venerdì 2 aprile 2010

Se l'amore è la risposta al male di vivere


C'è spazio ancora per l'amore in un mondo frammentato e disumano come il nostro? Un piccolo film, da poco nelle sale, prova a dare una risposta.

Armida Lavagna

Se l'amore è la risposta al male di vivere


Milano grigia e bianca. Quasi in bianco e nero. Tutta distesa attorno alla Villa, che sa di palcoscenico tragico fin dalle prime sequenze, con i suoi interni di un lusso soffocante, con i suoi riti vacui e il balletto degli sguardi nella solenne tavolata celebrativa del capofamiglia.

La solitudine s’insinua strisciante in ogni piega di quella vita mondana, a partire dal vecchio che nel giorno dell’investitura degli eredi si sente tradito dal nipote che si è lasciato sconfiggere da un cuoco e dalla nipote che spezza le tradizioni, che per prima trova il coraggio di sottrarsi al ruolo assegnatole. Solo è anche Tancredi, costretto nella propria mediocrità da un padre che ritiene che ci vogliano due uomini per sostituirlo.

“Si può star bene in due come si sta bene da soli” scrive la nipote sgusciata via da quel nucleo familiare le cui vite sembrano simili ai segnaposti appoggiati ordinatamente sul vassoio, posate l’una accanto all’altra a regolari intervalli, il cui spazio è il silenzio, l’incomunicabilità, la menzogna, l’ipocrisia.

Come una corrente d’aria entrata da una porta-finestra, scompagina i segnaposti e distrugge le ordinate esistenze ad essi abbinate il giovane cuoco, appassionato della sua arte, dei profumi, degli accostamenti inediti, di un diverso ordine, quello della composizione creativa che leggiamo nei suoi piatti.


Il titolo potrebbe dunque alludere a lui. “Io sono l’amore” imprevedibile, illogico, sprezzante delle convenienze e delle finte distanze, amante delle distonie, come le melanzane col sambuco, come il ristorante progettato in cima a una stradina dell’entroterra di Ponente, tanto tortuosa da far pensare ai benpensanti che avrebbe pochi clienti, che non varrebbe la pena arrampicarsi fin lassù solo per assaporare qualcosa di mai provato prima. Ma potrebbe alludere a chi quella strada ha il coraggio di percorrerla.

Emma che non ha più nome, Emma che la mattina si indossa come i suoi gioielli, come il monile che scatta con suono sinistro di manette quando il marito la orna e la esibisce, Emma combattuta tra chi la libera da quei gioielli e da quelle catene invisibili posate sul cuore e tra chi fa parte della sua vita, ma arriva a dirle: “Tu non esisti”.

E invece sì, la giovane russa esiste, e forse “Io sono l’amore” è proprio la risposta a quella glaciale sentenza. O forse è l’amore stesso a parlare, in un prato in mezzo agli ulivi, sotto gli ultimi raggi di sole, dove raggiungono l’estasi i corpi, le note di un violino, le api infilate nei fiori colorati.



Armida Lavagna, savonese, insegna Lettere in una Scuola Secondaria. Si occupa per Vento largo di letteratura e di cinema.