domenica 24 marzo 2019

1956. Quando Azione Comunista faceva paura al PCI



Nel 1956, le rivelazioni del XX Congresso del PCUS sui crimini di Stalin e poi i fatti d'Ungheria, mettono in forte difficoltà il PCI che mantenne, nonostante la defezione di molti intellettuali, comunque una salda presa sulla classe operaia. Eppure i timori di una forte perdita “a sinistra” furono forti come dimostra questo nostro lavoro di qualche anno fa.

Giorgio Amico

Quando Azione Comunista faceva paura al PCI

Sull'esperienza di Azione Comunista negli anni Cinquanta si è scritto finora poco. Nella sterminata bibliografia sulla storia del PCI nel dopoguerra, se si eccettuano i contributi di Giorgio Galli, Danilo Montaldi e Arturo Peregalli, rarissimi sono stati gli accenni a Azione Comunista, così d'altronde come alle dissidenze storiche trotskiste e bordighiste. Nei casi migliori vi si è accennato di sfuggita con accenti liquidatori e riduttivi, se non derisori. La realtà che emerge dai verbali della Direzione comunista nel 1956, da poco raccolti e pubblicati*, è del tutto diversa. il gruppo dirigente del PCI non sottovalutava affatto la portata del dissenso rappresentato dal giornale di Seniga e Fortichiari, che considerava anzi una concreta minaccia al controllo fino ad allora esercitato sulle masse proletarie. Senza eccezioni, da Togliatti a Amendola, da Secchia a Pajetta, i massimi dirigenti del PCI seguono con attenzione la parabola della dissidenza azionista, prima frazione semiclandestina interna al partito, poi rivista d'area ed infine organizzazione politica indipendente col nome di Movimento della Sinistra Comunista.

Già nella riunione della direzione comunista del 29 marzo 1956, totalmente dedicata al XX Congresso del PCUS, Secchia, considerato da molti nel partito anche per gli stretti rapporti avuti con Seniga il vero ispiratore della dissidenza di sinistra, rileva in un intervento dai toni volutamente tranquillizzanti che nelle riunioni svolte nelle Federazioni "non si sono notate posizioni antipartito", nonostante l'atteggiamento irresponsabile di quei dirigenti che, come Terracini, si sono lasciati andare e hanno ecceduto nelle critiche all'URSS staliniana. E' la spia di un malessere reale. Certo la stampa tende a esasperare i toni, ingigantendo le dimensioni della dissidenza, ma resta il fatto che l'intero gruppo dirigente, Togliatti in testa, al di là delle sprezzanti minimizzazioni pubbliche, cova il timore che l'intenso lavoro di propaganda svolto da Seniga e Fortichiari possa raccogliere significativi consensi alla base del partito.

Alcuni mesi più tardi, in estate, nell'ambito di una discussione in Direzione sui contatti in corso con Cucchi e Magnani in vista di un loro possibile rientro nel partito, ancora Secchia allude esplicitamente alle forti riserve espresse dalla base milanese in merito all'espulsione dalle fila comuniste di Luciano Raimondi, comandante partigiano e direttore del Convitto Rinascita, con Seniga e Fortichiari uno dei principali esponenti di A.C. venuti allo scoperto.


La situazione si fa critica con l'esplodere in autunno della rivoluzione ungherese. Nella Direzione del 30 ottobre, interamente dedicata alla discussione dei fatti d'Ungheria, la discussione assume toni drammatici. In tutti gli interventi aleggia il timore che il dissenso non resti confinato agli intellettuali, ma dilaghi anche nella base operaia. Da più parti si mette in evidenza l'apparire di preoccupanti segni di disorientamento anche fra i militanti operai più fedeli al partito. Ancora una volta il timore è che Azione Comunista possa sfruttare la situazione e offrire uno sbocco politico organizzato al dissenso che cova nelle sezioni soprattutto nel triangolo industriale. Un allarmato Pajetta segnala che intellettuali di primo piano come Geymonat sarebbero in procinto di rompere con il PCI, ma a differenza di quanto finora accaduto con i dissidenti in uscita verso la socialdemocrazia, questa volta lo strappo avverrebbe a sinistra in direzione di Azione Comunista. A sua volta Dozza evidenzia l'aumento della diffusione del settimanale azionista, mentre Colombi mette in guardia dal pericolo di spingere quella parte del partito, sempre più visibilmente amareggiata e delusa, direttamente nelle braccia di Seniga.

Lo sbandamento è forte. Al gruppo dirigente comunista occorrerà un altro mese per mettere a punto una decisa controffensiva sul terreno politico, ideologico e organizzativo. Nella Direzione del 21 novembre 1956 in preparazione dell'VIII Congresso del partito, tocca a Giorgio Amendola, quale responsabile della Organizzazione, aprire i lavori. Nella relazione introduttiva il PCI viene chiamato ad un intenso sforzo di rinnovamento, mentre tra gli obiettivi del congresso particolare rilievo assume la risposta decisa nelle sezioni e nelle federazioni al "lavoro di Azione Comunista e di elementi di destra che abbandonano i nostri principi".

Pur pagando un prezzo elevato nella società, con una forte emorragia di iscritti e una verticale caduta di consensi tra gli intellettuali, nelle fabbriche il PCI supererà la prova del 1956. In ciò agevolato anche dai limiti soggettivi dello stesso nucleo dirigente di Azione Comunista che si dimostrerà incapace di superare il proprio eclettismo e di dare respiro politico al malessere profondo di consistenti avanguardie operaie prigioniere dei miti convergenti dell'URSS staliniana e della Resistenza tradita. Su questo terreno il recupero per il PCI si rivelerà più agevole del previsto, ma per un momento, in quel "terribile 1956" del XX Congresso e dell'insurrezione ungherese, Azione Comunista riuscirà realmente a incutere timore agli abitanti del tetro palazzone in via delle Botteghe Oscure.

* Quel terribile 1956. I verbali della Direzione comunista tra il XX Congresso del PCUS e l'VIII Congresso del PCI, Editori Riuniti 1997

(Appunti Marxisti n.3 Autunno 1997)