venerdì 21 giugno 2024

I senza memoria. A proposito del Manifesto di oggi.

 


I senza memoria

Se "il Manifesto" scrive sul '68 come "Il Giornale" e "Il foglio"


Il 31 dicembre 1968 centinaia di giovani studenti e operai di Pisa e Livorno andarono a contestare il "capodanno dei ricchi" alla Bussola di Viareggio, il locale allora più in voga in Italia. La manifestazione, indetta dal Potere Operaio pisano, fu attaccata dai carabinieri intervenuti in forze che aprirono il fuoco ferendo gravemente Soriano Ceccanti, un ragazzo di 16 anni, che rimase paralizzato e da allora fu costretto a vivere su una sedia a rotelle. Era la prima volta che la polizia sparava sugli studenti. I fatti della Bussola scatenarono proteste violentissime in tutta Italia.

Oggi, in un articolo sulla storia di Sergio Bernardini, il patron della Bussola una sorta di Briatore di allora, diventata film, il Manifesto ricostruisce così quei fatti tragici:

"Ai tavolini della Bussola siedono artisti, teatranti, le stelle dello sport, i politici: è il centro dell'Italia del boom. Ma diventa nel '68 anche bersaglio delle proteste. Bernardini si mette in prima linea, parla con i contestatori, ci scappa anche un ferito".

Grande giornalista Stefano Crippa, autore dell'articolo che esalta per mezza pagina il genio imprenditoriale di Bernardini , definito retoricamente " un artigiano dello spettacolo" ma liquida in mezza riga quello che fu uno dei momenti più drammatici del 1968.

"Ci scappa anche un ferito", scrive senza vergogna quasi che Soriano Ceccanti si fosse preso un cazzotto e non un proiettile nella schiena mentre cercava di sfuggire allle cariche dei carabinieri. Di quei fatti evidentemente costui non sa nulla. A lui basta solo esaltare l'imprenditore.

Che la memoria storica sia andata persa è un fatto che non richiede commenti tanto è evidente. Ciò non toglie che questo articolo rappresenti una vergogna per un giornale che si definisce "quotidiano comunista".

Giorgio Amico

lunedì 17 giugno 2024

giovedì 13 giugno 2024

Ciao Rosasco, libraio controcorrente



 Ciao Rosasco, libraio controcorrente


E così, in silenzio, a 85 anni, se ne è andato anche Rosasco, libraio controcorrente per oltre vent'anni. Aperta nel 1975 in via Torino, nei locali di una vecchia osteria, quasi di nascosto, con la porta di legno a vetri oscurata da spessi fogli di carta rossa,  sede di un'associazione culturale inesistente dal nome francese (Joie de lire) con tanto di finti tesserati, perché il Comune ritardava la concessione della licenza,  la libreria di Rosasco rappresentava l'erede naturale della vecchia Libreria dello Studente del dottor Fontana, luogo di perdizione culturale negli anni caldi della contestazione.

Già la scelta di aprire una libreria al di fuori del centro cittadino in un quartiere operaio come era Villapiana allora, rappresentava un evento rivoluzionario. Poi la scelta attenta dei libri: molta scolastica, tanta politica, tantissima cultura francese, frutto quest'ultima dei periodici viaggi di esplorazione nelle librerie di Nizza di Luigi Lirosi, vero mentore di Rosasco. E poi la collaborazione con il libraio genovese Tassi, la cui libreria nei vicoli del centro storico puzzava di sovversione e di eresia.

Rosasco amava i libri, per questo aveva deciso di cambiare vita e da agente di commercio reinventarsi come libraio. E proprio perché amava i libri, e li leggeva – cosa rara oggi fra i librai – decideva lui cosa tenere e cosa assolutamente non vendere..

Epiche certe sue litigate contro clienti, entrati per sbaglio, che si lamentavano di non trovare il bestseller di moda.

Non si era mai visto a Savona, e credo raramente anche altrove, un libraio che cacciava in malo modo i clienti che non gli piacevano. Rosasco lo faceva, capace nonostante la sua mitezza, di collere improvvise. Ed erano allora libri che volavano attraverso il negozio per atterrare sul marciapiedi davanti all'ingresso, dove sostava sempre gente perché c'era la fermata degli autobus. Volti stupiti a fissare quell'uomo minuto in piedi sulla soglia a sbraitare contro il rincoglionimento di massa voluto dal potere e dall'industria della "cultura".

Da lui potevi trovare riviste, volantini e opuscoli rintracciabili solo a Genova o addirittura a Milano. Da lui passavano periodicamente missionari delle varie chiese bordighiste e trotskiste ad annunciare la lieta novella e a lasciare i loro materiali, qualcuno anche dalla Francia. 

Una libreria controcorrente che non piaceva ai benpensanti di sinistra, vecchi stalinisti in primis, che sentivano puzza di eresia in quelle pubblicazioni e guardavano con sospetto i frequentatori abituali di quel locale. Una fauna eterogenea, un mix di cento tribù: cattolici del dissenso, anarchici, militanti di quello che restava dei gruppi extraparlamentari, ma anche fricchettoni dei primi centri sociali e femministe. Insomma, tutti coloro che non si riconoscevano nel compromesso storico e nel conformismo moralistico berlingueriano che tanti guasti avrebbe provocato. Ma anche, va detto, non priva di personaggi ambigui, al limite fra il provocatore e il confidente di Questura. Gente che ti prendeva da parte e sottovoce ti faceva discorsi neppure troppo allusivi sui "compagni che sbagliano ma...".

Libreria anomala, rimasta per molti aspetti osteria, luogo di incontri e di discussioni accanite nella saletta interna, riservata a pochi, vero e proprio sancta sanctorum, attorno a una vecchia stufa, unica forma di riscaldamento in inverno, su cui il buon Rosasco, più vecchio di noi di una decina di anni, si ostinava a coltivare l'antico uso delle bucce di mandarino sulla piastra incandescente a combattere il fumo aspro della legna con aromi e fragranze sicuramente più simpatiche dell'odore inconfondibile delle prime canne rigorosamente bandite da quegli spazi.

Un luogo magico, una sorta di caverna primordiale che ti avvolgeva e ti faceva sentire bene.

E questo Rosasco cercava. Non tanto e non solo vendere libri o comunque far cultura, ma gestire uno spazio che fosse prima di tutto comunità di uomini liberi, di menti critiche.

Savona gli deve molto, noi gli dobbiamo molto.

Un abbraccio vecchio libertario brontolone in guerra accanita con il mondo della mediocrità culturale e del politicamente corretto che avanzava a larghi passi e che non volevi a nessun costo accettare.

Non hai vinto la tua battaglia, ma ci hai aiutato a salvarci da tutta la merda che incominciava a pioverci addosso. E di questo ti saremo  eternamente grati.



martedì 11 giugno 2024

SIMONDO & CO. - Genova, Galleria Entr'acte

 


SIMONDO & CO.
a cura di Sandro Ricaldone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
13 giugno – 12 luglio 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione: giovedì 13 giugno, ore 17


Entr’acte chiude la stagione con una rassegna dedicata a Piero Simondo (Cosio d’Arroscia, 1928 – Torino, 2020) membro del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista, cofondatore del Laboratorio sperimentale di Alba (1955) e dell’Internazionale situazionista (Cosio, 1957), animatore del C.I.R.A. (Centro Internazionale per un Istituto di Ricerche Artistiche, Torino, 1962-1967), in seguito responsabile dei laboratori di attività sperimentali presso l'Istituto di Pedagogia dell’Università di Torino e docente di Metodologia e didattica degli audiovisivi.

Nel suo lungo percorso pittorico Simondo ha attraversato diverse fasi: dai monotipi iniziali, alle grandi topologie degli anni ’60 (esposte a Genova allo Studio Leonardi nel 1994), ai “quadri manifesto” del periodo successivo al 1968 (esposti qui alla Libreria Sileno sempre nel 1994), per passare poi alle “Ipopitture” e ai “Nitroraschiati”, ricercando sempre - nella varietà delle tecniche e dei procedimenti – un’“immagine imprevista”.

In mostra tre monotipi degli anni ’50-60 e un grande trittico (“Attenuazione/Aumento”) degli anni ’90, accompagnati dalle litografie realizzate nel 1956 da Asger Jorn, Sandro Cherchi e Franco Garelli, oltreché da Simondo stesso, in occasione della manifestazione per l’Urbanismo unitario all’Unione Culturale di Torino e da documenti d’epoca.

Tra le sue mostre recenti si segnala l’ ampia retrospettiva allestita nel 2021, a cura di Luca Bochicchio, presso l’Accademia Albertina di Torino che aveva frequentato in gioventù nella classe di Felice Casorati. Nel maggio 2004 l’Accademia Ligustica di Belle Arti gli ha riservato un incontro di studio con la partecipazione dell’artista e di Guido Curto, Sandro Ricaldone, Carlo Romano, Sandra Solimano e Cesare Viel. 



venerdì 7 giugno 2024

Fascismo: non limitarsi agli slogan

 










Risposta ad una cara amica che su Facebook posta alcune foto di edifici del periodo fascista e aggiunge che, nonostante la negatività del periodo, li trova splendidi:

Assolutamente d'accordo. Il che ci ricorda che il fascismo fu anche (o soprattutto) un tentativo (fallito) di modernizzare l'Italia, dall'alto, in modo autoritario. Da rivoluzionario deluso, Mussolini pensava che da solo il popolo italiano non avrebbe mai avuto la forza di superare secoli di abulia dovuti alla frantumazione politica e alla egemonia straniera. L'esaurirsi rapido della carica rivoluzionaria delle lotte risorgimentali stava a dimostrarlo. Ancora minore era la fiducia nelle classe dirigente e nella monarchia.

Da qui il tentativo di forgiare una gioventù nuova che avesse tra l'altro il senso del bello. L'arte doveva diventare esperienza quotidiana, fruibile da tutti. Pensiamo al Pegaso del fascistissimo Arturo Martini sulla facciata del palazzo delle Poste di Savona.

L'ironia della storia ha voluto che quella gioventù nuova nascesse non nei Littoriali, dove comunque si era formata, ma nella scelta della via della montagna quando il fascismo crollò come un castello di carte.

Come ogni grande fenomeno storico (e il fascismo lo è stato, tanto da segnare profondamente fino ad oggi la storia dell'Italia repubblicana) il fascismo è realtà complessa da affrontare con serietà Dunque rifiuto netto dell'ideologia fascista in qualunque forma si manifesti, ma anche non abbassarsi al livello delle polemiche sul "Mussolini ha fatto anche cose buone".

La storia va studiata non ridotta a slogan. L'antidoto al ripetersi di tragedie come i totalitarismi del Novecento sta nel non demonizzare con formule prive di contenuto, ma capire, capire, capire.

L'ultimo blues di Ben Vautier

 


L'ultimo blues di Ben Vautier


Il 4 giugno mi arrivava la newsletter che Ben Vautier mandava periodicamente a collaboratori e amici. Tra i vari materiali raccolti nella voluta sovrapposizione di testi diversissimi fra loro, tipica del suo modo di fare arte e scrittura, mi aveva particolarmente colpito una traccia di blues.


BEN CHANTE LE BLUES
1234
i want to be myself
i don’t know who I am
help me be myself
J’aurais aimé être chanteur de blues
au Cessole
je chante le blues avec Steiner

Il giorno stesso moriva improvvisamente di un ictus fulminante la moglie. Poche ore dopo Ben si suicidava.

Addio, caro Ben, amico fraterno e compagno libertario. Mi mancherà il tuo costante ricordarci che la vera arte è vivere quotidianamente la propria vita da uomini liberi, senza vincoli né padroni.

domenica 2 giugno 2024

Tra una settimana si vota. Cambierà qualcosa?

 Tra una settimana si vota. Cambierà qualcosa?


Solitamente non sto molto su FB, anche perché per ogni post ci sono almeno quattro o cinque comunicati pubblicitari o comunicazioni di nessun interesse e di cui spesso fatico a capire il senso. Quindi scorro un paio di paginate e poi chiudo. Oggi, avendo un'ora libera, l'ho completamente dedicata alla consultazione di FB.

A parte alcuni post di foto molto belle, che comunque seguo già, o di alcuni amici speciali (Sandro, Bobo, Giuliano, Adriano, Marcello e pochi altri) che anche in questo caso seguo già con attenzione proprio perché speciali, ho verificato per l'ennesima volta come il mezzo scateni pulsioni violente che evidentemente molti si portano dentro.

Soprattutto nelle reazioni a post su Gaza o sul governo Meloni ho trovato una massa di odio contro gli ebrei (sempre definiti sionisti) e contro chi manifesti idee di destra anche molto moderate (tutti indistintamente definiti fascisti) pari solo alla del tutto manifesta ignoranza della estrema complessità dei temi trattati. Insomma slogan al post delle idee e certezze al posto dei dubbi e delle domande.

L'area dei miei contatti è in larga parte di sinistra, ma credo che la situazione non sarebbe diversa se fosse di destra. troverei, ne sono sicuro, lo stesso odio viscerale ma verso i comunisti, intendendo con questo termini tutti coloro che la pensano diversamente.

In questa rabbia diffusa che si fa odio verso chi pensandola diversamente deve essere considerato un nemico da schiacciare, in questa convinzione ostinata di essere comunque i detentori della verità e dunque di non dover fare alcuno sforzo per capire - tanto è tutto chiaro: i buoni di qua, i cattivi di là - nella tendenza al complottismo e alla ricerca del capro espiatorio su cui scaricare le proprie frustrazioni e non nei presunti silenzi sul fascismo della Meloni, vedo attecchire e svilupparsi i germi di un nuovo totalitarismo.

Né mi rassicura l'uso compulsivo del termine antifascismo, usato per giustificare di tutto, dalla politica di Putin (gli ucraini sono tutti nazisti) ai crimini di Hamas. 

Tra qualche giorno si vota e queste persone voteranno. Qualunque sia il loro voto, lo spaccato d'Italia che ho attraversato oggi mi toglie ogni illusione che possa uscirne qualcosa di buono.