martedì 23 aprile 2024

Sulla tradizione

 


Sulla tradizione


"In questi ultimi tempi, la destra sta puntando su due suoi valori secondari: la repressione e la censura. E ci distrae dai veri pilastri del pensiero reazionario: il culto della morte, la difesa della terra, il mito del sangue e l’ossessione per l’origine. Ma soprattutto la fissa per le tradizioni. Le tradizioni, per la destra, sono nate nella notte dei tempi. Sono date agli uomini quasi per grazia divina. E si mantengono uguali nello spazio e nel tempo. Ma se presentano variazioni, occorre considerare migliore la versione più antica. Nulla di più falso".

Così scrive un carissimo amico (di cui non cito il nome perché si firma con uno pseudonimo) nell'incipit di un suo post molto intrigante sulla tradizione musicale irlandese. Riflessione interessante che mi porta a mettere giù un paio di considerazioni sul tema.

Il tema della tradizione è in effetti centrale nel pensiero di destra, tanto centrale da rappresentare il principale discrimine fra destra e sinistra.

Mi spiego meglio. Per chi voglia, come scrive Dante, vivere seguendo virtute e conoscenza, è fondamentale collocare il proprio agire materiale e intellettuale a partire da un punto di riferimento ideale. È proprio questo modello ideale che determina il carattere virtuoso e razionale del proprio agire nel mondo. Una sorta di Stella polare, insomma, che permetta nei momenti critici di fare il punto e tracciare con sicurezza la rotta.

E questo vale a maggior ragione per il pensiero politico, sia di destra che di sinistra.

Destra e sinistra da non confondersi con le evanescenti rappresentazioni attuali fondate su prospettive di cortissimo respiro calcolate in base alle proizioni statistiche, all'audit televisvivo o al numero di followers in rete.

Questo punto di riferimento, questa Stella polare, è identificato in una società ideale armonica che superi le contraddizioni dello stato di cose presente. Aspirazione profondamente umana, esistenziale prima che politica, ben esemplificata da Francesco Biamonti con il suo "è destino dell'uomo vivere un mondo ma sognarne un altro". Forma laica, comunque, di una visione religiosa della vita tipica del mondo premoderno. Visione che, a differenza della sua versione laica riusciva a fondere armonicamente passato e futuro. Ce lo insegna in modo magistrale Agostino quando riflette su come l'uomo viva nel presente con il ricordo del passato (l'annunciazione) e l'attesa del futuro (l'avvento).

I laici questa sintesi non l'hanno saputa fare e di conseguenza, tanto per metterla giù semplice, si sono divisi fra chi vive nel presente guardando al passato (la destra) e chi al futuro (la sinistra).

Proprio in questa radicale divergenza sta la differenza fra le due correnti di pensiero, o meglio tra i due modi di stare nel mondo. Uno stare nel mondo che, come dice Paolo, cercando così di mettersi al riparo dalle contraddizioni del tempo vissuto che sono comunque sempre anche contraddizioni dell'Io, che doveva però essere vissuto come un "non essere del mondo".

L'età dell'oro, il mondo dell'armonia, dove le infinite separazioni e contraddizioni che segnano il mondo reale siano finalmente superate, la destra la colloca nel passato come un qualcosa di perso, ma che può essere individualmente recuperato a partire da uno stile di vita coerente con questa visione. Non a caso Guénon e Evola parlano dell'epoca presente come età del ferro (Kali Yuga) segnata dalla materialità e dalla perdita di ogni valore ideale. La sinistra proietta invece questa età dell'oro nel futuro e dunque lo stare nel presente come costruttori di progresso. La storia vera dell'uomo, dice Marx, inizierà solo con il comunismo. Da qui il dibattito, oggi stantio ma in passato vivissimo, sul partito come prefigurazione nei rapporti fra i militanti della società che si vuole costruire.

Naturalmente questo duplice riferimento è sempre più radicale, tanto più estrema è la visione politica, fino a diventare totalizzante in realtà come, tanto per citare due esempi, Ordine Nuovo (quello rautiano ovviamente) da un lato e le chiesuole bordighiste dall'altro. E chiesuola non è termine messo lì a caso.

Detto tutto questo, è evidente come l'ottimismo (l'ottimismo della volontà di Gramsci) sia tipico della sinistra come consolazione dei mali di un presente fosco ma aperto a un futuro che si pensa radioso. Forma laica, qualcuno potrebbe non a torto dire, della tradizione messianica giudaico-cristiana. Anche in questo contesto, tuttavia, la deificazione della Tradizione fa capolino. Penso a Bordiga per il quale il marxismo nasce già integrale e "invariante" tanto che ogni sviluppo o mutamento anche di una minima parte significa tradirne l'essenza profonda.

Collocare l'età dell'oro in un passato lontanissimo significa invece non avere più alcuna illusione sulla possibile evoluzione in positivo del presente, e dunque, come scrive Evola, restare in piedi fra le rovine, coltivando il ricordo, perso dalle masse, di quel periodo aureo in cui gli uomini erano veramente uomini integrali. Da qui il vedersi come parte di una aristocrazia dello spirito (sempre per citare Evola) fondata sulla Tradizione, ma anche il culto della morte. La via del guerriero ,insomma, sia quella individuale del ronin (il samurai senza signore) o quella collettiva del templare (il membro di una comunità che prega e combatte). Da qui la "fedeltà" come valore assoluto fondante l''onore, l'identificazione con chi sta dalla parte perdente della storia (i sudisti, i repubblichini, i parà francesi) e pur sapendolo accetta il combattimento, "a cercare la bella morte" come forma estrema di coerenza.

E' evidente l'importanza in questa visione del rispetto integrale dei singoli elementi della Tradizione. E dunque – come per Bordiga sull'altro versante – innovare è sempre tradire. Mishima si uccise ritualmente per ricordarlo ad un Giappone che lo aveva dimenticato.

Altra cosa sarebbe poi ragionare su come si colloca in questo contesto la Massoneria che raccoglie e cerca di sintetizzare entrambi gli elementi, quello delle origini (la parola perduta) e quello del futuro (una società veramente umana fondata sul trinomio libertà-eguaglianza-fratellanza).Una ambiguità che ha fatto si che la Massoneria possa, a buon titolo, essere vista sia come fenomeno di destra che di sinistra.

In realtà si tratta di una ambiguità solo apparente, ma cercare di spiegare il perché porterebbe molto lontano e richiederebbe molto più spazio e quindi rimandiamo il discorso ad un'altra occasione.

Giorgio Amico

sabato 20 aprile 2024

Balma Boves, vecchie pietre calde d'amore


 
Balma Boves, vecchie pietre calde d'amore.


Balma Boves, un luogo magico se guardato con gli occhi del turista, ma anche testimonianza muta di una vita incomprensibile oggi, fatta di fatica e miseria, dove anche il poco era un piccolo segno di distinzione.

Ci si arriva con un sentiero prima largo, con mucche pigre che ci guardano passare con l'espressione di chi non si stupisce di nulla perché è in sintonia profonda con ciò che lo circonda: il pascolo, il cielo, la valle e i monti tutto intorno. 















Le mucche suscitano ogni volta in noi sensazioni strane, da quando, sempre in montagna, io e Vilma vedemmo caricare a forza un vitello su un furgone mentre altre mucche attorno muggivano disperate, circondavano quegli uomini, cercavano di spingerli via con il muso, consapevoli che quello sarebbe stato un viaggio senza ritorno. Restammo lì, muti e tristi, finché il furgone non fu partito con le mucche che continuavano a muggire. Un coro straziante, quasi umano o meglio totalmente umano. Da allora abbiamo guardato le mucche con occhi diversi, occhi di chi ha scoperto all'improvviso che la sofferenza è una condanna universale che non risparmia nessuno.

Il sentiero termina con una grande cascina, ora abbandonata, per trasformarsi in una stretta mulattiera fatta di pietre secolari che costeggia la roccia, passa sotto una cascata e sbocca in uno spiazzo in salita sotto un'enorme volta di pietra.












Balma Boves, tre case, una sorgente, una cantina, un forno. Case primordiali, fatte di pietra e fango, finestre senza vetri, piccolissime stanze con poca luce e pochi mobili e oggetti. Giusto il necessario per la sopravvivenza.

Non ci sono letti, si dormiva nella stalla scaldati dal fiato degli animali. E neanche tavoli. Gran parte dello spazio è dedicato agli animali o a far seccare le castagne, alimento fondamentale per quella gente.

Una vita durissima, impensabile oggi.

Eppure per secoli lì uomini e donne hanno vissuto, si sono amati, hanno fatto crescere figli. Un po' di quell'amore si coglie ancora, guardando la più grande di quelle case: due piani con un ballatoio che guarda la valle, bellissima e verde, che si apre sotto.

La guida ci racconta che quel secondo piano, fatto di due stanze più grandi e luminose, è stato costruito per ultimo in epoca abbastanza recente (la Balma è stata abitata fino agli inizi degli anni '70), da uno dei figli per viverci con la giovane sposa che aveva trovato in vallata.



Ora ospitano un piccolo museo della vita contadina che ha l'aria malinconica delle foglie appassite, ma mantiene ancora le vibrazioni forti dell'amore che aveva portato quella giovane donna, di cui non sappiamo nulla, ma che ci piace pensare bella e ridente, ad abbandonare la vita più facile dei paesi della valle per condividere con il suo compagno la durezza di un'esistenza fatta di fatica e sacrifici. Un po' di quell'amore è rimasto a scaldare le pareti, le uniche intonacate di tutto il piccolo villaggio, sufficiente a dare speranza a chi sa cogliere che anche in quel luogo, di una bellezza estrema ma terribile, c'è stata gioia e corpi intrecciati nell'atto d'amore e risate di bimbi.

Andare a Balma Boves è un ritorno alle origini, al senso autentico della vita, alla sua sacralità. Se ne ritorna un poco rigenerati nel mondo comodo ma avaro d'amore delle nostre città. Più fiduciosi nella forza misteriosa della vita che lega tutto ciò che esiste, dentro e fuori di noi.

Ancora una volta il cammino si è rivelato esperienza intima, prova iniziatica, viaggio alla ricerca di ciò che ci rende ciò che siamo.


venerdì 12 aprile 2024

Quando in Unione Sovietica scomparve lo Stato

 


Nel gennaio 1960 l'Unità con un articolo in prima pagina annunciava  con toni trionfalistici che in Unione Sovietica si era ormai giunti alla piena realizzazione del comunismo e all'estinzione dello Stato a partire proprio dal Ministero dell'Interno e dell'apparato repressivo. Per il PCI un'ulteriore conferma che l'URSS era il paese più libero e democratico del mondo.

Il Quaderno, che comprende, oltre a una nostra introduzione, la riproduzione della prima pagina de l'Unità del 14 gennaio 1960 e l'articolo integrale di Giuseppe Boffa, può essere scaricato dal sito www.academia.edu..

domenica 7 aprile 2024

ULRICH ELSENER alla Galleria Entr'acte

 


Sandro Ricaldone (curatore della mostra)
  

ULRICH ELSENER
einfarbig aber nicht eintöning
(monocromo, non monotono)
a cura di Sandro Ricaldone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
10 aprile – 3 maggio 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione:
mercoledì 10 aprile, ore 17


Ulrich Elsener (Biel 1943) è conosciuto a Genova, dove vive e lavora da decenni, in alternanza con Zurigo, per le mostre tenute in gallerie (Studio Leonardi, Spazio Della Volta, Artré, Entr’acte) e in spazi pubblici (Galata Museo del Mare, Palazzo Ducale), imperniate su fasi diverse del suo percorso creativo: le “immagini d’ombra”, le “maschere”, i “volti-paesaggi”.

L'artista, tuttavia, ai suoi esordi, sul finire degli anni Sessanta e lungo il decennio successivo, si era brillantemente affermato coltivando i modi della pittura concreta, dominante in Svizzera nel secondo dopoguerra. A quel tempo si riporta appunto la mostra ora allestita da Entr’acte attraverso un “oggetto” (acrilico su pannello) e quattro serigrafie, oltre a una copiosa raccolta fotografica e documentale.
Si tratta di lavori che in occasione di una personale tenuta alla Galerie Impact nell’aprile 1972 venivano così appropriatamente descritti in un articolo (siglato J.D.R) comparso sulla Gazette de Lausanne:
“La gradazione dei toni nelle composizioni si basa su una curva logaritmica, che permette di calcolare le intensità dei colori. Gradazioni così sottili potrebbero essere ottenute con una stima ottica, ma Elsener preferisce una risoluzione matematica all'empirismo dell'occhio. L'originalità della ricerca di questo artista, fortemente influenzato dalla Minimal Art, risiede più nell'integrazione dell'oggetto nell'ambiente che nel fenomeno ottico derivante dalla successione di bande monocromatiche, vere e proprie gamme di grigi o di blu. L'oggetto conquista lo spazio e la gradazione serve a favorire l'esplosione o l'implosione visiva della proposta. Una ricerca di questo tipo, basata sul carattere poliforme e sulla variazione progressiva o decrescente del contrasto, sembra aprire nuove prospettive nell'integrazione dell'arte con l'architettura”. 

Antifascisti savonesi nella guerra di Spagna


 Scaricabile dal sito www.academia.edu

Malcom X, gli afroamericani e le lotte dei popoli di colore

 



Nel 2012 la Federazione del Partito della Rifondazione Comunista di Savona tenne una Scuola di politica sul tema dell'Africa. Il corso si tenne nella Sala conferenze del Comune di Savona,  la Sala Rossa, con una buona partecipazione di pubblico Fra i relatori spiccava il Professor Raffaele Salinari, medico, docente universitario e esperto, grazie ad una lunga esperienza di volontariato in Africa, di cooperazione internazionale. 

Il mio contributo fu una lezione incentrata sulla realtà della minoranza afro negli Stati Uniti e sulla figura di Malcom X, uno dei temi centrali della mia tesi di laurea discussa nell'ormai lontano 1975.

Ne derivò una dispensa che riprendeva sintetizzandolo il contenuto della relazione e che da oggi è disponibile sul sito www.academia.edu nella pagina che raccoglie i miei lavori. 

G.A.


mercoledì 3 aprile 2024

I trotskisti italiani e il Maggio francese

 



L'ondata di occupazioni che tra la fine del 1967 e la primavera del 1968 travolgono l'intero sistema universitario italiano sembrano offrire ai trotskisti, raccolti nei Gruppi comunisti Rivoluzionari (GCR) e ancora operanti in modo semiclandestino all'interno del PCI, nuove confortanti prospettive di sviluppo. I GCR tentarono di affrontare la nuova situazione in un convegno del marzo ’68, destinato a stabilire se la tattica "entrista", praticata fin dalla fondazione dell'organizzazione, avesse ancora senso. Insomma, per dirla gramscianamente, se dalla guerra di posizione si dovesse passare alla guerra di movimento.

La conferenza portò alla luce le profonde divergenze esistenti all'interno della sezione italiana della Quarta Internazionale e anche i contrasti, non solo politici ma anche personali, che laceravano il suo gruppo dirigente dove una generazione di giovani quadri sempre più insoddisfatti del tatticismo esasperato di Livio Maitan stava emergendo a Roma e Milano. Una insofferenza acuita due mesi più tardi dai fatti francesi.

Il Maggio, di cui i gruppi trotskisti erano stati la forza trainante, mostrava che la stagione dell'entrismo era finita e che la lotta aperta contro partiti comunisti ancora profondamente stalinisti pagava.

Livio Maitan, fondatore e leader storico dei GCR, ritenne che i fatti francesi potessero da soli risolvere la situazione. Le risorse finanziarie, sempre piuttosto scarse, dei GCR furono impegnate nel fornire una informazione di prima mano mettendo in risalto il ruolo importante svolto dai trotskisti e la necessità, contro ogni tentazione spontaneistica, di una organizzazione ancorata ai tradizionali principi leninisti. Da qui il numero speciale della rivista teorica "Quarta Internazionale", interamente dedicato al Maggio. Seguirono poi alcuni opuscoli pubblicati dalla nuova casa editrice Samonà e Savelli, di fatto un'emanazione dei GCR di cui i due editori erano militanti.

Iniziativa sicuramente meritevole che permise di far conoscere meglio ciò che stava accadendo in Francia a una generazione di giovani che stava passando da una fase puramente rivendicativa, quasi di sindacalismo studentesco, ad un più complessivo impegno politico fortemente declinato in chiave rivoluzionaria.

Del tutto insufficiente invece a far superare la crisi che travagliava l'organizzazione trotskista, tanto che immediatamente dopo l'estate i GCR implosero dando vita a una miriade di nuove organizzazioni, da Servire il Popolo a Avanguardia Operaia, caratterizzate da un passaggio repentino dal trotskismo al maoismo.

Dei vecchi GCR restarono attivi solo dei piccoli nuclei in una decina di città. La grande ondata di lotte operaie dell'anno successivo permetterà un rilancio dell'attività con risultati non disprezzabili soprattutto a Torino, ma insufficiente a far uscire l'organizzazione dalla condizione di marginalità in cui si la crisi del '68 l'aveva precipitata.

Altri erano ormai i punti di riferimento di un movimento che pareva inarrestabile. Il Movimento studentesco della Statale e i nuovi partitini - dal Manifesto, a Potere Operaio, da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia fino all'ultrastalinista e caricaturale Servire il Popolo – avrebbero monopolizzato almeno fino alla metà degli anni Settanta l'ambito della sinistra rivoluzionaria.

A differenza dei loro compagni francesi, i trotskisti italiani avevano perso l'occasione per diventare una reale alternativa al Partito comunista. Un fallimento di cui Livio Maitan , dal 1949 leader incontrastato della sezione italiana della Quarta, portava non poche responsabilità. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.



G.A.


il quaderno è liberamente scaricabile dal sito www.academia.edu