Un’affascinante
mostra parigina ricca di manifesti “situazionisti”. “Sono il
più famoso degli uomini oscuri” diceva di sé. Schede, video e
appunti inediti riaccende i riflettori sull’eclettico intellettuale
francese Che prima del ’68 aveva già capito quale fosse il nemico
da combattere. E intuito come sarebbe andata a finire dopo.
Fabio Gambaro
Debord contro tutti
«Tutta la vita delle
società in cui regnano le condizioni moderne della produzione
s’annuncia come un’immensa accumulazione di spettacoli». Inizia
così il più celebre dei libri di Guy Debord, La società dello
spettacolo, arrivato nelle librerie francesi nel novembre del 1967 e
poi tradotto infinite volte in tutto il mondo. Discusso, chiosato,
detestato o adulato è considerato ancora oggi uno dei testi che
meglio interpretano la condizione contemporanea. Duecentoventuno tesi
che si presentano come una teoria critica dell’alienazione
dominante, denunciando senza mezzi termini lo spettacolo come
condizione onnipresente della società capitalistica. «Lo spettacolo
non è un insieme d’immagini, ma un rapporto sociale tra le persone
mediato dalle immagini», scrive colui che all’epoca era
l’instancabile artefice dell’Internazionale Situazionista. Lo
spettacolo governa le nostre esistenze, s’interpone tra noi e gli
altri, recuperando oltretutto ogni forma di contestazione che tenti
di rimetterlo in discussione. Di conseguenza, la sua critica — che
per Debord era la condizione necessaria per provare a immaginare una
vita emancipata dall’ideologia del consumo — non può che
prendere le forme di una guerra fatta d’intelligenza, movimento e
strategia.
Esattamente come quel Jeu
de la Guerre che l’atipico intellettuale francese inventò nel 1956
e poi continuò a elaborare negli anni successivi con la volontà di
«riprodurre la dialettica di tutti i conflitti». Un gioco della
guerra che è al contempo «sintesi strategica della sua opera e
metafora della lotta contro lo spettacolo delle merci», spiega
Laurence Le Bras che, insieme a Emmanuel Guy, ha curato l’ampia e
affascinante mostra intitolata “Guy Debord, un art de la
guerre”(alla Bibliothèque nationale de France dal 27 marzo al 13
luglio).
Proprio quel gioco — che «mira innanzitutto a rompere le linee di comunicazione del nemico» — è stato scelto dai curatori come filo conduttore di un percorso che, oltre a ribadire l’attualità di Debord in tempi in cui lo spettacolo è più che mai un principio strutturante della realtà, ricostruisce in dettaglio la poliedrica personalità di un autodidatta — nato il 28 dicembre 1931 e morto suicida il 30 novembre 1994 — che fu al contempo poeta, saggista, cineasta, artista, filosofo, sociologo e militante politico. Anche se — come ricorda Bruno Racine, il presidente della BnF che per Gallimard firma la prefazione del bel catalogo della mostra — l’autore di Critique de la séparation preferiva considerasi «uno stratega, un arrabbiato e un teorico».
Guy Debord |
La quasi totalità
dei documenti esposti provengono dagli archivi privati di Debord,
acquisiti dalla Biblioteca nazionale nel febbraio del 2011 per 2,7
milioni di euro, e impedendo così che finissero all’università di
Yale. Grazie al vastissimo materiale lasciato dal teorico del
situazionismo (manoscritti, lettere, appunti, schede, fotografie,
ritagli, volantini), i due curatori hanno costruito un ricco percorso
che propone anche diversi quadri e documenti audiovisivi, al cui
centro figurano seicento delle oltre millequattrocento schede di
lettura vergate dall’intellettuale francese. Per Laurence Le Bras
«questo è il vero e proprio cuore pulsante della riflessione di
Debord», che per tutta la vita ha incessantemente annotato pensieri
e citazioni in una sorta di dialogo permanente con gli autori che
prima di lui avevano cercato di comprendere il mondo. «Per saper
scrivere occorre aver letto. E per saper leggere occorre saper
vivere», scrive Debord, che in una delle schede annota una frase di
Carl von Clausewitz che pare scritta per lui: «In qualunque modo io
possa immaginare la relazione tra me e resto del mondo, la mia strada
passerà sempre attraverso un campo di battaglia».
Quando pubblicò il suo libro più famoso,l’autore della Società dello spettacolo aveva già una lunga carriera di agitatore alle spalle, dentro e fuori i movimenti dell’avanguardia artistico-politica degli anni ’50 e ’60. Aveva per esempio partecipato al movimento lettrista d’Isidore Isou e Gabriel Pomerand, realizzando nel 1952 un film intitolato Hurlement en faveur de Sade.
In seguito, convinto che fosse
necessario uscire dal semplice rituale dello scandalo artistico, crea
Potlatch, un bollettino politico-culturale che per molti versi
anticipa le tematiche dell’Internazionale Situazionista. Questa
nascerà ufficialmente nel luglio del 1957 in un paesino
dell’entroterra ligure, Cosio d’Arroscia (tra i fondatori c’erano
anche gli italiani Giuseppe Pinot-Gallizio, Piero Simondo, Walter
Olmo ed Elena Verrone), sulla base di un testo intitolato Rapporto
sulla costruzione delle situazioni.
«Noi pensiamo innanzitutto che occorra cambiare il mondo. Vogliamo il cambiamento per liberare la società e la vita in cui ci sentiamo imprigionati», si leggeva nella prima pagina del documento, che poi precisava: «La nostra idea centrale è la costruzione di situazioni, vale a dire la costruzione concreta di atmosfere momentanee della vita, e la loro trasformazione in una qualità passionale superiore».
Negli anni
successivi, il percorso di Debord, che tra i suoi autori preferiti
menziona Dante, Machiavelli e Petrarca, seguirà quello del movimento
situazionista, la cui avventura s’intreccia con le lotte politiche
di quegli anni, specie nel Maggio ’68 cui fornirà, oltre a
spiazzanti modalità di comunicazione, alcuni delle parole d’ordine
più efficaci e diffuse. Tra una battaglia e l’altra, mentre nelle
riunioni dell’Internazionale Situazionista si succedono scomuniche
ed espulsioni (fino alla dissoluzione ufficiale nel 1972),
l’intellettuale militante continua a fare film sperimentali come La
société du spectaclee In girum imus nocte et consumimur igni.
E intanto pubblica alcuni testi più autobiografici, tra cui Panégyrique e Cette mauvaise réputation. Proprio in uno scritto inedito degli ultimi anni, si definisce «il più famoso degli uomini oscuri». Una definizione perfettamente illustrata dalla mostra parigina, che restituisce tutta la complessità di quel «teatro delle operazioni» immaginato da Debord. Per il quale «la miglior cosa che possa capitare a un’avanguardia è di aver fatto il proprio tempo, nel pieno senso del termine». E per l’autore della Società dello spettacolo è sicuramente vero.
(Da: La Repubblica del 24
marzo 2013)