Proponiamo un articolo
interessante, scritto da un caro amico di Vento largo. Ne
condividiamo pienamente la visione desolante di una sinistra (noi ci mettiamo anche Landini) residuo di una serie tragica di naufragi. Non ci convince
(e speriamo che l'autore non ce ne voglia) invece la prima parte che, pur
senza cadere nel piagnisteo populista sulle malefatte delle banche
(terreno d'incontro possibile e in parte già in atto di sinistra e
destra estrema), evita di confrontarsi con il tema vero: il tentativo
di costruzione (oggi economico domani militare) di un imperialismo
europeo in grado di reggere in un mondo sempre più globalizzato. Un
processo complesso e contraddittorio, ma salvo sconquassi più
generali irreversibile. Il concetto di “democrazia privata del suo
popolo” non è nuovo. Fino alla prima guerra mondiale (che l'interventismo democratico ne fu il
logico sbocco) sostanziò la critica radical democratica alla
politica di costruzione nazionale post unitaria in termini non molto dissimili da quelli con cui oggi si critica la costruzione unitaria europea. E sui
limiti e le ambiguità del concetto resta illuminante il vecchio
“Scrittori e popolo” (1964) dell'allora ancora operaista Asor
Rosa . Insomma, c'è terreno per un confronto. Che invece è impossibile con i "rivoluzionari" da parrocchia che impazzano sulla rete. Quelli che, confondendo il marxismo con un pauperismo buonista da Azione Cattolica, si riparano sempre più dietro le parole del papa stravolgendone il senso. Tanto che “Francesco” del tutto a ragione si sgola a chiarire che lui non è comunista, e che “beati i poveri” e “il denaro sterco di Satana”, non c'entrano con Marx, ma sono da sempre la dottrina sociale della Chiesa.
“Quanto umano è
lei”, diceva Fantozzi al padrone. E viene da pensare che, come un
tempo tanti a sinistra, incapaci di pensare a fondo la mostruosità dello stalinismo (togliattismo compreso), auspicavano un socialismo dal volto umano, oggi molti critici
della Merkel in realtà vogliano solo un imperialismo europeo dal volto
umano (in casa ovviamente, chè fuori, come dimostra la politica
francese in Africa, non vale).
Raffaele K. Salinari
La crisi greca e noi
Dopo l’accordo sul
debito greco è legittimo chiedersi se l’Europa
unita può ridursi ad una serie di Stati più o meno vassalli
della politica liberista a guida tedesca.
Come nel Medio Evo, infatti, oggi assistiamo ad una
progressiva classificazione operativa
dei Governi europei in vassalli, valvassini
e valvassori del capitalismo
teutonico, sino ad arrivare, secondo chi vuole
ispirarsi a questa datata impostazione
geopolitica, ad avere anche i servi delle gleba,
in questo caso la Grecia o il più arrendevole
Portogallo. Ma se questo è il quadro di
riferimento della politica liberista di
stampo renano, la visione che se ne ha oltre oceano è ben
diversa.
Da parte loro gli Usa
capiscono bene che, all’interno della crescente tensione
con la Russia, oggi inserita a pieno titolo
all’interno dei Brics e della loro nascente politica di
autonomia dalla Banca Mondiale a guida
americana, una Grecia disperata potrebbe tentare
due mosse entrambe preoccupanti per gli equilibri
globali: chiedere un prestito alla neonata Banca
Mondiale per lo Sviluppo finanziata dai BRICS,
e aprire ulteriormente le porte alle imprese cinesi
per quanto concerne la privatizzazione di
infrastrutture portuali a partire dal Pireo.
Queste decisioni,
ancora possibili, se non necessarie, in caso di
una ulteriore forzatura sui rientro del debito
greco da parte della Troika, andrebbero non soltanto
a rafforzare i Brics nel loro insieme, ma
a tendere ulteriormente intorno all’Europa
carolingia quell’arco di crisi già estremamente
preoccupante che fu completato dalla miope
politica europea con l’esclusione della Turchia.
Se oggi, infatti, ci
troviamo circondati da una morsa ferrea che,
partendo dal Maghreb, arriva sino al Kosovo passando
per l’instabilità letale del Medio Oriente, lo dobbiamo anche
alle politiche neo-ottomane dell’attuale dirigenza
turca, e questo probabilmente non sarebbe
accaduto se i governanti europei avessero
fatto dei calcoli un po’ più lungimiranti.
Purtroppo pare che
la storia, almeno quella recente, non abbia insegnato nulla
né alla Merkel né tantomeno ai suoi vassalli,
come la Francia di Hollande, o ai valvassini,
come l’Italia di Renzi. E allora, com’è possibile
che questi governi subalterni sia agli USA che alla
Germania non riescano a esercitare una
funzione di equilibrio all’interno dei loro stessi
interessi nazionali ma si siano spostati decisamente
verso quelli mercantili mitteleuropei?
Com’è possibile
che i residui di social democrazia francese
o il Partito democratico a guida renziana
che vanta la stessa appartenenza, non vogliano poter
giocare l’ultimo margine negoziale che gli resta per
non scomparire del tutto all’ombra delle Democrazia
Cristiana tedesca?
Qui sta l’arcano della
politica spettacolo, della democrazia
privata del suo popolo, del potere fatto di annunci twittati,
in breve della crisi radicale del modello democratico
europeo. Infatti, quando, come nel caso di Renzi, si giunge al
potere senza nessuna investitura diretta da parte
degli elettori, ma anzi, si continua
pervicacemente ad erodere se non azzerare
le basi per la partecipazione realmente
democratica, cioè critica, alla vita del proprio
partito, quando solo le legittimazioni
mediatiche, anch’esse pilotate dai poteri forti,
sanciscono l’appoggio alla leadership, ecco che
può benissimo avverarsi quella politica da
«Arlecchino servo di due padroni» che il nostro Presidente
del Consiglio pratica con molta disinvoltura:
da un canto le pacche sulle spalle da parte di Obama che in
cambio di un sorriso alla Casa Bianca ha infossato per
altri anni le nostre truppe nel pantano afghano e, dall’altra,
la sudditanza alle politiche, non europee ma
interne, della Germania, anche qui in cambio di una
serie di annunci di protagonismo negoziale
a beneficio esclusivo dei media mainstream.
In questo quadro la sinistra antiliberista
italiana cerca un ennesimo rilancio partendo da
residui partitici o movimentisti
alquanto logorati dalle passate scissioni
e successive false ricomposizioni.
Ma non basta citare oggi
Syriza come solo un paio di anni or sono si citava la Linke ed il suo
modello organizzativo, o Podemos o ancora
altre esperienze latino americane, non a caso
nate in Paesi dove la sinistra non ha la storia da legno
storto che vige in casa nostra, per creare le basi di una forza non
solo in grado di governare, come sta facendo Tzipras in
Grecia, ma di convincere tutto un popolo della
necessità di alzarsi in piedi e rivendicare
quelle che furono le basi dell’Europa di Ventotene.
Forse sarebbe il caso di
riflettere che, partendo dalla critica della
socialdemocrazia o avendo come orizzonte
programmatico l’essere alternativi
a questo Pd renziano, si finisce con l’usare le
stesse categorie politiche di sempre, logore
e inutili a procedere oltre la crisi delle
radici stesse di quel pensiero.
La sinistra del
presente deve superare il richiamo analogico,
ignorare le corrispondenze ed i rimandi:
rompere con l’appartenere alla stessa sfera culturale
e politico organizzativa che si critica.
È proprio
questa rincorsa che non convince i cittadini
e li tiene lontani da un’alternativa che, invece, le
formazioni politiche di altre realtà hanno
costruito mattone dopo mattone usando categorie
nuove, oltre le divisioni e dunque le visioni del
secolo scorso.
Da questo punto di
vista quando si parla di «allontanare i reduci ed
i guardiani delle tombe» perché si intende sempre
qualcun’altro e mai chi ha tentato negli ultimi vent’anni
esperimenti che al massimo hanno prodotto
qualche seggio buono per una rendita di opposizione?
Credo sia questa
anche l’intuizione che muove la coalizione sociale di
Landini. Se vogliamo essere coerenti con la sfida di
pensare le nuove categorie per una politica
dell’inclusione e della salvaguardia
dell’ambiente, del diritto dei diritti fondamentali,
allora bisogna programmaticamente dare
spazio alle formazioni inedite, sostenere
nuove dirigenze, fare realmente un passo indietro da
parte di chi sino ad ora non ha concluso nulla se non convegni
e cartelli falsamente pattizi, promuovere
una gioventù che forse non ha un passato ma che
certamente vuole avere un futuro.
Il manifesto – 17
luglio 2014