martedì 19 marzo 2013

Marx, Babeuf, Owen e il sogno dell'eguaglianza

Karl Marx 
























Riprendiamo la riflessione sull'utopia, ossia sulla possibilità di pensare una realtà sociale radicalmente altra da quella presente. Dopo Robert Owen, oggi parliamo di Karl Marx  e Friedrich Engels.


Giorgio Amico

Marx, Babeuf, Owen e il sogno dell'eguaglianza

1. Engels e l'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza

Nel 1880 Engels su sollecitazione di Paul Lafargue prepara un breve estratto dell'Antidühring che con il titolo di "Socialismo utopico e socialismo scientifico" viene pubblicato dapprima in Francia e poi via via nei principali paesi europei fra cui l'Italia, dove appare nel 1883. Il testo, considerato "il prodotto più audace della fucina di Marx e di Engels"(1), traccia a grandi linee il passaggio del pensiero socialista dal terreno dell'utopia a quello ben più solido della scienza. Il primo dei tre capitoli in cui l'opuscolo si suddivide tratta diffusamente del pensiero dei maggiori esponenti del socialismo utopico: "Saint-Simon, nel quale le tendenze borghesi conservano ancora una certa validità accanto alla tendenza proletaria, Fourier e Owen, il quale, nel paese in cui la produzione capitalistica era più sviluppata e sotto l'impressione degli antagonismi che ne risultavano, ricollegandosi direttamente al materialismo francese, sviluppò sistematicamente i suoi progetti per l'eliminazione delle differenze di classe". (2) 

Engels non entra nel merito dei sistemi elaborati dai tre, nè tantomeno gli preme aprire una discussione sulle tesi da esse avanzate. Gli è chiaro, sulla base dell'esperienza concreta di quasi un secolo di lotte di classe, che per la loro astrattezza "questi nuovi sistemi sociali erano, sin dal principio, condannati ad essere utopie: quanto più erano elaborati nei loro particolari, tanto più dovevano andare a finire nella pura fantasia". (3) Egli dunque lascia risolutamente ai "rigattieri della letteratura", sempre alla ricerca, ieri come oggi, di scampoli del passato da riciclare come novità del presente, il poco gradevole compito di riesumare teorie ormai defunte per dedicarsi invece a porre in risalto "i germi ideali di idee e i pensieri" che queste hanno comunque trasmesso al socialismo scientifico che "come ogni nuova teoria, ha dovuto anzitutto ricollegarsi al materiale ideologico preesistente". (4) 

Egli riconosce apertamente il debito che il marxismo ha nei confronti dei pensatori socialisti di inizio Ottocento di cui ha saputo potentemente sviluppare le intuizioni. Il comunismo scientifico dunque nasce da una critica serrata a un socialismo che, pur mostrandosi incapace di abbandonare definitivamente il terreno dell'utopia, affonda tuttavia le sue radici tanto nel materialismo settecentesco quanto nelle aspirazioni del proletariato. E' proprio questa critica che, partendo dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, culmina nel Manifesto del partito comunista del 1848, che ci interessa oggi riprendere nelle sue linee portanti. In particolare la critica dell'egualitarismo rozzo e del determinismo.

Friedrich Engels























2. Marx, Babeuf e il sogno dell'eguaglianza

Se fin dai primi loro scritti Marx e Engels si confrontano con le teorie socialiste del loro tempo, è soltanto nel Manifesto del partito comunista ed in particolare nel terzo capitolo che tale confronto assume i contorni di una definitiva resa dei conti teorico-politica. Dopo aver trattato del socialismo "reazionario" e di quello "conservatore o borghese", nella parte conclusiva del capitolo viene affrontata l'analisi del "socialismo e comunismo critico-utopistici", cioè di quelle teorie da cui i due giovani rivoluzionari tedeschi avevano fino ad allora tratto ispirazione e spunti di analisi. In apertura Marx opera una distinzione netta fra "la letteratura che ha espresso le rivendicazioni del proletariato in tutte le grandi rivoluzioni moderne" e "i sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi di Saint-Simon, di Fourier, di Owen". Da un lato, dunque, si collocano i fermenti egualitaristici che a partire dalla Riforma, passando per la guerra dei contadini del 1525 e la rivoluzione inglese, culminano nella Congiura degli Eguali di Gracco Babeuf, mentre dall'altro stanno veri e propri sistemi che intendono in base ad una riflessione complessiva sulla società e sulla storia offrire una soluzione alle contraddizioni del presente. Il primo filone rappresenta un comunismo ancora bambino, espressione di una realtà che non ha maturato le condizioni materiali minime per l'emancipazione sociale degli oppressi e che non può che generare una letteratura che "è per forza reazionaria, quanto al contenuto; insegna un ascetismo generale e un rozzo egualitarismo". (5) Ciononostante per Marx e Engels anche questo filone non va sottovalutato. 

"La Rivoluzione francese - scrivono - ha suscitato idee che portano oltre le idee di tutta la vecchia situazione del mondo. Il movimento rivoluzionario, che è cominciato nel 1789, nel Cercle social, che ha avuto nel mezzo del suo cammino, come rappresentanti principali Leclerc e Roux, e che infine è stato momentaneamente sconfitto con la cospirazione di Babeuf, aveva suscitato l'idea comunista, che l'amico di Babeuf, Buonarroti, dopo la rivoluzione del 1830, ha introdotto nuovamente in Francia. Questa idea, conseguentemente elaborata, è l'idea della nuova situazione del mondo". (6) Marx dunque considera Babeuf portatore di un'idea (in altra occasione parlerà di "sogno di una cosa") che rende possibile una nuova visione del mondo, ma che purtuttavia necessita di ben altra elaborazione. Il suo pensiero non può essere altro che una prima, rudimentale approssimazione. Chi non comprende questo limite oggettivo, chi, come Max Stirner, raffigura il francese come un teorico compiuto del comunismo, si rivela prigioniero di una visione delle cose superficiale e schematica, da "maestro di scuola". 

L'egualitarismo di Babeuf, pure tanto ardente da condurlo alla ghigliottina, incarna le aspirazioni libertarie della società del suo tempo, ma non è ancora lo strumento teorico con cui il proletariato può pensare in termini positivi la propria liberazione. Visto come rivolta contro un'ingiustizia di cui non riesce purtuttavia ad afferrare le cause profonde, il pensiero comunista settecentesco non può che apparire rozzo e perfino reazionario. Gracco Babeuf offre un contenuto rivoluzionario al comunismo agrario di matrice illuminista senza comprendere che il comunismo non è l'applicazione concreta di un astratto principio di eguaglianza, ma il prodotto del processo storico. "Periscano, se necessario, tutte le arti, purchè ci resti l'uguaglianza reale!" proclamava fieramente il Manifesto degli Eguali. Marx non può che respingere una concezione tanto astratta, per lui il comunismo non rappresenta la fine dello sviluppo storico, ma con il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà l'inizio della storia vera. La visione dello sviluppo delle forze produttive come condizione sine qua non di questo passaggio sostanzia il pensiero marxiano e lo differenzia radicalmente da ogni forma di utopismo. Di contro a un Fourier che concepisce il lavoro solo in termini di piacere, Marx non parla di abolizione del lavoro, ma di riduzione di questo al minimo storicamente possibile. La necessità non sparisce per incanto, ma dialetticamente pone le condizioni del suo superamento. 

"Come il selvaggio deve lottare con la natura - annota nel Capitale - per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e per riprodurre la sua vita, così deve fare anche l'uomo civile, e lo deve fare in tutte le forme della società e sotto i tutti i possibili modi di produzione. A mano a mano che egli si sviluppa il regno delle necessità naturali si espande, perchè si espandono i suoi bisogni, ma al tempo stesso si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni. La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò , che l'uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura natura umana e più degne di esso. Ma questo rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò la riduzione della giornata lavorativa". (7) La teoria rivoluzionaria, ci dice Marx, non può che affondare le sue radici in una concezione della storia di tipo nuovo, in un materialismo profondamente trasformato dalla dialettica.

Gracco Babeuf























3. Materialismo deterministico e filosofia della prassi

Per Marx le teorie comuniste moderne affondano le loro radici nelle dottrine materialistiche settecentesche. Sempre nella Sacra famiglia questa filiazione filosofica, senza la quale anche i sistemi "propriamente" comunisti dei grandi utopisti perdono senso e spessore intellettuale, viene esplicitamente affermata: " Fourier muove immediatamente dalla dottrina dei materialisti francesi. I babuvisti erano materialisti rozzi, incivili, ma anche il comunismo sviluppato muove direttamente dal materialismo francese. Questo infatti ritorna, nella forma che gli ha dato Helvétius, nella sua patria, in Inghilterra. Bentham fonda sulla morale di Helvétius il suo sistema dell'interesse bene inteso; e Owen, partendo dal sistema di Bentham, fonda il comunismo inglese...". (8) Lo sviluppo di una concezione materialistica del reale è dunque premessa per la nascita di una compiuta teoria comunista, a condizione però che questa sappia andare oltre i limiti metafisici del pensiero illuminista. 

E' in Francia che, preparato dal sensismo dei filosofi inglesi del 1600 e sorretto dallo sviluppo delle scienze della natura, il materialismo appare nella sua forma classica all'inizio del Settecento. In guerra aperta con la religione i materialisti del XVIII secolo rifiutano ogni forma di innatismo morale, ricadendo però ben presto in una nuova forma di metafisica. Se il mondo reale è contradditorio proprio perchè frutto di una storia trionfo dell'irrazionale e della superstizione, la soluzione non può che porsi sul piano astorico di una razionalità insita nella natura. La ragione si sostituisce alla storia, la natura idealizzata alla vecchia concezione di Dio. Il cambiamento, ritenuto necessario e fortemente voluto, non può che giungere dal di fuori dei concreti nessi sociali del tempo. Rivoluzionari intellettuali, coerenti e determinati nella denuncia dei guasti della religione e dell'assolutismo, gli illuministi non sanno leggere il concreto quotidiano mutamento rivoluzionario dei rapporti sociali che sta avvenendo sotto i loro occhi. L'esempio di Helvétius è illuminante. Per Helvétius i mali del mondo si riducono a vizi di legislazione. Se l'uomo è il prodotto dell'ambiente e questo il frutto delle leggi e delle consuetudini, occorre operare perchè queste cambino e sappiano conciliare l'interesse individuale dei singoli con l'interesse generale della collettività. Solo così, sconfitto l'egoismo, possono darsi le condizioni di una vera moralità. Occorre, dunque, radunare un consesso di magistrati illuminati capaci di creare una legislazione in grado di stimolare la cooperazione degli uomini nell'ottica del bene comune e porre così le premesse per la concreta realizzazione della società ideale.

Un secolo più tardi nelle sue Tesi su Feuerbach Marx chiarirà che proprio nella storia, intesa come "prassi rivoluzionaria", sta la soluzione dell'enigma, tanto ansiosamente ricercata. "La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Robert Owen). La coincidenza del variare dell'ambiente e dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria". (9) In queste frasi del giovane Marx, scritte in polemica con Owen e gli altri discendenti teorici di Helvétius, si compendia un'altra fondamentale acquisizione: la storia è il prodotto dell'attività dell'uomo che si relaziona con gli altri uomini per rispondere alle esigenze materiali del suo tempo. Il determinismo è insufficiente a spiegare la realtà, il pensiero critico non può che fondarsi sulla dialettica e svelarsi al mondo come prassi rivoluzionaria. "I filosofi - proclama Marx abbandonando definitivamente il terreno della filosofia per quello dell'azione - hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo". (10)

Robert Owen























4. Critica della religione e critica del capitale

In una lunga nota dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx inizia a porre le basi di una concezione scientifica del comunismo che superi un materialismo incapace di andare oltre la critica della religione. "Si vede facilmente - scrive - la necessità che l'intero movimento rivoluzionario trovi la propria base tanto empirica che teoretica nel movimento della proprietà privata, per l'appunto dell'economia. Questa proprietà privata materiale, immediatamente sensibile, è l'espressione materiale e sensibile della vita umana estraniata. Il suo movimento - la produzione e il consumo - è la rivelazione sensibile del movimento di tutta la produzione fino ad oggi, cioè la realizzazione o realtà dell'uomo. La religione, la famiglia, lo stato, il diritto, la morale, la scienza, l'arte, ecc. non sono che modi particolari della produzione e cadono sotto la sua legge universale. La soppressione positiva della proprietà privata, in quanto appropriazione della vita umana, è dunque la soppressione positiva di ogni estraniazione, e quindi il ritorno dell'uomo dalla religione, dalla famiglia, dallo stato, ecc. alla sua esistenza umana, cioè sociale". (11) Marx non si limita qui a criticare la mancanza negli utopisti di una critica della proprietà, ma va oltre, delineando i primi tratti di una visione materialistica della storia. 

E' nell'economia, cioè nel modo storicamente determinato in cui gli uomini entrano fra loro in rapporti finalizzati alla riproduzione allargata della specie, che si colloca il punto su cui far leva per una comprensione generale della società in tutte le sue articolazioni. Le forme culturali che via via questi rapporti hanno concretamente assunto, lungi dal rappresentare l'essenza stessa della società, non sono che manifestazioni particolari dei rapporti di produzione stessi. Religione, famiglia, stato, diritto, morale, scienza, arte - per restare all'elencazione marxiana - tendono ad autonomizzarsi dall'uomo al punto di schiacciarlo. Forme immaginarie della società, esse vivono ormai di vita propria e risultano inafferrabili come il Proteo dell'antica leggenda ad una critica che non persegua l'abolizione positiva, cioè integrale, di ogni alienazione. La critica della religione, della famiglia, dello stato, del diritto e della morale deve dunque trasformarsi nella critica radicale dell'economia e cioè dei rapporti reali che legano fra di loro gli uomini in un tempo e in una spazio non astratti bensì storicamente determinati. Senza questo sostrato materiale su cui poggiarsi la critica, anche la più radicale, è inevitabilmente condannata al fallimento e a generare, in luogo di una reale emancipazione, nuovi fantasmi. Da qui la critica demolitrice che Marx fa della "filantropia dell'ateismo" di Owen. "La alienazione religiosa come tale avviene soltanto nel regno della coscienza dell'intimo dell'uomo, ma l'alienazione economica è quella della vita reale, - quindi la sua abolizione comprende entrambi i lati. S'intende che il movimento prende il suo primo inizio presso i vari popoli a seconda che la vera vita riconosciuta dei popoli stessi si svolga più nella coscienza o più nel mondo esterno, sia più la vita ideale o più la vita reale. Il comunismo comincia subito (Owen) con l'ateismo, ma l'ateismo è in un primo momento ancora molto lontano dall'essere comunismo, come quell'ateismo è ancora più che altro una astrazione... La filantropia dell'ateismo è quindi in primo luogo soltanto una filantropia filosofica, astratta, la filantropia del comunismo è subito reale e immediatamente tesa all'azione". (12)

Attraverso la critica di Owen Marx pone le basi di una visione scientifica del comunismo inteso come prassi rivoluzionaria. "Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi - Marx dirà in un'altra occasione - Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente". (13) Da questo punto di vista nulla separa l'elaborazione giovanile di un Marx che sta faticosamente cercando una sua strada tra le fascinazioni dello hegelismo, dell'economia classica e del socialismo utopistico, dalle opere della maturità.

Il Capitale, lungi dal rappresentare una riflessione fredda che sacrifica l'uomo reale ai meccanismi astratti dell'economia, conclude con estrema coerenza un cammino di ricerca interamente giocato sul terreno di un umanesimo integrale, critico e dialettico, saldamente poggiato sulla concezione materialistica della storia.

Note:

1)G. Mayer, Friedrich Engels, Torino 1969, p.239
2)F. Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, Roma
1971, p.70
3)Ibidem, p.74
4)Ibidem, p.67
5)K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, Milano 1998, p
231
6)K. Marx-F. Engels, La sacra famiglia, Roma 1967, pp. 155-56
7)K. Marx, Il Capitale, Torino 1975, vol. III, p.1102
8)K. Marx-F. Engels, La sacra famiglia, cit. p. 173
9)K. Marx, Tesi su Feuerbach, in: F. Engels, Ludovico Feuerbach e il
punto di approdo della filosofia classica tedesca, Savona 1969, p.64
10)Ibidem, p. 66
11)K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino 1968,
pp.112
12)Ibidem
13)K. Marx-F. Engels, L'ideologia tedesca, Roma 1969, p. 25