Com'è la vita di ogni giorno
nella Atene travolta dalla crisi? Ce lo racconta questa
corrispondenza di Mauro Faroldi, giornalista e traduttore, che nella
capitale greca vive e lavora,
Mauro
Faroldi
Atene
non è Sarajevo
In
un'estate che ha stentato a venire Atene sta vivendo i suoi più
difficili momenti dalla caduta della
dittatura. A breve ci saranno le elezioni, le ultime, tenute meno di
un mese fa, non hanno sbloccato l'impasse in cui è caduta la
politica greca. Le prossime elezioni, indipendentemente dal loro
esito, non risolveranno una situazione che promette incertezza e un
oscuro avvenire.
La
vita quotidiana si trascina sempre più faticosamente, siamo al
quarto anno di crisi e la Grecia è stata ricacciata repentinamente e
brutalmente di un quarto di secolo
indietro, circola l'euro ma siamo tornati alla metà degli anni '80.
Athanasía
abita nel mio quartiere, nella mia stessa via, è insegnate
universitaria, lavora al TEFAA, l'Istituto Superiore di Educazione
Fisica, è una "privilegiata" non ha perso il lavoro, e
lavorando per lo stato, per ora non lo perderà. Ma il suo stipendio
è stato massacrato, ora guadagna quanto un bidello in Italia. Prezzi
europei, salari balcanici, così hanno ridotto la Grecia. Nel
condominio dove abita molti hanno perso il lavoro, quest'inverno non
hanno nemmeno acceso il riscaldamento centrale, molti inquilini non
erano in grado di pagare, già si parla di bloccare anche
l'ascensore, le fatture non pagate dell'energia elettrica
condominiale si accumulano una sull'altra.
Renata
è polacca, è qui da vent'anni, è arrivata con la prima ondata di
immigrazione. Ha vissuto facendo manicure a domicilio, e quando non
bastava non si è tirata indietro è andata a fare pulizie nelle
case. Anche il suo uomo è polacco, qui ha lavorato come edile,
montava strutture di cartongesso, da due anni è disoccupato, ha
cinquant'anni e se rimane ad Atene il suo destino sarà la
disoccupazione a vita. Hanno deciso di tornare in Polonia, laggiù
almeno hanno una casa di proprietà dove vive la suocera di Renata.
Ma non è una scelta facile, debbono abbandonare tutto, debbono
abbandonare una vita che si erano costruiti giorno per giorno.
Chrístos
lavorava per Eleftherotypía,
uno dei principali quotidiani del paese. Il giornale ha cessato le
pubblicazioni intorno a Natale, i suoi dipendenti, alcune centinaia,
che già non erano pagati dall'inizio dell'estate, sono in mezzo alla
strada. Chrístos ha dovuto lasciare la casa di Atene dove era in
affitto e si è trasferito nella sua casa fuori Atene, una casa che,
facendo sacrifici, aveva comprato negli ormai lontani tempi delle
"vacche grasse", quando il costo delle abitazioni era
ragionevole. Ora sopravvive con qualche lavoretto facendo il
giornalista freelance, inoltre ha scritto un libro "I nuovi
poveri". Chrístos, nel libro, partendo dalla propria esperienza
di vita, racconta delle condizioni in cui sono caduti, a causa della
crisi, centinaia di migliaia di membri della classe media. Il libro
ha avuto un certo successo, ma un libro venduto in poche migliaia di
copie non può far vivere nessun autore. Chrístos è stato invitato
a partecipare, in televisione, ad alcuni dibattiti sulla crisi,
esempio vivente di come la crisi abbia cambiato la vita dei greci.
Come
tutte le mattine, molto presto, esco di casa e vado a fare una
passeggiata al Pedíon tou Áreos
li grande parco che non è molto distante dal Museo archeologico
nazionale. Nel parco, all'ombra degli alberi, ogni mattina i
pensionati si riuniscono per fare delle interminabili partite a
távli, il
backgammon greco, mi fermo a salutare Spíros, ottant'anni portati
benissimo, conosce benissimo il francese e per questo ha passato la
vita lavorando nelle reception di molti, anonimi alberghi ateniesi.
Gli hanno tagliato la pensione e gioca a távli
senza gustare, come faceva fino a poco tempo fa, il suo caffè
ellinikò,
non può più permettersi 30 o 40 euro il mese di caffè. Non molto
lontano su di una panchina, poco lontano da immigrati che dormono nel
parco perché non hanno un tetto, due pensionati discutono
animatamente, mentre mi allontano sento dire da uno di questi, "Non
c'è niente da fare, noi greci non siamo e non potremo mai diventare
europei...". È la Grecia che ha
gettato le basi della civiltà europea occidentale, ma i greci verso
gli "occidentali" vivono un sentimento che è un misto fra
il complesso d'inferiorità, il rancore e l'orgogliosa consapevolezza
di essere gli eredi di un glorioso passato.
Tornando
a casa mi fermo al bancomat, vicino all'ingresso di una banca, una
donna greca ancora giovane, con i vestiti poveri ma decorosi, chiede
degli spiccioli. Ma chiede i denari vergognandosi, cercando di non
farsi notare. Si capisce subito che non è una mendicante,
probabilmente il marito ha perso il lavoro e sono costretti a
chiedere soldi così, per strada.
Continuo
a camminare, la città è più sporca del solito, per terra quantità
di volantini di propaganda elettorale si alternano a volantini di
negozi che comprano oro pagandolo in contante. Atene è una città
ferita, ma non è Sarajevo, nonostante che la sua inetta, corrotta
classe politica e un pugno di banchieri di casa a Francoforte stiano
tentando, in tutti i modi, di ricacciarla nei Balcani.