sabato 30 dicembre 2023

Verità per Giulio Regeni

 


Verità per Giulio Regeni

Tante domande, nessuna risposta.

Si riparla con insistenza del caso Regeni dopo troppi anni di silenzi e omissioni. E la cosa non può che fare piacere. In tanti a partire dalla famiglia chiedono che sia fatta piena luce su quanto accaduto. Ed è quello che anche noi vorremmo. Ma ci pare che nessuno, però, si sia posta la prima domanda che verrebbe alla mente anche di un semplice lettore di libri gialli: perché i dirigenti dei servizi egiziani, che pure ne avevano piena possibilità, invece che far sparire il corpo, rendendo così impossibile ogni indagine, lo fecero ritrovare e in quelle orribili condizioni?

Vengono in mente certi metodi tipici della Mafia e non solo. Detto con chiarezza, con quel ritrovamento che messaggio i servizi egiziani volevano mandare e a chi?

E cosa rendeva Regeni una minaccia così temibile da giustificare quelle torture tanto feroci da far morire il prigioniero? Modi usati verso la dissidenza interna, ma impensabili nei confronti di un occidentale, uno studioso, cittadino per di più di un paese amico come l'Italia con cui esistevano e esistono rapporti di cooperazione militare e di intelligence.

Ridicolo pensare che, come si è scritto e riscritto, tutto si riduca ad una banale intervista all'esponente di un sindacatino paralegale, personaggio ambiguo e probabile collaboratore della polizia politica. Per quello bastava un decreto di espulsione.

E invece a occuparsene furono, a quanto appurato dalla Magistratura italiana, i vertici dei Servizi e non qualche ufficiale subalterno, magari troppo zelante, scappato di mano ai suoi superiori.

Una ulteriore dimostrazione che il caso era considerato un problema di primaria importanza per la sicurezza del regime. Un allarmismo assolutamente non giustificato dal tipo di ricerca che Regeni stava svolgendo. Ma allora perché i vertici della sicurezza erano così preoccupati da intervenire in prima persona e quel modo?

E poi che informazioni potevano ricavare da un giovane, e a quanto si è visto, anche molto ingenuo, ricercatore universitario? Perché accanirsi in quel modo barbaro? Ma soprattutto perché far ritrovare il corpo e rendere così pubblico ciò che era accaduto? Senza il corpo si sarebbe trattato di una semplice sparizione, un fatto inspiegabile, come ne accadono ogni giorno, e non solo in Egitto, un caso da "Chi l'ha visto?".

E invece no, contro ogni logica, si decise di lasciare il corpo in bella vista e con segni inequivocabili che conducevano immediatamente alle pratiche tipiche della polizia e dei servizi egiziani e dunque rendevano il caso un affare politico internazionale.

Una scelta dei vertici dell'intelligence, sicuramente ben consapevoli del vespaio che si sarebbe scatenato. Il tutto porta a pensare, come già detto, che si volesse mandare in modo brutale un avvertimento a qualcuno, a torto o a ragione, considerato il regista di un'operazione di cui non sappiamo nulla e di cui lo stesso sfortunato Regeni era con tutta probabilità del tutto all'oscuro. Una semplice pedina mandata allo sbaraglio.

Chi potrebbe forse dare qualche informazione in merito è l'insegnante inglese che coordinava la ricerca e che lo aveva mandato in Egitto, ma , almeno a quanto riportato dalla stampa, la sua collaborazione alle indagini è stata minima. Eppure le cose da chiarire sarebbero tante. Chi è? Che tipo di Istituto dirige? Chi lo finanzia? Che ricerche svolge e per chi? Tutte domande a cui non pare che né la Magistratura né la stampa abbiano dato molto peso, puntando tutto sul Cairo, quando forse sarebbe stato opportuno indagare anche a Londra.