A metà settembre del 1969, nel pieno della più grande stagione di lotte operaie del dopoguerra, usciva il primo numero del settimanale “Potere Operaio”. Il giornale, espressione dell'omonimo gruppo politico, si poneva in diretta continuità con l'esperienza della rivista “La Classe” uscita nei mesi precedenti. Ne proponiamo i principali articoli in cui si fissava la linea politico-strategica del gruppo a partire da un punto fermo: la lotta operaia non doveva essere vista in un'ottica meramente contrattuale, ma come lotta immediatamente politica contro il potere del capitale e del suo Stato. Il linguaggio è molto duro, come duri erano quei tempi.
Nell'articolo Per una direzione politica delle lotte leggiamo:
“Sappiamo anche che i tempi del contrattacco padronale saranno quelli dell'attacco operaio. Ma quello che ora soprattutto vogliamo sottolineare non sono tanto i contenuti specifici del suo contrattacco quanto la forma in cui questo verrà portato: la forma della violenza statale. Lo stato in prima persona scenderà nella lotta a tutelare contro gli operai gli interessi dei padroni, mascherati dietro la mistificazione dell'interesse generale, del bene di tutti, delle necessità oggettive dello «sviluppo». Lo stato fa questo, deve fare questo perché esso è «la direzione politica» della classe dei capitalisti”.
Lette oggi, a distanza di tanti anni, queste frasi sembreranno probabilmente a molti una tipica manifestazione di quel massimalismo parolaio che la vulgata dei vincitori, eredi del PCI berlingueriano compresi, associa da sempre alla pratica politica dei gruppi della muova sinistra. Tre mesi dopo, il 12 dicembre, la strage di Piazza Fontana e subito dopo l'assassinio di Giuseppe Pinelli avrebbero dimostrato che non di vuota retorica si trattava, ma di una lucidissima visione politica.
Il quaderno è liberamente consultabile sul sito www.academia.edu