ed eccessivamente benpensante. Il suo lungo percorso politico iniziò nel gennaio 1934 con l'iscrizione alla organizzazione giovanile del Blocco Operaio e Contadino (BOC), partito di estrema sinistra, profondamente radicato nella classe operaia catalana, fondato nel 1931 e guidato da Joaquín Maurín. Nonostante la giovanissima età partecipò attivamente ai moti rivoluzionari dell'ottobre 1934, quando in risposta all'entrata nel governo di Madrid di ministri filofascisti, la città era stata paralizzata da un gigantesco sciopero generale seguita dalla dichiarazione di indipendenza della Catalogna dallo Stato spagnolo. Ne era seguito l'intervento dell'esercito e duri scontri con alcune decine di morti. Una partecipazione, quella del giovane Albert, talmente decisa da farlo reclutare nei “Gruppi di azione” del BOC, l'apparato di autodifesa del partito nei quali si mise presto in luce come uno dei militanti più decisi, tanto da partecipare a diverse azioni armate.

La militanza nel POUM

Con questi precedenti non stupisce trovarlo nel settembre 1935 tra i fondatori del POUM, il Partito operaio di unificazione marxista, nato dalla fusione del BOC con la Sinistra comunista di Spagna vicina all'opposizione trotskista e diretta da Andreu Nin. Nel luglio del 1936 partecipò attivamente ai combattimenti seguiti al colpo di stato militare del generale Franco, in prima fila nell'assalto alle caserme dell'esercito e della Guardia civil di Barcellona, tanto da essere ferito il giorno 19 nella presa della caserma Atarazanas. Nei giorni successivi fu inviato sul fronte aragonese con la prima colonna organizzata dal POUM. Combattè a Saragozza e a Huesca e poi a Tierz dove fu ferito nei duri combattimenti così ben descritti da Mary Low e Juan Breá nel loro Red Spanish Notebook. Dopo un breve periodo di cura nell'ospedale militare creato dal POUM neo locali del sanatorio di Alp, fece ritorno al fronte di Huesca.

Nel marzo-aprile 1937 in seguito al peggiorare della situazione in città e alla politica sempre più aggressiva degli stalinisti, insieme con altri miliziani rientrò a Barcellona per rafforzare le organizzazioni del partito. Da allora militò nella sezione del quartiere Gracia, roccaforte della sinistra rivoluzionaria nella capitale catalana, occupandosi in particolare della difesa del partito dalle provocazioni del PSUC, il partito comunista stalinista.

Fu arrestato mentre affiggeva manifesti che definivano controrivoluzionario il nuovo governo di Juan Negrín, composto da repubblicani, comunisti e socialisti di destra senza i ministri della CNT. Francisco Largo Caballero si era dimesso a causa del suo rifiuto di sciogliere il POUM. Alberto Vega fu rinchiuso nel Carcere Modello di Barcellona dove rimase solo 4 mesi grazie alla clemenza di un giudice contrario alla repressione dei dissidenti di sinistra orchestrata dagli stalinisti e sotto la supervisione del generale Alexander Orlov, capo del NKVD in Spagna.

In questa veste partecipò alle giornate sanguinose del maggio 1937 in cui gli stalinisti e i nazionalisti catalani presero il totale controllo della città liquidando le milizie anarchiche e poumiste e assassinando gli esponenti libertari italiani Camillo Berneri e Francesco Barbieri. Era solo il primo atto della liquidazione, pianificata a Mosca e attuata fsotto la supervisione politica di Togliatti, allora in Spagna a rappresentare l'Internazionale comunista, della sinistra rivoluzionaria. Il 16 giugno 1937 l'intero Comitato esecutivo del POUM fu tratto in arresto per tradimento e collusione con i generali fascisti. Il segretario del partito, Andreu Nin, fu sequestrato da una squadretta della polizia segreta russa di cui faceva probabilmente parte, ma la cosa non è stata mai definitivamente chiarita, anche l'italiano Vittorio Vidali, ferocemente torturato e poi ucciso per non aver voluto dichiarare pubblicamente, sul modello dei grandi processi staliniani, di essere un agente del fascismo.

Anche Albert Masó fu arrestato e detenuto fino al 5 novembre del 1937. Rimesso in libertà formò una cellula clandestina del POUM che la notte del 10 febbraio 1938 liquidò per vendicare la morte di Nin il capitano polacco León Narwicz, agente dei servizi russi infiltrato nel POUM dal NKVD. La esecuzione di Narwicz fu utilizzata come pretesto per l'arresto dei militanti del piccolo nucleo, la “Sezione Bolscevico-lenista di Spagna”, dell'Opposizione internazionale trotskista, Grandizo “Munis”, Jaime Fernández Rodríguez, l'italiano Domenico Sedran (Adolfo Carlini), Aage Kielso, Victor Ondik, Teodoro Sanz, Luis Zanon.

Nello stesso periodo Albert Masó, che non era stato minimamente sospettato della liquidazione di Narwicz, fu inviato al fronte come tenente in una brigata di fantería al cui interno creò e diresse una cellula clandestina del POUM ormai fuorilegge come organizzazione controrivoluzionaria.

Dopo la caduta di Barcellona, nel febbraio del 1939, durante la grande ritirata di ciò che restava dell'esercito repubblicano, attraversò la frontiera con il suo reparto e fu internato nel tristemente noto campo di concentramento di Argelès-sur-Mer, con i suoi 250mila internati uno dei più grandi di Francia.

L'esilio francese e l'avvicinamento alla sinistra comunista italiana

Evaso fortunosamente dal campo e rifugiatosi a Parigi, Masó costituì insieme a Luis Puig e Rafael García (giò commissario politico di un battaglione d'assalto repubblicano) un gruppo d'azione destinato a raccogliere con metodi rivoluzionari fondi per il mantenimento delle strutture del POUM in Francia. Le strutture di assistenza per i rifugiati politici spagnoli organizzate dai partiti della sinistra francese, SFIO e PCF, non prendevano infatti in considerazioni i militanti del POUM considerati traditori al servizio del fascismo.

Un'attività che gli costò due anni di carcere per rapina prima a La Santé e poi a Fresnes (1939-1941). Durante l'occupazione visse in clandestinità con documenti falsi, in una situazione di grande miseria che contribuì a minargli seriamente la salute. In questo periodo, di cui si conosce molto poco, entrò in contatto con Suzanne Voute (Frédéric), che nonostante la giovane età ( era nata nel 1922) era già un elemento centrale della sinistra comunista italiana a Marsiglia. Dotata di notevoli capacità teoriche, tanto da diventare poi a partire dagli anni Cinquanta la principale esponente del bordighismo francese, Suzanne lo conquista alle posizioni della sinistra comunista, oltre a stabilire con lui una relazione sentimentale molto intensa destinata a durare alcuni anni. Come scrive il suo principale biografo, Augustín Guillamón:

«I suoi rapporti personali con Suzanne Voute ("Frédéric") lo avvicinano alla Fraction Française de la Gauche Communiste (FFGC), alla quale aderisce all'inizio del 1944. La sua adesione al FFGC si basava su tre punti teorici: 1) rifiuto della posizione di "difesa dell'URSS"; 2) caratterizzazione dell'URSS come potenza controrivoluzionaria; 3) la guerra mondiale è soprattutto una guerra tra potenze e blocchi imperialisti. Non condivideva le analisi di Bilan sulla guerra di Spagna, che respinse sempre come insensate, né la concezione bordighista del partito. Militò nella FFGC per diversi anni, a Parigi, in un'atmosfera amichevole e solidale, accanto ai francesi Gaston Davoust ("Chazé") e Lasterade, e agli esuli italiani Aldo Lecci ("Tullio"), Bottaioli ("Butta"), Bruno Zecchini, i fratelli Corradi (Ernesto e Piero), Martin Capeletti, Ferruccio e Mario».

La Frazione Francese della Sinistra Comunista era uno dei due gruppi in cui si era divisa la corrente bordighista in Francia, in larga parte composta da esuli italiani. Guidata da Marc Chiric, altra figura importante del campo internazionalista, la Frazione Francese era nata in aperto contrasto con Ottorino Perrone, animatore negli anni Trenta del gruppo che editava la rivista Bilan, a cui rimproverava l'atteggiamento ambiguo tenuto durante la guerra. Pur rifacendosi a Bordiga, Chiric guardava con interesse all'esperienza del comunismo di sinistra olandese. Si trattava dunque di un gruppo ideologicamente eterogeneo che tentava una fusione fra le tesi di Bordiga e quelle di Gorter e Pannekoek. Proprio sulla base di questo bordighismo spurio, la Frazione non aveva aderito al neocostituito Partito comunista internazionalista di cui seguiva le attività con un atteggiamento critico.

Per conto della FFGC nel dicembre 1945 Masó è, assieme a Suzanne, per la prima volta in Italia, a Torino, dove assiste alla prima Conferenza del Partito Comunista Internazionalista. In questa occasione conosce Onorato Damen con cui intratterrà poi negli anni successivi stretti rapporti.

La sua è una militanza molto attiva. Egli partecipa alla redazione dell'organo del gruppo, «L’Internationaliste» per il quale redige molti articoli firmandosi “Maille”. Ma, non condividerà mai, da vecchio militante del POUM, la posizione rigidamente bordighista del gruppo sulla rivoluzione e la guerra civile spagnola considerata in modo dottrinariamente schematico come una guerra fra blocchi imperialisti a cui il proletariato non deve partecipare. Posizione, lo ricordiamo di sfuggita, che negli anni Trenta aveva portato alla spaccatura della Frazione italiana in Francia e Belgio e alla fuoriuscita di alcuni fra i suoi prestigiosi militanti che erano andati a combattere nelle milizie del POUM per avvicinarsi poi al movimento trotskista.

Da maggio 1947 a aprile 1948 è ricoverato in un sanatorio in svizzera, nel 1949 è di nuovo a Marsiglia ma per le precarie condizioni di salute non svolge alcuna attività politica.

La militanza in Socialisme ou Barbarie

Finalmente nel dicembre 1949 rientra a Parigi, dove inizia a lavorare come traduttore e riprende il suo impegno militante. Trova però una situazione pesantemente deteriorata. Il piccolo nucleo bordighista si è frammentato, mentre cresce l'influenza politica del gruppo di ex militanti trotskisti che editano la rivista Socialisme ou Barbarie. Dopo una serie di contatti, nel maggio 1950, Albert Masó (Vega), Pierre Lanneret (Camille) assieme a altri cinque militanti aderiscono formalmente a SouB con un manifesto politico “Per l'unificazione” apparso sul numero 7 del settembre 1950 della rivista. Da quel momento egli considererà la sua attività nel milieu bordighista come “un episodio dovutp in gran parte alle circostanze dell'epoca”.

La rottura porta alla frantumazione del gruppo bordighista parigino e alla rottura anche personale con Suzanne che, a dimostrazione della falsità del mito del rivoluzionario puro e duro interamente dedito alla causa, la prese malissimo al punto di tentare il suicidio e di impegnare i successivi due anni della sua vita a elaborare il lutto dell'abbandono.

La collaborazione di Masó alla rivista é subito intensa. Di fatto per i suoi trascorsi egli diventa l'esperto per le questioni riguardanti la Spagna e l'Italia. Nei numeri 9 e 11 pubblica due importanti articoli prendendo lo pseudonimo di Vega, rispettivamente dedicati allo stato della lotta di classe in Spagna e alla scissione appena intervenuta nel Partito comunista internazionalista in Italia sfra la componente “attivista” di Onorato Damen e quella “programmista” di Amadeo Bordiga.

Oltre alla sua esperienza politica di militante formatosi giovanissimo nel clima incandescente della rivoluzione spagnola, Vega apporta al gruppo, composto quasi esclusivamente di intellettuali, anche la sua esperienza di vita di operaio che sia in Spagna che in Francia si era mantenuto lavorando come elettricista. Questi due elementi, la competenza teorica e le grandi capacità pratiche, lo portano a svolgere un ruolo centrale nel gruppo. Vega entra immediatamente nel comitato di redazione della rivista e poi dal 1955 nella direzione dove svolge le funzioni di responsabile organizzativo incaricato soprattutto di tenere i contatti con la rete di militanti e simpatizzanti fuori Parigi e con le realtà italiane con cui esiste una convergenza di posizioni, prima Battaglia comunista di Damen e poi Unità proletaria animata a Cremona da Danilo Montaldi che di fatto diventerà una sorta di referente per l'Italia di SouB.

La rivoluzione ungherese del 1956 e la ricomparsa dei consigli operai portano a una crescita numerica del gruppo che comunque non andrà mai oltre poche decine di militanti, stimabili fra i 20 e gli 80. Vega ritiene che esistano le condizioni per l'intensificazione del lavoro pratico in direzione delle fabbriche e nel 1958 è fra i promotori della creazione del bollettino “Pouvoir Ouvrier”. L'iniziativa determina la spaccatura del gruppo e la fuoriuscita di Claude Lefort (Montal) e di un ristretto gruppo di militanti contrari al fatto che l'organizzazione svolga anche un minimo ruolo di dirigente “esterno” dell'autonoma attività proletaria.

Masó dè anche a favore di un lavoro nei sindacati, consapevole che, nonostante la loro burocratizzazione sia ormai da considerarsi irreversibile, è comunque lì che si ritrova la parte più cosciente della classe operaia. A questo fine elabora un programma avanzatissimo e articolato che, precorrendo le grandi lotte francesi e italiane del 1968-1969, prevede la soppressione dei premi individuali e del cottimo, l'abolizione dei livelli, aumenti salariali uguali per tutti e la formazione di consigli di fabbrica eletti da tutti i lavoratori come organi autonomi della classe e non semplici terminali di fabbrica delle organizzazioni sindacali. Questa sua visione lo portò presto a scontrarsi con il leader storico di SouB, Cornelius Castoriadis (Chaulieu, Delvaux, Cardan), sempre più impegnato in un'analisi delle trasformazioni del capitalismo che progressivamente lo allontaneranno dal marxismo.

Nel 1963 ci fu una nuova scissione in SouB: Castoriadis e Mothé mantennero il controllo della rivista, mentre Masó, Jean-François Lyotard (Laborde), Pierre Soury (Pierre Brune) e una ventina di compagni continuarono a far uscire Pouvoir Ouvrier intensificando l'intervento sulle fabbriche. Intervento che raggiunge il suo apice durante gli avvenimenti del Maggio '68. Proprio a partire da maggio '68 Pouvoir Ouvrier si trasforma da bollettino ciclostilato in una vera e propria ivista a stampa con un'ampia diffusione militante. Con il rapido riflusso del movimento del '68, il gruppo va in crisi per sciogliersi poi nell'ottobre 1969. Seguirà un tentativo di unificazione con una parte dei redattori dei Cahiers de Mai che si rivelerà ben presto effimero e a cui Vega non prenderà parte.

Il ritorno nel POUM

Nel 1972 Masó ritornò nel POUM che, pur a ranghi ridotti, aveva continuato ad esistere in Francia e in particolare a Parigi mantenendo comunque contatti la realtà spagnola. Cooptato nel Comitato Esecutivo del partito, dal 1975 inizia con Wilebaldo Solano, la pubblicazione di Tribuna Socialista, organo della sinistra del POUM fautrice dell'unificazione con i gruppi clandestini formatisi in Spagna alla fine degli anni Sessanta: Acción Comunista, Unión Comunista de Liberación e Lucha Obrera. Albert Masó firma i suoi articoli con il nuovo pseudonimo di Julio Gil e in particolare si dedica alla campagna contro le esecuzioni capitali di militanti antifranchisti, ultimo sanguinoso atto di un regime ormai morente.

Con la morte di Franco si apre in Spagna il cosiddetto periodo di “transizione democratica», che sembra aprire nuove prospettive per i dirigenti del POUM in esilio, tanto che agli inizi del 1977 Masó fu tra i primi a rientrare in patria per ricostruire l'organizzazione del partito ridotta ormai a pochi vecchi militanti sopravvissuti alla dittatura e a qualche giovane avvicinatosi dopo il '68. L'obiettivo era di unificare le organizzazioni rivoluzionarie che, come in tutta Europa, si erano moltiplicate nei primi anni '70 con l'esclusione ovviamente di stalinisti e maoisti. Totalmente dedito a questo scopo Albert Masó lascia la famiglia e il lavoro di traduttore a Parigi per dedicarsi a tempo pieno al lavoro di ricostruzione del POUM.

Nonostante l'impegno di Solano e Masó le cose non andarono come i due dirigenti rivoluzionari auspicavano. La decisione di partecipare alle elezioni politiche del 15 giugno 1977 portarono all'uscita dal partito di un consistente gruppo di militanti soprattutto giovani che finirono poi nel Partido Obrero Socialista Internacional (POSI), sezione spagnola della Organizzazione per la Quarta Internazionale (OCI). Le elezioni segnarono la fine delle speranze del POUM di tornare a contare sulla scena politica spagnola. Nell'agosto 1977 si tenne la Quinta Conferenza del partito che decise l'apertura di un processo di unificazione con Acción Comunista e un altro piccolo gruppo della sinistra extraparlamentare. Come per le elezioni anche questa iniziativa terminò con un disastro politico-organizzativo che di fatto mise fine all'esistenza del POUM ridotto a un minuscolo gruppo di militanti arroccati attorno al segretario nazionale Solano e allo stesso Masó. Dal 1981 il POUM poi cessò di fatto svolgere ogni attività politica. Fu una morte naturale che non richiese neppure un congresso di scioglimento. La sua eredità fu raccolta e portata avanti con ottimi risultati soprattutto sul piano culturale ed editoriale dalla Fondazione Andreu Nin ancora oggi molto attiva.

Ammalatosi seriamente a Bilbao, nel novembre 1979 Masó si ricongiunge con la sua famiglia a Parigi dove nel 1980-81 partecipa attivamente alle campagne di solidarietà con il movimento operaio polacco e il sindacato Solidarnosc. Le sue condizioni di salute non gli permettono comunque più quella militanza attiva che era stata la ragione della sua vita. Da questa posizione più distaccata assiste alla caduta del muro di Berlino, alla fine del regime sovietico e all'affermazione del neoliberalismo. La crisi delle correnti storiche del movimento rivoluzionario, la passività crescente del proletariato, l'emergere della crisi ecologica lo portano nei suoi ultimi anni a pensare che il mondo sia entrato in una nuova fase e che ciò comporti un necessario ripensamento delle basi stesse su cui si era retto il movimento operaio del Novecento. Una riflessione a cui non potrà partecipare. Il 21 Novembre de 2001 muore a Parigi dopo una lunga malattia.

Fonti:

Philippe Bourrinet, MASO Alberto, dit VÉGA

https://maitron.fr/spip.php?article141470, notice MASO Alberto, dit VÉGA Albert, dit MAILLE R. par Philippe Bourrinet, version mise en ligne le 12 août 2012, dernière modification le 21 novembre 2020.

Albert Masó: el llarg viatge cap al socialisme (Xevi Camprubí, 2004) - Fundación Andreu Nin (fundanin.net)

Agustín Guillamón , Biografía de Albert Masó ("Albert Vega") Biografía de Albert Masó ("Albert Vega") (wordpress.com)

Wilebaldo Solano, Semblanza de Albert Masó Semblanza de Alberto Masó March (wordpress.com)



Albert Masó (Vega)


Scritti e documenti


Su Socialisme ou Barbarie Albert Masó pubblicò, firmandoli “Vega o “R. Maille” i seguenti articoli:

"La lotta di classe in Spagna,"n. 9, aprile-maggio 1952;

"La crisi del bordighismo italiano", n. 11, novembre-dicembre 1952;
"Significato della rivolta del giugno 1956 nella Germania orientale, "n. 13, gennaio-marzo 1954:
"Il PCF dopo il XX Congresso", n. 19, luglio-settembre 1956;
"Gli imperialismi e l'Egitto di Nasser", n.20, dicembre 1956-febbraio 1957;
"In Spagna: dalla resistenza passiva a quella attiva",n. 21, marzo-maggio 1957 ;
"Le nuove riforme di Kruscev", n. 22, luglio-settembre 1957.

Di questi abbiamo ripreso, come più significativi i testi sul bordighismo italiano, sulla rivolta operaia nella DDR e sul PCF e la destalinizzazione. A cui si aggiunge il documento di adesione a Socialisme ou Barbarie del 1950 e un quaderno edito nel 1965 come supplemento a Pouvoir Ouvrier ormai organismo politico autonomo. Ne emerge un quadro teorico coerente di analisi dello stalinismo, nella sua forma sovietica e francese, ma anche una dura, ma motivata critica ai limiti delle correnti trotskista e bordighista. Materiali dunque di grande interesse, la cui pubblicazione rende giustizia a un militante dalle grandi capacità teoriche ed organizzative il più delle volte ridotto dagli storici a semplice comprimario di personalità come quelle di Castoriadis e di Lefort.

Ai fini di una corretta interpretazione dei materiali presentati, va inoltre rimarcato come l'impostazione del documento di adesione a SouB risenta in ogni passaggio della convinzione, allora condivisa da tutte le componenti del movimento operaio e non solo, dell'imminenza dello scoppio di una terza guerra mondiale fra l'Occidente e il blocco sovietico.


Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu.


sabato 24 dicembre 2022

«QUE L’INVASION CESSE ET LA GUERRE CESSERA»

 


Le edizioni Syllepse hanno creato una rete contro l’aggressione russa a l’Ucraina con le
éditions Page 2 (Lausanne),
M Éditeur (Montréal), 
Spartacus (Paris)
Massari Editore (Italie),
le riviste
New Politics (New York),
Les Utopiques (Paris)
ContreTemps (Paris),
i siti
À l’encontre (Lausanne)
Europe solidaire sans frontières,
il blog Entre les lignes entre les mots (Paris),
il Centre Tricontinental (Louvain-la Neuve)
e il Réseau syndical international de solidarité et de luttes.
Insieme pubblicano il bollettino online Brigades éditoriales de solidarité avec l’Ukraine résistante di cui è appena uscito il n.14.

Pur non aderendo formalmente al reseu Vento largo ne condivide le motivazioni e ne sostiene l'attività.

Di seguito l'editoriale dell'ultimo numero.


«QUE L’INVASION CESSE ET LA GUERRE CESSERA»

par Mariana Sanchez & Patrick Silberstein

dans le numero 14 de Brigades éditoriales de solidarité avec l’Ukraine résistante

(https://www.syllepse.net/syllepse_images/articles/solidarite---avec-lukraine-re--sistante-14.pdf)

«Je suis favorable au soutien de la résistance d’un pays européen envahi. Je ne peux pas être neutre ou équidistant. Ce n’est pas un match de football».

(Erri De Luca, 9 décembre 2022)

Voici donc le quatorzième volume de Solidarité avec l’Ukraine résistante, publié par les Brigades éditoriales de solidarité, alors que l’on approche du terme de la première année de cette guerre qui ne devait être qu’une «opération spéciale».

Cette tentative échouée de blitzkrieg a rencontré, comme le rappelait la chercheuse et militante Daria Saburova, lors du meeting du Réseau français le 5 décembre à la Bourse du travail: 

«La résistance ukrainienne [qui] a permis de retenir l’escalade, de prévenir l’invasion de tout le pays et ouvert les conditions objectives pour d’autres sou- lèvements contre l’ordre capitaliste mondial».

Les appels au «cessez-le-feu», aux «négociations», à la «paix», à «ne pas humilier la Russie» ou à « prendre en compte ses intérêts géostratégiques» se multiplient – que ce soit dans les hautes sphères des pouvoirs ou dans les basses sphères des divers amis de la Russie – désormais plus ou moins gênés aux entournures tout en se trouvant, comme le soulignait Edwy Plenel également le 5 décembre, «toutes les bonnes raisons pour au fond tourner la tête».

C’est dans ce contexte que, à l’initiative du Réseau français de solidarité avec l’Ukraine (branche française du Réseau européen de solidarité avec l’Ukraine [European network for solidarity with Ukraine]);

des forces syndicales (Confédération générale du travail [CGT], Fédération syndicale unitaire [FSU], Union syndicale Solidaires, Mouvement national lycéen[MNL], Réseau syndical international de solidarité et de luttes), par ailleurs largement engagées dans la solidarité concrète et la dénonciation de l’impérialisme russe;

des associations de toute nature (Assemblée européenne des citoyens,Association autogestion, Attac, Cedetim, Fondation Copernic, Forum civique européen, Ligue des droits de l’homme, Mémorial 98, Pour l’Ukraine, pour leur liberté et la nôtre);

des éditeurs, des coopératives et des médias (Coopératives Longo Maï, Éditions Syllepse, Entre les lignes entre les mots, L’Insurgé, Les Humanités);

des organisations et des clubs politiques (A Manca, Aplutsoc, Club politique Bastille, Émancipation Lyon 69, Ensemble! Europe Écologie Les Verts, Gauche démocratique et sociale, Gauche écosocialiste, Nouveau Parti anticapitaliste, Pour une écologie populaire & sociale, Régions et peuples solidaires, Rejoignons-nous, Réseau Penser l’émancipation):

ainsi que, bien entendu, des associations d’exilé·es d’Ukraine, de Géorgie, de Russie, de Syrie ou d’Iran (Union des Ukrainiens de France, Russie Liberté, Socialistes russes contre la guerre, Association des Géorgiens en France, Géorgie vue de France, Collectif pour une Syrie libre et démocratique, Coordination des Syriens de France, CSDH Iran);

ont appelé ensemble à manifester en direction de l’ambassade de Russie, le 10 décembre 2022, avec comme mot d’ordre «Troupes dehors de toute l’Ukraine». Même si, comme le relevait Jean-Pierre Pasternak, de l’Union des Ukrainiens de France, cette initiative était appelée par «presque toute la gauche, malheureusement pas toute...».

Il est également très encourageant que plus d’une centaine de personnalités (syndicalistes et associatives, universitaires, artistes et politiques, dont un certain nombre d’élu·es, ainsi que des représentant·es de la diaspora ukrainienne et des oppositions russes en exil) aient signé un appel, publié dans Mediapart, pour «une paix juste et durable pour l’Ukraine». [https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/091222/ une-paix-juste-et-durable-pour-l-ukraine]

Ce texte, qui fait écho à l’appel à la manifestation en direction de l’ambassade de la Fédération de Russie, rappelle explicitement que «la situation de conflit qui prévalait dans l’Est de l’Ukraine depuis 2014» était devenue une guerre totale «depuis l’invasion du territoire ukrainien par les troupes de Poutine, le 24 février 2022». Cette attaque avait, précise ce texte, «comme but explicite de renverser le gouvernement ukrainien et de détruire la République d’Ukraine comme entité indépendante». La résistance, armée et non armée, du peuple ukrainien ayant mis en échec, militaire et politique, l’objectif des «ruscistes» au pouvoir au Kremlin, rappellent les signataires, «les forces d’invasion mènent une guerre de destruction systématique» et «commettent des crimes de guerre».

Aux partisans de la paix à tout prix, c’est-à-dire au prix fixé par Moscou et accepté de bonne grâce par les instances internationales qui ne veulent surtout pas déstabiliser le Kremlin, les signataires du texte paru dans Mediapart opposent ce qu’ils appellent des «principes» nécessaires à l’ouverture de négociations. L’une d’entre elles étant cardinale : «Le retrait de toutes les troupes d’invasion de tout le territoire de l’Ukraine dans ses frontières internationalement reconnues».

C’est ce que rappellent Denys Bondar et Zakhar Popovych dans l’article que nous publions dans ce volume 14 (p. 10): «Volodymyr Zelensky a déclaré que les négociations sur la fin de la guerre ne pouvaient être que publiques», ce qui n’est pas un vœu maximaliste mais une exigence cohérente avec la mobilisation en masse du peuple ukrainien. C’est la seule et unique voie, écrivent-ils, pour que des négociations de paix aient «une chance d’être soutenues par la société».

Lors de la réunion parisienne du 5 décembre, Pierre Coutaz, de la CGT, a rappelé les «sept plaies ouvertes de l’Ukraine» de 1905 à 2022:

«Les pogroms de 1905; la guerre civile - neuf morts sur dix sur le sol de l’Ukraine; l’Holodomor; la Seconde Guerre mondiale avec 14,5 des 27 mil- lions de morts soviétiques sur le sol ukrainien; la guerre en Afghanistan [où les minorités de l’ex URSS pesaient plus dans la conscription que leur vrai poids dans la composition ethnique de l’URSS, ce que reproduit la Russie aujourd’hui, crime pratiqué aussi par l’empire français avec ses «troupes indigènes»]; Tchernobyl et enfin, les deux actes de guerre au Donbass en 2014 et aujourd’hui».

Il est aussi important que lors du meeting réuni à la Bourse du travail de Paris, le 5 décembre, à l’appel du RESU France et présidé par Bernard Dréano [Jours gris et nuages d’acier sur l’Ukraine, à paraître aux éditions Syllepse en février 2023], se soient exprimés aux côtés d’Edwy Plenel [L’épreuve et la contre-épreuve, Paris, Stock, 2022], de Daria Subarova (militante ukrainienne) et de Zalina Dzmappueva (Russie libertés), venue manifester sa volonté de «tout faire pour la victoire de l’Ukraine», Pierre Coutaz (Espace international de la CGT) et Verveine Angeli (Union syndicale Solidaires) – laquelle a participé à deux convois syndicaux [Union syndicale Solidaires, Ukraine: solidarité syndicale en temps de guerre, Paris, Syllepse, 2022]. La militante de Solidaires a souligné que c’est la tradition internationaliste des organisations syndicales qui a «permis d’éviter la sidération» le 24 février et de rapidement «agir en tant que militants et militantes syndicales car il y a un mouvement syndical qui existe en Ukraine».

Il s’agit là d’un arc de forces qui demande à être élargi et renforcé, mais qui est à ce jour rare dans le mouvement international de solidarité avec l’Ukraine. Quelles que soient les indiscutables diffi- cultés à mobiliser la jeunesse, mais aussi des secteurs habituellement combatifs et engagés (difficulté que l’on rencontre malheureusement pour la majorité des combats internationalistes, une fois passée l’émotion médiatique provoquée par les premières attaques ou les massacres), cette convergence solidaire est extrêmement prometteuse. Elle permet d’envisager la nécessaire construction de la solidarité de longue haleine avec le peuple ukrainien dont le mouvement ouvrier et/ou la gauche devraient être la colonne vertébrale et l’aile marchante. Une solidarité qui devrait se structurer. Il est temps, pour reprendre la formule d’Edwy Plenel au meeting de la Bourse, de «nous réveiller: il faut être à la fois contre l’impérialisme, contre le campisme et pour l’internationalisme».

www.utopiarossa.blogspot.com







lunedì 19 dicembre 2022

Camillo Prampolini, La predica del Natale (1897)

 




LA PREDICA DEL NATALE

(Dedicato alla donne cattoliche)


Quando i contadini e i giornalieri uscirono dalla chiesa, videro sulla strada un uomo che, salito su un tavolo e circondato da alcuni del villaggio, cominciò a parlare. 

Si avvicinarono.

Era il giorno di Natale, e quell’uomo diceva:



Siete voi cristiani?

Lavoratori! Ancora una volta voi avete festeggiata nelle vostre case e nella vostra chiesa la nascita di Gesù Cristo. Ma interrogate la vostra coscienza: siete ben sicuri di meritare il nome di cristiani? siete ben sicuri di seguire i principii santi predicati da Cristo e pei quali egli morì?

Badate! Voi vi dite cristiani, perché recitate le preghiere che vi insegnarono i vostri parenti; perché andate alla messa e alla benedizione; perché infine vi confessate, vi comunicate e osservate tutte le altre pratiche del culto cattolico.

Ma credete voi che questo basti per chiamarsi cristiani?

Voi non potete crederlo, o amici lavoratori. Non potete crederlo, perché diversamente – se si dovesse ammettere che il cristianesimo consista nelle sole pratiche del culto cattolico – si dovrebbe arrivare alla strana, assurda, ridicola conclusione che i primi e più devoti seguaci di Cristo e lo stesso Cristo in persona… non furono cristiani!


I primi cristiani – Come furono perseguitati


Voi sapete, infatti, che quasi duemila anni or sono, quando Cristo cominciò a predicare la sua fede, non c’erano né curati, né parroci, né vescovi, né cardinali, né papi e neppure “chiese” nel senso che voi date a questa parola. Gesù – il figlio del povero falegname di Nazaret – andava per le vie e per le piazze a spiegare le sue dottrine.

Voi sapete che egli era quasi solo contro tutti; che lo seguivano soltanto degli umili popolani: dei pescatori, degli artigiani, delle povere donne e dei ragazzi; che i ricchi e i sacerdoti del suo paese, i farisei e gli scribi lo derisero dapprima come un matto e poi, quando videro che le sue idee si facevano strada, lo fecero arrestare come un perturbatore dell’ordine, come nemico della società e della religione: e – stoltamente iniqui, credendo di seppellire con lui il suo pensiero – lo trassero a morte, condannandolo al crudele e infamante supplizio della croce.

Voi sapete che per trecento anni i suoi seguaci continuarono ad essere vittime delle più feroci persecuzioni. Considerati quali malfattori; odiati nei primi tempi anche dal popolo, che in generale era ancora troppo ignorante, superstizioso ed incivile per comprendere il loro ideale; lapidati, gettati in pasto alle fiere, uccisi a migliaia, essi dovevano nascondere la loro fede quasi fosse un delitto: e per trovarsi insieme qualche ora tra fratelli, lontani dai nemici, a parlare delle loro dolci speranze, dovevano cercar rifugio sotto terra, nel silenzio solenne delle catacombe.

Voi sapete che finalmente, dopo tre secoli di lotta, al tempo dell’imperatore Costantino – quando il loro numero fu cresciuto al punto che ormai quasi tutto il popolo era con loro, e i potenti si accorsero che le persecuzioni erano inutili – le persecuzioni cessarono.

E allora anche i ricchi, anche i re e gli imperatori e tutti vollero dirsi cristiani. E Cristo fu adorato come Dio.


Gesù Cristo e le preghiere


Sorsero appunto allora le prime “chiese”, apparvero allora i primi preti, i quali poi andarono via via moltiplicandosi e introdussero l’uso della messa, della benedizione, della confessione e di tutte le altre cerimonie cattoliche, quali sono adesso.

Ma Gesù e i suoi primi e grandi discepoli non praticarono nessuno di questi usi. Anzi (sta scritto nel Vangelo) Gesù chiamava ipocriti quei tali che al suo tempo “amavano di fare orazione, stando ritti in piè” – com’egli diceva – “nelle sinagoghe e ne’canti delle piazze, per essere veduti dagli uomini”. E insegnava che la sola cerimonia religiosa, la sola preghiera da farsi era il Pater noster, che ognuno doveva recitare solitariamente nella propria stanza.

Ora: vorrete voi dire, amici miei, che Gesù Cristo non era cristiano? Vorrete voi dire che non erano cristiani quei generosi popolani, padri vostri, che con lui, sfidando le persecuzioni e il martirio, furono i veri fondatori del cristianesimo?

Voi non direte certamente una simile assurdità.


Il “regno di Dio”


Ma allora perché furono cristiani quegli uomini, che pur non andavano a messa e non conobbero preti né chiese?

In che consiste dunque veramente la dottrina di Cristo? Quali erano i principii che egli predicava e che suscitarono tanto rumore e tanta guerra intorno a lui e a’suoi seguaci?

Eccoli qui, o lavoratori, i principii essenziali del cristianesimo, i principii che bisogna seguire se si vuole davvero essere cristiani.

Gesù era profondamente convinto che gli uomini fossero tutti figli di uno stesso padre celeste: Dio; e Dio egli lo concepiva come un essere infinitamente giusto e buono.

Ora, come mai – egli si domandava – come mai esistono nel mondo tante ingiustizie? Come mai gli uomini sono divisi in ricchi e poveri, in padroni e schiavi? Come mai vi sono gli Epuloni viventi nel lusso e i Lazzari tormentati dalla più crudele miseria? È possibile che Dio – il padre infinitamente giusto e buono – voglia queste inique disuguaglianze tra i figli suoi?

No – egli pensava – evidentemente queste disuguaglianze derivano solo dall’ignoranza e dalla malvagità degli uomini. Dio non può volerle. Certamente, Dio le condanna. Certamente, Dio vuole che gli uomini vivano come fratelli – distribuendosi in pace e giustizia la ricchezza comune – e non già vivano come lupi in lotta l’uno contro l’altro, godendo gli uni della miseria degli altri.

Dunque – diceva Gesù ai suoi compagni – noi dobbiamo far guerra a questo doloroso e brutto regno dell’ingiustizia in cui siamo nati; noi dobbiamo volere, fortemente volere il regno della giustizia, dell’uguaglianza, della fratellanza umana, perché questo è il regno che Dio vuole fra gli uomini; noi dobbiamo persuadere i nostri fratelli che esso è possibile e non è un sogno. Dobbiamo trasfondere in loro la nostra fede, e il “regno di Dio” si avvererà....

Questo, o lavoratori, questo era il pensiero, e questa fu la predicazione di Cristo.

Un odio profondo per tutte le ingiustizie, per tutte le iniquità, un desiderio ardente di uguaglianza, di fratellanza, di pace e di benessere fra gli uomini; un bisogno irresistibile di lottare, di combattere per realizzare questo desiderio – ecco l’anima, l’essenza, la parte vera, santa ed immortale del cristianesimo....


Siete cristiani?


Ed ora ditemi: siete voi cristiani? lo sentite voi questo benefico odio pel male? lo sentite voi questo divino desiderio del bene? Voi che cosa fate per combattere il male? che cosa fate per realizzare il bene?

Perché – badate, amici miei! – voi potete anche andare in chiesa ogni giorno; voi potete ogni giorno confessarvi e comunicarvi; voi potete recitare quante preghiere volete; ma se assistete indifferenti alle miserie e alle ingiustizie che vi circondano, se nulla fate perché esse debbano scomparire, voi non avete nulla di comune con Cristo e i suoi seguaci, voi non avete capito nulla delle loro dottrine, voi non avete il diritto di chiamarvi cristiani...

Ebbene, in questo giorno di Natale, mentre voi festeggiate la nascita dei Nazareno, io che appartengo al partito socialista, sono qui a dirvi: siate cristiani, o lavoratori, ma siatelo nel vero ed alto senso della parola!


Cristo non fu ascoltato


II “regno di Dio” voluto da Gesù, non fu ancora attuato, Passati i pericoli dei primi anni del cristianesimo, molti vollero dirsi cristiani, ma quasi nessuno si ricordò de’principii di Cristo.

Ed ora – voi lo vedete – le disuguaglianze e le miserie che egli ha combattuto sono più vive che mai. Il mondo è devastato e insanguinato dal sistema capitalista, che è il sistema dello sfruttamento, della speculazione, della concorrenza, della guerra.

E appunto perciò io dico a voi uomini e donne: siate cristiani – cioè combattete questo iniquo e barbaro sistema economico, frutto dell’egoismo individuale, che colpisce principalmente voi e i vostri fratelli di lavoro e che dissemina sulla terra lutti e rovine.

È venuto il tempo in cui il sogno di Cristo può essere finalmente realizzato. Basta che i lavoratori lo vogliano.


Lavoratori, organizzatevi!


Se i lavoratori dei campi e delle città si daranno la mano; se avranno fede nella giustizia; se comprenderanno che gli uomini sono uguali e che per conseguenza nessuno ha diritto di dirsi padrone di un altro e di vivere a spese altrui, ma tutti hanno l’obbligo di prendere parte al lavoro necessario alla via di tutti; se per vivere umanamente – cioè per diventare liberi, per non aver padroni e godere insieme l’intero frutto delle loro fatiche – i lavoratori, invece di vivere isolati e di farsi concorrenza, metteranno in pratica il precetto di Cristo: Amatevi gli uni cogli altri siccome fratelli, e formeranno dovunque le loro organizzazioni; allora, davanti alla loro crescente e sempre più capace organizzazione, le ingiustizie sociali scompariranno come si dileguano le tenebre dinanzi al sole che nasce. E sorgerà così il mondo buono e lieto della solidarietà umana agognato da Cristo, il “regno di Dio”.

Lavorate a farlo sorgere, o lavoratori!

Se non per voi, fatelo per i vostri figli; i quali – poiché li generaste – hanno bene il diritto che voi vi adoperiate in ogni modo, affinché non siano essi pure costretti a vivere la vita misera e serva che da secoli voi vivete.

Unitevi, organizzatevi! per voi, per le vostre donne, pei vostri bambini; per la difesa dei vostri più indiscutibili diritti; per la redenzione doverosa della vostra classe!

Per voi e per tutti, o lavoratori, abbiate fede nel bene, sappiate volerlo, – sorgete, lottate perché la giustizia sia!


Beati coloro….!”


Solo in questo modo voi potrete dirvi veramente seguaci di Cristo e raggiungerete la meta ch’egli intravvide e per la quale egli e mille martiri generosamente si sacrificarono.

Lo disse Gesù istesso nel suo famoso “Discorso della Montagna”.

Beati coloro che sono affamati e assetati di giustizia, perciocché saranno saziati”!

Beati coloro che son vituperati e perseguitati per cagion di giustizia!”

Prendete a guida della vostra vita queste parole, o amici lavoratori, e voi sarete.... socialisti.

Sì, voi sarete con noi, voi lotterete tutti al nostro fianco, perché noi socialisti siamo oggi i soli e veri continuatori della grande rivoluzione sociale iniziata da Cristo.

Siamo noi “gli assetati di giustizia”. Siamo noi che, in nome dell’uguaglianza umana leviamo alta un’altra volta la bandiera dei poveri, dei diseredati, dei piccoli, degli umili, degli oppressi, degli avviliti, dei calpestati! Siamo noi che – innalzando un inno al lavoro produttore d’ogni ricchezza – annunziamo ai ricchi padroni del mondo il trionfo immancabile e il regno dei lavoratori; noi che ci sforziamo ad affrettare questo regno; noi i “vituperati e perseguitati per cagion di giustizia”.





Camillo Prampolini



Quello che verrà definito “l'apostolo dei braccianti” nasce nel 1859 a Reggio Emilia da una famiglia della media borghesia. Dopo gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, segnati da una forte formazione cattolica che così tanto si farà sentire nei suoi scritti, durante gli studi universitari si converte alle idee socialiste. Laureatosi in legge, inizia la sua attività di militante politico nel 1882 partecipando alla redazione del giornale internazionalista reggiano Lo Scamiciato.

Nel 1886 fonda un suo giornale, La Giustizia, che dirigerà fino al suo ultimo numero nel 1925. Tra i fondatori del PSI, ne dirige l'organo centrale Lotta di classe.

Vivendo in una provincia agraria come quella reggiana, Prampolini si dedica con tutte le sue forze alla “evangelizzazione” socialista dei contadini e alla creazione di cooperative sia di produzione che di consumo. Alla fine delle prima guerra mondiale se ne conteranno più di duecento. Un'opera instancabile di organizzazione che il fascismo spazzerà via fra il 1921 e il 1922.

Esponente di un socialismo riformista, umanitario e non violento, dalle forti venature religiose, Prampolini, deputato alla Camera dal 1890 al 1921, nel 1914 si schiererà contro la guerra e poi contro il fascismo.

Con l'avvento della dittatura è costretto ad abbandonare la politica e a lasciare Reggio Emilia per trasferirsi a Milano, dove trova lavoro come contabile.

Nonostante le tante cariche rivestite nel corso della sua vita, muore in povertà nel 1930, esempio fulgido di estrema coerenza e di onestà.


G.A.

sabato 17 dicembre 2022

Maximilien Rubel, Karl Marx e il primo partito operaio

 


Maximilien Rubel

Karl Marx e il primo partito operaio


Il postulato dell'autoemancipazione proletaria percorre come un leitmotiv l'intera opera di Marx. È l'unica chiave per una corretta comprensione dell'etica marxiana. Ha ispirato tutti gli approcci teorici e politici di Karl Marx, dal 1844, quando, nella Sacra Famiglia, scrisse che "il proletariato può e deve liberarsi", fino alle vicende dell'Internazionale dei lavoratori, il cui motto, proclamato da Marx, era: "l'emancipazione della classe operaia deve essere opera della classe operaia stessa", fino agli ultimi anni della sua vita, quando, preoccupato per le sorti della rivoluzione russa, riponeva tutte le sue speranze nell'obshchina plurisecolare e nei suoi contadini.

La forza - o la debolezza - dell'etica marxiana è la sua fiducia nell'uomo sofferente e nell'uomo pensante: nell'uomo medio - il tipo umano più numeroso - e nell'uomo eccezionale, pronto a fare sua la causa del primo. Tra i due tipi umani si colloca la minoranza onnipotente degli oppressori, padroni dei mezzi di vita e di morte, con un esercito sempre più numeroso di scagnozzi della spada e della penna, la cui missione è mantenere lo status quo o ristabilirlo ogni volta che coloro che soffrono e coloro che pensano si uniscono per porvi fine, sognando di instaurare non il paradiso in terra, ma semplicemente la città umana su una terra umana.

L'unione di esseri sofferenti e pensanti non è prevista da Marx come un'alleanza tra esseri che si assegnano compiti diversi, dal punto di vista di una divisione razionale del lavoro, i primi condannati alla miseria e alla rivolta cieca contro la loro condizione disumana, i secondi con la vocazione di pensare per i primi e di fornire ai secondi verità preconfezionate. A questo proposito, Marx si espresse con una chiarezza che esclude ogni ambiguità, già nel 1843 in una lettera a A. Ruge: L'accordo tra chi soffre e chi pensa è in verità un accordo tra "l'umanità sofferente che pensa, e l'umanità pensante che è oppressa". In altre parole, i proletari devono elevare il loro senso di angoscia al livello di una coscienza teorica che dia alla miseria proletaria un significato storico e, allo stesso tempo, permetta alla classe operaia di elevarsi alla comprensione dell'assurdità della sua situazione. Se "l'arma della critica non può sostituire la critica delle armi", se "la forza materiale non può essere abbattuta che dalla forza materiale", resta il fatto che "anche la teoria si trasforma in forza materiale, non appena si impossessa delle masse".

L'immagine del movimento rivoluzionario non è quella di folle sofferenti e inconsapevoli, guidate da un'élite di uomini lucidi e solidali con la miseria, ma quella di un'unica massa di esseri in uno stato permanente di rivolta e di rifiuto, consapevoli di ciò che sono, vogliono e fanno.

È vero che le aspirazioni radicali del proletariato nascono il più delle volte spontaneamente, per il solo effetto di una situazione degradante. Ma è allora che compaiono esseri che sentono la degradazione delle masse come un'offesa alla propria dignità di uomini pensanti. Sono i primi a prevedere e annunciare la possibilità e la necessità di una rivoluzione radicale, che trasformi le basi materiali e il volto spirituale della società. Si uniscono al proletariato, di cui sentono i bisogni e gli interessi come propri, e lo educano alla maniera socratica, insegnandogli a pensare con la propria testa. Gli insegnano, innanzitutto, che la lotta di classe non è solo un fatto storico, cioè un fenomeno costante della storia passata, ma anche un dovere storico, cioè un compito da svolgere con cognizione di causa, un postulato etico che, se applicato consapevolmente, eviti all'umanità le ineffabili miserie che una civiltà tecnica all'apice della sua potenza materiale non può non generare finché si sviluppa secondo le sue stesse leggi, cioè secondo le leggi del caso. Mentre i predicatori religiosi o moralizzatori si sforzano di portare ai diseredati la consolazione di una redenzione o di una purificazione attraverso la sofferenza volontariamente accettata, i pensatori socialisti insegnano loro che sono vittime di un meccanismo sociale di cui essi stessi sono gli ingranaggi principali e che possono, quindi, far funzionare a vantaggio materiale e morale di tutti gli esseri umani, poiché lo sviluppo storico ha permesso all'homo faber di accedere a quella "totalità" di forze produttive che favorisce la comparsa dell'"uomo totale": "Di tutti gli strumenti di produzione, la più grande potenza produttiva è la classe rivoluzionaria stessa" (Anti-Proudhon).

Il carattere etico del postulato dell'autoemancipazione del proletariato è ampiamente dimostrato dall'idea di Marx del partito dei lavoratori. È noto che nessuno dei partiti proletari che Marx vide nascere o contribuì a far nascere gli sembrò corrispondere a questa idea. Ma ciò che è meno noto è il fatto - a prima vista sorprendente - che, anche dopo lo scioglimento della Lega dei Comunisti e per tutto il periodo precedente la fondazione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, Marx non smise di parlare del "partito" come di una cosa esistente. La sua corrispondenza con Lassalle e con Engels è, a questo proposito, estremamente significativa. In molte delle lettere scambiate tra i tre amici in questo periodo si parla del "nostro partito", anche se in realtà non esisteva alcuna organizzazione politica dei lavoratori.

Ma molto più rivelatrici per il problema che stiamo trattando sono le lettere di Marx a Ferdinand Freiligrath, il cantore rivoluzionario degli anni 1848-49, all'epoca dell'affare Vogt. Freiligrath aveva fatto parte della Lega dei Comunisti e aveva pubblicato i suoi versi infuocati sulla Nuova Gazzetta Renana, che Marx dirigeva. Come Marx, viveva a Londra, dove aveva un "onorevole" lavoro in banca. Poiché il suo nome era coinvolto negli intrighi che si stavano preparando in relazione alle calunnie diffuse da Vogt contro Marx e il suo "partito", Freiligrath si adoperò per essere esonerato dall'obbligo di comparire come testimone dell'accusa nei processi intentati contro Vogt da Marx a Londra e Berlino. Marx cercò, in una lettera il cui tono caldo non cedeva nulla al rigore politico, di convincerlo che i processi contro Vogt erano "decisivi per la rivendicazione storica del partito e per la sua successiva posizione in Germania" e che non era possibile lasciare Freiligrath fuori dai giochi, Vogt", gli scrisse Marx, "sta cercando di trarre vantaggio politico dal tuo nome, e pretende di agire con la tua approvazione infangando l'intero partito, che si vanta di annoverarti tra i suoi membri... Se siamo entrambi consapevoli di aver, ciascuno a suo modo e in barba a tutti i nostri interessi personali, mossi dai più puri motivi, sventolato per anni il vessillo sopra le teste dei Filistei, nell'interesse della "classe più laboriosa e più miserabile", sarebbe, credo, un piccolo peccato contro la storia, se ci scontrassimo per delle inezie, che si basano tutte su malintesi. "

Freiligrath, pur assicurando a Marx la sua incrollabile amicizia, nella sua risposta descrisse che, pur intendendo rimanere fedele alla causa proletaria, si considerava tacitamente libero da qualsiasi obbligo nei confronti del "partito" dopo lo scioglimento della Lega dei Comunisti. Per la mia natura", scriveva, "come per quella di ogni poeta, ci deve essere libertà! Anche il partito è come una gabbia, e si può cantare meglio, anche per il partito, da fuori che da dentro. Ero un poeta del proletariato e della rivoluzione, molto prima di essere membro della Lega e della redazione della Nuova Gazzetta Renana! Quindi voglio continuare a volare con le mie ali, voglio appartenere solo a me stesso e voglio disporre completamente di me stesso! In chiusura Freiligrath non mancò di alludere a "tutti gli elementi dubbi e abietti... che si erano attaccati al partito" e di esprimere la sua soddisfazione per non farne più parte, "se non altro per motivi di pulizia".

La risposta di Marx è di particolare interesse in quanto, insieme al Manifesto comunista e alla Critica del programma di Gotha, è uno dei pochi documenti in grado di far luce su uno dei problemi più importanti, se non il più importante, dell'insegnamento marxiano, un problema sul quale esiste ancora una grande confusione fra i marxisti.

Ricordando a Freiligrath che lo scioglimento della Lega dei Comunisti era avvenuto (nel 1852) su sua proposta, Marx dichiara che da quell'evento egli non è appartenuto e non appartiene ad alcuna organizzazione segreta o pubblica: “Il partito”, scrive, “quindi, in questo senso del tutto effimero, ha cessato di esistere per me otto anni fa”. Per quanto riguarda le conferenze di economia politica tenute dopo la pubblicazione del Contributo a una critica... (1859), esse non erano destinate a un'organizzazione chiusa, ma a un piccolo numero di lavoratori selezionati, tra i quali c'erano anche ex membri della Lega dei Comunisti.

Alla richiesta dei comunisti americani di riorganizzare la vecchia Lega, aveva risposto che dal 1852 non era più in contatto con nessun tipo di organizzazione: "Risposi... che ero fermamente convinto che il mio lavoro teorico fosse più utile alla classe operaia della collaborazione con le organizzazioni, che sul continente non avevano più ragione di esistere". Marx continua: "Quindi, dal 1852, non so nulla di un 'partito' nel senso della tua lettera. Se tu sei un poeta, io sono un critico e per me le esperienze del 1849-52 sono state sufficienti. La "Lega", come la Société des saisons di Parigi e cento altre società, è stata semplicemente un episodio della storia di un partito che ovunque nasce naturalmente dal terreno della società moderna”.

Più avanti leggiamo: "L'unica azione che ho portato avanti dopo il 1852 per tutto il tempo necessario, cioè fino alla fine del 1853..., è stato la sistematica derisione e il disprezzo... contro gli inganni democratici dell'emigrazione e le sue velleità rivoluzionarie"... Marx parla poi degli elementi sospetti citati da Freiligrath come appartenenti alla Lega. Le persone citate, infatti, non sono mai state membri di questa organizzazione. E Marx aggiunge: "È certo che nelle tempeste si smuove il fango, che nessuna epoca rivoluzionaria profuma di acqua di rose, che a volte si raccolgono rifiuti di ogni tipo. Quando si pensa ai giganteschi sforzi diretti contro di noi da parte di tutto il mondo ufficiale che, per rovinarci, non si è accontentato di avvicinarsi a reati penali, ma vi si è immerso fino al collo; quando si pensa alle calunnie diffuse dalla "democrazia dell'imbecillità" che non ha mai saputo perdonare al nostro partito di aver avuto più intelligenza e carattere di lei, se si conosce la storia contemporanea di tutti gli altri partiti e se, infine, ci si chiede cosa si possa davvero rimproverare all'intero partito, si deve giungere alla conclusione che questo partito, in questo XIX secolo, si distingue brillantemente per la sua pulizia. È possibile, con la morale e le pratiche borghesi, sfuggire agli schizzi di fango? È proprio nei traffici borghesi che essi si trovano al loro posto naturale... Ai miei occhi, l'onestà della morale ... non è in alcun modo superiore all'abietta infamia che né le prime comunità cristiane né il club giacobino né la nostra ultima Lega sono riusciti a eliminare dal loro seno. Solo che, vivendo nell'ambiente borghese, ci si abitua a perdere la sensazione di rispettabile infamia o di infame rispettabilità.

La lettera, in gran parte dedicata ai dettagli del processo contro Vogt, si conclude con queste frasi: "Ho cercato... di chiarire l'equivoco di un "partito": come se con questo termine intendessi una "Lega" scomparsa otto anni fa o una redazione di giornale scomparsa dodici anni fa. Per partito intendo un partito in senso eminentemente storico. Il partito in senso eminentemente storico era per Marx il partito invisibile della conoscenza reale piuttosto che la dubbia conoscenza di un partito reale, cioè non concepiva alcun partito operaio che incarnasse, per il solo fatto di esistere, la "coscienza" o la "conoscenza" del proletariato. Negli anni in cui Marx si tenne lontano da ogni attività politica, dedicandosi esclusivamente a un'intensa attività scientifica, non smise mai, quando se ne presentava l'occasione, di parlare a nome del partito invisibile di cui si sentiva responsabile. Così, nel 1859, ricevendo una delegazione del Workers' Club di Londra, non esitò a dichiarare che si considerava, con Engels, il rappresentante del "partito proletario". Lui ed Engels, diceva, avrebbero avuto questo mandato solo da loro stessi, ma sarebbe stato "controfirmato dall'odio esclusivo e generale" di "tutte le classi del vecchio mondo e di tutti i partiti".

Quando, negli anni Sessanta, si verificò una rinascita del movimento operaio nei Paesi dell'Occidente, Marx ritenne che fosse giunto il momento di "riorganizzare politicamente il partito dei lavoratori" e di proclamare di nuovo apertamente i suoi obiettivi rivoluzionari. Nella mente di Marx, l'Associazione Internazionale degli Operai era la continuazione della Lega dei Comunisti, il cui ruolo era stato definito da lui e da Engels alla vigilia della Rivoluzione di febbraio. La Lega non doveva essere un partito tra gli altri partiti operai, aveva un obiettivo più alto, perché più generale: rappresentare in ogni momento "l'interesse del movimento totale" e "il futuro del movimento", indipendentemente dalle lotte quotidiane condotte su scala nazionale dai partiti operai. L'Internazionale dei Lavoratori, fondata a Londra nel 1864 in circostanze incomparabilmente più favorevoli della Lega dei Comunisti nella stessa città nel 1847, doveva essere sia l'organo delle aspirazioni comuni dei lavoratori sia l'espressione vivente della loro conoscenza teorica e intelligenza politica. L'Associazione Internazionale degli Operai era, secondo Marx, il partito proletario, la manifestazione concreta della solidarietà dei lavoratori nel mondo. Gli operai", scriveva Marx nel discorso inaugurale, "hanno nelle loro mani un elemento di successo: il loro numero. Ma i numeri hanno un peso nella bilancia solo se sono uniti dall'organizzazione e guidati dalla conoscenza".

Per Marx, l'Internazionale dei Lavoratori era il simbolo vivente di quella "alleanza tra scienza e proletariato" a cui Ferdinand Lassalle, prima di morire, aveva legato il suo nome. Dopo la caduta della Comune di Parigi, l'Internazionale non poté più svolgere il ruolo assegnatogli dal suo protagonista, che preferì riprendere il suo lavoro scientifico, pervaso dal desiderio di lasciare alle future generazioni operaie un perfetto strumento di autoeducazione rivoluzionaria. Marx fu il primo a riconoscere che "le idee non possono mai condurre oltre un vecchio stato del mondo" e che "per realizzare le idee, occorrono uomini con forza pratica" (La Sacra Famiglia). Ma se è vero che le idee possono portare solo "oltre le idee del vecchio stato del mondo", ne consegue che la vera metamorfosi del mondo implica sia la trasformazione delle cose che quella delle coscienze, e che il tipo di "uomo che vive in uno stato permanente di rivolta e di rifiuto è, in un certo senso, un'anticipazione del tipo umano della città futura, dell'"uomo integrale".

Fonte: Masses. Socialisme et liberté, N°13, février 1948